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Autore: Mondschein    14/11/2017    0 recensioni
Ereri//AU => Seconda guerra mondiale. One-shot
Pubblicata anche su Wattpad
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Arrivarono finalmente all'ingresso del campo principale sormontato dall'insegna che recitava testuali parole "Arbeit macht frei". Che assurdità, pensò il ragazzo con occhi pieni d'odio verso quella scritta. Il lavoro forzato poteva mai essere libertà?
Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Freiheit



Dicembre, 1944

Un ragazzo di appena ventisette anni, stava seduto in modo composto sul sedile di prima classe del treno, il quale, da lì a poche ore, sarebbe arrivato alla stazione nei pressi di Auschwitz dove era ormai noto il più famoso dei campi di concentramento. Guardava distrattamente il paesaggio che si muoveva veloce dal finestrino e anche se esternamente poteva sembrare tranquillo, in realtà, aveva una vera e propria angoscia che riusciva a celare. Mancava pochissimo e finalmente avrebbe potuto rivedere Levi. Era ormai passato un anno da quando glielo avevano portato via; non solo accusato per essere un ebreo ma anche a causa del suo orientamento sessuale che in quel decennio, era stata la scusa del Partito nazista guidato da Hitler trovando incompatibile l'omossessualità con i propri ideali. Eren era tedesco, nato da una famiglia tedesca, cresciuto con una mentalità tedesca e sposato da cinque anni con Mikasa anch'essa tedesca. Eppure perché lui era diverso? Perché non ha mai trovato nelle ragazze quel sentimento così naturale che chiamavano amore? Dovette sposare Mikasa: la sua famiglia con quella di Eren erano amici da tanto e un matrimonio tra i due era già stabilito da molto. Eren non l'aveva mai accettato. Provava affetto per la sua nuova compagna però non si sentiva veramente felice e da quando nel 1933 gli omosessuali furono ritenuti una "malattia nazionale" costituendo una minaccia per la gioventù ariana, allora, dovette nascondersi e cancellare il suo vero essere per colpa di quella gente appartenente alla sua stessa patria. Tuttavia, un giorno, durante la guerra, dovette muovere il suo battaglione per recuperare più ebrei possibili da arrestare e portare ai campi. Anche il lavoro da Tenente non gli si addiceva, odiava fare quel lavoro ma suo padre aveva già programmato tutto della sua vita, anche di entrare a far parte dell'esercito militare. Questo però, nessuno poteva prevederlo. Arrivarono in una città di cui il nome non è importante, che contava circa una ventina di famiglie ebree, l'ordine era semplice: prenderli con la forza e se si ribellavano contro il loro volere potevano sparagli seduta stante. Fu quello che successe in una modesta libreria di proprietà di due coniugi. Eren stava controllando i nomi delle persone appena prese quando sentì riecheggiare uno sparo sordo. Corse subito in quella direzione, scorgendo l'entrata del negozio e fuori c'erano appostati due dei suoi uomini e tre corpi a terra. Quando si avvicinò vide con stupore una bambina dai capelli corvini con un foro di un proiettile in testa e una donna dai capelli rossi ambrati con il petto pieno di sangue. Inginocchiato a terra a vegliare sui due cadaveri, c'era un uomo dai capelli neri come la bimba, scosso da numerevoli singhiozzi. Osservò la scena pochi secondi prima di parlare con voce autorevole «Cosa diavolo è appena successo?» spostò lo sguardo su ognuno dei suoi subordinati ricevendo delle risposte poco chiare e coese. Da quello che aveva potuto comprendere era che la donna stava cercando di resistere e non voleva che la bambina dovesse affrontare il viaggio con loro. L'uomo invece non aveva opposto resistenza e stava cercando in tutti i modi di convincere sua moglie a obbedire.
«Non potevate semplicemente amanettarla? Ha una corporatura minuta addirittura.» borbottò l'ultima frase per poi posare di nuovo gli occhi sulla schiena di quell'uomo ancora a terra. Ordinò ai suoi uomini di andare a controllare gli altri detenuti e si ritrovò da solo col corvino «Alzati, svelto.» disse con voce ferma. Si sorprese vederlo alzarsi subito, si girò verso di lui con lo sguardo rivolto a terra «Il tuo nome?» chiese con un foglio in mano.
«Levi Ackerman» rispose con voce roca. Controllò l'inizio della lista e lo trovò subito «Il nome di battesimo di tua moglie» il corvino strinse i pugni e serrò la mascella, altre lacrime minacciavano di sfuggirgli «Petra, Petra Ral» il Tenente cancellò il nome della donna e poi trovò il presunto nome della figlia «Miriam Acker...»
«Sì!» il corvino alzò lo sguardo e per la prima volta i suoi occhi grigi incontrarono quelli verdi di Eren e quest'ultimo ebbe un fremito in ogni parte del suo corpo. Rimase ammaliato dalla bellezza del suo viso anche se era contratto dalla rabbia e dal dolore per la perdita della sua famiglia. Da quel momento, Eren si sentì pervaso da un enorme senso di colpa verso quell'uomo e volle sdebitarsi con lui immediatamente. Decise quindi di portarlo alla sua villa e farlo lavorare per lui invece che mandarlo nei campi.

