3.
Non aveva idea di quanto potesse
essere potente quella strega, così, per precauzione, Harry stregò la propria
scia di modo che puntasse verso un palazzo della sua via, sì, ma a parecchia
distanza dal suo. Quando arrivò a casa alzò delle barriere protettive in più,
così come gli era stato ordinato da Hermione, e prima
di andare a letto scrisse le sue impressioni su Inga.
Una persona strana. Aveva avvertito
la sua pericolosità, spesso, e anche la sua intelligenza. Però sembrava davvero
appassionata nella sua devozione per Piton, cosa
incredibile sì, ma che non gli era parsa del tutto costruita. Invece l’Ucraina,
la storia sui Pozionisti, quella era tutta finzione. Un’ottima
attrice, certo, ma non abbastanza per un Auror.
Harry chiuse il suo taccuino nel
cassetto stregato e si buttò a letto. Il giorno dopo sarebbe andato al
Ministero, avrebbe fatto una capatina al terzo livello, avrebbe passato un po’
di tempo con Artur. E poi avrebbe lasciato una nota
per Ron e per Hermione e sarebbe tornato a casa.
Era certo che tutte quelle
precauzioni fossero di gran lunga esagerate, ma nessuno, nemmeno lui, poteva
disobbedire al Ministro. Così si addormentò col pensiero di seguire il piano
diligentemente, ignaro del fatto che Inga, nella
cucina del bilocale che aveva preso in affitto, stava proprio lanciando la
propria magia per seguire la scia di Harry.
Appena salita nel suo appartamento,
la strega si era recata nel suo studio. Lì, adagiato sulla scrivania, un grosso
pezzo di alabastro troneggiava, vagamente illuminato da una luminescenza
verdastra che indicava essere sotto l’influsso di una potente magia. Inga si sedette al tavolo senza neppure levarsi il
cappotto, interrogando il manufatto che lei stessa aveva concepito. Fece una
ricerca approfondita, ma nulla: non c’era nessuno Harry nelle sue liste.
Controllò una, due, tre volte, ma a quanto pareva l’impiegato all’ufficio uso
improprio dei manufatti Babbani aveva detto il vero.
A quel punto si levò la giacca, lasciandola raggrumata tra se stessa e lo
schienale della poltrona. Poi mosse l’occhio della roccia verso la scia di
Harry, seguendolo sino ad un quartiere Babbano. Un
palazzo rosso, molti appartamenti. Nulla di notabile. Si spinse all’interno delle
abitazioni, cercandolo, finché non inciampò in un blocco schermato da una
potente magia difensiva. Forse il Ministero offriva ai propri dipendenti degli
accomodamenti speciali per le loro famiglie. Inga
sospirò. Era l’ora di dormire sogni sereni.
Nel palazzo rosso in Porter Street,
il figlio adolescente dei Forster lanciò il cellulare sul tappeto. Era da
quando era rientrato da scuola che né il computer né il telefono funzionavano.
La mattina dopo, Harry si
materializzò nella solita viuzza oscura a pochi passi dal Ministero, la
colazione in mano e i sensi ben allerta, pronto ad avvertire una qualsiasi
stranezza nell’aria che lo avvolgeva, aspettandosi di essere osservato o
seguito. Ma non avvertì nulla di tutto ciò, anzi, ed entrò negli schermi protettivi
del Ministero certo di non essere stato seguito da nessun osservatore. Scese
comunque al terzo livello, obbedendo a Hermione che
temeva che qualche dipendente fosse Imperiato – cosa
che Harry, dopo aver conosciuto Inga, non si sentiva
di escludere – e trascorse l’intera mattinata alla scrivania di Artur, aiutandolo laddove poteva. Sembrava che Ron gli
avesse anticipato che ci sarebbe stato un cambiamento nella composizione del
suo ufficio e l’uomo, che era abituato ai misteriosi meccanismi del Ministero,
non disse nulla, anzi diede a Harry una gran pila di volantini da leggere,
chiedendogli quale riteneva più efficaci per una campagna di sensibilizzazione
verso l’elettricità nelle case Babbane.
