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Autore: Stella Dark Star    20/11/2017    0 recensioni
Da quando la sua gemella si è fidanzata con Henry Green, Jacob si sente come un guscio vuoto. Il fatto di vivere assieme alla coppia nella casa sopra la bottega di curiosità a Whitechapel, più che un conforto è una condanna, per questo Jacob passa i giorni a bere nei pub, a giocare a carte e a mettersi nei guai. Almeno fino a quando non incontra Arthur, ragazzo dal viso angelico che fa lo sguattero in un pub. La conoscenza tra loro diventa subito amicizia, per poi evolversi in un sentimento che la società non approverebbe mai. Ma ecco che l’entrata in scena di Amanda, vicina di casa di Henry tornata in città dopo due anni di assenza per studiare arte a Parigi, mette in subbuglio la sua vita! Nonostante sia sicuro del proprio sentimento per Arthur, desidera Amanda profondamente, quasi in modo maniacale, complici le piccanti attenzioni che lei gli rivolge. Una serie di scoperte agghiaccianti lo aiuteranno a prendere una decisione e una tragedia farà finalmente di lui un uomo migliore, oltre a spingerlo ad essere un buon Maestro per il piccolo Jack...
L'anello di collegamento (in versione romanzata!) tra Syndicate e Jack lo squartatore.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Evie Frye, Jacob Frye, Nuovo personaggio
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Troppi nodi nella matassa
 
Evie sbirciò all’interno della stanza del fratello e, constatando che tutto era in ordine e il letto non era stato toccato, il suo volto s’illuminò di contentezza. Tornò immediatamente nella propria camera da letto e disse raggiante: “Jacob non è rientrato!”
Henry, di fronte allo specchio a figura intera, intento a sistemarsi a dovere la tunica indiana, le lanciò uno sguardo di sospetto attraverso il riflesso: “Di solito lo odi a morte quando resta fuori la notte senza avvisare.”
Lei, deliziosa dentro la camicia da notte e coi capelli sciolti sulle spalle, gli andò incontro  a passo di danza: “Di solito passa le notti a bere e a combinare guai, invece, sapendo che ieri lui e Amanda sono usciti la mattina e non sono più tornati…” Gli portò le braccia al collo e lo baciò. Schioccò le labbra contro le sue due volte, prima di terminare la frase: “Direi che l’ovvia conclusione è che hanno trascorso la notte insieme.”
Henry accennò un sorriso: “Sono contento che Amanda ti piaccia. Confesso che ho temuto saresti stata gelosa, per via della nostra confidenza, invece hai saputo cogliere il meglio di lei.”
Lei sollevò un sopracciglio: “Io non sono gelosa!”
“Ah no? Allora sai cosa ti dico?”
Stavolta fu lui a baciarla, la strinse a sé con dolcezza e poi con le labbra cominciò a scendere seguendo un tragitto fino alla scollatura della camicia. Quindi sollevò un istante il viso per dire: “Questa mattina la bottega aprirà più tardi.” Immerse il viso fra i suoi seni, strappandole delle risatine divertite. Divertite, perché convinta che si sarebbe fermato per porre fine allo scherzo. Invece poi sentì la sua lingua stuzzicarle una mammella, contemporaneamente le sue mani le afferrarono le natiche con gesto possessivo. Adorava quei suoi slanci di lussuria. Le scaldavano il sangue nelle vene a tal punto che avrebbe potuto essere scambiato per lava incandescente. Lo lasciò fare, percepì il calore della sua lingua spostarsi verso il basso, attraverso il tessuto della camicia. Una volta in ginocchio, Henry le sollevò una gamba che poi si portò attorno alla spalla, ed ecco che con le labbra andò a stuzzicare il suo punto più delicato, fra le morbide pieghe rosa della sua intimità. Evie gettò il capo all’indietro, gemendo per il piacere. Era così eccitata che con la mano andò ad afferrargli una ciocca di capelli e tirarla solo per il gusto di farlo. Da quando vivevano insieme e da quando condividevano lo stesso letto, lei e Henry avevano imparato a darsi piacere giorno dopo giorno, scoprendo tutti i reciproci punti delicati e il modo in cui stimolarli. Anche se nessuno dei due aveva avuto un amante, erano comunque riusciti ad imparare tutto ciò che era necessario, esplorandosi tra le lenzuola. Tutto entro i limiti, s’intende. Per quanto Henry desiderasse renderla sua, lei lo aveva sempre fermato. Magari quel mattino, visto che Evie sembrava essere particolarmente bendisposta, poteva concedersi di fare un tentativo. Si rialzò in piedi, interrompendo repentinamente quello che stava facendo. Evie lo guardò con occhi languidi, la mente intorpidita dal piacere. Sì, forse era il momento buono. La sollevò per i fianchi e andò a posarla sul materasso, dove poi salì in ginocchio. Si tolse la fascia dalla vita e, velocemente, infilò una mano negli ampi pantaloni bianchi per estrarre il membro eretto. Era una vista interessante, nessuna obiezione, peccato che ad Evie fu fin troppo chiaro che cosa avesse intenzione di fare con quello. Spaventata, neanche si fosse trattato di un serpente velenoso, balzò e si spostò all’indietro per allontanarsi da lui.