Il fischio del treno lo ridestò da quegli innumerevoli pensieri facendogli capire che erano arrivati. Prese il suo borsone e si mise il capotto e quando il treno si fermò definitivamente, scese insieme ad altri suoi colleghi della SS, mandati lì per vigilare i campi durante l'esecuzione di evacuazione. Era la prima volta che andava ad Auschwitz e quel posto se lo immagginò esattamente così: triste, desolato e freddo. Chiunque l'avrebbe pensata come lui che fosse deportato o no, non importava, in quel luogo c'era aria di dolore e morte, ed era opprimente. L'arrivo della neve non aiutava, il gelo era arrivato in anticipo e questo causava danni anche alla vita dei detenuti tenuti come bestie. Sperò vivamente che la salute di Levi fosse ben ferrea anche dopo un anno che ebbe vissuto in quel posto.
Arrivarono finalmente all'ingresso del campo principale sormontato dall'insegna che recitava testuali parole "Arbeit macht frei". Che assurdità, pensò il ragazzo guardando con occhi pieni d'odio quella scritta. Il lavoro forzato poteva mai essere libertà? Il filo spinato che circondava l'enorme complesso poteva mai considerarsi libertà? Ovvio che no, era solo un modo beffardo per dire che lì, la libertà, potevi sognartela. Levi glielo diceva spesso quando era sotto il servizio del Tenente e della signora Jaeger, che per lui la libertà non esisteva più. Che fosse rimasto con sua moglie e sua figlia o no, avrebbero vissuto come gente malvista dagli ariani.  Anche nella villa di Eren si sentiva un uccello in gabbia ma ormai si era rassegnato a quella vita e aveva deciso comunque di sottostare al ragazzo più giovane di forse cinque o sei anni che stranamente gli aveva dato una seconda possibilità di vivere e, se mai la guerra fosse finita, gliene sarebbe stato grato sempre. Ad Eren quell'uomo gli faceva pena, ma non fu solo quello il motivo per il quale aveva deciso di portarselo a casa. In qualche modo, si era infatuato di quella persona che aveva perso ogni cosa. E per un momento pensò che sarebbe stato felice di essere lui stesso a colmare quel vuoto che si portava dentro.
Il primo mese passò, ma Eren non era riuscito a rapportarsi molto con il suo nuovo maggiordomo. Egli si comportava freddamente e meccanicamente, si vedeva lontano un miglio che disprezzasse stare in quella casa di nazisti. Come dargli torto? Anche Eren odiava fingere di essere un nazista. Sua moglie, Mikasa, aveva preso in antipatia "quell'ebreo" e ogni scusa era buona per farlo sgobbare. Aveva notato che puliva veramente bene e che dava attenzione a ogni minimo angolo della casa anche se da solo. Ogni notte pensava al corvino, voleva sapere a cosa pensasse, a cosa gli potesse piacere e cosa pensasse di lui. Una sera l'aveva scoperto piangere nella sua camera da letto. Per sicurezza lo tenevano chiuso a chiave per evitare una qualche pazzia mentre loro dormivano. Si era portato la chiave dietro e quasi con gelosia se la teneva al collo. Aprì la serratura senza preavviso e Levi sussultò dal letto guardando la porta aprirsi, si asciugò velocemente gli occhi ed Eren notò che nascose qualcosa sotto il cuscino. Subito gli chiese di cosa si trattasse.
«Nulla.» rispose senza guardarlo.
«Non posso sapere se è qualcosa che mi appartiene o un coltello. Dimmi cos'è.» non dubitava del corvino ma non si sa mai. Eren si avvicinò con calma e lo incitò a mostrargli cos'aveva di così importante da nascondere. Levi cedette, e prese da sotto il cuscino una fotografia. Eren la prese ma il corvino non mollò la presa «Per favore non me la buttare, è il solo ricordo che ho di loro.» supplicò con voce tremante. Il ragazzo sorrise e scosse il capo «Vorrei solo vederla, posso?» chiese gentilmente stupendo l'uomo. Gli lasciò osservare la foto di sua moglie e della bambina che teneva in braccio. L'espressione di Eren mutò addolorata «Mi dispiace così tanto» era da tanto che voleva dirglielo, era da quando aveva visto i corpi a terra che voleva scusarsi con lui. Levi teneva gli occhi leggermente spalancati e una lacrima gli rigò il viso. Ridiede la fotografia al corvino e lasciò la sua stanza augurandogli la buona notte. Da quella volta, i due si avvicinarono sempre di più. Però c'era sempre una certa difficoltà nel loro rapporto e la causa erano