Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh
Segui la storia  |       
Autore: 92Rosaspina    20/11/2017    1 recensioni
"Il battito delle ali di una farfalla in Brasile, può provocare una tromba d’aria nel Texas". Così il fisico Edward Lorenz spiegò, in una conferenza del lontano 1979, la Teoria del Caos, secondo cui il minimo cambiamento può significare una storia del tutto diversa. Da un’azione svolta o non svolta, oppure svolta in modo diverso, possono nascere futuri ed eventi imprevedibili.
Contrariamente al pensiero comune, però, Caos non è disordine. Caos è un ordine così complesso da sfuggire ad ogni tentativo di comprensione dell'uomo. Una sequenza ben definita ma così piena di variabili da risultare imprevedibile.
E se è vero che il minimo cambiamento può condizionare l'epilogo di una storia, e che la vita è fatta di scelte e ogni scelta ha le sue conseguenze, allora le possibilità diventano infinite.
Tutto però ha un inizio ben definito, una comune origine. Un lounge bar nel mezzo di Nuova Domino. E tutto passa sotto lo sguardo indagatore di un occhio carico di conoscenza.
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri personaggi, Atemu, Mana, Seto Kaiba, Yuugi Mouto
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 



2.Cartomanzia e trasmutazioni

Le previsioni sono estremamente difficili. Specialmente sul futuro.
Niels Bohr





Uno dei lati positivi del lavorare con orari notturni era che aveva solo il letto ad attenderlo per qualche ora di ristoratrice sonno. Yuya si era abituato presto a quella nuova vita nel crepuscolo: si trovava bene, nei panni di una creatura della notte.
Detta così sembrava quasi si definisse un vampiro, ma il paragone era piuttosto azzeccato: lavorava di notte e dormiva di giorno, come le creature succhiasangue che, negli ultimi tempi, avevano sovrappopolato i libri pseudo-romantici per adolescenti che lui si divertiva tanto a ridicolizzare e leggere solo per poterli criticare meglio.
Era proprio quando il sole spariva oltre l'orizzonte e lasciava posto al disco argentato, che aveva sempre trovato nuove energie per le sue attività. Quando studiava ancora, gli risultava impossibile concentrarsi sui libri con la luce del giorno: la cosa faceva impazzire quella povera donna di sua madre, che non riusciva a trovare una spiegazione sensata alle abitudini notturne del figlio.

Quando pensava a lei, Yuya la ricordava con gioia e con un pizzico di nostalgia: se n'era andato presto dalla casa, appena terminati gli studi superiori, desideroso di trovare una direzione al suo percorso. E lei l'aveva lasciato andare senza fare storie, aiutandolo perfino a trovare casa altrove e inviandogli, ogni mese, un grosso pacco con provviste alimentari di ogni genere. Più volte il giovane le aveva detto di lasciar perdere e risparmiare quei soldi, che lui era in grado di fare la spesa da solo, ma i pacchi continuavano ad arrivare lo stesso e a cadenza mensile.
Le aveva parlato del suo lavoro, la donna ne era stata entusiasta: le piaceva l'idea che suo figlio fosse sempre a contatto con altre persone, e che facesse qualcosa che lo entusiasmasse e divertisse. Era sempre stato così, alla ricerca quasi disperata di allegria e sorrisi, e bisognoso di fonti di divertimento che lo facessero sentire...vivo.
Era così da molto tempo ormai.

    -    Ehi, non dirmi che vuoi piantare le radici qui!-
Yuya alzò lo sguardo da qualsiasi cosa trovasse di molto interessante sul bancone, prima di far entrare Yuma nel suo campo visivo. Il collega si era già cambiato d'abito, ripiegando su vestiti più comodi e che gli conferissero molta più libertà di movimento di un gilet e delle maniche strette di una camicia; lo osservava con aria curiosa, gli occhi che lo scrutavano come alla ricerca di un malanno.
    -    No, figurati...stavo solo pensando- rispose Yuya, scuotendo debolmente il capo.
    -    Aaaah, chissà cosa sta frullando in quella tua testolina, Yu...torniamo a casa insieme? Ti serve ancora il passaggio?-
    -    Magari, grazie-
    -    Ma cos'è successo alla motocicletta?-
    -    Rotta una pinza del freno. E per fortuna me ne sono accorto prima di uscire di casa. Lunedì riposo, credo ci metterò sopra le mani per allora-
    -    Diavolo, bella rottura-
    -    Dillo a me, ho fatto il passaggio di proprietà la settimana scorsa...vado a cambiarmi, ci metto un secondo-

Aggirò con velocità il bancone, prima di scendere le scale che portavano ai camerini. Lì l'atmosfera era leggermente più fredda e, in qualche modo triste, priva della vita che caratterizzava invece l'immensa sala del Pharaoh's Kingdom. E tuttavia non era il caso di dire che quei locali fossero male attrezzati: lo stanzone era dotata di ogni comfort possibile, dagli armadietti in perfetto ordine e tenuta a morbidi divanetti su cui passare qualche minuto di pausa, perfino quattro cabine doccia vere, separate l'una dall'altra, e una piccola asse da stiro, corredata da ferro e un piccolo kit di cucito per riparazioni last-minute. Non c'era che dire, tutti i dipendenti del Pharaoh's Kingdom erano trattati davvero bene, molto più di qualsiasi altro locale normale.
Aveva prestato servizio in altri locali, prima di approdare nei paraggi del Pharaoh's, facendo esperienza nel campo della ristorazione e apprendendo i segreti del Flair Bartending. Gli riusciva bene destreggiarsi con bottiglie e bicchieri, lanciandoli e riprendendoli al volo mentre preparava cocktail e bevande di ogni tipo, e alla clientela piaceva assistere alle sue evoluzioni; piaceva un po' meno ai suoi precedenti datori di lavoro, che sostenevano che tutti quegli inutili giochetti rubassero tempo prezioso. Neanche a dirlo, quelle parole gli entravano in un orecchio e venivano sparate fuori dall'altro, senza minimamente intaccare le sue intenzioni o azioni; era stato così che era approdato in diversi bar di Nuova Domino, ed era così che aveva conosciuto Atem.
Neanche a dirlo, il padrone di casa del Pharaoh's Kingdom era invece rimasto estasiato dalla sua vena acrobatica. In un sabato sera di “collaudo”, affollato e rumoroso, Yuya Sakaki non si era lasciato intimorire dalla numerosa clientela altolocata e aveva portato avanti il suo lavoro, con un allegro sorriso sul volto e gli occhi scintillanti dal divertimento: fin dai primi minuti di lavoro, Atem non aveva avuto dubbi, e l'aveva affiancato a Yuma e Yusei, per dar loro manforte dietro il bancone.
Con Yuma formava un buffo duetto che ben si coordinava con i lanci e le acrobazie, anche se non erano mancati gli incidenti dovuti alla loro voglia di strafare e osare: si era perso il conto dei bicchieri rotti e degli shaker sostituiti perché visibilmente ammaccati. Yusei li trattava entrambi come due fratellini, e restava a guardare le loro evoluzioni con fare quasi amorevole, almeno finché le bottiglie non volavano troppo vicino alla sua testa: in quel caso non si faceva scrupoli a richiamarli all'ordine con qualche strillone.

