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Autore: I_love_villains    12/11/2017    0 recensioni
Pharrell College= scuola privata inglese per giovani sidhe.
Sidhe= creature fatate facenti parti del Piccolo Popolo.
Pandora= tutti i doni. Ma alcuni sono oscuri.
Coraggio= capacità di affrontare situazioni difficili e pericolose, talvolta per fare la cosa giusta.
Amicizia= vivo e scambievole affetto tra due o più persone, ispirato dalle più svariate cause.
Paura= stato emotivo di repulsione e di apprensione in prossimità di un vero o presunto pericolo.
Sfortuna= cattiva fortuna, sorte avversa. Le disgrazie non vengono mai da sole e i mostri sono reali.
Genere: Fantasy, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La campanella era suonata da un pezzo, ma Lilian era ancora in camera. Infatti la sua spazzola era misteriosamente sparita e lei non poteva certo andare a lezione con i capelli spettinati. Finalmente la recuperò sotto un comò. Era sicura al cento per cento su chi gliel’avesse nascosta, la stessa persona che aveva infilato un rospo nel suo letto. Prima o poi Pandora gliel’avrebbe pagata.
La bionda scese le scale in fretta per raggiungere la sua aula, quando udì un urlo. Si fermò, confusa. Vinta dalla curiosità, si incamminò nella direzione in cui le sembrava fosse provenuto il grido. Trovò Viola. La bambina si era coperta il viso con le mani e singhiozzava davanti ad una finestra, pallida e spaventata.
“Viola? Cosa ti prende?”
“Ho v- visto R- Rufus. L- lui …” tentò di spiegarsi la piccola fra le lacrime.
Lilian le fu vicina. Guardò fuori dalla finestra, senza vedere nessuno.
“Calmati, chiunque sia se ne è andato.”
La più grande non sapeva come comportarsi. Viola la strinse in cerca di conforto e lei le diede qualche pacca sulla schiena, imbarazzata. Con suo enorme sollievo la castana smise di piangere.
“Allora … al nostro piano non conosco nessuno che si chiama così.”
“Lui è più grande …”
“Ti fa i dispetti? Bisogna dirlo al signor Thomas.”
“Non viene a scuola con noi. Lui n- non dovrebbe nemmeno essere da queste parti …”
Viola si stropicciava il vestito, tremante, guardando ogni tanto fuori. Lilian la osservò, poi le prese una mano e la guidò verso l’ufficio del preside.
“D- dove andiamo?”
“Dal preside, ovviamente. Se c’è un intruso …”
“No, no, ti prego!” strillò lei puntando i piedi.
“Viola, si può sapere che ti prende?” esclamò la bionda, scocciata.
La bambina rabbrividì. Alzò lo sguardo.
“Ecco, devo averlo immaginato. Scusami, non volevo farti preoccupare. Insomma, è impossibile che sia qui” disse in fretta, ridendo nervosamente. “Forse stanotte ho sognato ed è tutto qui.”
“Col cavolo Viola! Sarà vero che questo ragazzo non c’era, ma non è tutto qui!”
Viola prese un respiro ma non parlò. Non si trattava di reticenza, proprio non sapeva come spiegarsi.
“Ecco … Rufus era il mio babysitter. Lui era cattivo, tanto.”
“Ti picchiava?”
“Qualche volta. E gridava tanto, era sempre arrabbiato, però con i grandi faceva il bravo.”
“Mi spiace. Ora capisco perché ti fa paura. Mi auguro che lo hai detto ai tuoi” disse Lilian con un tono più gentile.
“Sì, e lo hanno licenziato da un anno.”
“Bene. Quindi davvero non poteva essere qui.”
“No, no. Lui non sa dove vado a scuola, perché è lontano da casa.”
“Ok … beh, ci siamo saltate la prima ora.”
“Oh, scusa, per le mie sciocchezze …”
“Non preoccuparti. Ci vediamo, tu non pensare più a quel microcefalo.”
“Va bene” mormorò la piccola.
La guardò allontanarsi, giù di corda. Il problema è che proprio non riusciva a dimenticare, soprattutto l’ultima serata passata con Rufus, quando per poco lui era riuscito a rapirla. Viola scacciò quei pensieri cattivi e corse verso la sua aula.

