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Autore: Luxanne A Blackheart    19/11/2017    1 recensioni
"Noi due siamo uguali, anche se diversi, Zafiraa. Siamo uguali perché siamo stati rinnegati. Siamo diversi perché distruttivi in modo differente: tu come la neve, io come il fuoco."
Zafiraa ha diciotto anni e due problemi. È albina e una piratessa, una delle più temute ed odiate dei sette mari. Fattori questi che rendono il sopravvivere,  in una società fortemente maschilista e  superstiziosa, molto difficile.
Zafiraa ha un rivale che cerca di catturarla, direttamente imparentato con il sultano, che la vuole morta dopo il torto subito.
Ma non appena le loro spade affilate si incontreranno, capiranno di essere due animi affini i cui destini e passati sono fortemente collegati fra di loro.
Sono neve e fuoco.
Sono rinnegati dalla stessa terra.
Sono un uomo e una donna che non hanno un posto nel mondo e che cercheranno di crearselo. Insieme, separatamente, chi può dirlo?
L'importante è che due occhi verdi da cerbiatta e capelli rossi come il fuoco non muovano le carte in tavola, girandole a proprio favore. Perché il tempo passa per tutti, ma le abitudini restano.
Segreti mai rivelati, bugie, odi repressi e amori proibiti e immorali... siete pronti a rientrare a Palazzo Topkapi e vivere una nuova avventura?
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
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“Alla mia preziosa amica, la mia esistenza, la mia sultana, colei che conserva sempre i miei segreti,  il mio primo e unico amore. La  più bella tra le belle, la mia primavera, il mio amore pieno di gioia. Il mio giorno, il mio cuore, la mia sultana ridente. Oh tu che sei il mio prato, il mio fiore più bello e profumato. L’unica che non mi fa pesare nulla, l’unica che non mi angoscia, la mia Istanbul, la mia Anadolia, la mia Bagdad, la mia Damasoco, la mia terra




Era un brutto giorno per partorire, lo sapeva, lo sentiva, l'aveva intuito per tutto il giorno, ma non aveva potuto farci nulla. Il bambino voleva uscire e lei non avrebbe potuto negarglielo, per quanto avesse paura, poiché il primo. Per tutto il giorno si era sentito l'odore della pioggia e l'elettricità aveva riempito tutto l'ambiente circostante.
Era entrata in travaglio all'improvviso e tutti a Palazzo erano impazziti, correndo a chiamare il Guaritore, il Gran Visir, l'unico presente al momento, poiché il sultano era partito per una breve gita con la sorella.
-Hurrem Sultan, sta per partorire! - Urlavano le serve, affaccendate tra le mille commissioni da svolgere, gli asciugamani e l'acqua da portare. Le urla della sultana si udivano per tutto il castello e il Gran Visir aveva lasciato il trattato che stava scrivendo, per correre nelle stanze della ragazza, perché a quei tempi era solamente una ragazza. Troppo piccola per poter diventare madre, ma troppo grande per aspirare a qualsiasi altra cosa.
Ibrahim era entrato di corsa nelle stanze dei sultani, aveva spalancato la porta, pallido e sconvolto, con i capelli neri sparati in tutte le direzioni e lo sguardo come spiritato. Stava per diventare padre, Hurrem se ne rendeva conto, ma non avrebbe potuto rivendicarlo come suo figlio, poiché Selim pensava fosse suo.
Quando lo vide entrare, fu come se tutto il dolore sparisse all'improvviso e ci furono solo loro due, come sempre era capitato e come sempre sarebbe successo. Il suo Ibrahim si schiarì la gola, andandole incontro e sedendosi accanto a lei, la cinse per le spalle, mentre intrecciò le dita alle sue. Roxelana, perché era così che voleva essere chiamata quando era in sua compagnia, poggiò la testa sulla sua spalla e strinse le mani del suo amante, del padre del suo primo figlio e spinse. Notò il Guaritore distogliere lo sguardo dai due e le due serve che assistevano guardarli storto, ma non le importò. Doveva solamente espellere quella cosa dal suo grembo.
Nacquero insieme, Zafiraa e Mehmed, mano nella mano. Tirarono fuori prima lei e poi lui e nessuno riuscì a separarli subito. Si tenevano le manine paffute con forza, Mehmed piangeva e Zafiraa aveva aperto subito gli occhi e sembrava stesse guardando male il Guaritore e le serve.