“Henry, non è il momento. Dobbiamo andare ad aprire.” Era davvero una vigliacca.
Lui sfoggiò un’espressione contrariata: “Stai scherzando, vero? Stavamo per fare l’amore!”
Evie, giusto per sicurezza, si affrettò a portarsi le ginocchia al petto. Il suo sguardo sembrava dire “Oggi l’unica bottega chiusa sarà la mia”. Il che contribuì a fargli passare la voglia.
Arrabbiato, Henry scese dal letto e si risistemò gli abiti. Le lanciò un’occhiata di rimprovero, ma questo non bastò a placare il fuoco che aveva dentro: “Che cosa dovrei pensare? E’ così disgustosa l’idea di farlo con me?”
“No, Henry. Il problema non sei tu. E’ solo che…” Doveva dirglielo. Era il momento. Ora. Immediatamente. Prese respiro, lo guardò negli occhi e… Niente, non le uscì una sola parola dalle labbra. Non ce la faceva, era più forte di lei. Provava così tanta vergogna per la sua paura irrazionale che non riusciva a parlarne con lui. Nel vederlo sollevare le braccia, indicandola come un fenomeno da baraccone, si sentì mortificata.
“Io non ti riconosco più.” Lasciò cadere le braccia, scuotendo il capo tristemente: “Credevo che mi amassi e che volessi un futuro con me.”
“E’ quello che voglio infatti!” Evie era sincera in questo e quasi non poteva credere che lui dubitasse del suo amore. Dio del cielo, il loro rapporto era incrinato fino a questo punto?
“Quello che so, Evie, è che sei cambiata. Il giorno in cui hai riposto tunica e armi nella cassapanca, hai messo via anche la tua personalità. Non che io ti disprezzi, sia ben chiaro. Amo averti al mio fianco nel lavoro, amo il tuo vivace interesse per la cucina e amo vederti elegante la domenica. Però…” Fece una pausa, il suo sguardo si fece triste: “Però tu non sei solo questo. E temo che questa nuova versione di te sia anche la causa per cui hai tanta paura di concederti a me.” Fece per andarsene, ma poi si fermò sulla soglia: “Io ti amo Evie e voglio credere che anche tu provi ancora lo stesso sentimento per me. Però vorrei che pensassi a cosa vuoi davvero.” E solo allora uscì dalla stanza.
Evie ascoltò i suoi passi scendere le scale. Si sentiva così sola adesso. Chinò il capo e andò ad appoggiare la guancia contro le ginocchia che ancora teneva strette al petto.
“Non lo so più.” Bisbigliò a se stessa, mentre una lacrima le faceva capolino dalle ciglia.
*
Non c’era bisogno di forzare la serratura e controllare all’interno, Jacob sapeva che Arthur la chiudeva a chiave solo quando usciva. Ma se non era lì al pub significava che avrebbe dovuto cercarlo per tutte le biblioteche della città? Gli vennero le vertigini al solo pensiero, ma non avrebbe rinunciato proprio adesso che si era deciso a parlargli. Cioè, a scusarsi con lui per non essersi presentato all’appuntamento, non di spiegargli il motivo. Si portò una mano alla nuca per darsi una grattatina, inseguendo un ragionamento. Presumibilmente, Arthur era arrabbiato con lui, perciò...difficilmente avrebbe trovato la concentrazione per leggere un libro, quando invece era più probabile che fosse andato nell’unico luogo dove poteva ritrovare il sorriso sempre e comunque. L’Orfanotrofio di Babylon Alley.