Entrare nel Pharaoh's Kingdom era stata la fortuna di Yuya. Aveva trovato la personificazione del concetto di “seconda famiglia”, e aveva rimediato, seppur in parte, al vuoto che sentiva dentro.
Certe cose non si dimenticavano facilmente. A volte non si dimenticavano affatto.
    -    Yuya? Hai fatto?!-
    -    Arrivo, arrivo!-
Chiuse l'armadietto con uno scatto secco del lucchetto, prima di risalire di corsa le scale pur di non far indispettire il suo collega e amico. Yuma era già con un piede oltre la porta di vetro, mentre giocherellava con le chiavi della sua coupé.

La prima volta che l'aveva conosciuto aveva ipotizzato che avesse preso qualche scarica elettrica da bambino, e non era solo per l'improbabilità con cui la sua chioma se ne stava su: era davvero energico e attivo, forse troppo perfino per i suoi stessi standard. L'iperattività di Yuya era ben incanalata in un fine: metteva anima e corpo nel suo lavoro, se l'era cercato quasi, un modo come un altro per tenere il cervello occupato e non rimuginare troppo sul passato. Yuma, invece, ricordava un petardo acceso chiuso dentro un armadio: piccolo, ma capace di fare un gran casino. Tutta la sua energia non sembrava aver direzione, cacciandolo spesso in guai e facendogli commettere errori di valutazione che costavano caro in termini di lanci di bottiglie, parcheggi con l'auto e tante piccole quotidianità.
Lo trovava piacevole da avere intorno: dove arrivava lui, arrivava anche una grossa ventata di allegria. Il fatto era che stargli dietro, a lungo andare, diventava davvero difficile.
    -    Okay, andiamo-
    -    Forza! Non sto facendo altro che sognare il letto! Ragazzi, che sabato sera! Uno dei più intensi dell'ultimo periodo! Ehi, che ne pensi?-
    -    Di cosa?...O chi?-
    -    Che domande, della ragazza nuova!-
   -    E glielo disse con tono sufficiente, quasi fosse la cosa più normale del mondo chiedere opinioni su una collega appena arrivata; e magari lo era davvero, ma sul momento Yuya non riusciva a realizzarlo, forse troppo stanco.
    -    Non mi è sembrata male- disse poi, mentre salivano le scale – Anche se non so cosa ci faccia, una come lei, a fare la cameriera-
    -    Eh? Perché?-
    -    Ma dai, l'hai vista bene?! Quella ragazza sarà figlia di qualcuno importante!-
    -    Eeee da cosa lo evinci?-
    -    Ha un portamento diverso da tutte le ragazze finora incontrate, e tutti gli abiti che indossavano non costano certo poco! Fidati, me ne intendo un pochino, e quelli non sono vestiti che potrebbe permettersi una provincialotta-
    -    Non mi intendo di moda, ma ti prendo di parola. Anche se non mi ha dato l'impressione della nobile. Troppo...troppo umile-
    -    Dici?-
    -    Quale principessina viziata si metterebbe a segnare ordinazioni in un locale?-
    -    Lo dici tu che è una principessa! Magari è una ragazza come tutte le altre. Magari non fa affidamento solo sul nome della sua famiglia-