Li aveva guardati e si era sentita orgogliosa di se stessa. Lei e Ibrahim li avevano tenuti e cullati per qualche minuto, l'uomo aveva addirittura pianto, guardandoli dormire vicini. Poi si era come svegliato e aveva detto: - Non possiamo tenerli entrambi. -
-Cosa, perché?! -
-Sono gemelli, un maschio e una femmina. La legge dice che due gemelli non possono essere eredi diretti per il trono, uno di essi dovrà essere ucciso e considerato che c'è una femmina, uccideranno lei. Devo portarla via, Roxelana, non possono uccidere mia figlia. -
Il Guaritore aveva tossito. Per un momento si erano dimenticato della sua presenza.
-Non direte nulla al sultano. Vi pagherò il triplo e darò una terra per il vostro erede. Quando il sultano giungerà qui, dovrete dirgli che ha un erede maschio al trono, in salute. Sono stato abbastanza chiaro? -
-Sì, mio Gran Visir. Ma se posso chiedere, cosa ne farete della bambina? Non potete uscire con lei da qui, vi vedranno. -
-Ho già un piano, non preoccupatevi. Andate, per cortesia, a farmi sellare un cavallo. Il mio, quello più veloce. Il sultano starà per arrivare, l'ho mandato a chiamare. -
Il Guaritore annuì, inchinandosi prima di uscire dalla stanza.
Ibrahim le strappò dalle braccia la bambina, aveva il dolore negli occhi. Roxelana, che tra le braccia aveva ancora Mehmed, si sporse per vedere il suo piccolo viso paffuto venire nascosto da una spessa coperta. Mehmed cominciò a piangere, non sentendo la presenza della sorella e la rossa cercò di consolarlo in tutti i modi possibili, senza riuscirci.
-Non doveva andare così, Ibrahim. Non possiamo mandarla via così, è nostra figlia.-
-Sarà al sicuro con Drake e Fiammetta, Roxelana, te lo giuro. Crescerà lontano, ma sarà viva e potremmo andare a farle visita ogni volta che vogliamo. -
-Ma non saremo noi i suoi genitori! -
-Lo so, ma non abbiamo altra scelta. -
Ibrahim si chinò, stampò un bacio sulle labbra dell'amata e sulla testolina del figlio maschio e corse verso uno dei passaggi segreti, sparendo subito dopo.
Quello fu il giorno in cui seppellì sua figlia.






Hurrem non si riusciva più ad alzare dal letto. In seguito alla morte dei due figli la sua malattia era avanzata e sembrava stesse realmente affogando nel suo sangue, così come le aveva predetto la strega tempo addietro.
Stava male, ma non sapeva dire se fosse più psicologicamente o più fisicamente. Piangeva, le lacrime le scendevano anche contro la sua volontà e ripercorreva tutta la vita passata con Bayezid e soprattutto con Mehmed, il suo piccolo bimbo malato. Sembrava che su di lei ci fosse una maledizione che le faceva seppellire tutte le persone amate. Perdere un figlio era come perdere una parte di sé, era orribile, doloroso come poche cose. Aveva perso una madre, un padre, le sue sorelle, il suo amato, ma niente era comparabile a ciò che stava provando in quel momento. Aveva perso due elementi che formavano la sua anima e il suo cuore, aveva perso coloro a cui aveva insegnato a camminare, coloro a cui aveva insegnato a parlare, coloro a cui aveva insegnato a leggere, coloro a cui aveva dato la vita. Quando si perde un figlio, nulla ha senso. C'è solo il nulla, un nulla che nemmeno gli altri figli riescono a riempire.
Ibrahim comparve all'improvviso, le si parò davanti, proprio come faceva quando la malattia si faceva sentire o quando lei aveva bisogno di lui. I raggi del sole gli passavano attraverso e Hurrem faticava a guardarlo; la sua figura appariva confusa: era lì, ma era come se non riuscisse a vederlo. Era un ricordo che stava morendo nella sua memoria. Con il passare degli anni i suoi contorni si erano affievoliti poco alla volta, rimanendo una persona con i capelli neri, gli occhi penetranti e dal colore indefinito e la voce che cambiava a seconda delle occasioni. Neanche lui era il suo eterno Ibrahim, era solo un qualcosa che era stato e che presto l'avrebbe abbandonata.