Stare accanto al signor Weasley era rilassante, per Harry. Si divertì a commentare
i volantini e a spiare le conversazioni dei colleghi su brutti incidenti di
maghi e streghe poco avvezzi alle abitudini Babbane
finché un ragazzo non si avvicinò, chiedendogli di recarsi all’ufficio del
Ministro per sbrigare delle pratiche. Harry allora salutò Artur
e s’incamminò, piacevolmente stupito di quanto funzionasse bene il Ministero di
Hermione, poiché nessuno, per ora, aveva proferito
una parola fuori luogo sulla sua presenza al terzo livello, né era successo
nulla che potesse mettere in allerta un possibile Imperiato.
Entrato nell’ufficio del Ministro, Hermione e Ron si voltarono a guardarlo.
«Chiudi la porta, Harry» disse
subito Hermione e lui obbedì. Con un gesto della
bacchetta la giovane impose il Muffliato alla sala.
«Come è andata?» chiese Ron,
impaziente. Harry si sedette sulla sedia accanto a lui, fronteggiando il
Ministro.
«Direi bene, mi ha preso in
simpatia» rispose. «Credo abbia un po’ di sospetti, ma penso di essermela
cavata»
«E Piton?»
chiese Hermione.
Harry ripensò alla sua diserzione
della mattina passata.
«Er, Piton»
fece. «Inga è affascinata dal suo lavoro, credo lo
sia davvero. Comunque sta bene. L’ho spiato, prima di agganciare Inga»
Hermione annuì, soddisfatta.
«Si è sbottonata su qualcosa?»
domandò Ron. Harry scosse la testa.
«É… molto,
molto intelligente» rispose. «Ha mentito sulla sua origine, dice di essere
ucraina. Ma davvero, se uno non ci fa caso sembra la persona più normale del
mondo»
Ron e Hermione
annuirono, pensierosi, e cadde il silenzio.
«Hai seguito i miei ordini, oggi?»
chiese poi Hermione.
«Sono stato tutta la mattina col
papà di Ron» sorrise Harry. Il giovane Weasley rise.
«E la scia? Lo schermo? Sei certo
che non ti abbia seguito?» chiese ancora la ragazza.
«Se lo ha fatto non ha visto nulla
di diverso da ciò che le ho detto ieri» rispose, sereno, Harry. Hermione non sembrava convinta, ma Ron allungò una mano
verso le sue, abbandonate sulla scrivania, e gliele strinse.
«Fidati» le disse, il tono dolce.
«Sono solo preoccupata» rispose lei,
ma accennò un sorriso. Harry le rispose alzando lievemente gli angoli delle
labbra, anche se la sua mancanza di fiducia lo infastidiva.
«Sono sopravvissuto a Voldemort, ricordi?» chiese. Il Ministro annuì.
Per un paio di giorni le giornate di
Harry continuarono a vederlo alla scrivania di Artur Weasley, il che iniziò a farlo soffrire un po’ di noia,
perché infondo la sua carriera di Auror lo
appassionava anche per il lato meno cheto della cosa, quello che lo vedeva
sempre in movimento. Ora però si sentiva come ancorato al suo finto impiego e
fu con particolare gioia che ricevette l’invito di Hermione,
tramite la loro vecchia moneta stregata, di recarsi di nuovo da Inga. Stavolta decise di fingere di passare davanti alla
bottega per caso, così da non dover sembrare troppo pressante. Passeggiò quindi
a lungo per Diagon Alley
prima di allungarsi verso la zona meno battuta del centro, godendosi l’aria
che, giorno dopo giorno, si faceva sempre più festiva. Era ormai il diciotto Dicembre,
Londra era addobbata da abeti e luci già da un mese e lui si sentiva
elettrizzato lì, fuori dal Ministero, nella calca vociante. Non gli andava
granché di chiudersi nel negozio oscuro di Piton, né
di vederlo e di incassare la sua ironia velenosa, ma si immaginava che dimostrando
a Inga di non aver mentito su di lui potesse segnare
un punto in più per guadagnare la sua fiducia. Così entrò nel negozio, dove
trovò un paio di clienti a cui la donna stava vendendo un sacco pieno di
misteriose erbe secche. Harry zampettò per l’ambiente guardandola e lei,
servendo il mago delle erbe, vedendolo sorrise.