Usciti dal Pharaoh's Kingdom, il mattino li accolse...con l'oro in bocca, era il caso di dirlo. Il sole era ormai sorto, stagliandosi in lontananza come un gigantesco globo di fuoco sparato in direzione dell'orizzonte, tingendo di scie arancioni il cielo che ormai andava a schiarirsi.
Un altro dei lati positivi di quel lavoro era proprio questo: entrare nel locale che il sole ormai tramontava, e uscire che si levava alto nel cielo. E ora che stava arrivando l'estate, sarebbe stato ancora più facile vederlo sorgere. Yuya trovava un che di poetico, nel modo in cui il sole e la luna si scambiavano giornalmente il loro trono: erano presenti entrambe nel cielo, eppure una si nascondeva quando l'altro si svelava, come due amanti perduti che non volevano incontrarsi ancora. L'immagine della luna, scintillante nel suo abito di luce argentea e immersa nel mare nero del cielo, aveva da sempre suscitato immagini poetiche e romantiche in poeti e artisti; lui, che non si riteneva affatto un poeta ma si sentiva un poco artista, la vedeva più come un gigantesco faro nella notte, che illuminava le acrobazie con cui stava costruendo la sua strada.
Tuttavia, vedere il sole sorgere al mattino di ogni nuovo giorno era sempre un piacere. Un simbolo di speranza, un nuovo inizio.
    -    E Alexis è stata tra i grandi assenti, questa volta- notò Yuma, una volta salito in auto e avviato il motore. Yuya rimase ad osservare per qualche secondo il quadro elettrico riempirsi di luci, prima di realizzare cosa il suo amico avesse detto.
    -    Non è venuta? Non me ne sono reso conto- rispose poi, allacciandosi la cintura e sistemandosi meglio sul sedile – Avrà avuto da fare-
    -    Peccato, quando c'è lei intorno mi diverto di più!-
    -    A te piace solo punzecchiarla-
    -    Che male c'è? Sono cose che si dicono! Ehi, ma secondo te Judai se n'è accorto?-
    -    Di Alexis? Oh ti prego, è così palese...!-
    -    Ti ricordo che stiamo parlando di Judai...-
    -    Esatto! Proprio perché stiamo parlando di lui! Andiamo, hai visto come Alex gli va dietro? Se ne accorgerebbe anche un cieco...-
Alexis Rhodes era sempre stata una presenza fissa nel Pharaoh's Kingdom: il sabato sera era facile individuarla seduta ad un tavolo singolo, ad osservare con poco interesse le esibizioni dei corpi di ballo e a spizzicare dolcetti qua e là. Una delle poche, se non l'unica persona che Judai serviva personalmente, in nome della loro vecchia, duratura amicizia fin dai tempi della scuola. I due restavano spesso a parlare insieme del più e meno, Yuma gli dava spesso di gomito per indicarglieli: sembravano divertirsi davvero tanto insieme, ridevano e scherzavano, guardavano video stupidi di gattini arruffati sul cellulare di lei e Alexis sembrava davvero presa dal ragazzo. I suoi occhi chiari si illuminavano ogni volta che posava lo sguardo su di lui, e i suoi tentativi di avvicinamento erano così palesi, che solo un tordo o, davvero, un cieco avrebbe potuto ignorarli.
Judai non era cieco, ma sembrava davvero fosse duro di comprendonio, come tanto decantato quella sera da Yusei. Eppure tutti i membri del team del Pharaoh's concordavano che la loro fosse davvero una bella coppia, dove lei, così diligente e responsabile, sopperiva alle mancanze idiote dell'altro.

    -    Io ho timore che, prima che Judai se ne accorga, Alexis possa mollare la presa- riprese Yuma, rallentando nel traffico – E sarebbe un peccato. Per entrambi, intendo-
    -    Ehi, e da quando ti intendi di relazioni sentimentali tu?- domandò Yuya, lievemente stupito.
    -    Cos'è, pensavi davvero che fossi ferrato solo in materia di videogiochi?-
No di certo, avrebbe voluto rispondere Yuya, ma decise di lasciar perdere, puntando gli occhi sulla colonna di auto di fronte a loro.
Uno dei lati negativi dell'avere un lavoro notturno, visto che si parlava precedentemente di pregi, era quello che, una volta usciti dal locale, ci si ritrovava imbottigliati nel traffico mattutino creato da chi aveva turni di lavoro ad orari convenzionali: i letti aspettavano sempre più del dovuto per ricongiungersi ai loro assonnati proprietari. Ed era proprio in quei momenti che la stanchezza si faceva sentire. Risaliva di colpo, intorpidendo sensi e membra, rendendo le palpebre pesanti e calanti sulla vista offuscata dalle luci soffuse del locale. L'adrenalina dell'attività notturna scemava tutta insieme nell'esatto momento in cui ci si posava sul sedile di un auto; almeno il muoversi in motocicletta ti costringeva a restare lucido e attento mentre svincolavi nel traffico, tra le auto che procedevano a passo d'uomo.
Uno dei tanti motivi per cui Yuya preferiva una due ruote stava proprio nella sua agilità e velocità: uno come lui odiava stare fermo troppo tempo nello stesso punto, doveva necessariamente muoversi per dare sfogo alle sue energie, e il traffico cittadino era una di quelle cose che metteva a dura prova il suo sistema nervoso. Farsi accompagnare in auto era molto più comodo, ma anche più dispendioso in fatto di tempistica, oltre che più impegnativo dal punto di vista della pazienza.

Mentre il sole si alzava ancora, e le strade si popolavano lentamente dei primi lavoratori e le prime serrande si sollevavano, i due colleghi del Pharaoh's Kingdom fecero di tutto per mantenersi relativamente lucidi: mantennero lo stereo acceso su un notiziario mattutino a commentare le ultime novità del mondo, qualche discorso sconclusionato sulla politica tanto per non parlare delle condizioni meteo, commenti sui nuovi successi rock passati in radio, considerazioni sulla serata lavorativa appena trascorsa; Yusei ha davvero tutte quelle cicatrici, non l'avrei mai detto anche se so che ha avuto un passato turbolento, Aki è comunque davvero carina, ha anche un bel colore di capelli! Ho dimenticato di chiedere quale versione di Smash Bros hanno, Yusei e Judai, ehi perché non organizziamo una serata a tema videogiochi a casa mia, chiamiamo tutti, Aki compresa! Non so quanto Atem sia interessato a queste cose, Yugi sicuro...sì, figurati, dove va Yugi sta' sicuro che ci sarà il suo fratellone a fargli da ombra! Ma quand'è che freghiamo le chiavi a Yusei e ci facciamo un giro sulla sua fantastica moto? Non posso mica, è di cilindrata troppo grande per me, e poi non la sfiorerei neanche con un dito! Mi fa quasi paura e Yusei ha un attaccamento morboso per quella moto, se scoprisse qualcosa fuori posto andrebbe su tutte le furie.

E mentre scendeva dalla coupé di Yuma e lo salutava agitando il braccio, osservandolo allontanarsi con un rombo della marmitta messa non proprio benissimo, Yuya restò ad osservare il fondo della strada privo di interesse.

