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Autore: Piperilla    13/11/2017    3 recensioni
La notte di Natale; il freddo, la neve e un regalo inaspettato.
[Storia partecipante al contest "Dark chest of wonders" indetto da missredlights sul forum di EFP]
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Pur essendo cominciato da poco, si vociferava già che quello sarebbe stato l'inverno più freddo degli ultimi trent'anni: il giorno di Natale si era presentato con temperature ben al di sotto dello zero, e nelle settantadue ore precedenti la neve era caduta copiosa su buona parte dell'Abruzzo.
   Il paesino di Santo Stefano era rivestito da un metro di quella spessa coltre bianca e agli abitanti erano occorse parecchie ore pala alla mano per liberare le strade e le porte delle case ma, a giudicare dalle nuvole perlacee che coprivano il cielo, tutti sapevano che presto avrebbero dovuto ricominciare daccapo: quella in montagna non era una vita adatta a chiunque, e spesso bastava molto meno per scoraggiare le persone a recarsi in quei luoghi durante i mesi invernali.
   A Camilla, nata e cresciuta in quel paese, la neve non faceva paura: anzi, da quando aveva superato il concorso per entrare nell'Arma dei Carabinieri ed era stata costretta a lasciare Santo Stefano, aveva avuto spesso nostalgia del silenzio, della solitudine tanto facile da trovare in quelle stradine, del cielo notturno così limpido da lasciar vedere un numero incalcolabile di stelle. Per questo tornare a casa per quei pochi giorni ed essere subito costretta a spalare la neve non l'aveva infastidita neanche un po': si era messa al lavoro di buona lena, da sola, sorridendo del proprio respiro che si levava nell'aria fredda in nuvolette di condensa e le ricordava quanto avesse sempre amato l'inverno, e quell'esercizio all'apparenza tedioso l'aveva fatta sentire come se l'ultimo anno non fosse trascorso.
   La festa di Natale in casa Vetri era sempre stato un affare piuttosto caotico, e quell'anno non faceva eccezione: un'altra cosa piacevolmente familiare per Camilla, che pur essendosi abituata abbastanza in fretta alla vita perlopiù solitaria in caserma, spesso sentiva la nostalgia delle cene improvvisate con zii e cugini.
   La ragazza lasciò vagare lo sguardo sulla lunga tavolata. Gianni e Ida, i suoi genitori, continuavano a portare in tavola vini, liquori e dolci nonostante fossero tutti pieni da scoppiare; il padre di Gianni, Angelo, e suo cugino Desiderato erano intenti a discutere con Adolfo e Carlo, rispettivamente figlio e nipote del secondo, mentre la moglie di Adolfo, Daniela, chiacchierava con Ilaria, una lontana cugina di Ida, suo marito Ernesto e le mogli dei due uomini più anziani, Ludovica e Carola. L'intreccio di voci riempiva la stanza tanto che era difficile cogliere più di qualche brandello di conversazione; approfittando di quel momento di quiete, Camilla prese il cellulare che aveva tenuto accanto a sé per tutta la sera, lo sbloccò e lanciò una rapida occhiata allo schermo. A sua madre, quel gesto non sfuggì.
   «Milla, non è che per caso aspetti un messaggio?» chiese maliziosa Ida.
   Sua figlia mimò una risata con aria sarcastica, ma prima che potesse fare altro sua cugina Teresa – l'unica figlia di Ilaria ed Ernesto – le diede una gomitata proprio sulle costole.
   «C'è qualcosa che devi dirmi, Milla?» le domandò Teresa con espressione esageratamente innocente.
   «Se rispondo di no, mi dai un'altra gomitata?» grugnì sua cugina, massaggiandosi il punto colpito.
   «Sì» disse risoluta l'altra. «Allora? Perché continui a controllare il cellulare?» aggiunse sottovoce, guardandola fisso.
   «Va bene, va bene, parlerò» bofonchiò Camilla. «Ti ricordi che a luglio, dopo il giuramento, ho avuto una settimana di licenza prima di prendere servizio a Milano e che sono andata per qualche giorno a Palermo, insieme a un paio di altre ragazze con cui ho frequentato l'accademia?»
   «Me lo ricordo» confermò Teresa.
