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Autore: Yugi95    20/11/2017    2 recensioni
Quando si perde l’unica cosa al mondo che abbia davvero importanza; quando si perde una parte di sé che mai più potrà essere ritrovata; quando si perde l’amore della propria vita senza poter fare nulla per impedirlo… è in quel momento, è in quel preciso momento che si cede lasciando che il proprio cuore sia corrotto dalle tenebre. Si tenta il tutto per tutto senza considerare le conseguenze, senza pensare al dolore che si possa causare. Se il male diventa l’unico modo per far del bene, come si può definire chi sia il buono e chi il cattivo? Se l’eroe, che ha fatto sognare una generazione di giovani maghi e streghe, si trasforma in mostro, chi si farà carico di difendere un mondo fatto di magia, contraddizioni e bellezza? Due ragazzi, accomunati dallo stesso destino, si troveranno a combattere una battaglia che affonda le proprie radici nel mito e nella leggenda; una battaglia che tenderà a dissolvere quella sottile linea che si pone tra ciò che è giusto e ciò che è necessario.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Maestro Fu, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II – Il ragazzo sul treno
 
Marinette era rimasta imbambolata davanti la porta del vagone per alcuni minuti. A King’s Cross, su quel vecchio binario nascosto ai babbani aveva lasciato un pezzo di sé, una piccola parte della sua anima che non sarebbe mai più tornata. «Marinette, Marinette!!» esclamò euforica Alya andandole in contro.

«Cos’è successo?»

«Niente, sono riuscita a trovare uno scomparto libero, così non dovremo restare in piedi durante il viaggio.»

«Davvero?! Dove si trova?»

«In fondo al treno, purtroppo gli altri erano stati già occupati.»

«Non è un problema: fammi strada!»

Le amiche s’incamminarono alla volta dell’ultima carrozza dell’Espresso per Hogwarts. Dopo aver attraversato cinque vagoni carichi di studenti intenti a conversare tra di loro, giunsero finalmente nella parte terminale del treno. Superati un paio di scomparti, occupati da ragazzi appartenenti al quarto anno che si stavano esercitando con alcuni incantesimi, Alya spalancò la porta di legno dell’ultimo presente su quella carrozza.

Tuttavia, a differenza di quanto si aspettava la figlia del Signor Césaire, i posti non erano più liberi. Sul divanetto di destra infatti erano sedute due ragazze: la prima aveva lunghi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo e occhi azzurri; la seconda portava i capelli a caschetto rossi e aveva degli occhi verde acqua incorniciati da spessi occhiali. Sul divanetto di sinistra, invece, era languidamente disteso un addormentato ragazzo dalla pelle scura come quella di Alya, il cui viso era coperto da uno stravagante berretto rosso.

«Ehi… scusa, dico a te» bisbigliò la figlia del Signor Césaire picchiettando sulla spalla della bionda «Avevo occupato questo scompartimento per me e la mia amica. Vedi là sopra c’è la mia sciarpa, l’avevo lasciata come ferma posto.»

«E allora... cosa dovrei farci?» replicò acidamente l’altra continuando a limarsi le unghie.

«Senti carina, o sloggi da qui oppure…»

«Oppure potremmo dividere il posto» s’intromise Marinette al fine di scongiurare una lite. «Se ci stringiamo un po’ e svegliamo quel ragazzo, sono sicura che c’è posto per tutte.»

«Io non credo proprio. Non ho alcuna intenzione di dividere questo scomparto con gentaglia» esclamò la ragazza con la coda di cavallo scattando in piedi.

«Adesso basta, io la meno di brutto!»

Alya si tolse gli occhiali e, dopo averli consegnati alla sua amica, si lanciò all’attacco dell’avversaria. Quest’ultima, però, per nulla preoccupata della cosa, si limitò a schioccare le dita. Fu scaraventata all’indietro ritrovandosi nel corridoio del vagone con le gambe all’aria. A causa del tonfo, il ragazzo con il berretto rosso si risvegliò di soprassalto. La bionda, allora, fece un rapido segno all’amica che le era seduta di fianco; questa estrasse la propria bacchetta e, senza distogliere lo sguardo dal libro che stava leggendo, l’agitò flemmaticamente.

Il giovane, ancora mezzo addormentato, non ebbe neanche il tempo di capire cosa stesse accadendo che si ritrovò scaraventato in aria dal divano sul quale era seduto. Marinette, spaventata da quella dimostrazione di forza, non ebbe il coraggio di affrontare le due. Preferì darsi alla fuga che rischiare il peggio. «Ti sei fatta male? Sei ferita?»