Sempre così quando si allontanava dalla sua seconda casa, dalla sua famiglia acquisita. Tutta la gioia accumulata in otto, a volte dieci ore di lavoro, se ne andava con i raggi del sole, insieme alle forze e alla prontezza di riflessi. Il come questo fosse possibile, ancora doveva trovare un valido motivo per spiegarselo.
Entrò nel palazzo, imboccò subito l'ascensore e spinse il bottone per il quinto piano: con le gambe così intorpidite non se ne parlava neanche, di salire le scale. Era stanco, e aveva davvero troppo sonno per salire più di tre gradini senza sbatterci il grugno contro. Si diede un'occhiata allo specchio verticale all'interno della cabina: i capelli verdi e rossi, arruffati e spettinati dalla foga del lavoro, erano umidicci di sudore. Allungò una mano e abbassò gli occhialetti, lasciandoseli a mo' di collana, prima di stropicciarsi gli occhi con foga.
Era stanco. Profondamente stanco e triste. E come un bravo menestrello di corte continuava la sua farsa, allietando il suo pubblico e riguardando poco sé stesso: la sua testa era un turbine di pensieri che sceglieva volutamente di tenere all'oscuro degli altri, chissà perché poi. Sapeva di poter contare su di loro, su quei cinque compagni che l'avevano accolto nel team a braccia aperte e l'avevano fatto sentire a casa per la prima volta da sei anni.
Era forse destino dei pagliacci e dei giocolieri, quello di portare allegria e sorrisi pur di negarli a sé stessi? Yuya sbuffò affranto e posò la fronte sul freddo pannello dell'ascensore.
Non vedeva l'ora di tornare a lavorare.



    -    Fantastico. Guarda qui che cosa abbiamo...-
    -    Cos'è quella roba?!-
    -    La bolletta della linea internet. Questa è tutta tua-
    -    Eh? E perché?!-
    -    Perché sei tu quello che scarica dai torrent senza alcun limite, sei tu quello che sfora le soglie di navigazione web-
    -    Come se tu non contribuissi con le tue sitcom!-
    -    Questo mese l'ho passato in garage se ben ricordi, quando mai ho avuto modo di scaricare qualcosa?-
    -    Oooh, e va bene! Hai almeno sistemato quel trabiccolo o no?-
    -    No, e sto impazzendo. Non riesco a trovare una mappatura, per la centralina, che mi soddisfi-
    -    Dipende da quello che cerchi, immagino...-
Yusei scosse il capo, consegnando al compagno la busta da lettere e chiudendo la cassetta della posta. L'ingresso del condominio risuonava dei loro passi stanchi mentre risalivano le scale fino al primo piano, senza neanche degnare di uno sguardo l'ascensore: due strisce di nastro giallo e nero ne sbarravano l'accesso, a testimoniare che fosse ancora rotto da tre mesi almeno.
Anche perché, a dire di Judai, prendere l'ascensore per evitare una scemissima rampa di scale era da disadattati sociali. E pigroni cronici. E sebbene Yusei fosse tutt'altro che pigro, a volte non aveva disdegnato di chiudersi nella cabina d'acciaio: un modo come un altro per riposare le gambe rese stanche da un'ennesima serata passata in piedi.
    -    Serata molto fruttuosa!- esclamò Judai, passandosi una mano tra i folti capelli castani – C'è stato di che divertirsi!-
    -    Certo, peccato fosse tutto divertimento alle mie spalle...- borbottò Yusei, infilando le chiavi nella serratura.
   -    Ah dai, non te la sarai presa davvero?! Alla fine sono io quello che ha faticato a scaricare! Dio, che male alla schiena...non potremmo chiedere ad Atem di assumere qualcuno che sbrighi questa rogna?-
    -    Non l'hai chiesto davvero, vero?!-
    -    E perché no?! Di certo non gli mancano, i fondi...-
    -    Judai, è di Atem che stiamo parlando-
    -    E quindi?-
    -    E quindi sai com'è fatto. Gli piace...giocare con noi-

E lo disse con un brivido che gli scosse la schiena, mentre spalancava l'ingresso e lasciava entrare il castano per primo.
Il carisma di Atem era tale da spingere chiunque gli fosse intorno a seguire lui e le sue idee: e la cosa, se da un lato poteva essere ammirevole, dall'altro la trovava inquietante. Ammirevole, perché chi non restava affascinato, ammaliato dalla sua sicurezza e il suo savoir-faire in ogni situazione? Qualunque cosa gli succedesse intorno, Atem era capace di mantenere quel  distacco necessario che gli permetteva di valutare ogni cosa con freddezza e lucidità: nulla sembrava scalfire la sua sicurezza, e se qualcosa era davvero in grado di turbare il suo animo lo nascondeva davvero bene.
Nulla impediva a Yusei, però, di pensare che la mente organizzatrice del Pharaoh's Kingdom approfittasse, anche solo un po', di quella sua brillantezza intellettuale: Atem era uno stratega e un conquistatore della folla e lo sapeva, e probabilmente...anzi, sicuramente faceva leva su questo per ingraziarsi i favori di chi gli stava intorno.
E la cosa strabiliante era che non aveva mai deluso le aspettative di nessuno, anzi: era spesso andato controcorrente con le sue decisioni e le sue intuizioni, salvo poi godersi le facce stupite di chi non credeva ai suoi successi. Aveva tirato su il Pharaoh's Kingdom dal nulla, e l'aveva reso il polo di attrazione della clientela più altolocata di Nuova Domino.

Eppure c'era qualcosa che gli sfuggiva.

    -    Pensi quindi che lo faccia di proposito?- chiese Judai, lasciando la giacca sul vecchio appendiabiti dietro l'ingresso e spalancando la bocca in uno sbadiglio allucinante – Che lo faccia per un suo divertimento?-
    -    Se la cosa non lo divertisse a sufficienza, penso non ci sprecherebbe sopra tempo prezioso- rispose Yusei, defilandosi in cucina e spalancando il frigorifero – Vuoi qualcosa?-
    -    Voglio solo il letto adesso. Vado a coricarmi-
    -    A più tardi-
Rimase ad ascoltare il suono dei suoi passi strascicati sul pavimento, prima di concedersi un sorso d'acqua fresca, lo sguardo perso a studiare la cucina tutt'intorno.
L' appartamento che si erano ritrovati a condividere era, in origine, appartenuto ad un vecchio pensionato che la famiglia aveva preferito rinchiudere in una casa di cura, complice la sindrome di Alzheimer che sembrava avergli azzerato tutte le memorie acquisite fino a dieci anni prima. La cosa, seppur non lo ammetteva direttamente, terrorizzava Yusei: l'idea di perdere gradualmente lucidità e ricordi, fino a rendere la sua testa un vecchio disco rotto fermo a tanti anni prima, lo destabilizzava ed inquietava.
C'erano tante cose che voleva dimenticare, era vero, ma non voleva che a sparire dalla sua mente fossero proprio i ricordi degli ultimi anni.

