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Autore: PrincessintheNorth    20/11/2017    1 recensioni
Prequel di "Family"!
Nel regno del Nord, una principessa e Cavaliere dei Draghi, Katherine, farà conoscenza di Murtagh, il Cavaliere Rosso che si è autoimposto l'esilio ...
In Family abbiamo visto il compimento della loro storia e il loro lieto fine: ma cos'è successo prima?
"-Principessa, per l’amor del cielo … - prese a implorarmi Grasvard. – Spostatevi da lì … non vi rendete conto di chi è?
-È Murtagh figlio di Morzan, ex Cavaliere del Re Nero, erede del ducato di Dras-Leona. – ringhiai. – So benissimo chi è. So anche che è un essere umano come me e come te, a meno che tu non sia un elfo sotto mentite spoglie. È un essere umano ed è vivo per miracolo. Quindi, dato che come me e come te è carne e sangue, gli presteremo le cure che necessita. Sono stata chiara abbastanza?"
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castigo, Eragon, Murtagh, Nuovo Personaggio, Un po' tutti | Coppie: Selena/Morzan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Un mese.
Un mese che vivevo in quel castello.
Un mese che bevevo fino a dimenticarmi il mio nome.
Un mese che avevo distrutto la cosa più bella che mi fosse mai capitata. Ormai l’avevo capito, era stato pure meglio che con Ashara, ma stavolta c’avevo pensato io a distruggerlo, non un re psicotico.
Si presuppone che uno si sbronzi e faccia sesso dopo una rottura del genere.
Il mio problema era la seconda parte. Non volevo nemmeno più provarci, dopo averla persa. Non avevo più neanche il desiderio di una banale scopata. Anche perché, continuavo a vederla ovunque, il bel viso contratto dalla rabbia. 
Poi, ovviamente, lei che mi accoglieva al mio primo risveglio a Winterhaal.
Lei, tra le mie braccia nel ghiacciaio.
Lei sulla nave, mentre la baciavo, e poi al tempio, piena di felicità.
Lei che mi veniva incontro, avvolta in un vestito blu, un sorriso spensierato dipinto sul viso.
E poi, lei che volava via nella notte.
Io che non riuscivo più a stare in camera mia, non nel posto dove l’avevo tradita.
Non nel letto dove lei si era addormentata pochi minuti prima, e dove poi l’avevo tradita.
Perciò, ero andato al mio, di castello.
Tanto, lì dovevo stare, avevo più ragione d’esser lì che a Winterhaal. Dopotutto, Morzan la tradiva sempre, mamma. Dato che non ero diverso, perché sarei dovuto essere da un’altra parte?
Meglio star lì, nella sala da pranzo, dove si sbronzava lui, e adesso mi sbronzavo io.
- E un consiglio potresti anche darmelo, eh. – feci. Che idiota. Mi ero ridotto a parlare al dipinto di Morzan, che mi fissava severo. Perfetto, anche da morto mi odiava e mi giudicava. Oh, niente che non facessi già io. – Alla fine la mamma e te avete fatto me. Come faccio a farmi perdonare un tradimento plurimo, eh?! Le porto un bel mazzo di fiori chiedendole umilmente scusa, e magari un bel gioiello. Una corona. Adesso vado a Winterhaal e le porto una corona.
A momenti, il Morzan ritratto alzava gli occhi al cielo.
Per favore, ditemi che non è questo essere mio figlio, sembrava dire.
- E parli tu! – sbuffai. – Te che andavi in giro ad ammazzare gente! Ma stai zitto!
Anche se non aveva aperto bocca.
- Beh, alla fine una cosa buona l’hai fatta. – commentai. – Sei morto prima di finirti tuuuuutte queste belle botti di alcol. Lo farò io. Alla tua, papà. E alla mia.
Aprii un’altra botte, e mi riempii il boccale di idromele, di nuovo.
 
- Murtagh …
Era lì.
Di fronte a me.
- Katie … amore …
- Come ti sei ridotto. –  sospirò, accarezzandomi la guancia. – Sai che bere troppo ti rende poco presentabile, amore. Andiamo, su …
- Katherine, mi dispiace … amore mio … ti prego …
- Oh, dei, Murtagh, sarò anche bello, ma da qui all’amore mio ce n’è di tempo, eh!
Un secchio d’acqua gelata mi arrivò in faccia, e la mia bellissima Katie si trasformò in John.
-  Idiota! – urlai. – ERA QUI! È TORNATA! MI HA PERDONATO!
Una smorfia triste gli attraversò il volto. – Scusa, amico. Non è arrivata nessuna principessa.
- Ma …
- Te la sei sognata. – commentò.
- No … era qui … proprio qui … ma … dov’è che sono? – sussurrai sconvolto.
- Sei crollato, dopo l’ennesimo boccale. Ti abbiamo portato a letto. – rispose.
-  No … John, lei era qui … l’ho sentita, era lei …
-  Murtagh, tu non ti rendi conto, vero, che lei non può essere qui?! – sbottò alla fine. – è un mese che sei qua e non è passato un momento in cui fossi lucido! Derek ti ha cercato non so più quante volte, voleva capire perché sua figlia fosse scappata di casa. Sai almeno cos’è successo? Sai che fine hanno fatto?