«Solo nell’orgoglio» replicò Alya massaggiandosi il fondoschiena dolorante, «Caspita sapevo fossero potenti, ma non mi aspettavo così tanto.»

«Un momento, tu… tu le conosci?»

«Certo! Dopotutto chi non conosce Chloé Bourgeois la viziata figlia del Primo Ministro della Magia francese e Sabrina Raincomprix la figlia del capo dell’Ufficio Applicazione della Legge Magica?»

«Forse una ragazza che ha scoperto di essere una strega appena tre mesi fa?!» scherzò l’altra aiutandola a rialzarsi.

Gli occhi di Marinette si posarono sul corpo privo di coscienza del ragazzo dalla pelle scura. Il poverino, infatti, aveva subito una botta ben peggiore di quella di Alya e aveva conseguentemente perso i sensi. «Di lui cosa ne facciamo? Sai chi è?»

«Mai visto prima. Lascialo pure per terra.»

In quello stesso instante, però, il giovane spalancò le palpebre e con un balzo si rimise in piedi. Temendo di essere ancora sotto attacco sfilò la sua bacchetta dalla tasca dei jeans grigi, ma, a causa della concitazione del momento, la impugnò al contrario. La figlia del Signor Césaire gli si avvicinò con cautela e, mollatogli un ceffone sulla guancia al fine di calmarlo, lo riproverò severamente. «Finiscila di muovere inutilmente la bacchetta per aria: rischi di cavare un occhio a qualcuno!»

«Scusa, mi sono fatto prendere la mano» mugugnò il giovane con il berretto, mentre riponeva la sua “arma”.

«Tranquillo… l’importante è che nessuno si sia fatto male» intervenne divertita Marinette. «Comunque piacere: io sono Marinette Dupain-Cheng, lei è Alya Césaire e questo grazioso uccellino è Tikki.»

«Io mi chiamo Nino Lahiffe e sono del primo anno.»

Entrambe strinsero la mano al loro nuovo amico; poi s’incamminarono per la carrozza. Consapevoli di non avere alcuna possibilità di sedersi in uno scompartimento libero, speravano di trovare un posticino dove poter trascorrere il viaggio. Tuttavia, quando erano ormai prossimi a lasciare il vagone di coda, una gentile voce maschile richiamò la loro attenzione. «Se volete, nel mio scompartimento c’è ancora posto.»

I tre si voltarono immediatamente verso un giovane dai capelli biondi che accarezzava la schiena di un gatto nero. Alya e Nino accettarono di buon grado quell’offerta. Al contrario Marinette non si mosse, rimase immobile con la bocca spalancata. Aveva riconosciuto quel ragazzo: era lo stesso che l’aveva aiutata a trovare il Binario 9 ¾. Non riusciva a capire il perché provasse tanto imbarazzo nel rivederlo, era una sensazione che in un certo senso la faceva stare bene.

«Marinette, sbrigati. Non fare la bella statuina» le intimò scherzosamente l’amica sedendosi sul comodo divanetto dello scomparto.

«C-c-certo, adesso arrivo.»

«Io sono Adrien e questa palla di pelo si chiama Plagg. Mi fa piacere che abbiate accettato il mio invito.»

«Ehi, amico! Sarebbe stato da sciocchi non farlo» replicò Nino con nonchalance spaparanzandosi su uno dei divanetti.

«Ciò che voleva dire questo rincitrullito e che siamo molto grati della tua ospitalità» mugugnò Alya prendendolo per un orecchio e costringendolo a mettersi seduto in maniera decente.

«Figuratevi c’è spazio e, soprattutto, tanto da mangiare. Prego non fate complimenti.»

Ai tre fu indicata una sproporzionata montagna di merendine presenti sul basso tavolino in legno. Nino si fiondò su un pacchetto di “Gelatine Tuttigusti+1”. La figlia del Signor Césaire sospirò con rassegnazione e, prendendo una “Bacchetta magica di liquirizia”, l’addentò con rabbia. Marinette, invece, non ebbe il coraggio di prendere nulla e, tenendo la gabbietta di Tikki sulle ginocchia, si limitò ad osservare la scena. Aveva la testa basta e percepiva una strana sensazione di disagio.