Infatti lo trovò proprio lì, nella grande sala dei giochi dove i bambini trascorrevano buona parte della giornata, ad eccezione di quelli un po’ più grandi a cui veniva insegnato a leggere, scrivere e fare di conto per un totale di quattro ore giornaliere. Fermo sull’uscio, Jacob poté godersi la vista di Arthur che giocava coi soldatini di piombo assieme al piccolo Jack. Quel bambino si meritava davvero un amico speciale come Arthur, dopo tutto il dolore che aveva vissuto. Jacob ricordava ancora vividamente il giorno in cui lo aveva trovato a Lambeth. Per terra c’era una pozza di sangue che sembrava divorare il pavimento, e lì, il piccolo era chino sul cadavere della madre e le stava accarezzando i capelli. Un’immagine che gli aveva stretto il cuore in una morsa. A quanto aveva poi scoperto, la madre era l’unica sua parente in vita e per questo le era stato concesso di tenere con sé il figlioletto nel luogo in cui veniva curata. Curata in senso ironico, perché in realtà veniva usata anche lei come cavia per gli esperimenti degli uomini di Starrick. Dopo l’intrusione di Jacob, molti pazienti vennero crudelmente eliminati senza un apparente motivo e tra quelle povere persone c’era anche la madre di Jack. Fu lui stesso a prenderlo e portarlo via da lì, per poi affidarlo all’Orfanotrofio dove poteva avere una possibilità per crescere sano e magari trovare una nuova famiglia. Jacob era rimasto sbalordito dall’incredibile coincidenza che, fra tutti i bambini, Arthur avesse preso maggiormente a cuore proprio Jack. Voleva bene a tutti e giocava con tutti, però ritagliava sempre un pezzetto di tempo per stare con il piccolo Jack, il quale aveva cominciato a chiamarlo ‘fratello’ o ‘fratellone’. In realtà anche Jacob aveva tenuto gli occhi su di lui, nel corso dei mesi. Non era stata solo la pena a spingerlo ad aiutare il bambino, lo aveva fatto anche perché nei suoi occhi aveva visto qualcosa che gli ricordava se stesso. Una sfumatura particolare, di chi non si arrende nonostante tutto perché continua a credere che le cose miglioreranno. Il suo sesto senso gli diceva che forse Jack avrebbe potuto fare cose importanti, una volta cresciuto. Chissà… E mentre pensava questo, ad un tratto si rese conto che i grandi occhi castani si erano posati di lui. Un ampio sorriso si disegnò sulla faccia del bambino e poi la sua vocina squillante gridò: “Jacob!”
Nel sentire il nome, Arthur volse il capo di scatto. Non sembrava affatto contento di vederlo. Ahi ahi.
Jacob salutò il bambino e gli spettinò i capelli in quel modo che lo faceva tanto ridere. Qualche parola per chiedergli come stava e se era sempre un bravo ometto e poi arrivò la parte difficile.
Lui e Arthur lasciarono l’Orfanotrofio insieme, o meglio, Arthur s’incamminò  senza guardarsi indietro e Jacob dovette accelerare il passo per stargli dietro.
“Arthur, per favore! Ti ho detto che mi dispiace! Non possiamo parlarne da persone adulte?” Lo supplicò. Quell’ultima frase ebbe effetto, infatti Arthur si fermò di colpo e lo apostrofò severamente: “Persone adulte? E secondo te è da persone adulte disertare un impegno? Non ti sei fatto vedere, non mi hai fatto recapitare un biglietto o qualunque cosa per farmi sapere se stavi bene. Niente! E adesso vieni qui a blaterare?” I suoi occhi avevano il colore del cielo durante il temporale e a Jacob parve di intravedere anche il bagliore di un fulmine all’interno. Cosa ovviamente impossibile.
Impacciato, gesticolando per il nervosismo, cercò di districarsi da quelle accuse: “Non volevo farti preoccupare. Dico davvero. E’ che ho avuto da fare.”
“Da fare? E che cosa, di grazia?”
