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Autore: Asia Dreamcatcher    16/11/2017    2 recensioni
Johann Schmidt è tornato e con esso le ceneri dell'oscura Hydra, pronta a risorgere.
Ma Teschio Rosso non è solo e Steve Rogers e gli Avengers dovranno vedersela con nuovi nemici. James Barnes sarà costretto, ancora una volta, a lottare contro i propri fantasmi, sperando di non soccombere.
Mentre gli echi di una nuovo guerra risuonano, Captain America e Vedova Nera si ritroveranno ad affrontare una sfida inaspettata, che potrebbe cambiare tutto per sempre.
Terza parte di "Se il passato è alle tue costole, ti volti e lo affronti"
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Se il passato è alle tue costole, ti volti e lo affronti'
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Capitolo Diciannove: Pain

A volte bisogna commettere un grande errore per capire

qual è la cosa giusta da fare”

~ Danny Duquette, “Grey's Anatomy”



Il pugno si abbatté con forza sul volto inerme di Steve, che pur vedendolo arrivare, non provò minimamente a difendersi.

«Lo sapevi? L'hai sempre saputo?» mormorò alterato Tony.

Il capitano tornò a guardarlo, mentre la guancia andava rapidamente ad arrossarsi. I suoi occhi limpidi erano un misto di orgoglio, colpa e tristezza. Per il miliardario era troppo quello sguardo, non riusciva a tollerarlo; si lanciò nuovamente contro di lui, afferrandolo per la divisa e facendolo arretrare fino a farlo sbattere con forza contro il muro. Non sarebbe riuscito a muoverlo di un millimetro se non fosse stato Steve stesso a permetterglielo, il suo corpo disarmato gridava disperato la sua colpa e ciò lo fece imbestialire ancora di più.

Levò indietro il braccio, ancora avvolto dall'armatura, pronto a colpire. Ma non lo fece.

Natasha si era appena materializzata tra il suo pugno e il supersoldato. Si stagliava fra loro, silenziosa e severa. Il resto dei loro compagni era troppo esterrefatto per intervenire prontamente in qualche modo, ma non lei.

Guardò Tony dritto in faccia, i suoi occhi non tradivano alcuna emozione, se non una certa gravità.

«Vuoi colpire anche me?» gli chiese calma. Un guizzo accese gli occhi di Steve, non avrebbe mai permesso a Tony di accanirsi su di lei per una sua mancanza; Iron Man sgranò lo sguardo, come se l'avesse appena messa a fuoco, e abbassò automaticamente il braccio. Ma ciò che lo fece davvero desistere fu il rumore di una porta sbattuta con violenza. Il resto dei presenti si guardò intorno e si resero conto che Sharon aveva lasciato la stanza.

Il genio guardò un'ultima volta il capitano e se ne andò senza dire una parola, il suo intero corpo era pervaso da tremori di rabbia.

Natasha si voltò indietro verso Steve, nei suoi occhi vi lesse del biasimo e lui si ritrovò a sospirare pesantemente.

«Erano i genitori di Stark?» domandò Clint scioccato e Vedova annuì solamente.

«Da quanto lo sapevate?» chiese Sam, ormai conosceva abbastanza bene la coppia per comprenderli senza fare troppo domande. Nella sua voce non c'era accusa, ma solo curiosità mista a perplessità.

«Dalla caduta dello S.H.I.E.L.D.» gli rispose Natasha sottotono, avvertiva la stanchezza incombere su di lei, sbatté più volte le palpebre.

«Non ha agito per sua volontà» mormorò Steve, ostinato.

«Nessuno sta dicendo questo...» replicò Clint per tranquillizzarlo «Ma Stark non l'ha presa bene e questo è comprensibile amico»; il capitano annuì tristemente. Il dolore al viso cominciava a farsi sentire, normalmente gli avrebbe causato semplicemente del fastidio ma il suo senso di colpa pareva essersi concentrato nel livido che Tony, giustamente, gli aveva impresso.

Avvertì Natasha accostarsi a lui con noncuranza, ma in realtà alla ricerca di un sostegno. Lui l'accolse nel suo petto, le loro mani si cercarono e si intrecciarono.