-Perché lo hai fatto, amore mio? - Ibrahim le si avvicinò, le cinse le spalle con le braccia e la baciò fra i capelli.
Roxelana chiuse gli occhi e sorrise, inghiottendo la tosse e il sangue. Niente doveva rovinare quel momento.
-Fatto, cosa? -
-Perché hai detto a Bayezid cosa stavano per fare Zafiraa e Mustafà? Perché hai rinnegato nostra figlia, ancora una volta? -
-L'ho fatto per i miei figli, Ibrahim. Non potevo andarmene senza dar loro un futuro. -
-Nostro figlio è morto per colpa tua, Roxelana. Quante volte vorrai uccidermi, prima di essere felice? -
-Ma io non avrei mai voluto che al mio bambino capitasse qualcosa di male. Sai, lo capisci, che per me sono tutta la mia vita? - Adesso piangeva. Era tutta colpa sua! Se non avesse detto niente a Bayezid, se fosse stata al posto suo, tutto quello non sarebbe accaduto. E lei avrebbe ancora i suoi bambini.
-Lo so, rossa, lo so. Ma ciò che hai fatto ha causato tanto dolore e tu adesso stai morendo. -
-Ma io non posso andarmene. Mustafà è ancora in vita. -
-Non è una cosa che ti riguarda. -
-Ma... -
Ibrahim si alzò, la guardò e le sorrise. Le pulì il lato della bocca, ancora sporco di sangue e le disse: - Il mio tempo qui è finito. Ho vegliato su mia figlia, sapendo che Mehmed fosse al sicuro con te, e non c'è altro che io possa fare. Devo andare da lui, da Alexandros, Drake e Fiammetta, mi aspettano. Tu che cosa fai, Roxelana, vieni? -
La sultana dell'impero ottomano sorrise, afferrando la mano che l'ex Gran Visir le aveva allungato e si lasciò guidare. Ad un tratto i lineamenti confusi divennero più chiari e poté finalmente ammirare ancora una volta il bellissimo viso del suo grande amore. Capelli corvini e mossi, occhi di un verde-castano, felici, caldi, come non se li ricordava, alto, bellissimo, semplicemente Ibrahim. Era vestito come il primo giorno in cui si erano incontrati, con un completo viola, ma senza turbante.
Lei, invece, non aveva più il lussuoso vestito da sultana, ma una semplice camicia da notte tutta bucherellata e sottile.
-Sei tornata come ti ricordavo, mia amata Roxelana. -
Si guardò nei suoi occhi e si riconobbe. Di Hurrem non c'era più traccia: adesso era solamente Roxelana, una semplice ragazzina che non sapeva nulla della vita, fin troppo magra e piatta e dai capelli rosso fuoco.
Era Roxelana, una ragazza fin troppo fortunata.
Era solo Roxelana e lui solo Ibrahim. Due anime che dopo vent'anni si erano incontrate e che si sarebbero sempre incontrate.






Palazzo Topkapi si era trasformato in un cimitero. Ogni membro della famiglia reale stava morendo e il sultano, in seguito alla morte dell'amata Hurrem, era impazzito. Non ragionava più, beveva solamente e restava chiuso nelle sue stanze. Quelle poche volte che usciva, lo faceva per andare a trovare la tomba della moglie. Era passata una settimana e si chiedevano chi fosse il prossimo, mentre Mustafà restava ancora rinchiuso e sigillato nelle segrete, da solo e senza l'amore della sua vita.
Si chiedeva dove fosse, Zafiraa, che cosa stesse facendo, se fosse arrivata sana e salva in Danimarca e se il suo amico Jens l'avesse accolta come avrebbe fatto con lui. Erano tempi pericolosi, soprattutto per una donna incinta. Era preoccupato Mustafà, nostalgico. Ma non aveva paura di perdere la vita, se questo avrebbe significato tenere al sicuro la sua famiglia.
Avrebbe preferito andarsene lui, che vedere sua moglie o suo figlio morire.