E sapeva che a parlarne e pensarci adesso, era da suonati come campane: era giovane, un ventiquattrenne nel pieno del vigore e nelle forze, aveva commesso degli errori ma stava anche lavorando sodo per porre loro rimedio. Avrebbe dovuto concentrarsi su questo, sul mettere a posto quell'incasinatissimo puzzle che era stata, finora, la sua esistenza, non arrovellarsi e restare sveglio la notte intera pensando a terribili patologie mentali.
Chissà se Judai ci pensava, alla possibilità di invecchiare e dimenticare tutto quello che era stato. Una parte di sé scommetteva di no: quel ragazzo era permeato di fin troppa positività per lambiccarsi il cervello su simili questioni. Un concentrato di bontà e generosità autentici, mitigati solo dalla faciloneria con cui affrontava alcune cose e la mancanza di spirito di osservazione in altre.
In cuor suo, non poteva sperare di trovare miglior coinquilino. Magari, se fosse stato meno bravo ai videogiochi...
Posò il bicchiere nel lavello, cercando un po' di spazio tra i piatti lasciati dal pranzo del giorno prima. Dovevano decidersi a metterli a posto: magari una volta svegli, dopo il pasto pomeridiano.
Fuori dalla porta-finestra, le piantine sul balconcino erano tutte rivolte al sole ormai sorto.



Il suo ufficio rievocava la lussureggiante vegetazione di un'oasi del deserto, o almeno era così che Aki Izayoi l'aveva descritto una volta entrata al suo interno, il pomeriggio precedente. Atem aveva sorriso, sinceramente compiaciuto del paragone.
Ogni varietà di kentia e potus esistente in commercio era stata racchiusa in quella stanza, illuminata dalla gigantesca vetrata alle sue spalle che lasciava entrare quanta più luce de sole possibile. Gli scaffali in scuro legno di tek, alla destra della sua scrivania, contenenti volumi sull'Egitto e riproduzioni delle sue divinità, avevano molto incuriosito la ragazza dai capelli rossi che aveva deciso di assumere come seconda cameriera in sala. Alla sua sinistra, seminascosto dalle fronde a foglie lunghe della kentia più grande, Yugi si era lasciato momentaneamente cullare dalle braccia di Morfeo, seduto a braccia conserte sul divano in pelle scura. Il lieve tremolio delle palpebre, e il respiro regolare e ritmato, gli fecero però capire che era tutt'ora vigile: stava solo facendo riposare gli occhi dopo una serata passata ad osservare lo schermo di un palmare.
Il silenzio che regnava in quell'ufficio era frammentato solo dal ticchettio dell'orologio a parete, sospeso a qualche centimetro di altezza dalla porta. Con noncuranza quasi studiata, Atem fece scivolare una mano in basso, aprendo con delicatezza un cassetto della sua scrivania e mettendo mano ad una piccola scatola: le linee dorate si intrecciavano sul legno scuro, l'occhio di Ra lo osservava benevolo e guardingo mentre i due scarabei riposavano immobili sui fianchi del minuscolo forziere. Fece scattare la chiusura cesellata in forma di Ankh, svelando il mazzo di tarocchi egizi che giaceva all'interno.
Alzò di nuovo lo sguardo su Yugi: il movimento non sembrava averlo turbato né destato. In silenzio, tenendo il mazzo per il bordo esterno, separò due carte in una ordinata coppia sul ripiano, il dorso che guardava il soffitto. Parti dalla sinistra, ne voltò la prima.
Un giovane e prestante uomo con in mano un bastone. Atem non riuscì a trattenere un sorriso. Il primo Arcano, il Mago creativo, annunciatore dell'arrivo di amici leali che aiutano a sviluppare progetti, e di altri che, alimentati dall'invidia, ostacolano quelle mete. Il principio di nuove iniziative e la nascita di nuove relazioni sociali.
La seconda carta, invece lo mise a confrontarsi faccia a faccia con Anubi: il dio dalla testa di sciacallo sembrava scrutarlo con il suo occhio indagatore. Quinto Arcano, il Gerarca, manifestazione della Legge Universale sul piano spirituale. Grandi insegnamenti sarebbero stati conciliati, grandi amori, avventure amorose, un costante andare e venire di cose e fatti. Buoni amici e anche persone che avrebbero causato conflitti.

Sorrise Atem, rimettendo le due carte insieme alle altre, riunendole in un ordinato mazzo che mise al sicuro nel suo forziere.


****


Le sei del pomeriggio arrivarono molto velocemente. Aki non aveva mai dormito così bene: per la prima volta, dopo tanto tempo, era stata cullata da un lungo sonno ristoratore, senza interruzioni né incubi di sorta, tale che perfino l'allarme della sveglia era sembrato un vago, indistinto campanello che suonava in qualche recesso della sua mente.
Si era risvegliata autonomamente, aveva rivolto un'occhiata incerta al soffitto e alla carta da parati giallo sporco che la circondava. Il suo prossimo giorno di riposo l'avrebbe dedicato alle compere, altroché: non aveva intenzione di restare in un buco di appartamento vecchio e malandato.
Tanto per cominciare, avrebbe acquistato delle nuove tende: non se ne parlava di restare con quelle polverose veneziane che funzionavano una volta su dieci. Magari avrebbe preso anche dei fiori, tanto per ravvivare e colorare l'ambiente. Meglio quelli finti, forse, per non vederli seccare...ma non avevano il fascino e la delicatezza dei fiori normali. E non avevano neanche il loro profumo.
E se avesse preso delle piantine grasse? Non richiedevano cure particolari, davano comunque un tocco di verde all'ambiente e alcune di queste facevano nascere anche bellissimi fiori dai colori accesi.
O forse erano meglio le piante carnivore? Erano esotiche, belle da vedere e anche molto utili, in grado di tenere lontani incauti insetti. Urgeva trovare il vivaio più vicino.