i sentimenti di Eren. Non solo gli piaceva fisicamente, ma il carattere era davvero particolare tanto da attrarlo. Lo paragonò a sua moglie che diversamente da lei, non lo trattava come un bambino. Lei era sfiancante e insopportabile, troppo appiccicosa per i suoi gusti. E odiava i suoi atteggiamenti nei confronti di Levi. La giovane donna si divertiva a insultare lui e la sua gente e che meritavano quelle morte atroci. Sia il corvino che il marito cercavano di trattenere la loro rabbia ed Eren rispondeva con un docile «Stai zitta, non mi sembra il caso» Levi era sorpreso di trovarselo dalla sua parte, era un tedesco a tutti gli effetti eppure capì che la sua era una maschera che teneva da molti anni e mentiva agli ideali nazisti. Si sentì fortunato che lo avesse accolto in casa sua.
Trascorsero altri due mesi e quei due diventarono molto più confidenziali, uno perchè era grato della vita che gli aveva donato il ragazzo e l'altro perchè si stava pian piano innamorando di quell'uomo, a modo suo, gentile e premuroso.
Era il sei di dicembre ed Eren si accorse della poca loquacità del corvino. Non che parlasse molto, ma almeno dialogavano quando erano soli. Invece, quel giorno era maledettamente triste e non sopportava vederlo così. Per cui gli ordinò di preparargli la vasca con acqua calda e sali per rilassarsi. Quando Eren entrò in bagno, Levi se ne stava per andare. Lo prese per il braccio «Posso chiederti un'ultima cosa?» il moro annuì «Fai il bagno con me» gli occhi grigi di Levi si spalancarono per la sorpresa. Inutile dire che gli fece tenerezza quella faccia quasi implorevole, che a parer suo, gli sembrava quello di un ragazzino. Con titubanza seguì il castano nella vasca, ognuno di loro cercò di non guardare l'intimità dell'altro. La schiuma per fortuna le nascondeva bene. Eren appoggiò la schiena a una estremità mentre Levi si appoggiò sull'altro lato portandosi le ginocchia al petto. Le gambe di Eren lo circondavano.
«Ti dispiace se fumo?» chiese Eren prendendo dalla tasca del pantalone, poggiato sulla sedia lì vicino, una sigaretta e un accendino. Il corvino scosse la testa ed il ragazzo se l'accese. Osservò Eren poggiare le braccia sui bordi della vasca mentre inalava il fumo e pensò che fosse davvero un bell'uomo. Attraente non c'è che dire ma si maledisse per averlo solo pensato. Soprattutto quel giorno.
«Cos'hai?» chiese Eren vedendolo cadere di nuovo nello sconforto. Ci impiegò diversi secondi a rispondere.
«Oggi doveva essere il compleanno di mia moglie» rispose a bassa voce.
«Oh, quanti anni?»
«Trenta»
«Così giovane... » sussurrò Eren rammaricato «E tu quando fai gli anni?» chiese curioso.
«Il venticinque di questo mese» rispose. Guardò gli occhi verdi di Eren che erano trepidi di un'eccessiva curiosità. Immaginò che volesse chiedergli anche gli anni «Ne compirò trentatré» rispose alla domanda non esplicitata del ragazzo. Non si sarebbe aspettato che avrebbe compiuto gli anni proprio a natale. Poco a poco scopriva molte più cose riguardo al corvino e il bisogno di averlo vicino stava incrementando. Trovò una scusa banale e dando le spalle a Levi gli chiese se gentilemente gli potesse lavare la schiena. Obbedì con una certa esitazione ma lo accontentò. Sentì scorrergli lungo la spina dorsale numerosi brividi. Il suo tocco era delicato e preciso, lo faceva impazzire e rilassare allo stesso tempo. Neanche Mikasa sapeva toccare in quel modo e le farfalle nello stomaco si fecero subito sentire. Mai aveva immaginato di sentirsi così bene insieme a lui.
«Mi piaci Levi» le mani del corvino si fermarono di colpo non aspettandosi una frase del genere detta da Eren. Quest'ultimo, resosi subito conto dell'idiozia appena esplicitata, si girò per guardare negli occhi il corvino, il quale però, aveva lo sguardo rivolto verso il basso. Quasi senza controllo, allungò la mano con l'intenzione di alzare il viso all'uomo ma egli agì d'impulso e con un colpo secco della mano, cacciò lontano quella di Eren. L'uomo si strinse di più a sé, forse perché ebbe paura di una reazione negativa da parte del Tenente.
«Scusa» disse solamente il ragazzo uscendo dalla vasca per mettersi poi un accappatoio. Uscì dal bagno dispiaciuto lasciando da solo Levi che senza preavviso, scoppiò a piangere.

