La ragazza è inerte, sdraiata sul letto, avvolta nelle coperte e riparata dal freddo autunnale. È sveglia, ma rimane immobile. Nella sua testa, un’altra ragazza è circondata da un vuoto oscuro, pareti nere di una prigione che si è creata da sé. Tira pugni contro il muro, in preda a una rabbia cieca, irrazionale.
Un altro.
E un altro ancora.
Continua così finché le nocche non le sanguinano e le fanno talmente male da volersi amputare la mano. Si lascia cadere in ginocchio, poi si abbandona completamente. Una parete alle sue spalle si protende verso di lei per fornirle un appoggio.
La ragazza è abituata a non avere il controllo, non ci fa neanche caso all’autonomia della propria prigione. Si stringe le nocche per placarne il dolore pulsante che si irradia fino ai polsi, e si lecca i dorsi delle mani: il sapore dolce e ferruginoso del suo sangue le piace e la stomaca, la avvilisce e la inebria. Si nutre di un’energia che possiede già: crede di assimilare forza, quando in realtà ricicla solo quella che già ha in corpo.

Con la testa pigramente appoggiata al muro, tenta di formulare una frase con il tono più forte possibile, aspro come solo la verità sa essere, rivolgendosi alla propria carceriera.

- Mi hai lasciata in sospeso. –

La ragazza nel letto, quella che dovrebbe alzarsi e iniziare a vivere fuori dalla propria testa, non sente nemmeno l’accusa. Se anche l’avesse fatto, avrebbe semplicemente sorriso amaramente per l’ironia di quelle parole.

- Fammi uscire. Ti prego. –

Nessuna risposta.

- Perché non vuoi liberarci? –

Silenzio. Non le risponde nemmeno il proprio eco.

-  Sei solo un’idiota… -

L’ultima frase è un mormorio. La ragazza nella testa non sa più come fare.
Se lei si arrende, la ragazza nel letto diventerà un banalissimo guscio vuoto.

Come gli altri?

Sì, come gli altri…