«Ha bisogno di altro?» chiese la
donna al mago. Lui mormorò qualcosa che Harry non sentì e vide la donna sparire
nel retrobottega. Con un brivido, si voltò, come sperando di non essere
riconosciuto dall’uomo che sarebbe apparso, i capelli sciolto attorno al volto
e tre grosse fiale piene di sangue di chissà quale creatura tra le mani.
Era intento ad osservare il teschio
di bufalo quando una mano batté sulla sua spalla. Si voltò: Elena gli
sorrideva.
«Ehy» fece
Harry, «è un brutto momento?»
«Non più del solito» mormorò Elena,
sorridendo. «Hai bisogno di qualcosa o…?»
«Volevo salutarti» rispose Harry. La
donna si schernì col suo solito movimento di ciglia. Stava per rispondere
quando la voce imperiosa di Piton la richiamò
all’ordine:
«Elena! Il signor Wellfair non si serve da solo»
La donna lanciò un’occhiata di scuse
a Harry e tornò rapidamente dietro al bancone. Fu in quel momento che Piton riconobbe il motivo per cui la sua commessa si era
allontanata: il suo viso si stirò in una maschera neutra prima che il suo
sopracciglio schizzasse verso l’alto.
«Potter» fece l’uomo, avvicinandosi.
«Signore» rispose Harry, a disagio.
Piton si fermò davanti a lui, voltandosi
ad osservare Elena.
«Hai smesso di angustiarmi a scuola
per distrarre chi mi aiuta in negozio?» chiese l’uomo. C’era una vena acida nel
suo tono, ma Harry sentiva la determinazione a tenerla a bada. Ne fu sorpreso.
«Mi dispiace, conosco Elena e sono
passato a salutare» rispose il giovane.
Piton lo squadrò.
«E dimmi, Potter, come te la passi? Ho
saputo che hai cercato di guadagnarti i M.A.G.O. per…»
«Lavoro all’ufficio di
regolamentazione dell’uso dei manufatti Babbani» lo
interruppe rapidamente Harry. Fece un sorriso posticcio e Piton
assunse un’espressione molto loquace: avvertiva che qualcosa non andava.
Il cliente servito da Elena se ne
andò, così la donna li raggiunse.
«Severus,
hai visto che coincidenza?» disse. «Harry mi ha raccontato di essere un tuo ex
alunno»
«Ex alunno, ex incubo» rispose Piton. Studiò ancora una volta il viso di Harry, poi guardò
Elena.
«Mi rincresce, Elena, ma non avrai
tempo libero da perdere con questo individuo. Ti sto facendo un favore»
Elena rise, ma Harry si sentì
montare la vecchia collera che Piton riusciva da
sempre a tirargli fuori dalle budella.
«Non ce n’è bisogno, Severus» rispose la donna. «Ci vediamo dopo la chiusura?»
Harry guardò i grandi occhi della
donna e si costrinse a sorridere, anche se il suo istinto gli gridava di piantare
grane con quella stupida nuova versione più pulita e più affascinante di Piton.
Più
pulita e più cosa?
«Certo» rispose il giovane. «Ti
passo a prendere più tardi. Piton»
Harry si incamminò verso la porta e
l’uomo lo osservò.
«Potter» fece, tornandosene nel
retrobottega. La strega restò sola.
Irato, sconvolto e preoccupato,
Harry prese a camminare per le strade a testa bassa. Cosa gli era preso? Non
era neanche più capace di gestire i propri pensieri? E che pensiero era, poi,
quello? Affascinante? L’Auror in incognito imprecò. Non poteva pensare una cosa del
genere di quell’uomo, non dopo tutto quello che gli aveva fatto. E cosa ti ha fatto? sussurrò una vocina
nella sua testa. È l’uomo più coraggioso
che tu abbia mai conosciuto.