“Ehi, Dory, l’ho fatto!” gridò Anton appena vide arrivare l’amica.
“Eh?”
“Io e Simon abbiamo legato Lance vicino casa” spiegò lui scoppiando a ridere.
Pandora lo guardò per un attimo senza capire, poi ricordò cose gli aveva detto di fare per farsi perdonare. Non credeva che l’avrebbe fatto sul serio. Corse in direzione di casa Sanders. Quando udì le proteste di Lance e le minacce verso i suoi fratelli rallentò. Il bambino la vide, sgranò gli occhi e voltò la testa, non osando guardarla in faccia mentre le guance gli si imporporavano. Lei incrociò le braccia, ormai di fronte a lui. Era decisa a risolvere quella questione, in un modo o nell’altro.
“Quante bambine tratti così?” chiese sprezzante.
“Non so di che parli” ribatté lui, sempre evitando il suo sguardo.
“Non fare il finto tonto! Spiegati.”
“Che vuoi da me?”
“Intanto me la paghi.”
Lance si rese conto del perché era legato. Sapeva che baciarla era stato un errore. Sospirò.
“Non dovevo …”
“Già, ma adesso non puoi più scappare. Ti propongo una scelta.”
Pandora si avvicinò e chiuse gli occhi. Sperava che lui la baciasse di nuovo. Non si era accorta di quanto lo desiderasse finché non lo aveva rivisto. Il rosso capì cosa voleva. Si sporse, ma lei era troppo lontana.
“Niente?” fece delusa.
“Credimi, anche volendo non ci riesco, mi hanno legato come una salsiccia.”
Lance si dimenò, mostrandole che diceva la verità. La ragazzina rise, si avvicinò e gli diede un lieve bacio a fior di labbra. Lui si bloccò, rosso. Anche le guance di lei lo erano.
“Vuoi che sono la tua fidanzatina?” domandò tenera, senza la sicurezza che la caratterizzava.
A Lance sembrò tremendamente carina e vulnerabile.
“Sì” sussurrò.
Fu slegato e subito si vendico facendole il solletico. Dory rise, tentando di fermarlo anche se era troppo felice e voleva che lui continuasse ancora un po’.

Hope vide Simon, Anton, Gabriel e Ulfis giocare ai tre moschettieri con dei rami, Fujiko e Frithjof litigare mentre giocavano a scacchi e Viola fare gli esercizi di matematica, ma Dory non c’era. Nemmeno Lance e Galahad, se è per questo. La rossa mise Pepe per terra.
“Dov’è la mia padrona, Hope? Sono giorni che mi lascia solo. Aveva promesso di portarmi con sé.”
“Sarà con il suo fidanzatino” rispose lei ridacchiando.
“Motivo in più per trovarla.”
“Prova da quella parte, forse è a casa Sanders.”
Il micio seguì il consiglio e sparì tra gli alberi. Hope si sedette accanto a Viola per fare i compiti insieme. Fujiko lanciò uno sguardo alle due bambine. Magari avevano bisogno di aiuto per risolvere gli esercizi e lei avrebbe avuto una scusa per liberarsi di quel dannato elfo. Odiava quando la gente la valutava solo per il suo aspetto fisico e i ragazzi solitamente si soffermavano solo su quello. L’albina allora non li degnava di uno sguardo, li mandava a quel paese, insomma faceva di tutto per ignorarli ed essere a sua volta lasciata in pace. Si trovava a suo agio con chi apprezzava sì il suo aspetto, ma andava oltre. Lei era fiera del suo cervello, era per quello che voleva essere ammirata. Trovava insensato quel culto della bellezza. Essere belli non era un merito perché era un dono casuale della natura. Non si diceva poi che la bellezza esteriore dopo cinque minuti stanca? La ragazzina sospirò. Aveva sentito spesso le sue coetanee desiderare correggere questo o quel difetto, lei invece avrebbe preferito prenderseli pur di non essere considerata più attraente.
“Oh, mi hai battuto ancora” mugugnò Frithjof. “Mi concedi la rivincita?”
“No, basta.”
Fujiko si sedette con le bambine, annoiata.