Il pollice verde di Aki era caratteristica conosciuta a tutti i componenti della sua famiglia: fin da bambina si era mostrata piuttosto abile nel prendersi cura di piante e fiori con costanza e dedizione degni di un giardiniere provetto. Sua madre le raccontava sempre che da piccola parlava alle piante per convincerle a crescere più belle e rigogliose, e che cantava alle rose per farle fiorire prima e più a lungo; piuttosto inquietante era stata, invece, la volta in cui Aki dodicenne aveva scoperto che il suo amato roseto era stato attaccato da bruchi che si erano nutriti delle sue foglie: a quanto pareva la rossa aveva preparato un pesticida naturale, con acqua e grani di pepe grosso macinati, sussurrando terribili maledizioni con folle sguardo assassino. Sua madre sosteneva che, non fosse stato per il fatto che sapesse di cosa la figlia stesse parlando, avrebbe pensato stesse preparando un omicidio.
Prendersi cura di piante e fiori era l'unica cosa che sembrava essere politicamente accettata in quella famiglia: niente di strano, niente di eclatante, solo una ragazza col pollice verde. In termini di business, avrebbe potuto aprire una catena di vivai in tutto il continente, oppure entrare nel più redditizio giro degli affari dei concimi e dei pesticidi.
L'unico problema che caratterizzava non solo la famiglia Izayoi, ma più o meno tutte le famiglie nobili di Nuova Domino, era che qualsiasi cosa si facesse nella vita dovesse essere necessariamente rivolta al successo economico e alla realizzazione nella società. Si cresceva con quell'idea, fin da bambini si parlava di futuro e di cosa fare da grandi, e ben pochi erano quelli che potevano sperare di poter seguire le proprie ambizioni e preferenze. Nella maggior parte dei casi, il proprio destino era segnato dalla familiare dinastia di avvocati, primari, dirigenti d'azienda, docenti universitari, chirurgi, proprietari di cantieri navali; qualsiasi cosa, bastava che si continuasse la tradizione familiare e si portasse un ingente capitale in famiglia.

Crescere e diventare maggiorenni a Nuova Domino era molto difficile, oltre che frustrante e demoralizzante: il passaggi alla maggiore età era il momento in cui era necessario affermarsi nella società, ed era allora che bisognava mettere la famiglia al corrente delle decisioni sul proprio futuro. Di norma era la scusa per preparare un gigantesco ricevimento che coinvolgeva tutti i familiari, per andare poi a raccontare a ognuno di loro i piani sul proprio futuro e spiegare in quale modo avrebbero contribuito al capitale familiare.
Anche Aki era stata sottoposta a quel rito di passaggio, se così si voleva chiamare: il ricevimento era stato tenuto nella sua villa di famiglia, nel giardino da lei tanto adorato e curato fin dalla tenera età di quattro anni, quando tagliava via le foglie secche del roseto con le forbicine. Era stato semplice raccontare a tutti che intendeva intraprendere gli studi di medicina: la famiglia Izayoi era più improntata verso la politica, con diversi suoi esponenti a direzione della Nuova Domino, ma più passavano gli anni e più quella posizione diventava di esclusivo appannaggio maschile. Non c'era nulla di male nel sapere che una ragazza si accingeva a studiare per diventare dottoressa, magari primario o chissà cosa.
Più difficile era stato far accettare a tutti l'idea che avrebbe fatto tutto da sola e che non avrebbe scelto l'ateneo verso cui voleva indirizzarla il padre: troppo altolocato per i suoi gusti, diceva, si sudava poco e gli esami erano preparati a tavolino, mirando solo a far uscire laureati senza le minime competenze. Qualche cervellone lasciava i banchi universitari, era vero, ma in molti erano lì solo per “fare qualcosa”, nel frattempo che un loro illustre padre o nonno o zio avesse affidato loro le redini dell'azienda. Aki non era un parassita, a lei piaceva guadagnarsi i suoi meriti e onori.

A quanto pareva non era un concetto di facile assimilazione, quello di raggiungere i propri obiettivi scegliendo quella che era la via più difficile.
Prese il telefono e osservò lo schermo, arricciando il naso e strizzando le palpebre, abbagliata dalla luce dello schermo. Nessun messaggio da nessuno che conosceva, come ben prevedeva.
Ancora non gli era andata giù, a quanto pareva.

Si mise seduta a bordo del letto, stendendo le gambe e allargando le dita dei piedi; lo sguardo le cadde sulla scrivania poco più in là e sulla pila di libri posata su di esso, e lo sconforto la colpì come una manata in fronte.
Per quanto studiare le riuscisse bene, non rientrava esattamente nella lista delle sue attività preferite. Aveva scelto la facoltà di medicina, ma solo per accontentare le aspirazioni familiari di vederla “sistemata” come tutto il resto del parentame: fosse dipeso da lei, non avrebbe fatto nulla di tutto questo.
A ben pensarci, non sapeva bene cosa avrebbe voluto fare. Probabilmente, si sarebbe lasciata trasportare dai giorni, chiusa nella prigione di cristallo della sua casa, senza un obiettivo valido o delle aspirazioni. Senza fare nulla, come era stata cresciuta: senza la necessità di fare nulla. C'erano le cameriere a sistemarle il letto quando si svegliava, il cuoco a preparare colazione, pranzo, merenda e cena, e perfino i giardinieri erano diventati sempre più gelosi di lei e del suo dono con le piante e i fiori, al punto da riservarle occhiatacce quando lei si attardava troppo vicino al suo roseto o ai cespugli ben potati.
Non era mai bene che una ragazza prendesse troppa iniziativa, in quella società.