Scuotendo via il lato più
distruttivo della propria coscienza, Harry si fermò davanti ad una vetrina.
Guardò la merce esposta senza vederla. Lo aveva protetto, certo. Ma per amore
di sua madre. Per amore della donna che aveva amato. Non aveva mai avuto un
briciolo di affetto verso di lui. D’un tratto, Harry si chiese perché. Perché
si erano odiati così tanto?
Un movimento nella vetrina lo
riscosse: una madre stava comprando al figlio il trenino magico esposto. Il
bambino aveva gli occhioni luccicanti. Non vedeva
l’ora di portare il trenino a casa. Chissà, forse era il suo compleanno. Magari
quella sera suo padre sarebbe tornato con una torta al cioccolato.
Harry riprese a camminare. Se lo
ricordava bene, il peso del corpo di Piton tra le
braccia. Quando aveva visto i suoi occhi chiudersi e aveva dato a Hermione la fiala coi suoi ricordi, prendendolo di peso,
portandolo al sicuro. Correndo, correndo contro il tempo. Salvandolo.
Lui lo aveva capito, alla fine, che
qualcosa di buono in quell’uomo fatto di ghiaccio e rancore era rimasto. Piton, di lui, invece, pensava ancora tutto il male del
mondo. Un crampo attanagliò per un momento lo stomaco di Harry. Si ritrovò a
sperare nel contrario. E nella sua mente si affacciarono gli occhi neri di lui
e quei capelli corvini che quel giorno gli incorniciavano il viso quasi con
grazia. Sembrava un uomo nuovo e Harry si sentiva, ahilui,
terribilmente curioso di conoscerlo.
Trascorse tutte le ore restanti a
zonzo per Diagon Alley,
senza quasi accorgersi che la moneta di Hermione
bruciava nella tasca dei pantaloni Babbani che
indossava. Ci fece caso solo quando il cielo era ormai scuro e vi gettò
un’occhiata:
?
– bacio da h e r
Rispose con parole molto scarne, poi
guardò l’orologio da polso. Era quasi l’ora. Tornò indietro e, arrivato alla
bottega, si appoggiò al muro sul livello della via che correva oltre la porta
incassata del negozio di Piton. Dovette attendere
solo una decina di minuti prima di vedere la porta aprirsi e Piton che salutava Elena, guardando poi verso Harry. Come
se avesse spiato dalle finestre buie, cercandolo. Lo fissò e Harry rispose al
suo sguardo. Poi vide come le pupille di Piton
scivolavano su di lui, studiandolo in tutta la sua figura. Harry si sentì
arrossire, suo malgrado, e nonostante sperò di non farlo notare, Piton se ne accorse e fece un sorriso intimidatorio prima
di sparire di nuovo nel negozio. La serratura magica, con pesanti tonfi, si
chiuse.
«Buonasera» disse Elena,
raggiungendo Harry. Lui spostò lo sguardo dalla porta a lei, un po’ a disagio
dopo quegli sguardi. La donna però non diede peso alla sua espressione,
prendendolo a braccetto.
«Mi offri la cena?» chiese. Harry
annuì.
«Certamente» rispose, la voce bassa.
Maledetta strega oscura, maledetto Piton, maledetta Hermione. Avrebbe chiesto di essere rimborsato, alla fine
della questione.
Come se non fosse bastato il tempo
speso sopportando Harry Potter finora, nei giorni che seguirono Severus Piton dovette rendersi
conto che la vita aveva deciso di riportare nei suoi giorni, ormai
splendidamente monotoni, quel ragazzino pieno di sé che sperava di non dover
vedere mai più. Qualcosa, però, lo frenava dall’esserne del tutto annientato.