«Ora puoi dirlo...» sospirò il supersoldato;

«Te la sei cercata, te l'avevo detto» l'accontentò lei senza alcun tono in particolare. D'altronde anche lei sapeva, ma era anche una spia abituata, addestrata al silenzio.

«Forse è il caso di prenderci una pausa. Quella maledetta è riuscita nel suo intento, ad ogni passo che facciamo verso l'HYDRA, loro rispondono con più violenza» ragionò Clint guardando i presenti che annuirono amaramente.

«Dovrei andare a parlargli-» ma Natasha gli posò una mano sul petto;

«Non ora. Lui non vuole ascoltare, non è pronto. Come tu ti sei preso del tempo per assimilarlo, ora lui si prenderà il suo» gli disse «C'è una persona che però potresti chiamare» continuò guardandolo di sottecchi e lui annuì. Si separarono e Steve per un momento si sentì senza alcun appiglio.

«Dove vai?»

«Sharon» sussurrò lei.


Natasha spostò con tocco silenzioso la porta socchiusa. I suoi occhi grandi e cristallini indugiarono sulla figura di Sharon in ginocchio, intenta a piegare con eccessiva cura dei vestitini da neonato.

La stanza per il bambino era ancora spoglia, fatta eccezione per un'elegante cassapanca in legno chiaro, in cui la russa scorgeva la mano dell'arciere. Osservò per un attimo i contorni della camera: quadrata, lineare e con tanta luce, grazie al terrazzo comunicante con quella sua e di Steve.

Con attenzione, Natasha si lasciò scivolare accanto all'amica, il pancione cominciava a diventare ingombrante.

«Credo che la cassapanca non basterà» esordì la bionda agente con voce tremula. Tirò su col naso e poi sospirò lasciando perdere la tutina e guardando l'amica con i suoi occhi scuri e lucidi.

«Perché non mi sembra di far altro che piangere?» mormorò esasperata da se stessa «Da quando lui se n'è andato...» non riuscì a continuare.

«Cosa ti sconvolge di più?» domandò pacatamente Natasha.

«I suoi occhi...» articolò a fatica premendosi le mani sul volto «Erano assenti, privi di qualsiasi espressione... E' stato come tornare a quel giorno quando mi ha aggredita, aveva quegli stessi occhi! - la voce venne meno e si ritrovò scossa dai singhiozzi – Non sentiva nulla, le mie suppliche non riuscivano a raggiungerlo. Hai visto anche tu, ha spezzato la vita di Maria e Howard privo di qualsiasi sentimento... Ma Natasha, James non è così. I suoi occhi sono pieni di vita, di sofferenza e malinconia e io... … …Mi sono innamorata del suo sguardo e quello, non sono Steve, ma te lo posso giurare non era lui! Com'è possibile che l'Hydra sia riuscita a ridurlo così? Penso a N e vedo così tanto di James in lui. Io -io penso a Tony e mi spiace così tanto, non conoscevo benissimo i suoi genitori ma erano in buoni rapporti con zia Peggy e ho un buon ricordo di loro anche se vago... Ma quanto posso essere crudele? Perché mi dispiace è vero, ma sono più terrorizzata da quello che Tony potrebbe fare a James se solo fosse qui. Sono una persona orribile?» domandò esausta con un sorriso che di sereno non possedeva nulla.

Natasha fece una cosa che non si permetteva di fare spesso; afferrò gentilmente Sharon e lasciò che le poggiasse il capo sulle gambe ed iniziò delicatamente ad accarezzarle i capelli lunghi e biondi che, come un sipario, divideva lei dalla cruda realtà.

«Il tuo peccato Sharon è che lo ami. Se questo si può considerare tale... Nessuno crede che James l'abbia fatto di sua volontà, e Tony lo sa come tutti noi. Non per questo il processo di accettazione è più facile. È furioso... anche se credo di più con Steve – attese un istante – per non averglielo detto. È stato egoista, non lo nego... Steve non ha mai accettato fino in fondo il fatto che James non fosse più come nei suoi ricordi, ha dovuto imparare a convivere con questo. Non dicendolo a Tony ha tentato di proteggere sia Bucky da se stesso, sia se stesso da questa consapevolezza.