 

* * *

Levi odiava lo sporco e i campi di concentramento erano sinonimo di sporcizia e malattie. Non che gli potesse importare delle sue condizioni ma il degrado di quel luogo gli faceva pensare alla bella vita che aveva trascorso durante i suoi veri anni pieni di libertà, quando era poco più di un adolescente. Ma anche l'anno trascorso nella villa di Eren gli mancava. Lì, oltre ad occuparsi di faccende di casa, aveva del buon cibo e un buon letto caldo. Poteva considerarla bella vita? Sì, se c'era Eren con lui. Infondo loro due erano simili, desideravano che la guerra finisse o che scappassero lontani dall'europa. Odiavano sottostare a quella vita finta e infelice.
A Levi piaceva leggere ed Eren gli prestò quasi tutti i libri che aveva in casa. Era affezionato a quel ragazzo. Anche dopo la dichiarazione di Eren, diversamente da come la pensavano, i due si avvicinarono molto di più scoprendo i gusti e i piaceri dell'altro. Piaceva leggere a entrambi, adoravano i gatti, gli piacevano il pulito e l'ordine, solo per una cosa non andavano d'accordo. A Levi i dolci non piacevano.
– Ma come fai? - chiedeva ogni volta con fare puerile il più giovane. Levi sorrideva ogni volta a quegli atteggiamenti. Con il corvino riusciva a non fingere e comportarsi come era veramente. A lavoro doveva essere serio e obbediente, con lui, invece, poteva atteggiarsi come un ragazzino. Sapeva che gli faceva piacere.
Si consolavano quando uno dei due era triste o turbato per qualcosa. Eren lo era soprattutto per quello che continuavano a fare agli ebrei. Purtroppo Levi era costretto a portare sulla giacca la stella di David, un marchio che lo identificava per quello che era. Ma chi era veramente? Non era semplicemente un uomo? Si rassegnò non riuscendo a capire la mente malata di quel dittattore e dei suoi seguaci.
All'inizio non osavano neanche toccarsi o sfiorarsi. Dopo altro tempo di lunghe attese, si ritrovarono addirittura ad avvigghiarsi nel letto del corvino quando Mikasa usciva di sera per andare dalle sue amiche. Succedeva almeno una o due volte a settimana e i due uomini coglievano subito l'occasione per restare più tempo possibile insieme. Eren amava le coccole del corvino, adorava stringerlo a sé come se fosse qualcosa di veramente prezioso. Una di quelle notti, il corvino fece una domanda inaspettata «Ti piaccio ancora?» gli occhi verdi di Eren scrutarono il viso inespressivo di Levi che, anche in quell'occasione, rimase del tutto impassibile. Lui, invece, avvampò «Sì» rispose «Perché?»
