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Autore: Moglyo    16/11/2017    1 recensioni
Una favola della buonanotte, un racconto di fantasia... Tutto mi sembrava fuorché la verità nascosta nelle piaghe di una fiaba.
Adrien e Mari, due ragazzi legati dal destino, separati dalle differenze, uniti in una leggenda.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Sabine Cheng, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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“Chi siete?!” Ringhio più forte il ragazzo, avanzando di qualche passo.

“Io mi chiamo Sabine e lei è mia figlia Marinette.” Rispose Sabine, indicando prima se stessa e poi la mora, che era indietreggiata un po'.

“Tu, invece come ti chiami?” la donna cerco di instaurare una conversazione con il ragazzo. Stava di fronte a loro, muovendosi a quattro zampe, pronto a scattare. 

Sabine noto il pallore del viso, gli occhi rossi e stanchi quasi vitrei. Il corpo leggermente tremante come se avesse freddo o paura, forse entrambe. 

“Adrien” sputo fuori, come se fosse schifato dal suo stesso nome.

Ora andatevene, non avete niente da fare qui. Squadrando le due Adrien, torno in quell’angolo  buio. Un letto improvvisato e qualche ritaglio di giornale si intravedevano dal fondo della stanza.

Mari s’avvio giù per le scale, molto scossa e inorridita da quell'essere, voleva solo tornare a casa per prepararsi all'uscita con Kim e dimenticare tutto. Sabine rimase ad osservare quella povera anima in pena, sola in quell'angolo buio. Non poteva essere accettato come persona ne essere definito umano. 

Sabine raggiunse la figlia, fece retromarcia ed uscì dal cancello della villa, lasciandosi alle spalle tutta quella solitudine e tristezza.

Arrivate a casa Mari corse a prepararsi, sarebbe rimasta fuori casa per due notti con i suoi amici e aveva poco tempo, sua madre intanto iniziò a preparare la cena.

Il padre della mora, il signor Tom, arrivo a casa con Nat il figlio della sorella di Sabine, il ragazzino saluto la zia e andò a sedersi pronto per la cena.

“Marinette?” chiese l'uomo appena tornato.

“È uscita per una piccola gita con Kim, Alya, Nino…” rispose la moglie servendo arrosto di vitello.

Stranamente silenziosa, aveva ancora in mente quel ragazzo, sentiva dentro di sé che non era giusto lasciarlo là. 

La serata passo tranquilla, verso le undici le luci della via, iniziarono a spegnersi lasciando solo ai lampioni il compito dare un po' di viva presenza. Adrien dall’alto della sua torre le vedeva spegnersi, finestra dopo finestra, casa dopo casa. 
Il maniero non aveva elettricità, né acqua o vita da anni, solo Adrien immerso nei suoi incubi; ogni notte riviveva un ricordo seguito sempre da una parola, un emozione, che lui conosceva bene: dolore, rabbia, solitudine, tristezza, angoscia.

L'incontro di quella mattina l'aveva spiazzato, ogni tanto qualche ladruncolo aveva provato ad entrare e rubare qualcosa, venendo puntualmente spaventato a dal suo aspetto, a volte armato e bardato, ma mai una bellezza simile a quella ragazza. Occhi azzurri cielo, così cristallini da perdersi, capelli neri come la notte ma anche luminosi come le stelle, un viso delicato, una pelle candida, le labbra così rosse, le guance lievemente rosee, solo un angelo poteva essere. 

Cercando ristoro nel sonno, il biondo si distese sul letto sgangherato, voleva solo fermare quel turbine di pensieri che gli martellava la testa; il pallore era peggiorato, così come la sensazione di freddo che provava, non ne capiva la causa ne sapeva come uscirne, si sentiva stanco, infreddolito, pesante, debole, faticava a respirare e un dolore al petto lo linciava a ogni respiro. 

Adrien sapeva o almeno ci sperava, che dormire lo avrebbe aiutato, chiudere gli occhi e rivivere la morte della signora Agreste o l'abbandono del signor Gabriel, lo stava distruggendo. Chiuse gli occhi verdi, rannicchiandosi su sé stesso per trovare un po' di calore, i tremori scuotevano vistosamente quel corpicino, pian piano si addormento.
   
 
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