Non siamo persone orribili Sharon. Mai come in questo momento, portando un bambino nel mio grembo, mi sono resa conto di essere un essere umano, e come tale noi tutti siamo soggetti a debolezze. Il problema sta, che data la nostra “condizione”, il nostro “status” i nostri errori, le nostre debolezze, tendono ad essere più visibili di quelli delle persone comuni. L'impatto delle nostre azioni ha risonanza maggiore e ciò che proviamo si amplifica.» replicò con tono pacato.

«Il mio nipotino è fortunato ad avere una madre così» ribatté l'agente 13 con grande sorpresa di Natasha, che senza darlo a vedere si sentiva imbarazzata ma al tempo stesso compiaciuta.

«In ogni caso, io più che di Tony temo la tua reazione quando ce l'avrai davanti» disse la rossa con un sorrisetto irriverente, provocando nell'amica una smorfia leggermente divertita.

«Vorrei che Jace ne sapesse il meno possibile di questa faccenda, okay?»;

«Non sarà facile, ma ci proveremo» concordò Natasha.

«Come credi andrà a finire?».

La russa si prese un momento prima di rispondere, lo nascondeva molto bene, ma tremava al pensiero di quello che sarebbe successo se quei due testardi del suo compagno e di Tony non si fossero chiariti.

«Una cosa è certa, divisi non abbiamo alcuna speranza di farcela» “...e questa è una cosa” pensò la donna “che non posso in alcun modo permettere”.

Si guardò attorno e per una frazione di secondo lasciò libera la sua immaginazione; la stanza improvvisamente si riempi di oggetti, e la pareti si tinteggiarono di verde pastello. Respirò a fondo, no. Non poteva davvero permetterlo.

«Non lo permetterò. Nessuno di noi lo permetterà» affermò Sharon, mettendosi seduta e fissandola decisa negli occhi. La russa inclinò il capo e sul suo volto apparve un accenno di sorpresa. Le aveva letto dentro.

«Qualsiasi cosa succeda, conta su di me» affermò la bionda, trattenne il fiato «Sei la mia persona Nat» terminò con semplicità.

Natasha tese la mano e gliela strinse con forza, commossa nel profondo.


Il saldatore elettrico emetteva piccole scintille gialle e blu a contatto con il metallo, ma la sua mano non era ferma e sicura come al solito.

Tony si tolse stizzito gli occhiali protettivi e con gesto secco allontanò il saldatore, abbandonando del tutto l'idea di riparare la sua armatura.

Non aveva nemmeno notato che all'esterno, il mondo aveva continuato a girare e ad andare avanti e il buio della sera era calato delicatamente su tutti loro. No, lui non l'aveva notato perché la sua efficientissima mente, che lo accettasse o meno, era ormai imprigionata in un orripilante loop.

Sua madre, la sua adorata madre... e suo padre. No, Tony non voleva nemmeno cominciare ad analizzare i sentimenti contrastanti e prepotenti che si erano scatenati in lui. Non era mai stato un granché con le emozioni, meglio formule, numeri, dati... Sì, su quelli aveva un controllo, erano certi, racchiusi entro confini definiti, avevano uno scopo. Equazioni, calcoli portavano ad un risultato, una soluzione su cui lui poteva ragionare e ponderare, senza rischiare di impazzire. Nel campo della scienza lui era un genio, una certezza, si muoveva sicuro senza doversi guardare dentro e constatare che era l'ennesimo disadattato sregolato, con un rapporto tutt'altro che semplice con i genitori.

«...Entrare signor Stark». La voce dall'AI lo colse di sorpresa, non aveva che percepito poche parole.

«Non voglio vedere nessuno, JARVIS. Sto lavorando» borbottò Tony agitando la mano in aria.

«Bistrattare la tua armatura sarebbe lavorare? E io cosa starei facendo?» esordì Virginia Potts comparendo alle sue spalle. Il tono volutamente sarcastico stonava con l'espressione seria.