Aki era sempre stata considerata strana, quello strano che incuteva timore e soggezione. I motivi di tanto riserbo nei suoi confronti non erano chiari neanche a lei, e li aveva sempre imputati alla sua discendenza “nobile”: lei era la ragazza ricca, quella che poteva permettersi tutto con uno schiocco di dita. Una che aveva vita facile, una che non doveva sudare per guadagnarsi il successo e l'ammirazione degli altri.
Aveva imparato, con il tempo, a farsi scudo della solitudine e del suo carattere non proprio malleabile. Pochi erano gli amici che aveva considerato tali, e anche questi erano andati persi con il tempo, trascinati via dai loro impegni e obblighi di adulti.
Aveva sempre pensato che diventare adulti fosse solo una fregatura colossale. Tanti obblighi, tanti doveri, tante responsabilità: Aki non si era mai sentita pronta a diventare adulta, forse perché non era mai stata realmente bambina. La sua infanzia era stata scandita da rigidi dettami familiari volti a farla diventare una personalità di spicco nell'alta società di Nuova Domino, secondo uno schema unico e infallibile che già aveva funzionato con molti rampolli della famiglia Izayoi. Molti, ma non tutti: e lei faceva parte di quella stretta cerchia di ribelli che aveva deciso di prendere in mano la propria vita e uscire dalle comode e sicure mura familiari, forse per ritrovare sé stessi o, più probabile, per dimostrare che valevano qualcosa anche fuori dalla famiglia.
Di quelle pecore nere, come alcuni si riferivano a loro, se ne perdevano volutamente le tracce. Aki era insicura sulla loro sorte, molti erano sicuramente a vivere altrove, altri chissà. E sapeva che, con la sua presa di posizione contro le tradizioni di famiglia, avrebbe attirato su di sé lo stesso destino: poco a poco tutti, nella sua famiglia, l'avrebbero dimenticata, e da una parte sperava che questo avvenisse il prima possibile, così da non avere rimorsi né risentimenti particolari.
Dall'altra, sperava sempre di sbagliarsi ed essere piacevolmente sorpresa, un giorno o l'altro.

Si alzò dal letto, osservando il cellulare che mandò una singola vibrazione: un messaggio. Subito sfiorò lo schermo per aprirlo, senza neanche fare caso al nome del mittente. La piccola speranza che le era sbocciata in cuore affievolì come la fiammella di una candela, quando si rese conto che no, non era un messaggio da sua madre, né da suo padre o da qualsiasi altro suo familiare; ma glielo riempì con qualcos'altro. Sorpresa, forse.
Era Judai, che le augurava un buon risveglio e le ricordava di presentarsi puntuale al lavoro. Concludeva le poche righe di messaggio con qualche emoticon di troppo per i gusti della rossa, ma inconsciamente si ritrovò a sorridere, quasi intenerita.

A fine serata, aveva scambiato il numero di cellulare con quello dei suoi nuovi colleghi. Il primo era stato Atem, che le aveva lasciato anche il suo recapito mail, “per qualsiasi emergenza” le aveva detto. E poi Yugi l'aveva seguito a ruota, insieme a Judai e i due Yu, come li aveva ribattezzati lei perché chiamarli Yuma e Yuya le risultava troppo strano senza evitare di sorridere ogni volta. Yusei si era già dileguato nei camerini, a cambiarsi d'abito: a quanto pareva, il barman era ancora imbarazzato da tutta quella paradossale situazione che si era creata prima del loro inizio turno; già le si era presentato con solo indosso un grembiule e un'espressione mutata da seria a maniaca nello spazio di un secondo, chiederle il numero di telefono sarebbe stato come chiedere il permesso per varcare un confine già sfondato per sbaglio con un panzer.
O almeno questa era la spiegazione fornita da Judai, alla quale tutti avevano più o meno annuito. Sembrava che quel Yusei fosse molto più riservato, se non addirittura timido di quanto fosse sembrato da quel primo, strambo approccio.
Aki sorrise e compose velocemente la risposta, prima di inviarla e dileguarsi nella cabina doccia.
L'idea di tornare presto a lavorare le piaceva. Percepiva una strana sensazione, come se nello stomaco ci fosse un palloncino che provava a sollevarla da terra.
Conoscere quei sei giovani ragazzi era stata forse una fortuna, per la sua esistenza smorta e grigia. Aveva solo qualche dubbio sul curriculum lavorativo: che avrebbero pensato, gli altri, al saperla lavorare con tizi che si spogliavano a caso durante una partita di blackjack?
Scosse il capo, mentre il getto di acqua calda della doccia le martellava la schiena e risvegliava la muscolatura intorpidita dal sonno.
A nessuno era mai importato davvero qualcosa di lei, perché avrebbero dovuto cominciare ora?
Si fece una doccia veloce, prima di uscire e mettere mano ai suoi asciugamani.