   Sul volto di Camilla si dipinse un piccolo sorriso. «Be', la prima sera eravamo in un locale a festeggiare. Avevamo bevuto già qualche birra, quel posto era pieno zeppo e non riuscivamo a farci sentire da nessun cameriere, così sono andata al bancone per ordinare un altro giro; ho dovuto sgomitare un po' per arrivarci e farmi vedere dal barista... e lì ho conosciuto Renato».
   Le sopracciglia di Teresa scattarono verso l'alto. «E com'è? Bello? Chi ha attaccato bottone, tu o lui?»
   Camilla scoppiò a ridere. «Non penso che ti piacerebbe! È un bell'uomo, eh: alto, con un gran fisico e un viso bellissimo, ma...» si guardò intorno circospetta per assicurarsi che suo padre non la stesse ascoltando, «ha più di quarant'anni».
   Teresa, che stava bevendo un sorso di vino, si strozzò. «Accidenti, Milla! Ma come, più di quarant'anni?» sussurrò a tutta velocità. «Te lo ricordi che tu ne hai solo ventidue? Potrebbe essere tuo padre!»
   Sua cugina si strinse nelle spalle. «Credi che non ci abbiamo pensato?» replicò. «Sappiamo dal primo giorno che potrebbe essere un problema, fidati, lo sappiamo. Non che sia l'unico» aggiunse con una smorfia. «In realtà non pensavamo neanche che ci sarebbe stato chissà cosa: ci siamo frequentati in quei pochi giorni che ho passato a Palermo, e pensavo davvero che una volta partita la cosa sarebbe finita lì...»
   «Ma?» la incalzò Teresa.
   «Ma abbiamo continuato a sentirci anche quando ho preso servizio a Milano» rispose piano Camilla. «Senza quasi rendermene conto le sue chiamate, e i messaggi, sono diventati una costante nelle mie giornate – una bella costante; e poi è stato quasi... naturale, organizzarci per prendere i giorni di licenza insieme, così abbiamo iniziato a vederci una volta a Milano e una volta a Palermo, e anche se è complicato, e faticoso, perché del pochissimo tempo insieme che riusciamo a ritagliarci una buona parte lo spendiamo in viaggio, tutto quello che riesco a pensare è che per lui ne vale la pena».
   Teresa la fissò con gli occhi sgranati per alcuni lunghi momenti.
   «Milla, ti sei innamorata!» bisbigliò incredula.
   L'altra la guardò, torcendosi le dita. «Sarebbe così grave?» chiese, incerta.
   «No, certo che no!». Teresa le prese la mano e la strinse. «È una cosa bella, Camilla» disse in tono incoraggiante. «Certo però, tu a Milano e lui a Palermo... dire che è complicato è poco! Non c'è un modo per farvi stare più vicini? Che lavoro fa? Magari lui può chiedere il trasferimento».
   Camilla sorrise debolmente. «Potrebbe, ma non credo che lo farà né io glielo voglio chiedere». Prese un respiro profondo. «È un poliziotto: è  nella DIA, distaccato al centro operativo di Palermo».
   Teresa si schiaffò una mano sulla fronte. «Frequenti un poliziotto quarantenne, dell'antimafia, distaccato a Palermo? Eh ma cazzo, Milla, te lo sei andato a cercare con la lente d'ingrandimento!»
   Suo malgrado, Camilla ridacchiò. «Lo so: neanche se l'avessi cercato davvero sarei riuscita a trovare un uomo con cui sia più difficile stare. Però te l'ho detto...» sorrise di nuovo, in un modo tanto genuino che Teresa, a vederla, si sentì ammorbidire. «Per Renato ne vale la pena».
   Sua cugina puntò i gomiti sul tavolo e appoggiò il mento ai palmi delle mani. «Deve essere speciale, per farti pensare questo» commentò.
   Camilla rise e nascose le mani nelle maniche del maglione. «Sì, lo è, anche se io preferisco dire che è matto. È uno di quegli uomini che sembrano tutti d'un pezzo... sai, quelli sempre calmi, controllati, a cui non riesci a far perdere la pazienza neanche se ti ci metti d'impegno, ma che quando poi si arrabbiano, esplodono come una bomba?». Teresa annuì. «Be', Renato è così. Lo vedi serio serio, che ti fissa con quegli occhi castani come se tu fossi sotto esame e poi butta lì una battutaccia tagliente, e sul momento non sai mai se ti sta prendendo in giro oppure no. E puntualmente la prima opzione è quella giusta, solo che lo capisci soltanto nel momento in cui scoppia a ridere; e ride molto più di quanto potrebbe pensare chi non lo conosce bene».