Non avevano scelto nemmeno i nomi da dare ai loro figli, non avevano potuto gioire abbastanza, non avevano potuto neanche pensare a come sarebbe stata una vita insieme. Avrebbero litigato, si sarebbero scannati, questo è sicuro, ma sarebbero stati felici, nel loro piccolo angolo di paradiso.
Mustafà sorrise, asciugandosi una lacrima. I veri uomini non piangevano mai, così diceva suo padre, ma voleva proprio vederlo adesso che aveva perduto la moglie, se stesse piangendo o meno.
Con Zafiraa aveva imparato molte cose: aveva imparato a sacrificarsi, a mettere da parte l'orgoglio, a sorridere, ad amare, a capire cosa sia giusto o sbagliato, a mettere da parte i suoi pregiudizi, ad essere felice, a trovare il suo posto nel mondo. Con Zafiraa aveva imparato cosa voleva dire vivere.
Suo padre comparve all'improvviso, questa volta era da solo. Lo guardava, ma senza guardarlo del tutto. Era lì, ma era anche come se fosse da qualche altra parte.
Si osservarono a lungo e a Mustafà sembrò di vedersi tra vent'anni, da solo, senza Zafiraa. Suo padre era il suo fantasma futuro, era ciò che sarebbe diventato e lui, suo figlio, era ciò che era, prima di conoscere il dolore.
Era l'uno l'ombra dell'altro.
-Le mie condoglianze, padre. -
Il sultano scosse la testa, una piccola lacrima gli scese sul viso invecchiato.
-E' tutta colpa tua, tutta colpa tua. Lei è morta per colpa tua, Mustafà, figlio rinnegato e ingrato. Lei è morta perché tu hai preferito una serva a me. Lei è morta per colpa tua ed è giusto che tu faccia la sua stessa fine. -
-Sappi padre, che tutto ciò che ho fatto è stato per salvare il mio regno. Tu eri troppo accecato per vedere le cose come stavano, tua moglie era una manipolatrice e tu da bravo babbeo ti sei fatto abbindolare. Potrai anche uccidermi, ma il tuo regno nelle mani dei tuoi figli andrà allo sfacelo. -
-E' il mio regno, io decido chi sarà il mio successore, possa egli essere anche un cavallo. Tu, Mustafà Sultan, non sei degno di questo titolo e oggi muori come traditore, muori come fratricida, muori da solo. -
-E così sia, padre. Non solo ti sei macchiato le mani con quelle di un fratello, ma anche con quelle di un figlio. Uccidimi, ma ci porterai sulla coscienza per l'eternità. -
-Senza Hurrem niente ha senso. -
-Senza Zafiraa il mondo è senza valore. Vedo che su una cosa siamo d'accordo. -
Mustafà lo guardò, deglutendo. Accettava il suo destino, questo è vero, ma sperava che la sua morte fosse indolore. Venire ucciso da un padre, da colui che ti aveva dato la vita, era la più orribile delle punizioni. Guardò in alto, pronunciando una piccola preghiera ad Allah, non che Egli avrebbe potuto aiutarlo più di tanto, ma per proteggere la sua famiglia.
-Addio, figlio mio. -
Selim lo guardò un'ultima volta, prima di dileguarsi. Subito dopo comparve un eunuco, che aprì la cella, vi entrò, estrasse la spada dalla fodera e senza ripensamenti o esitazione, affondò la lama nelle carni del principe Mustafà, facendola uscire dalla parte opposta.
Il suo corpo venne abbandonato in quella cella, da solo, senza nessuno che avrebbe potuto mai compiangerlo. Mustafà sputò sangue dalla bocca, mentre si dissanguava lentamente e le sue funzioni vitali smettevano di lavorare poco alla volta.
Morì, ripensando a tutti i suoi momenti felici.
Morì, pensando al bel viso della sua amata.
Morì, da solo, con gli occhi aperti e vuoti e una piccola lacrima al lato dell'occhio scuro.






“Mio signore e mio sultano da più di un mese ormai, non ricevo più notizie dal mio amato sultano. Non conosco più il significato del riposo senza poter contemplare il tuo volto tutti i giorni. Passo le mie notti e le mie giornate a piangere disperatamente la tua assenza. Il mondo ai miei occhi non vale più nulla senza il mio sultano. Ho perso ogni speranza mentre sei lontano da me. Sto aspettando di rivedere il tuo dolce volto impazientemente
   
 
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