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Autore: alessiawriter    12/11/2017    2 recensioni
Tipica serata della famiglia Nara.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Shikadai Nara, Shikamaru Nara, Temari | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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«Vieni, Shikadai, è ora di andare a letto».
 
La testa di Temari fece capolinea nel salotto, il corpo nascosto interamente dietro la porta, mentre sbirciava nella stanza alla ricerca del pargolo. L'orologio grande e sobrio, l'unico mobilio appeso al muro, segnava le dieci. Temari amava particolarmente quel pezzo d'arredamento, forse perché il tintinnio ritmico, costante le donava una sorta di serenità; forse perché era l'unico oggetto che aveva deciso di portare con sé una volta trasferitasi da Suna. 
 
Temari e Shikadai si erano ormai abituati al silenzio di quella casa, perché come al solito Shikamaru era stato trattenuto a lavoro fino a tardi; erano rare infatti le volte in cui rientrava per cena e quella sera non aveva fatto eccezione. Tuttavia, non gli attribuivano nessuna colpa, sapevano che se avesse potuto Shikamaru avrebbe passato più tempo con loro. Semplicemente, c'era bisogno di lui anche altrove. 
  
Shikadai scosse la testa davanti alla richiesta della madre, continuando a fissare il cielo scuro ricoprirsi lentamente di nuvole minacciose; era certo l'arrivo di un imminente e potente acquazzone. «Voglio aspettare che arrivi papà», dichiarò cocciuto, stringendo le gambe al petto.
 
Temari alzò gli occhi al cielo, per niente nuova alla sua reazione, mentre avanzava verso il figlio. Ogni benedetta sera era la stessa storia, era costretta a trascinarlo letteralmente di peso e di forza a letto. «Farebbe meglio a sbrigarsi, sta per iniziare a piovere», commentò allora atona, scrutando anche lei il cielo. 
 
Shikadai annuì d'accordo, mentre si toccava nervosamente i capelli legati in una stramba coda, terribilmente simili a quelli del padre. «Mamma, giochiamo a scacchi?», domandò all'improvviso, fissandola intensamente. 
 
Temari, una volta seduta accanto al figlio, si grattò la guancia con la punta delle dita. «Lo sai che non so giocare», esclamò, alquanto sorpresa dalla richiesta del bambino. 
 
Il viso di Shikadai si aprì immediatamente in un sorriso dolce, quasi avesse previsto una risposta del genere, mentre si alzava in piedi. «Ti insegno io!» propose entusiasta, un braccio portato dietro la testa con fare insolente. 
 
Temari non era per niente convinta, ma non riuscì a resistere di fronte a quel sorriso e dall'altra parte non aveva il coraggio di frenare la sua euforia, dato che erano davvero pochi i momenti in cui lo vedeva attivo ed energico. Quel moccioso di soli cinque anni aveva ereditato e poi sviluppato i geni pigri e indolenti del padre, tanto che la principessa della sabbia si era ritrovata a dover combattere non solo con uno scansafatiche ma addirittura con due.
 
Il piccino ritornò nella stanza correndo con le gambette corte e paffute, custodendo tra le braccia la scacchiera e i vari pezzi. «Non è difficile, papà mi ha spiegato e insegnato come funziona in poco meno di un'ora», affermò fiducioso, cercando di rassicurare la madre che aveva uno sguardo scettico che non accennava ad abbandonare il suo viso.
 
Temari sospirò, mentre osservava il bambino sistemare le pedine al proprio posto. «Però una partita soltanto, chiaro?», precisò con un tono che non ammetteva repliche. 
 
Shikadai annuì vigorosamente, con aria solenne. «Allora, le regole sono semplici», esordì, assumendo un'aria saccente che fece storcere il naso alla madre; almeno qualcosa aveva preso da lei.
 
.:••:.
 
«Sono a casa», si presentò a voce alta Shikamaru, mentre faceva il suo ingresso nell'abitazione.
 
Si aspettava di ricevere quantomeno qualche cenno di vita da parte dei rimanenti astanti, dal momento che aveva notato le luci accese. Tuttavia, riuscì a distinguere solo un flebile mormorio provenire da una stanza poco lontana della casa. Si tolse i sandali, si spogliò dalla sua giacca da jonin e nell'esatto momento in cui si avviò verso la cucina sentì un rombo alle sue spalle; era rientrato appena in tempo, mancando per un soffio di venire inzuppato dalla pioggia.
 
Mosse svogliatamente i piedi in avanti, raggiungendo così la sorgente delle voci. Era così stanco che teneva gli occhi piccoli quasi del tutto socchiusi, ma la scena che si ritrovò davanti glieli fece spalancare comicamente. Temari e Shikadai erano posti ai lati della scacchiera: la prima con un espressione corrucciata tendente all'omicida, mentre il secondo aveva uno sguardo furbo e allo stesso tempo concentrato.
 
Si portò una mano al mento, accarezzando distrattamente il ciuffo della barba. «Che sta succedendo qui?», li interrogò, un po' preoccupato dalla tensione che riusciva con chiarezza sconcertante ad avvertire. 
 