   «Non mi hai ancora detto chi ha attaccato bottone, quella sera» le fece notare Teresa.
   «Oh, è stato lui» rispose l'altra. «Gli ho dato una gomitata dritto sul fianco per prendere il suo posto davanti al bancone, e quando mi sono girata a guardarlo, l'ho trovato che mi fissava tutto contrariato, con le braccia incrociate sul petto» ricordò. «È rimasto a guardarmi così tipo per... non lo so, forse dieci secondi, e poi mi ha detto: “Dovrei arrestarti per aggressione a pubblico ufficiale!”. Non puoi capire, mi è preso un colpo, non sapevo che dire, e quando ho iniziato a boccheggiare, il disgraziato ha aggiunto: “Però, se mi offri una birra, mi lascio corrompere!”».
   Teresa scoppiò a ridere; rise tanto da avere le lacrime agli occhi, incurante dei pestoni con cui la stava bersagliando sua cugina.
   «E poi ti ha chiesto di uscire» disse Teresa quando ebbe ripreso fiato.
   «Macché: prima si è fatto offrire quella birra!» replicò Camilla, e stavolta risero entrambe.
   «È stato carino» commentò la più grande un paio di minuti dopo.
   Camilla annuì. «Sì, è vero. Alla fine quella sera siamo rimasti al bancone per un'ora, a chiacchierare, e ho riso talmente tanto che mi facevano male gli addominali!». Sorrise tra sé. «La sera seguente siamo stati in giro per il centro, e anche se suona stupido o scontato, quella sera lì ho scoperto quanto sia dolce, sotto quell'apparenza un po' di ghiaccio che ha».
   «Stai descrivendo l'uomo perfetto, Milla» disse Teresa.
   «Renato perfetto?». Camilla si lasciò sfuggire una strana risata, simile a un grugnito. «Guarda, Resa, Renato è pieno di difetti: a parte che credo sia sempre stato un po' un lupo solitario, perché qualche volta ancora lo vedo quanto faccia fatica a condividere i suoi spazi, ha tutta una serie di manie inimmaginabili. Non può vedere più di uno sportello o un cassetto aperto alla volta ed è ordinato in maniera maniacale – roba che se trova una sedia fuori posto di due centimetri, corre a sistemarla come dice lui; spesso è capace di stare in silenzio anche per due ore di fila, e i primi tempi, per sapere cosa pensasse, gli ho dovuto cavare le parole di bocca praticamente con le pinze; e guai se gli parli appena sveglio, in quel caso può avercela con te tutta la giornata... insomma, non te li posso elencare tutti, ma hai capito cosa voglio dire».
   «Ho capito, ho capito» disse l'altra mentre un sorriso sornione si allargava sul suo volto. «Ho capito che anche con tutti i suoi difetti, sei pazza di lui».
   Camilla le fece la linguaccia. «Molto spiritosa».
   «Sì, lo so, sono divertente da morire» la liquidò Teresa. Il cellulare di Camilla vibrò discreto sul tavolo e negli occhi dell'altra si accese una scintilla di curiosità. «È lui?»
   Camilla sbloccò il cellulare e aprì WhatsApp. «Sì, è lui». Scosse la testa. «Alle undici della sera di Natale non ha niente di meglio da fare che mandarmi un video...»
   «Smettila di brontolare e apri quel video» la spronò Teresa.
   Sua cugina obbedì: cliccò sul link, ed entrambe brontolarono contro l'annuncio pubblicitario di Youtube.
   «Che cos'è? Sembra il pezzo di un film» bisbigliò Teresa.
   «Zitta, fammi sentire» la rimbrottò Camilla, alzando il volume.