Pareva che il ragazzo avesse fatto amicizia con Elena e, anche se il rapporto
tra loro non lo interessava minimamente, poteva immaginare che qualcosa di più
si preparasse ad accadere tra loro. La cosa non lo stupiva. Lo infastidiva,
però, perché sapeva il rapporto di sinonimia assoluta tra “Potter” e “guai” e
lui si era beato di aver trovato, finalmente, una collaboratrice decente.
Non era stupito però, quindi, perché
Elena era davvero bellissima. Non lo aveva notato prima di vedere lei e Potter
conversare nel suo negozio – non gli era minimamente interessato – ma ora
vedeva i suoi capelli biondi, i suoi occhi grandi, la risata cristallina.
Vedeva però anche qualcosa che quell’ingenuo di Potter di sicuro non aveva
notato, cioè la sua profonda vena malvagia, ma non sarebbe stato che divertente
vedere come questo lato di lei avrebbe influito nella loro relazione. Era un
lato ben nascosto, che non si mostrava quasi mai, ma lui poteva vederlo
perfettamente.
Di Harry, invece, lui la bellezza
l’aveva notata subito. Non lo vedeva da quando aveva lasciato la sua stanza al
San Mungo, un’eternità prima. Dopo che lo si erano scambiati un paio di parole,
dopo che Severus lo aveva addirittura ringraziato. Ed
era cambiato molto, da quel giorno: ora era un uomo in tutto e per tutto. Aveva
perduto del tutto i tratti morbidi dell’infanzia e anche quelli acerbi
dell’adolescenza se ne erano andati. E, sorprendentemente, aveva lasciato anche
tutte le terribili somiglianze coi suoi defunti genitori: era, ora, davvero
Harry Potter. Non più il figlio di Lily e James.
Quando lo vedeva arrivare, quindi, Piton non se ne fuggiva nel retro, le poche volte che girava
per il negozio. Si salutavano freddamente, si osservavano come animali
costretti a condividere il territorio. Ma una tacita amnistia vigeva tra loro e
grazie a quella i loro sguardi poterono farsi via via
meno nascosti, finché Piton non dovette prendere
coscienza del fatto che quel giovane dipendente del Ministero, che aveva
evidentemente qualcosa da nascondere, aveva, su di lui, una certa influenza.
Il che lo terrorizzava.
Non era, dicevamo, nulla che
c’entrasse col vecchio sentimento per Lily, anzi, quello, dopo la Guerra,
sembrava essere rimasto nella carcassa del vecchio Severus
Piton che era rimasta chiusa in una tomba di
silenzio. Ora il Pozionsta si sentiva libero di non
vergognarsi più di se stesso, libero di non pensare più a quella ragazza da
tempo sepolta, libero di non guardare più troppo insistentemente il Marchio
Nero sul proprio braccio. Era, quindi, ancora peggio. Perché questo significava
che Harry Potter lo attraeva, non il ricordo di qualcun altro, non la nostalgia,
no, proprio lui.
Come se vederlo per pochi minuti al
giorno fosse abbastanza per dimenticare tutto quello che era stato… tutto quello che erano stati.
«Severus»
L’uomo si riscosse, lasciando la
presa sui suoi pensieri. Elena lo guardava con un sorriso.
«Sì?» fece lui. Si raddrizzò. Stava
macinando una preziosa radice di rosa del deserto prima di cadere nei meandri
della propria mente.
«Scusami, volevo solo sapere se ci
sono novità per la mia ricompensa»
Severus guardò la donna, sondandone
l’espressione. Poi chiuse con violenza la porta della propria mente e sorrise a
sua volta.
«Scusa, Elena, purtroppo il
viaggiatore a cui devo chiedere non è ancora arrivato. Sono certo che tra pochi
giorni sarà a Londra»
Elena annuì, nascondendo la
delusione.
«Grazie mille, Severus,
io…» iniziò a dire, ma l’uomo alzò la mano.
«Per la figlia di Sofon questo ed altro» l’interruppe.
La donna abbassò la testa, tornando
al suo posto, nel negozio. Il sorriso scolorò dalle labbra di Severus mentre riprendeva a macinare la radice.
Poi, lentamente, un pensiero curioso
si fece strada nella sua mente.