“Sei morto ancora!” strillò giulivo Simon.
Non riusciva mai a battere i suoi fratelli a scherma, Gabriel invece sì. Il moro si complimentò, nonostante fosse afflitto per l’essere stato ripetutamente battuto da un bambino più piccolo. Notando che Frithjof e Fujiko avevano smesso di giocare e che l’elfo veniva verso di loro, propose a Simon di sfidare lui. Gabe salì sulla casa sull’albero, prese un libro e iniziò la lettura, interrotta ogni tanto per guardare Fujiko.
Dopo qualche minuto Simon si stufò di essere preso in giro da Frithjof per la sua presunta mancanza di abilità, così lo mandò al diavolo e lo lasciò ad Anton, mentre lui giocava a bocce con Ulfis. Il mezzo nano si guardò intorno, assicurandosi di essere lontano da orecchie indiscrete, e si rivolse all’amico.
“Ehi, nella tua classe circolano strane storie?”
“Mh? Di che parli?”
“Storie di fantasmi” precisò lui, sentendosi ingenuo. Non voleva fare la figura del credulone, però … ne doveva parlare con qualcuno e Simon era il suo migliore amico.
“Beh, ogni tanto, ma o sono le stesse che già esistevano quando i miei andavano a scuola oppure le inventano i ragazzi più grandi.”
“Niente di vero, dunque.”
“Perché, tu ci credi?”
Simon lo fissò, incuriosito. Ulfis arrossì.
“No, ovviamente. Solo che almeno una sarà vera, no? I fantasmi esistono, giusto?”
“Certo che esistono fantasmi veri, però non da queste parti. L’unica cosa paurosa a scuola sono gli insegnanti e le verifiche.”
Risero entrambi a quella battuta.
“Scemo, mica dicevo a scuola. Ma in paese sì, me lo ha raccontato una volta mia nonna.”
“Sul serio? Sentiamo!”
“Va bene. Me l’ha raccontata per mettermi in guardia dagli umani. Agli inizi del Novecento una sidhe ne sposò uno e forse non gli rivelò cosa era davvero. Comunque, morì poco dopo la nascita della loro bambina, che fu chiamata Eve. Pare che la piccola sapesse prevedere il futuro. Un giorno il padre, spaventato, la murò viva. Da allora chi si avvicina a villa Anderson, come fece mia nonna da giovane, la vede sempre circondata da nebbia. Niente riesce a illuminarla. Poi si può sentire Eve che canta, piange o chiede aiuto. Alcuni l’hanno vista nel giardino. La nonna dice che vuole compagnia, non è cattiva, eppure alcuni sono svenuti o andati in trance. Insomma, per questo tutti hanno paura di villa Anderson.”
Simon rabbrividì affascinato, trovando quella storia davvero forte.
“E tu ci sei mai andato? Parli della casa sulla collina, vero?”
“Sì, è quella. Però no. Una volta ero ai piedi della collina col mio binocolo, per vedere più lontano sai, e in effetti ho visto la nebbia e forse qualcuno in mezzo!”
Da essere serio ed eccitato, Ulfis divenne teso.
“Credo siano passati un paio d’anni e io non ci ho più pensato davvero … ma ieri …”
“Ieri cosa?” mormorò l’altro bambino, non più tanto sicuro di voler ascoltare.
“L’ho sognata. La bambina intendo. Era carina, tutta bianca e trasparente, come appunto un fantasma. Nel sogno mi invitava a giocare ed io era come se non vedevo che era uno spirito e la seguivo in casa. Poi mi sono ritrovato in una stanzetta e credo di aver preso il suo posto, e un uomo mi murava lì. Lui era così spaventoso che ho urlato e mi sono accorto di farlo davvero.”
I due ragazzini erano a disagio. Simon avrebbe desiderato non crederci, dire che l’amico si stava inventando tutto per spaventarlo e farsi quattro risate, ma sapeva che non ne era il tipo.
“Ulfis, sai che era solo un incubo, no? Anche se il fantasma è vero.”
“Sì, certo. Solo che, non so, era molto realistico, capisci?”
“Se lo racconti ad Anton o Dory poco ma sicuro che poi organizzano una spedizione” disse dopo un po’ il bambino, pensieroso.
“Ed il primo a scappare sarebbe Frithjof.”
Risero tutti e due per scaricare la tensione. Hope e Viola, finiti i compiti, si unirono a loro ed entrambi decisero di non pensare più a quella storia. Anche se forse, di notte, non sarebbe stato molto facile.



***Angolo Autrice***
Per la storia di Eve mi sono ispirata alla storia di Villa Clara, a Bologna, questa bella casetta qui:

   
 
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