   «Ti amo quando hai freddo e fuori ci sono trenta gradi» disse Billy Crystal nel video. «Amo la ruga che ti viene qui quando mi guardi come se fossi pazzo. Mi piace che dopo una giornata passata con te, sento ancora il tuo profumo sui miei golf, e sono felice che tu sia l'ultima persona con cui chiacchiero prima di addormentarmi la sera. E non è perché mi sento solo, e non è perché è la notte di Capodanno. Sono venuto stasera perché quando ti accorgi che vuoi passare il resto della vita con qualcuno, vuoi che il resto della vita cominci il più presto possibile».
   Il video finì e Teresa diede una spintarella a Camilla, immobile accanto a lei con un sorriso ebete stampato in faccia.
   «Teeenero» ridacchiò. Vide il sorriso sparire dal viso di sua cugina, gli occhi sgranati fissi sullo schermo del cellulare. «Che c'è?»
   «Mi ha mandato un altro messaggio, mentre guardavamo il video» rispose Camilla.
   «E allora? Che ti ha scritto di tanto strano per farti fare questa faccia?»
   Camilla si schiarì la voce. «“Avevi ragione: la neve non è poi così male”» lesse.
   Teresa la scrutò perplessa per alcuni istanti; poi sgranò gli occhi in una perfetta imitazione di Camilla.
   «No!» bisbigliò. «Credi che sia...?»
   Le due ragazze scattarono in piedi e corsero alla finestra: proprio lì fuori, ferma in mezzo alla strada, c'era un'alta figura avvolta in un cappotto pesante, il volto nascosto dal cappello e dalla sciarpa.
   «Muoviti, vai». Teresa spronò Camilla sottovoce; la spinse verso la porta della sala da pranzo, e l'altra si scaraventò in corridoio.
   «Milla? Dove vai?» chiamò Gianni.
   «Niente, zio, torna subito» lo distrasse Teresa, andando a sedere accanto a lui. «Perché non ti fai battere a briscola?»
   Gianni s'impettì. «Non t'illudere, Resa: non mi batterai mai».
   «Vediamo» lo sfidò lei.
   Camilla si affacciò e le scoccò uno sguardo grato, poi scattò verso l'attaccapanni, s'infilò rapida la giacca da neve e aprì la porta d'ingresso, stando attenta a non fare rumore: se l'accostò alle spalle e corse verso l'uomo ancora immobile, mentre i primi fiocchi di neve ricominciavano a cadere.
   «Renato?» disse piano, incerta.
   Lui abbassò la sciarpa con cui si era coperto naso e bocca e le sorrise.
   «Ciao, Milla» salutò allegro.
   Camilla lo fissò senza neanche battere le palpebre, quasi temesse che l'uomo potesse sparire da un momento all'altro.
   «Che – che ci fai qui?» farfugliò la ragazza.
   Renato alzò una mano inguantata e fece dondolare una busta colorata, di carta rigida, che Camilla non aveva notato. «Sono venuto a portarti il tuo regalo di Natale».
   «Sei venuto fin qui da Palermo solo per portarmi un regalo?» ripeté Camilla, per nulla convinta.
   Lui si strinse nelle spalle. «Perché no?»
   «Perché è folle?» ribatté sarcastica Camilla.
   Renato le tese il regalo. «Aprilo».
   Lei prese la busta e l'aprì. Ne scrutò il contenuto per un lungo istante, poi tirò fuori con estrema cautela un mug: era celeste, con impresso il logo della Polizia di Stato ormai un po' sbiadito.
   «Renato» esordì lentamente Camilla, «perché ho in mano la tua tazza?».
   «Perché l'avevo messa nella busta?» replicò divertito l'uomo.
   Camilla gli lanciò un'occhiataccia. «Bene: riformulo» disse secca. «Renato, perché ho in mano la tua tazza, quella a cui non fai avvicinare nessuno?»
   «Perché ho deciso di darla a te?» insisté Renato.
   La ragazza chiuse gli occhi; prese un respiro profondo mentre la neve continuava a cadere, lieve e silenziosa, ricoprendo il selciato e le loro teste. «Guarda che me lo ricordo come hai reagito l'unica volta che l'ho toccata – a casa tua, dopo la colazione. Mi ricordo che sei diventato pallido come un morto in qualcosa come un secondo netto, neanche avessi toccato una reliquia sacra, quindi scusa se non capisco come mai all'improvviso l'hai infilata in una busta e me l'hai portata». Il suo sguardo si addolcì. «Non lo dico per criticarti: capisco che ci tieni tanto perché te l'ha regalata tua madre quando sei diventato un poliziotto e che per parecchio tempo lei è stata l'unica a sostenerti in questa scelta, me l'hai spiegato... ma questo cambiamento proprio non lo capisco» aggiunse in tono di scuse.