Divertirsi con Amanda, baciarla con passione, chinarsi fra le sue cosce. Dio quanto gli era piaciuto! Ma ora doveva pensare a qualcos’altro o non sarebbe finita bene con Arthur. Andò alla ricerca di qualcosa di credibile, ma sul momento non gli veniva in mente niente di sensato. O forse… Le spalle gli si abbassarono nel lasciare un lungo sospiro sconsolato: “Ho dovuto intrattenere un’amica del fidanzato di mia sorella, appena tornata in città. Lui ed Evie erano impegnati con la bottega e così hanno chiesto a me di tenerle compagnia. E’ stata una giornata pesantissima, in cui ho dovuto ascoltare inutili chiacchiere femminili senza sosta. Quando finalmente mi sono liberato, avevo un serio bisogno di riposare la mente e…mi sono addormentato.” Lo guardò con occhi colmi di tristezza e terminò: “Mi dispiace.”
Uno schifoso bugiardo, un doppiogiochista, uno sporco traditore. Ecco come definiva se stesso. Stava mentendo spudoratamente solo per rientrare nelle grazie di Arthur, e per di più offendendo Amanda che invece gli piaceva da impazzire. Ma che gli prendeva? In suo soccorso arrivò il Credo. Ricorda, nulla è reale, tutto è lecito. Quella regola era valida anche per le questioni sentimentali, no? Vide lo sguardo di Arthur farsi più dolce, forse aveva abboccato.
“D’accordo, ti perdono. Non riesco a restare arrabbiato con te.” Si guardò intorno per controllare che per la via non vi fosse nessuno e, tranquillizzato, stampò un bacio sulle labbra di Jacob. Il sorriso che gli regalò poi fu un dono ancora più prezioso. Si amavano, su questo non c’erano dubbi. E forse Amanda era solo un fuoco passeggero, a conti fatti. Ora che aveva fatto pace con Arthur gli sembrava tutto più chiaro.
“Arthur, tra due giorni è il mio compleanno e…stavo pensando, dopo aver festeggiato con mia sorella, mi piacerebbe raggiungerti e stare con te. Ovviamente ci penso io a chiedere a Charlie di darti un permesso di qualche ora. Che ne dici?”
Contrariamente alle sue aspettative, il volto di Arthur impallidì. Dovette schiarirsi la voce per riuscire a parlare: “Mi dispiace, Jacob, ma non posso proprio.”
Lui trasalì: “Cosa? Perché?”
“Vedi…quella sera ho un impegno. Devo fare l’aiuto cameriere per un uomo di una certa importanza e non posso assolutamente rifiutarmi.”
Questa era nuova. Jacob non aveva idea che i suoi servigi fossero richiesti al di fuori del pub. E addirittura da una persona importante.
“Di chi si tratta?” Chiese incuriosito.
Arthur si sentì stringere la gola, temporeggiò fino alla fine della via, per poi buttare fuori il nome come uno sputo: “Lord War.”
Lord War? Non gli era nuovo. Ma dove poteva averlo sentito? Concentrato nel tentativo di ricordare, si ritrovò quasi all’improvviso di fronte al pub. E, cosa strana, Arthur lo salutò con una certa fretta dicendo di avere delle cose importanti di cui occuparsi. Di fatto scaricato, Jacob prese a camminare senza meta per le vie, ripetendosi con la mente il nome di War. Era sicuro di averlo sulla punta della lingua ma… Un momento.
“Lord War, ma certo!” Il suo entusiasmo di spense subito nel ricordare il motivo per cui lo conosceva. Nel periodo della guerra contro i Templari di Londra, il nome di War era saltato fuori spesso. La sua squadra, i Rooks, glielo avevano nominato più volte. A quanto ricordava, quell’uomo era stato visto in compagnia di molti sostenitori di Starrick, ma nessuno era stato in grado di dirgli se fosse o no un Templare. Non erano state trovate prove, né sulla sua vera natura, né su eventuali secondi fini dei suoi affari. Era come una macchia pulita, per quanto la descrizione fosse assurda. Tutti sospettavano che fosse un tipo losco senza però riuscire a dire una sola cattiva azione che avesse commesso contro la città e i suoi abitanti. In ogni caso, ora che quel nome era ricomparso, Jacob si sentiva in dovere di andare più a fondo. Non era tranquillo all’idea che Arthur lavorasse per quell’uomo.