«Non sono mai stato attratto dai maschi ma, chissà, forse tu sei speciale» disse senza scomporsi. Eren si sentì al settimo cielo e con entusiasmo lo aveva baciato sulla guancia. Da quel momento, la presenza della moglie gli parve un vero peso. Per Levi, ma anche per Eren, non gli sembrava giusto nei confronti della donna un possibile tradimento da parte del giovane. Tradire il coniuge è il peggiore dei peccati ma ad Eren non gli interessava. Era stato costretto a sposarla e per fortuna che non avevano avuto figli se no sarebbero stati solo una palla al piede. Ovviamente quest'ultima cosa non la diceva al corvino per evitare di ferirlo. In ogni caso, la donna si faceva odiare da entrambi. Era egoista e menefreghista del bene altrui. Gli interessavano i soldi e lo shopping, in quel periodo poi, che irragionevolezza! La trovò più odiosa in quel periodo, anche se le voleva bene. Promise al corvino che quando le persecuzioni e la guerra sarebbero finite, lui avrebbe divorziato con Mikasa. Non solo per il suo bene ma anche per quello della ragazza che non amava davvero.
Levi non fece nulla per fargli cambiare idea, anche perché il ragazzo ne era fortemente convinto. Per il momento, si accontentavano delle serate passate insieme stretti in un forte abbraccio. Un'altra cosa che ad Eren piaceva fare era osservare il corvino mentre dormiva, il suo viso rilassato e le sue braccia sui suoi fianchi lo facevano stare bene, e fu in quel momento che avvicinò il viso a quello niveo del corvino. Sfiorò le labbra dell'altro e poi si decise a lasciargli un bacio a stampo. Che fu ricambiato. Eren si allontanò d'improvviso ma Levi poggiò la sua mano dietro la nuca del castano, avvicinandolo «Fallo ancora» chiese. Eren si sentì più accaldato e deglutendo si riavvicinò a quelle labbra. Il bacio si intensificò diventando più bisognoso, come se ne fossero stati in astinenza da troppo tempo. Si staccarono ansimanti e guradarono l'uno gli occhi dell'altro. Eren scoppiò inaspettatamente a ridere di gioia e Levi ringraziò Dio per aver donato al ragazzo quella bellissima risata.
Ma le cose belle sono sempre quelle che finiscono prima, e purtroppo una sera Mikasa scoprì il loro segreto. O per meglio dire, aveva creduto che Levi stesse abusando di Eren. Per quel motivo chiamò i soldati. Fu il giorno più brutto della sua vita, Eren non poteva credere che si erano fatti scoprire così stupidamente da sua moglie. La cosa che gli fece più male però, era che il corvino si prese tutta la colpa. Era lui che ci stava provando con il Tenente e quest'ultimo non potè ribattere perché Levi gli aveva lanciato uno sguardo pieno di rimprovero.
Si era fatto portare via. Era stato etichettato non solo come ebreo ma anche come omossessuale. Così, oltre alla stella di David gli cucirono sopra un triangolo rosa rovesciato. Fecero credere ad Eren che avrebbe avuto una brutta punizione, invece, fu deportato ad Auschwitz come tanti altri, senza riservagli un trattamento speciale. Adesso non aveva veramente più nulla, era solo, costretto a lavorare e morire di fame e di freddo. L'unica cosa che lo teneva in vita era il ricordo di sua moglie, di sua figlia e la speranza di poter rivedere i suoi occhi verdi.