- Saranno a Winterhaal … staranno bene …
- Ceeeeerto. – mi prese in giro. – Ti informo allora che Grasvard ha approfittato della lontananza tua e di Katherine per assediare Winterhaal. Dopo una settimana d’assedio ha vinto, e la tua preziosa Katherine, insieme alla sua famiglia, è rinchiusa nelle prigioni in attesa o di esser decapitata o di diventare la moglie di quel bastardo.
Per almeno cinque minuti, i primi cinque minuti in quel mese che passai da lucido, non riuscii nemmeno a pensare.
Silenzio, di parole e di pensieri, avevo la mente completamente azzerata.
- Katie … - riuscii solo a dire, alla fine. – Perché non me l’hai detto prima?
-  Oh, l’ho fatto. – rise. – Almeno tre o quattro volte al giorno. La tua reazione? O ridevi da quanto eri ubriaco, o mi crollavi addosso lamentandoti di quanto abietto fossi stato nell’andare con l’altra!
- E le nostre armate? Non potevi andare tu al posto mio?! – urlavo, ma non mi importava.
-  Erano già la, idiota! Le hanno sbaragliate!
-  Non è possibile. John, non è possibile.
-  Vuoi che ti mostri la testa del generale Ackhard, che Grasvard ha tanto gentilmente spedito alla moglie incinta?! – sibilò.
-  Dimmi che stai scherzando …
-  Adesso ti prendo a schiaffi. – sbuffò. – O sistemi questo casino o te la vedi con me. Sei il dannatissimo figlio di Morzan, e tuo padre avrà avuto i suoi bei difetti, ma sta certo che quando Galbatorix ha rinchiuso Selena, è andato lui a riprendersela.
Non so se fosse l’alcol, o l’idea di Katie decapitata o peggio, sposata con Grasvard, ma avevo la testa pesante come un macigno.
-  Devo … devo uscire un attimo. Devo capire cosa fare. – riuscii solo a sussurrare.
-  E vedi di tornare con una soluzione.
Era strano, constatai, non essere ubriaco.
Assolutamente sobrio e lucido.
Vedevo tutto, letteralmente e figurativamente parlando, con più chiarezza.
E di certo, non vedevo Katherine dietro ogni angolo che mi guardava male, o non sentivo la sua voce dirmi quanto solo il sapere che esistessi la faceva star male.
Per qualche ragione, finii di nuovo nella sala da pranzo, dove c’erano anche i ritratti di mamma e Morzan.
- Okay. Per una volta, fate i genitori e ditemi cosa devo fare. – mormorai, riducendomi (di nuovo) a parlare con i quadri.
Ma se ciò che John aveva detto era vero, e Morzan aveva, per utilità o per amore, lottato per mamma, io per Katherine avrei buttato giù le montagne.
Mi serviva solo sapere cosa fare.
Erano ritratti austeri e severi. Niente a che vedere con il fairth che mi aveva dato Marlene, in cui ridevano, con un bambino, indubbiamente io, in braccio.
Sembravano … beh, sembravamo il ritratto della famiglia perfetta, in quel dipinto magico. La mamma aveva la stessa età di Katie, nel fairth. Diciassette anni.
Adesso, quei due volti sorridenti erano teschi sepolti sotto metri di terra.
E quando, da lucido, vedevo un ritratto di Morzan, sentivo solamente il dolore alla schiena e delle urla.
Le mie, quelle della mamma.
Un uomo, che gridava il mio nome e mi stringeva. Non ricordavo bene che voce avesse Morzan, quindi quella voce doveva sicuramente essere di Tornac.
E ancora, dall’oltretomba, mi fissavano, immortalati in quei ritratti.
Il volto della mamma era severissimo, un giudizio perenne. L’hai tradita. Non si fa. Devi rimediare, e se fossi in lei non ti perdonerei mai.
D’altra parte, quello di Morzan era più determinato, che severo.
Era più un Hai sbagliato, va bene, per ora non è morto nessuno. Adesso prima fatti un giro, schiarisciti la mente dall’alcol e decidi cosa fare. Poi, alza il sedere e rimedia. Vuoi Katherine? Vai e prenditela. Spiegami a cosa ti serve star lì ad ubriacarti e frignare su quanto sia stato stupido e sfortunato. Comportati da uomo. 
Fu la prima volta che decisi che, forse, seguire il suo esempio sarebbe stato utile.
- D’accordo, allora. Facciamo il figlio di Morzan. – commentai, prendendo Zar’roc e l’arco, appartenuto a Morzan, e andando alle stalle.
Un’oretta di caccia non avrebbe cambiato le cose al Nord, ma avrebbe aiutato me a capire cosa fare.
Non aveva senso che prendessi e andassi a caso.
Ci voleva logica, senso e una strategia sensata.
Di certo non potevo trovare quelle tre cose in una stanza che puzzava d’alcol.
 
 
-  Ehi, piano. – sbuffai al cavallo, che aveva preso a far quel che voleva.