Shikadai fece la sua mossa, prima di rivolgere uno sguardo vittorioso alla madre. «Succede che ho vinto, papà», spiegò diligentemente, aggiungendo subito dopo: «Di nuovo». 
 
Il cipiglio di Temari diventò, se possibile, ancora più evidente, mentre si allontanava dalla postazione di gioco. «Non è ammissibile che un bambino di cinque anni riesca a battermi in questo stupido gioco», mormorò adirata, mentre il soggetto in questione si rifugiava tra le braccia del padre. 
 
Shikamaru si rese conto di non aver evitato la tempesta, ma di esserci finito proprio in mezzo. Che seccatura. 
 
Il ninja, attingendo alla sua profonda esperienza nel campo strategico, era propenso ad optare per una ritirata strategica. «Perché non sei ancora in pigiama?», gli domandò, sperando di aver colto una scusa per portare il bambino in salvo dalle grinfie della madre, e invece finì proprio per toccare un altro tasto dolente. 
 
Temari, sempre più cupa, sentì crescere maggiormente il suo cattivo umore, trovando così un altro motivo per lamentarsi. «Tuo figlio ha preferito perdere tempo, piuttosto che prepararsi per dormire», spiegò con tono lugubre. 
 
Shikamaru deglutì nervosamente, stringendo il pupo tra le sue braccia. «Ci penso io a lui ora», si offrì e quando la donna non aggiunse nient'altro, ne approfittò per sgattaiolare via. Minaccia ufficialmente scongiurata. 
 
Raggiunsero il bagno e lo mise a sedere sul piano del lavandino, mentre apriva il rubinetto e faceva scorrere l'acqua in attesa che diventasse calda. «Ti rendi conto che hai fatto impazzire la mamma?», passò una mano sotto il getto, per poi portarla al viso del piccolo.
 
Shikadai si imbronciò, sopportando a malapena le cure del padre. «Non è colpa mia, è lei che è negata a scacchi!», si difese.
 
Shikamaru si lasciò andare in un sorriso complice e gli tolse gli indumenti. «È vero, però odia perdere, lo sai. Quando si arrabbia diventa proprio una...».
 
«Una seccatura», finì per lui la frase. «Dovevo lasciarla vincere quindi?».
 
Shikamaru sospirò, sciogliendo i capelli del figlio. «Esatto, possibilmente senza farglielo capire», ammise, recuperando poi lo spazzolino per i denti.
 
Shikadai non rispose, continuando però a rimuginare sulle parole del padre, che nel frattempo finì di lavarlo e prepararlo per la notte. Forse aveva veramente esagerato con la mamma, non avrebbe dovuto farla arrabbiare così tanto. E se non lo avesse voluto più come figlio? E se avesse trovato un altro bambino di cui prendersi cura? E se avesse smesso di volergli bene? No, no e no, non poteva assolutamente permettere una cosa del genere! 
 
Così, appena sistemato per bene sotto le coperte dal padre fin troppo esausto da quella giornata, si mise a sedere come una molla. «Papà, non posso dormire», esclamò deciso come poche volte nella sua breve vita.
 
Shikamaru emise un verso scocciato, cercando di riportarlo sotto le coperte. «Avanti, Shikadai, smettila di fare storie e dormi», esclamò, ma si accorse subito di non risultare abbastanza autoritario neanche alle sue orecchie.
 
Il bambino scosse la testa e allontanò le braccia del padre, scalciando per uscire dal letto. «Devo scusarmi con la mamma, altrimenti si prenderà un altro bambino e a me non vorrà più bene», spiegò urgentemente, quasi urlando. 
 
Shikamaru lo afferrò per le braccia, nel tentativo di non farlo scappare. «Ma di che stai parlando? La mamma ti vorrà sempre bene, qualsiasi cosa accada», provò a calmarlo, sbuffando interiormente. 
 
Ma il bambino non volle sentire ragioni e riuscì a divincolarsi dalla presa del padre, correndo poi fuori dalla stanza con le lacrime agli occhi. Shikamaru sospirò scocciato, mentre si accingeva a inseguirlo prima che potesse attentare con qualche altro dramma i suoi poveri nervi ormai sul punto del collasso.
 
Seguendo il rumore dei suoi leggeri e veloci passi, giunse nella sua camera da letto, dove incontrò la causa del peggioramento del suo mal di testa. Temari, distesa sotto le coperte, stringeva tra le braccia uno Shikadai che le sussurrava all'orecchio. Shikamaru avanzò nella stanza, mentre un sorriso tenero si faceva largo sul suo viso. 
 
«Pace fatta quindi?», volle essere sicuro, così da evitare in caso contrario il campo minato. 
 
La testa del piccolo si alzò per mostrargli l'espressione serena. «Certo, papà! Anche se la mamma mi ha confidato che non era poi così tanto arrabbiata».
 
Shikamaru alzò un sopracciglio, ma non aggiunse nient'altro. Si intrufolò sotto le coperte, accogliendo in un abbraccio la sua famiglia. La quiete dopo la tempesta. 
 
 
 
 
 
 
 
/N.A
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