 

* * *
 

Sapeva di essere vicino. Sapeva perfettamente che Levi era in mezzo a tutti quei prigionieri. Ma aveva paura di non trovarlo, di sfuggirgli. O nel peggiore dei casi che lui lo vedesse ma che, sopraffatto dal rancore e dall'odio, non osava avvicinarsi. Eren pregò di rivederlo prima di arrivare ai lager da raggiungere. I nemici avanzavano e molti prigionieri non riuscivano a tenere il passo, molti di questi venivano brutalemente uccisi con un colpo di canna dalle SS. Il ragazzo continuò a cercare e a cercare ma nessuna traccia del corvino. E se non ce l'avesse fatta? Se fosse già morto da tanto? Scosse la testa. No, non doveva perdersi d'animo e continuò quella sua ricerca silenziosa. Sapeva di essere vicino. Lo sapeva. Nel frattempo, non poteva immaginare che due occhi grigi lo osservavano da lontano. Era da un po' che l'aveva notato e potè giurare che stesse cercando proprio lui. Ma non riusciva a corrergli in contro, non voleva farsi vedere in quello stato. Sinceramente non aveva idea di come fosse il suo aspetto esteriore. Sapeva solo che era tremendamente sporco, maleodorante e dimagrito. Subito dopo essere entrato nel campo dovettero rasargli i capelli, una pratica che dedicavano a tutti i detenuti. In un anno gli erano ricresciuti in modo scomposto e facevano letteralmente schifo. Ebbe il dubbio che anche se gli si fosse avvicinato, non lo avrebbe riconosciuto. Ma le sue gambe si mossero verso quel soldato che era palesemente alla ricerca di qualcuno e quel qualcuno era lui.
«Eren!» la voce gli uscì quasi soffocata, gutturale. Da quanto non parlava? Ma il ragazzo udì lo stesso e si girò di scatto riconoscendo immediatamente l'uomo. Spalancò occhi e bocca vedendo lo stato in cui era ridotto Levi. Camminava zoppicando, i suoi capelli erano disordinati ed era un lerciume, come tutte le altre persone che erano imprigionate al campo di concentramento.
Se ne sbatté altamente, si avvicinò e Levi si lanciò tra le sue braccia facendosi sorreggere dal più alto. Eren non aveva mai ucciso un uomo in vita sua ma se ne avesse avuto la possibilità, se avesse avuto un arma che potesse uccidere tutte quelle merde che si credevano la "razza superiore", allora sarebbe stato felice di scagliargliela contro. Tremava di freddo, la sola giacca che aveva addosso non lo aiutava a scaldarsi, per cui, tirò fuori dal borsone che si era portato dietro un cappotto invernale e lo fece indossare al corvino.

Un mese dopo, il ventisette gennaio, si aprirono i cancelli di Auschwitz, e tutti gli ebrei e i detenuti, furono liberati. Le truppe sovietiche della Prima Armata del Fronte Ucraino, entrarono nel campo di sterminio: trovarono 7.000 prigionieri ancora in vita. Erano quelli abbandonati dai nazisti perchè considerati malati. Tra questi c'era Eren che teneva tra le sue forti braccia il corpo martoriato di Levi. Piangeva disperato e chiamava aiuto, il corvino si era preso una brutta polmonite e ormai il suo corpo lo stava lentamente abbandonando.
«Non puoi Levi! Non puoi lasciarmi!» lo baciò, illudendosi di poterlo svegliare come la prima volta che lo aveva fatto. Il suo viso pallido, la bocca schiusa e le profonde occhiaie per colpa delle lunghe notti insonni, erano più marcate.
«Ci eravamo promessi che un giorno saremmo stati liberi, e guarda! I nazisti sono scappati con la coda tra le gambe. Non puoi lasciarmi adesso. Non ora che abbiamo trovato la vera libertà» le parole vennero soffocate da numerosi singhiozzi.
«Ti amo davvero» tirò su col naso.
«Anch'io Eren» la voce bassa e debole del corvino riuscì a formulare quelle ultime parole. Inalò l'ultimo e faticoso respiro sotto gli occhi spalancati e pieni di lacrime del castano.
Urlò talmente forte che quasi non perse la voce, urlò finché non sentì i suoi polmoni bruciare, urlò perché non voleva credere che la persona che aveva amato lo avesse davvero abbandonato.

 

   
 
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