Vi era una sorta di perfezione formale in Pepper, una simmetria pura nei lineamenti, un'eleganza per nulla forzata nei modi, che Tony trovava conturbante. Era una donna sofisticata la sua Virginia, precisa, orgogliosa, sicura ma al tempo stesso possedeva una gentilezza distinta ed una tolleranza smisurata verso di lui. Un caso umano.

Possedeva una mente brillante Iron Man, eppure non aveva mai compreso fino in fondo come facesse quella donna luminosa ed abile a sopportarlo, a cullarlo come si fa con un infante irrequieto ma anche ad affrontarlo e tenergli testa.

La guardò smarrito, gli occhi scuri sgranati, come un bambino privo di difese. Guardò la sua luce. Si concentrò sui suoi occhi zaffiro, incorniciati da ciuffi biondo rame, che scivolavano pacati sugli zigomi spruzzati delicatamente da piccole efelidi leggermente più brune dell'incarnato color pesca.

Pepper aveva già visto quello sguardo e le si strinse dolorosamente il cuore; Steve l'aveva messa al corrente e lei aveva mollato tutto e si era precipitata da lui.

«Di cosa hai bisogno?» gli domandò allargando piano le braccia. Tony si irrigidì, chiuse gli occhi, ma non c'era via di scampo da quelle terribili immagini perché erano impresse a fuoco nella sua testa.

«Non era necessario che venissi. Chi è stato? Steve!? Beh poteva pensarci prima! Ho voglia di rovinargli quei suoi bei dentini, sai? Come si è permesso!?» i suoi gesti erano sconnessi, le palpebre si aprivano e chiudevano velocissime «Sai cosa farò ora? Andrò da Mister-ghiacciolo-integerrimo-solo-quando-gli-comoda e gli chiederò di ridarmi quello scudo, non appartiene a lui. È di mio padre, capito?! Mio padre, che è stato ucciso da quel dannatissimo del suo migliore amico!» sbottò furioso.

Pepper non si mosse per tutto il tempo di quello sproloquio, di quello sfogo. Poteva solo immaginare cosa potesse provare in quel momento, ma se era arrivato al punto di rivendicare il mitico scudo di Captain America, mettendo in mezzo suo padre Howard – quel padre che così tante tensioni aveva fatto nascere in lui – significava che tutto in lui era sul punto di crollare.

«Tony...» tentò;

«No! Lui- Lui ha... ucciso i miei genitori... Mia madre!» balbettò guardandosi attorno, perso.

La donna l'abbracciò di slancio, tenendoselo stretto contro il petto, quasi fosse un bambino.

Tony lentamente, quasi timidamente rispose all'abbraccio della fidanzata, aggrappandosi alla sua schiena. Non pianse, ma il dolore che sentiva era insopportabile; si rese conto che se Pepper si fosse scostata, lui si sarebbe spezzato.

«Ti farebbe stare meglio prendere quello scudo?» gli sussurrò amorevolmente scostandosi appena per poterlo guardare in volto. Gli accarezzò il volto, volendolo far sentire al sicuro.

Il magnate distolse lo sguardo lucido guardandosi attorno e respirando un po' più forte. Conosceva la risposta, ma in quel momento si sentiva un bambino che aveva perso i genitori. Era come rivivere quel trauma due volte e lui non riusciva ad accettarlo, forse perché non era riuscito ad affrontarlo nemmeno la prima volta.

«Non mi restituirebbe i miei, è questo che mi stai dicendo?» berciò Iron Man infastidito. Pepper si limitò ad alzare un sopracciglio. Lei era così; non gli avrebbe mai fornito la soluzione su un piatto d'argento o forse anche sì, ma non senza prima avergli fatto provare le pene dell'inferno e averlo costretto ad usare il suo brillante cervello.

«No certo che no... Non saprei che farmene» rifletté con un sorriso amaro, poi guardò la bionda negli occhi «Io ora come ora voglio vederlo morto» articolò serio, gli occhi scuri dilatati. Si stava riferendo al Soldato d'Inverno.