Sbuffò un po’, ma alla fine stette buono.
-  Adesso, inseguiamo quel cervo. – decisi, spronandolo al galoppo.
Fu in quel momento che lo sentii.
Un ululato.
Lupi?
Dove ci sono lupi, c’è una preda, pensai, perciò feci voltare il cavallo in direzione dell’ululato.
Ma la cosa strana era che era un solo ululato. Di solito, ad uno seguono quelli del branco, e stavolta era sempre e solo quello.
Per altro, familiare.
Considerai l’idea di tornare indietro, ma per qualche motivo andai avanti in quella stupida ricerca.
E intanto, l’ululato si avvicinava, diveniva sempre più forte, chiaro e familiare.
Fu solo dopo mezz’ora, che capii.
Nel sentire quell’ululato, mi veniva in mente Katie …
-  ARIEL!
In un attimo, la preoccupazione che già covavo salì alle stelle, e spronai il cavallo al galoppo per raggiungerla.
Alla fine, non dovetti cercarla poi molto.
Doveva aver riconosciuto la mia voce, e mi era venuta incontro.
Smontai da cavallo, notando la sua coda grigia da dietro un albero.
- Ehi … Ariel, vieni fuori … - la chiamai con quanta più calma possibile.
Ma sembrava terrorizzata.
Notai che piangeva. – Va tutto bene. – le dissi, prendendo un coniglio e porgendoglielo.
Lo guardò un po’ interdetta, ma lo prese solamente quando glielo posai a terra.
- Brava …
Solo quando fu sazia riuscii ad avvicinarla, e si fece persino accarezzare.
Le coccole, da me non le aveva mai accettate.
Beh, per la verità Ariel non si era mai fatta toccare da nessuno eccetto Katherine, e forse April.
-  Brava, cucciolona … resta da capire cosa ci fai qui …
Lentamente, entrai nella sua mente.
Ciò che vidi, mi mandò nel panico.
Katherine.
-  Portami da lei. – dissi in fretta. – Subito, Ariel, muoviti!
Non presi neanche il cavallo, iniziai a inseguirla come un matto, a piedi, tanta era la fretta che avevo di trovarla.
Riuscii a raggiungerla solo mezz’ora dopo, o forse dieci minuti. Il terrore aveva alterato persino la mia concezione del tempo, e ogni secondo che passavo lontano da lei, sapendola in quelle condizioni, mi sembrava un’ora.
- MULTY!
Un piccolo tornado mi si aggrappò alla gamba, un piccolo tornado che riconobbi subito.
- Ehi, April … - la presi in braccio, stringendola. – Stai bene, piccola?
-  Tata male … - pianse, stringendomi le braccine al collo.
-  Adesso andiamo subito dalla tata, Primavera, intanto dimmi chi c’è con te. Siete solo tu e la tata?
Scosse la testa. – Io, tata e Annie.
- C’è anche Annabeth?
Annuì.
-  Va bene, patatina, adesso andiamo. Non preoccuparti, la tua tata la rimetto in sesto in un batter d’occhio, tesoro. Mi porti da lei?
-  Sì …
Si divincolò dalle mie braccia perché la mettessi giù, e poi mi prese la mano per trascinarmi da Katie.
Nel vederla, ebbi per un momento il cuore in gola.
Era sdraiata in una piccola alcova ricavata da due radici, e Annabeth la scuoteva invano.
-  Katie …
Perdeva copiosamente sangue da una gamba, e aveva anche una leggera ferita alla tempia.
-  Bimbe, da quanto è così?
-  Tanto. – sussurrò Annabeth, raggiungendomi e accoccolandosi contro di me. – Tata plotegge.
-  Va bene, piccola, adesso la portiamo in casa.
Castigo?
Arrivo.
Fu in quel momento che sentimmo la terra tremare.
E non era un terremoto.
April e Annabeth iniziarono a piangere silenziosamente, e corsero da Katie per cercare di svegliarla, invano.
-  Tata, i cattivi … ci plendono poi … - piansero.
Ma Katherine non era in condizioni nemmeno di svegliarsi.
-  Non preoccupatevi. Adesso arriva Castigo e andiamo via. – dissi in fretta.
Muoviti!
Trenta secondi e sono lì! Potevano anche scegliere una zona meno alberata, eh!
VIENI QUA E NON LAMENTARTI!
Per fortuna, riuscì ad atterrare, e feci salire le bambine.
-  Okay. Annabeth, abbraccia April e tieniti a lei, capito?
Tra le lacrime, annuì, e strinsi i legacci delle gambe attorno alle loro.
Poi, presi Katie, che nell’incoscienza emise un mugolio di dolore.
-  Adesso passa, amore, passa tutto …
La caricai su Castigo, e poi salii io.
Raggiunsi la mente di Ariel, mostrandole la strada per il castello, e poi feci la stessa cosa con il cavallo.
Ariel di sicuro era sufficientemente intelligente da capire. Sul cavallo non ci contavo, ma non era quello l’importante.
Strinsi Katie e le piccole, e Castigo si sollevò in volo, proprio mentre i soldati di Grasvard arrivavano.
   
 
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