«Tieni… assaggia» le bisbigliò Adrien, consegnandole una piccola confezione di cartone a forma di pentagono.

«Cos’è? Non ho mai visto nulla del genere.»

«È una Cioccorana, una merendina molto popolare nel mondo magico.»

«Sono davvero buone, ma fa attenzione a non fartela scap…»

Alya non finì neanche la frase che Marinette, avendo aperto la confezione, si lasciò sfuggire la rana di cioccolata contenuta al suo interno. Questa, sotto lo sguardo incredulo della ragazza, compì un rapido balzo e saltò fuori dal finestrino del vagone. Alla vista dell’espressione scioccata dell’amica, gli altri tre scoppiarono a ridere. «Chi ti è uscito?»

«In che senso? Non capisco.»

«In ogni pacchetto, c'è una figurina d'un Mago o di una Strega famoso/a» intervenne, prontamente, Alya con un sorriso.

Marinette controllò la confezione trovandovi una figurina azzurra. Su quest’ultima vi erano la foto di un uomo e un nome in lettere dorate. «C’è scritto… Gabriel Agreste.»

Intanto, l’Espresso per Hogwarts sfrecciava rapido e silenzioso attraverso la desolata campagna inglese. Il viaggio verso Hogsmeade sarebbe durato ancora a lungo: avevano tutto il tempo per imparare a conoscersi meglio. La figlia del Signor Dupain apprezzava moltissimo la compagnia dei suoi nuovi amici, era piacevole stare insieme a loro. Senza rendersene conto, i quattro trascorsero tutto il tragitto a chiacchierare finché tre fischi del treno non annunciarono che erano quasi giunti a destinazione. Era arrivato il momento di prepararsi ed indossare le divise della scuola.

«Marinette, hai finito di vestirti?!» esclamò Alya bussando alla porta in legno del loro scompartimento.

«Quasi…» replicò l’altra, mentre armeggiava con il colletto della camicia bianca «Non riesco a fare il nodo alla cravatta.»

L’amica non riuscì a trattenere un sorriso; poi, aprendo leggermente la porta dello scomparto, scivolò al suo interno. Si avvicinò all’altra invitandola a non muoversi. Prese i lembi di una sgualcita cravatta nera e li incrociò tra di loro. I suoi movimenti erano così rapidi e precisi che in un batter d’occhio le sistemò la cravatta. Marinette le sorrise con gratitudine. Recuperati Tikki e gli zaini s’incamminarono lungo il vagone. «Sono stati gentili a farci cambiare nello scomparto, mentre loro cercavano un altro posto.»

«Era il minimo…» osservò Alya con acidità, «Soprattutto per Nino. Ancora non capisco perché tu glia abbia regalato quella figurina.»

«Ma… ma la desiderava così tanto, mi ha assillata per tutto il viaggio.»

«Una figurina di Gabriel Agreste non si scambia né si regala… mai!»

«Secondo me la stai facendo troppo tragica: chi diamine è questo Gabriel?!»

«Soltanto il mago che ha salvato l’intera Comunità Magica.»

«Di cosa stai parlando?» replicò Marinette, mentre sul proprio viso si dipingeva un’espressione di stupore.

Intanto in un bagno, situato nel secondo vagone del treno, un ragazzo dai capelli biondi era intento a fissare il proprio riflesso sulla liscia superficie di uno specchio. I suoi vispi occhi verdi si spostavano in continuazione da un punto all’altro della propria immagine, concentrandosi di volta in volta su un dettaglio diverso. L’uniforme della scuola, nonostante non fosse stata mai indossata prima di allora, gli calzava a pennello; sembrava quasi adattarsi alle forme del suo corpo.

Le mani di Adrien correvano lungo i bordi della cappa nera alla ricerca di un’imprecisione, di un qualche difetto che mettesse in discussione quell’aura di perfezione che tanto gravava sulle sue spalle. Non riuscì a trovare nulla: anche la più insignificante delle pieghe sembrava essere piazzata in determinato punto del vestito al fine di contribuire a quel senso di armonia che accompagnava la figura del ragazzo. Non vi era niente che fosse fuori posto, l’ordine regnava sovrano dalla punta delle scarpe fin su all’ultima ciocca di capelli.