«Tony...» cominciò Pepper «E' davvero questo che vuoi? Assurgerti a giudice, giuria e boia?»;

«Non è così che ha fatto lui?» replicò acido.

«E' così che ha fatto l'HYDRA» cercò di farlo ragionare lei. Sapeva che Tony quando voleva si chiudeva nel suo egoismo, rifiutandosi di vedere la realtà, di analizzare i fatti.

«Pepper! Lui è l'assassino di mia madre!» ringhiò il miliardario, non volendo ascoltare. Il suo dolore era l'unica cosa che contava per lui.

«Va bene. Vuoi restare qui a crogiolarti nei tuoi tormenti? Fallo! Vuoi progettare stupidi piani di vendetta contro James Barnes? Fallo! Ma prima o poi Tony dovrai affrontare tutto questo, compresa la morte dei tuoi genitori. Tu hai delle responsabilità che tu lo voglia o meno! Io ti amo ma non assisterò un'altra volta alla tua autodistruzione... Tu sei migliore di ciò che provi in questo momento!» sbottò la bionda, girando poi sui tacchi ed andandosene.

Nel momento stesso in cui lei scomparve dal suo campo visivo, Iron Man si afflosciò su se stesso, si prese la testa fra le mani e chiuse gli occhi.


Un nuovo giorno era sorto sull'Avengers Tower, ma ciò non aveva schiarito gli animi. Un'atmosfera pesante impregnava ogni cosa della residenza dei Vendicatori.

Steve abbatté l'ennesimo sacco da box, sotto lo sguardo preoccupato di Sam, che però aveva preferito non ancora proferire parola.

Il capitano era sempre più conscio che la sua decisione era stata stupida, dettata più da vigliaccheria che da reale senso di protezione sia nei confronti di Tony che di Bucky.

Ci aveva creduto davvero, era convinto di aver preso la decisione giusta, ma la reazione di Tony gli aveva mostrato, senza tante cerimonie, il suo errore.

«Sono stato un idiota» esordì, spezzando finalmente quel silenzio opprimente. I due amici si fissarono in volto e Sam gli sorrise appena, comprensivo.

«Ehi. Stavi solo cercando di agire per meglio...»;

«Davvero? Perché io non ne sono più tanto sicuro. Forse volevo solo proteggere me stesso dalla verità-»

«Tu non sei infallibile.» lo fermò Sam «Per il resto del mondo sei semplicemente Captain America la leggenda, ma qui, in mezzo a noi, no. Io ti conosco e so esattamente chi sei, i sacrifici che hai scelto di fare... Solo conoscendoti ho potuto capirti appieno, sei un uomo di saldi principi e non hai paura di andare contro tutti pur di restarvi fedele, e io ti rispetto per questo. Ho deciso di seguirti per questo, ma sei pur sempre un essere umano e noi errori ne facciamo, amico» terminò con un'alzata di spalle e un semplice sorriso di scuse.

«Una volta ti dissi che Bucky era qualcuno da fermare, sbagliai, perché se fossero venuti a dirmi che Riley era vivo ed era diventato un assassino a sangue freddo, pensi che questo mi avrebbe fermato dal cercarlo?» Sam incrociò le braccia muscolose al petto e negò col capo mantenendo sempre quel sorriso disarmante «No certo che no. Avrei tentato l'impossibile e tu l'hai fatto. Ma non hai detto nulla non solo per proteggere te stesso, ma anche loro due. Questo te lo devi riconoscere...»

«Ma non cambia il fatto che ho sbagliato, io volevo solo-» si mise le mani sui fianchi e sospirò «-Non lo so».

«Pace» celiò con voce chiara Natasha, attirando l'attenzione dei due. La donna osservò il compagno, trasmettendo un tale amore che Steve si sentì immediatamente rincuorato.

«Non volevi che qualcuno soffrisse ancora e hai deciso tu per tutti, accollandoti quel peso. Ma Steve, non è mai stato tuo quel peso.» continuò andandogli incontro, poi sollevò lo sguardo su di lui «Sei stato egoista, quasi quanto Tony lo è in questo momento»;

«Due facce della stessa medaglia» disse Sam. Lui e Natasha si scambiarono uno sguardo divertito.