*
Dopo pranzo, Henry andò a casa di Amanda. Il suo intento era quello di sfogarsi e raccontare all’amica dei suoi problemi sentimentali. In fondo Amanda era una donna, una giovane donna di diciannove anni, e forse poteva consigliargli cosa fare. Peccato che quando la vide, si rese subito conto che lei era in uno stato peggiore del suo. Si accomodarono sul divano del salotto, dove nel camino scoppiettava un fuoco vivace.
“Dopo domani è il compleanno dei gemelli. Evie ha organizzato qualcosa per radunare gli amici più cari e si è raccomandata di dirti che tu fai parte di questa categoria.” Credeva che cominciare dall’invito avrebbe sciolto la tensione, invece a quanto pare si era sbagliato visto che Amanda aveva sorriso tristemente.
“Verrò. Per Evie che sembra tenerci molto. Se invece parliamo di suo fratello...dubito che gli importi qualcosa di me.”
Henry chiese di getto: “Perché dici questo? Che cosa è successo?”
Lei gli raccontò senza vergogna le vicende del giorno prima, per poi arrivare al nocciolo della questione: “Ormai ero convinta che avremmo passato la notte lì,  invece poi all’improvviso si è alzato e mi ha detto di rivestirmi. Sembrava turbato da non so che cosa. Siamo tornati a Whitechapel senza dire una parola e puoi immaginare il mio imbarazzo quando lui mi ha dato la buonanotte senza aggiungere altro, senza dirmi quando ci saremmo rivisti, senza sorridere. Solo un vuoto ‘buonanotte’ e poi è scappato via.” Per accentuare l’ultima frase, fece un gesto con la mano.
“Che Jacob è strano lo so da me, però mi da un bel pensare che anche lui come Evie si blocchi nel momento cruciale del rapporto fisico.” Disse pensieroso lui, quindi riportò lo sguardo su Amanda per anticipare la risposta alla domanda che lei stava per porgli: “Sì, hai capito bene. Te lo avevo accennato per lettera, se ricordi, e ora ti posso confermare che quei due hanno qualcosa che non va.”
Amanda invece sentenziò tristemente: “Nel mio caso, credo sia evidente che Jacob non abbia più interesse per me. Non so, forse sono stata troppo sfacciata o magari si aspettava una ragazza più mite. O forse ha solo visto nei miei occhi il mostro che sono.”
Henry le prese una mano e la strinse con affetto: “Amy tu non…” Lei lo interruppe, spalancando gli occhi sui suoi: “Io non cosa? Tu non sai che cosa ho fatto in questi due anni.”
“Stavi studiando a Parigi.”
Lei ridacchiò amaramente: “Sì. Studiando, certo!” Si alzò dal divano e andò di fronte al camino per darsi il tempo di elaborare il discorso: “Non mi conosci bene come credi, Jay. Tu conosci solo la ragazzina di tredici anni che aveva una cotta per te, quella che pendeva dalle tue labbra e che si divertiva a fare i tarocchi nel tuo negozio come se il futuro fosse davvero scritto su delle carte colorate! Ricordi l’ultima volta che ci siamo visti?”
Lui fece un cenno affermativo: “Sì. E’ stato dopo la morte di tua madre. Quel maledetto bastardo del tuo fratellastro Robert ha soggiogato vostro padre approfittando del dolore per la sua perdita e ha cacciato te e tuo fratello dalla tenuta. E voi siete venuti qui a Londra, in questa casa che ti era stata lasciata in eredità da una lontana parente.”
“Esatto.” Amanda si bagnò le labbra con la lingua, quindi riprese: “E’ stato due anni fa. Io e mio fratello ci siamo ritrovati soli e abbandonati. Lui, pur essendo il più piccolo, ha saputo reagire per primo. Ha trovato un lavoro, deciso a costruirsi un futuro. L’ho invidiato per questo.” Le ultime parole le uscirono roche, dovette schiarirsi la voce per proseguire: “Io non volevo essere da meno. Volevo anch’io una nuova vita. Ma non sapevo da dove cominciare. Mi sono svegliata un mattino con l’idea di andare a Parigi, di essere una piuma al vento nella città che più amo al mondo. Però sapevo che tu non me lo avresti permesso, così mi sono inventata la storia di voler partire per diventare studentessa d’arte. Ma non era vero.”
“Ovvio che non ti avrei lasciata partire! Non conoscevi nessuno in quella città, parlavi a stento la lingua! Ma come…?” Espirò spazientito: “Come hai fatto a vivere là per tutto questo tempo? Non avevi denaro.”