 Fin da piccolo, però, gli erano stati imposti una serie di precetti volti ad enfatizzare l’importanza della cura personale e il rispetto di determinati canoni. Adrien sbuffò amareggiato; sperava che, con l’inizio della sua carriera scolastica ad Hogwarts, avrebbe potuto dare una significativa svolta alla sua vita. Tuttavia, si era ben presto reso conto di non avere abbastanza coraggio per poter spezzare il filo diretto che lo legava indissolubilmente a quell’immagine stereotipata di sé che altri avevano costruito al suo posto «Credo che non c’è ne libereremo mai, amico mio» sibilò il giovane con un filo di voce, rivolgendosi al gatto nero che si strofinava vicino la sua gamba.

Si affrettò ad uscire dal bagno e raggiunse Nino nel corridoio del vagone. Il ragazzo indossava la tipica divisa della scuola ma, a differenza dei suoi compagni, non aveva saputo resistere al desiderio di aggiungere il proprio tocco personale. Sebbene vietato dal regolamento, continuava a portare sulla testa uno sgargiante berretto rosso, mentre le sue amate cuffie blu e arancioni gli circondavano il collo.

«Ehi, Nino. Io sono pronto, possiamo andare» esclamò Adrien avvicinandosi al suo nuovo amico.

Questi, però, non gli rispose nulla rimanendo stranamente in silenzio e con la testa china. Nino, completamente rapito dal vorticoso turbinio dei suoi pensieri, fissava avidamente quella che ormai considerava una specie di reliquia. L’altro gli si affiancò in silenzio, per un attimo il suo sguardo incrociò quello severo dell’uomo rappresentato sulla figurina, lo sguardo di Gabriel Agreste. Un’improvvisa fitta allo stomaco, simile ad una rovente morsa che stringeva i visceri, gli mozzò il fiato. «Sono ore che fissi quella figurina. La cosa sta diventando inquietante.»

«Tu… tu non puoi capire» replicò Nino con il tono di voce di uno zombie «Erano sei anni, sei anni che la cercavo senza riuscirci. Adesso… ho finalmente coronato il mio sogno.»

«Lo sai che stiamo parlando di uno stupido pezzo di carta, vero?»

«Amico, come puoi dire una cosa del genere?! Questo è un oggetto da museo, il suo valore è incalcolabile.»

«Sarà, ma io non ci trovo nulla di speciale» mugugnò Adrien facendo spallucce.

«Dì un po’: per caso Gabriel ti ha rifiutato l’autografo?» ghignò il ragazzo con il cappello mettendo un braccio sulla spalla dell’amico.

Adrien provava un tremendo senso d’inadeguatezza. Aveva paura che, raccontata la verità, l’atteggiamento del suo amico cambiasse drasticamente. Ciononostante, Nino meritava una risposta, se lo ripeteva in continuazione e non riusciva a togliersi quella convinzione dalla testa. «Ascolta…» sibilò Adrien liberandosi dalla stretta dell’altro, «Voi… no, scusa… noi molto spesso ci fermiamo all’apparenza. Crediamo che una persona si comporti e agisca in un determinato modo, ma nella realtà le nostre aspettative sono illuse. Purtroppo, è una triste verità, una verità che vale per chiunque anche per Gabriel Agreste.»

«Aspetta! Stai forse dicendo che non credi che sia stato lui a fare quelle cose?! No, perché io…» esclamò l’altro, ma fu interrotto quasi subito.

«No, semplicemente non credo che il Signor Agreste sia così eccezionale come voi altri pensiate.»

«Beh… questo non puoi dirlo. Dopotutto nemmeno lo conosci, come fai ad esserne così sicuro?»

«Neanche tu puoi essere certo del contrario» sentenziò l’altro facendo l’occhiolino.

Nino tentò di replicare, ma l’ultima affermazione del suo interlocutore era inconfutabile. Nessuno conosceva realmente Gabriel, nessuno aveva avuto modo di osservare il suo comportamento in privato. Il Signor Agreste era oltremodo riservato e non lasciava trasparire alcuna informazione personale, le sue stesse apparizioni pubbliche erano alquanto sporadiche e soprattutto brevi. Le uniche informazioni certe erano quelle che riguardavano le sue eccezionali capacità magiche e l’azienda di cui era fondatore: la “Papillon Incorporated”. «Questa te la do vinta, ma sappi che prima o poi riuscirò a farti cambiare idea!»

«Buona fortuna, allora. Sappi, però, che sono un osso duro» concluse divertito Adrien dando una pacca sulla spalla all’amico, mentre il fischio del treno segnava l’arrivo in stazione.
   
 
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