«Voglio rimediare ma lui non vorrà ascoltarmi» mormorò affranto il capitano, ma la russa non era della stessa opinione;

«Lo farà» affermò sicura «Pepper lo ha scosso quel che bastava. Questa è la nostra famiglia, disfunzionale certo, ma non possiamo lasciarci andare alla deriva».

«Senza contare che i nostri nemici ne approfitteranno» ricordò loro Falcon.

«Devi tentare» sussurrò Natasha e Steve annuì.

Avrebbe accettato tutto quello che Tony gli avrebbe riservato.


*


«Se avessi mosso il culo prima mi avresti risparmiato un bel po' di seccature, lo sai Ivan?» disse Fury guardando di sbieco l'uomo al suo fianco. Lui rimase in silenzio per qualche attimo prima di replicare:

«Io arrivo quando devo arrivare, né prima né dopo» la sua voce era asciutta e sottile, ma l'aura che emanava la sua figura possedeva un che di pericoloso.

«Fortuna che il ragazzo ha avuto l'intuizione giusta... Anche se ha rischiato» rifletté la spia delle spie.

«Certi errori si pagano» commentò l'uomo di nome Ivan;

«Tu ne sai qualcosa vero?» Fury non voleva provocarlo, la sua era una semplice constatazione che però venne lasciata cadere dall'altro.

«Il mio coinvolgimento deve restare segreto, inutile che te lo dica»;

«Perfettamente inutile» ribadì l'ex direttore. Lo conosceva da anni, impossibile da quantificare malgrado tutto conservava quell'aura di mistero e segretezza che gli ricordava moltissimo sé. Non aveva mai conosciuto tutti i suoi segreti ma questo valeva anche per lui. Un discreto tossicchiare spostò la sua attenzione; con il suo occhio sano, Fury, fissò per bene il nuovo arrivato.

«Cosa mi può dire, dottore?».

___________________________________________________________________________________Asia's Corner
Buonasera a tutti miei cari lettori! Non proprio giusti ma ci siamo!
Allora eccoci arrivati al DUNQUE! A ciò che succede dopo che la bomba (grazie tante Sin) è stata sganciata! Non mi sento di commentare molto, credo che il capitolo spieghi bene lo stato d'animo dei nostri eroi... E preferisco che siate voi, poi a trarre le conclusioni (che spero di leggere nei vostri commenti ^^) Posso dire che questo lo vedo come una sorta di prima parte di un capitolo molto più ampio, inizialmente aveva previsto un capitolo più corposo ma durante la stesura mi sono resa conto che la vicenda merita - non solo di essere trattata coi guanti - ma di una distensione più ampia, molte cose vengono dette e pensate e devono avere il giusto tempo e peso. 
Spero che vi sia piaciuto il momento Pepper x Tony, personalmente è una coppia che adoro (e Pepper è l'unica che riesce a farmi apprezzare Iron Man XD) quindi la sua mancanza per ben due film per me è stata devastante! E come sempre spero di aver fatto un buon lavoro con lei.
Passando alla fine del capitolo... Beh se Fury compare vuol dire che qualcosa di grosso si sta muovendo! Non vedo l'ora di sentire le vostre opinioni :D

Come sempre io vi ringrazio! Non solo per le recensioni ma anche per i messaggi che mi mandate, davvero vi adoro! Non sapete che cosa significhi per un autore avere un confronto diretto con i suoi lettori! Ovviamente un ringraziamento speciale anche a chi ha inserito questa ff nelle liste speciale e a chiunque sia giunto a leggere sin qui! Un bacione!!

Io vi saluto e vi do appuntamento a VENERDI 8 DICEMBRE! Per qualsiasi cosa contattatemi sulla mia pagina FB "Asia Dreamcatcher" 

ps. La risposta alle recensioni del capitolo precedente arriveranno nel pomeriggio di venerdi!

   
 
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