   Renato fece un passo verso Camilla e si fermò vicinissimo a lei.
   «Io, Renato Baldelli, dichiaro qui e ora – con il naso e i piedi gelati – che da stasera la mia amatissima tazza della colazione è affidata a te: voglio impallidire ogni giorno della mia vita al pensiero che possa scivolarti dalle mani e rompersi, per poi ricredermi ogni volta. E la stessa cosa faccio con il mio cuore» disse solenne. Le sfilò l'oggetto dalle mani e lo ripose nella busta, poi le spazzò via con delicatezza la neve dai capelli. Sorrise di fronte all'espressione folgorata di Camilla. «Lo so che è folle, che è difficile, che è presto – ma ho capito una cosa: io la mia vita voglio passarla con te. E dato che non potevo presentarmi qui con un anello e una proposta di matrimonio – perché sono sicuro che mi avresti detto di no, visto che ci conosciamo solo da qualche mese – ho portato la tazza. Non per lasciartela, ma perché tu possa portarla a casa – la nostra casa».
   Camilla si coprì la bocca con una mano tremante, gli occhi pieni di lacrime; poi colmò il poco spazio che la separava dall'uomo e lo abbracciò con tutta la forza che aveva, piangendo silenziosamente con il volto nascosto contro il suo petto.
   «Tu sei matto» mugugnò nel piumino di Renato. Le lacrime sulle sue guance si asciugarono a contatto con l'aria fredda mentre la prima risata le sfuggiva dalle labbra. «Sei completamente matto!»
   «Sì, da quando ci siamo conosciuti me l'hai fatto notare giusto due o trecento volte» rispose lui con un sorriso, strofinandole le mani sulla schiena. Quasi subito, però, tornò serio. «Lo so che ti sto chiedendo molto, Camilla, ma... posso considerare questa tua reazione come un sì? Saresti disposta a farti trasferire a Palermo e venire a vivere con me? Voglio dire» aggiunse in fretta, «so che potrei trasferirmi io a Milano ma...».
   «... non vuoi farlo» concluse Camilla per lui, staccandosi per guardarlo in volto. «Va bene, ha senso: tu sei lì da più di dieci anni, ci hai costruito la maggior parte della tua carriera, hai anche comprato una casa... per me non fa differenza, davvero: sono a Milano da troppo poco tempo per sentirmi legata a quel posto, e tra qualche mese o magari un anno mi trasferirebbero di nuovo, quindi alla fine me ne sarei andata comunque». Lo guardò, un po' preoccupata. «Pensi che ci sia qualche possibilità che mi trasferiscano proprio a Palermo?»
   «In un modo o nell'altro ci riusciremo. Posso provare a parlare con i miei superiori... spiegare loro la situazione e chiedere di darci una mano» rispose Renato. «Se tu lo vuoi».
   Camilla annuì. «Certo. Certo che voglio».
   Renato sorrise di nuovo e si chinò a baciarla: Camilla gli afferrò il volto con le mani gelide e lo attirò verso di sé, impaziente di sentire la sua bocca sulla propria. I due rimasero allacciati l'uno all'altra a lungo, incuranti della neve che cadeva sempre più fitta; solo quando la campana della chiesa suonò la mezzanotte sciolsero quell'abbraccio.
   La voce di Camilla ruppe il silenzio.
   «A questo punto, credo proprio che dovrò dire a mio padre di te». Ridacchiò. «Gli verrà un colpo!»
   «Come sei drammatica» replicò placido Renato. «Io penso che si limiterà a odiarmi».
   «Quello è garantito» scherzò lei. Offrì la mano all'uomo. «Ripensamenti?»
   Renato afferrò la mano tesa. «Neanche uno».
   Insieme, Camilla e Renato raggiunsero il portone di casa Vetri e varcarono la soglia, le dita intrecciate in una stretta quasi indissolubile.

   
 
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