“Infatti. Avevo soldi solo per il viaggio e per pagarmi una stanza in una locanda per un paio di settimane. Un’altra cosa che tu non sai è che in quella locanda ho stretto amicizia con una prostituta.”
Henry si sentì raggelare. Non poteva essere vero. Non poteva credere che la sua amica fosse stata costretta ad arrivare a tanto pur di sopravvivere. Incapace di muoversi, come se qualcuno gli avesse messo dei pesi alle gambe, restò seduto sul divano a guardarla con occhi sbarrati.
“Ti prego, dimmi che tu non…”
Lei fece un segno netto col dito indice: “No. Non esattamente. Non sarei riuscita a fare quello che pensi. Però per vivere ho dovuto trovare un’alternativa. Immagino tu conosca il significato di ‘mantenuta’.” Lo conosceva, ovviamente, però non riuscì a rispondere. In ogni caso, lei proseguì nel racconto: “Mi sono trovata un amante, un uomo abbastanza ricco da potermi dare un appartamento tutto mio, vestiti, gioielli, il miglior cibo in tavola, oltre che portarmi con sé alle serate teatrali e ai concerti classici. Non dirò che per me è stato difficile, perché mentirei. Cercavo di adattarmi alla nuova vita, divertendomi il più possibile.” Lasciò una mezza risata: “Dio solo sa quanto! Mi trovavo nella città che amavo e potevo realizzare ogni mio desiderio. E’ stato come vivere un sogno ad occhi aperti.”
Henry ora cominciava a capire. Per quanto lei stesse cercando di rendere meravigliosa quella storia, sapeva che doveva esserci un finale tutt’altro che lieto. Deglutì e chiese: “Ma?”
Amanda sospirò: “Ma tutte le cose belle prima o poi finiscono. Un bel giorno il mio uomo si è trovato un’altra amante e mi ha buttato fuori di casa. Per lo meno si è degnato di lasciarmi gli abiti e alcuni dei gioielli di cui mi aveva fatto dono. Poi sono tornata alla locanda a farmi consolare dalla mia stravagante amica. E’ stato allora che ho capito cosa dovevo fare. Dovevo rimettermi in piedi e riacquistare la mia dignità prendendo marito. Ho venduto gli abiti e i gioielli ai migliori offerenti e sono tornata qui a Londra con l’idea di sposare un uomo giusto e rispettato. E di dare a mio fratello una nuova famiglia.” E di questo non si sarebbe mai vergognata.
Ora che aveva ascoltato tutta la storia, Henry si sentiva meglio. Almeno lui.
“E poi ho incontrato Jacob. Mi sono innamorata di lui nel momento in cui l’ho visto.” Un singhiozzo di pianto la interruppe, si scostò due lacrime dal viso: “Ho creduto nell’amore come una stupida! Sai, a conti fatti mi merito il suo disinteresse. Se sapesse la verità su di me, gli farei orrore.”
Finalmente Henry riuscì ad alzarsi da quel maledetto divano e raggiungere l’amica per confortarla: “Hai fatto delle scelte sbagliate, questo sì, ma sono certo che lui capirebbe come capisco io.”
“Non potremmo stare insieme comunque! Io non ho quasi niente e nemmeno lui dispone di capitali. Ci ritroveremmo a vivere nell’indigenza, o peggio, sulle spalle tue e di Evie. E questo non potrei accettarlo.” Stava dicendo la verità, eppure le sue parole risuonavano come un mucchio di sciocchezze. Ricercò l’abbraccio di Henry, affondò il viso sulla sua spalla per piangere a dirotto. Quella povera ragazza era disperata. Lui l’avvolse in un abbraccio, ai suoi occhi era ancora la ragazzina che aveva conosciuto tempo fa. La vita era stata dura con lei ma c’era ancora tempo per migliorare le cose. Le baciò i capelli con affetto e sussurrò: “Devi pensare solo al presente, Amy. Ho visto come vi guardavate tu e Jacob. Anche se lui ha la tendenza a comportarsi da idiota, sono certo che prova qualcosa di intenso per te. Devi solo avere pazienza.” Esattamente come faceva lui con Evie. Purtroppo, i due fratelli si somigliavano più di quanto loro stessi volessero ammettere.
  
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