****



    -    Questa qui?-
    -    Lei, sì. È una persona, rivolgiti a lei come si deve...-
L'avvenente bionda di fronte a lei ignorò le parole di Atem, tornando a studiarla con attenzione, sfiorandole una guancia con le lunghe dita affusolate coperte dal lungo guanto. La donna le sorrise, seducente come una promessa di eterni amore e felicità.
    -    Oh, ma guardala- disse poi – Questo collo così esile...ha il collo di un cigno, questa ragazza, è piccola come un cardellino-
Piccola? Okay, non era esattamente un lampante esempio di altezza fisica ma addirittura definirla piccola...Aki deglutì, infastidita.
    -    Ha molte risorse nascoste, la ragazza- notò Atem, scrutando la donna dai lunghi capelli biondi – Non farti ingannare dalle apparenze-
Finalmente qualcuno che diceva le cose come stavano! Ma da Atem non si poteva aspettare altro: quel tipo sembrava capace di sbatterti la verità in faccia come una randellata. Sarebbe stato interessante metterlo alla prova in un confronto con suo padre, o con uno qualsiasi della famiglia Izayoi. Chissà cosa sarebbe successo.
    -    Non lo metto in dubbio. Sai quello che fai, caro il mio Faraone...-
Quando poi, finalmente, le porse la mano, una volta sfilatosi il guanto, per stringerla, Aki neanche se ne accorse in un primo momento. Trasalì sul posto e avanzò con la mano incerta, stringendola: era fredda al tatto, eppure piacevole da sentire, con quella liscia pelle di seta.
La donna si chiamava Mai Kujaku, e mai nome era stato più evocativo di quello: una donna bella e consapevole di esserlo, la voce di una sirena e le movenze di una gatta. Quando saliva sul palco, ogni sguardo convergeva automaticamente su di lei: Aki non aveva prestato attenzione, troppo concentrata sul suo lavoro, ma aveva ancora i brividi a ripensare a quella potente voce che si destreggiava tra armoniosi vocalizzi, potente più degli strumenti di accompagnamento. Si trovava decisamente a suo agio in mezzo alla folla, più volte aveva lasciato il palco per sfilare tra i tavoli, e avvolta in quel vestito che sembrava un cielo notturno era ancora più bella: seta nera punteggiata da cristalli bianchi, più numerosi sul seno e sul busto. Anche le mani e le braccia erano avvolte nello stesso nero dell'abito, dalle dita fino ai gomiti, ma le spalle erano scoperte, e il collo era impreziosito da un meraviglioso collier che brillava sotto i riflettori colorati.
Aveva cantato e intrattenuto la clientela, prima di scendere dal palco per concedersi una meritata pausa; qualche minuto per riposare le corde vocali, prima di ricominciare. Alle sue spalle, la sua band di musicisti si stava sbizzarrendo, improvvisando pezzi musicali briosi e ritmati: il ragazzo biondo al basso sembrava divertirsi parecchio, ed era quello che attirava più sguardi.

    -    Rilassati pure Aki, lei è come Yusei- fece Atem, rendendosi conto che la ragazza aveva misteriosamente smesso di respirare – Sembra pronta a divorarti in un sol boccone, ma non ti torcerà un capello-
    -    Oh, perché devi dire queste cose?- chiese Mai, quasi indispettita: mise su anche un adorabile broncio – Lo sai che ci resto male!-
    -    Devi sapere che Mai è stata una dei primi artisti che ho voluto ad esibirsi qui- il padrone di casa sembrò ignorarla – La incontrai qualche anno fa su una nave da crociera-
    -    Cosa mi stai facendo ricordare...! All'epoca lavoravo come croupier della sala casinò, ma il mio sogno è sempre stato quello di cantare-
    -    Si esibì ad una prova di karaoke, mi colpì molto-
    -    Et voilà, nel giro di qualche giorno lasciai la nave per cantare nel suo neonato locale! È quasi commovente...-
Più che commovente, Aki trovava quella storia illuminante: aveva la conferma che lo slancio che aveva spinto l'uomo ad assumerla non era un caso isolato, a quanto pareva gli piaceva circondarsi di persone che lo colpivano, fosse stato per un semplice fattore estetico o mentale. Con suo rammarico, Aki si sentì un po' meno speciale.
    -    Bei tempi quelli della nave da crociera- disse Atem, con un vago sorriso – All'epoca il Pharaoh's Kingdom non era bello come adesso, ma andavo spesso in giro per il continente. Andavo alla ricerca di collaboratori, artisti pronti ad esibirsi al suo interno, gente che avrebbe aiutato a spargere la voce-
    -    Eppure ci sei riuscito- notò Aki – Hai...tirato su questo posto dal nulla. Dovresti esserne fiero-
    -    Lo sono, infatti-
    -    Posso farti una domanda? A costo di sembrare inopportuna-
    -    Chiedi pure-
    -    ...Perché? Voglio dire, perché hai deciso di fondare questo locale? Sempre che tu ne sia il fondatore-
    -    Lo sono. Mi piace osservare le persone-

L'espressione che doveva aver attraversato il suo viso doveva essere davvero divertente, perché Mai scoppiò a ridere: la sua risata era dolce e flautata, e aveva il vezzo molto femminile e chic di portarsi il dorso della mano alle labbra, quasi a voler coprirsi dietro di essa. Atem le rivolse un sorriso complice.
    -    Non hai capito male, mi piace osservare le persone- le rispose poi – E conoscerle da lontano. Una persona ha molto da dirti senza che questa usi le parole, basta osservare i loro movimenti, gli sguardi, i vezzi e le particolarità, come porta i capelli o i gioielli che indossa-
    -    ...Come hai fatto con me durante il nostro “colloquio”?- chiese Aki, mimando le virgolette con indice e medio di entrambe le mani; il gesto non sfuggì a Mai, che spalancò le belle labbra rosse e diede di gomito al proprietario del Pharaoh's Kingdom.
    -    Colloooooquio, eh? Ora si chiama così...cos'hai fatto a questa dolce ragazza per conquistarla, eh?- gli chiese lei, gli occhi stretti in uno sguardo da mangiauomini.
    -    Niente di quello che ti sta passando per la testa- rispose Atem, e per la prima volta da quando lo conosceva alla rossa sembrò di captare una nota di disagio nella sua voce.
    -    L'hai mai visto alle prese con le carte da gioco?- domandò Mai, ignorandolo, riservando ad Aki un occhiolino compiaciuto – O con una delle cose che fa sparire e ricomparire?-
Sparire e ricomparire? Questa le era nuova...e delle carte da gioco sapeva solo che le usava per infliggere indicibili punizioni a chi batteva la fiacca...Aki scosse il capo, in segno di diniego.
    -    Aaah, un vero peccato! Rimarresti strabiliata dalla sua maestria! Non si capisce come faccia! E a me vengono in mente tante cose da fare, con quelle mani...-
    -    Va bene così Mai, grazie mille-
Stavolta Aki ne era sicura, era davvero imbarazzato.
    -    Per rispondere alla tua domanda...- riprese Atem, schiarendosi la voce mentre la bionda cantante stentava a trattenere una risata – Sì, come ho fatto al nostro colloquio...Mai smettila. Mi piace analizzare la persona media, e fare da spalla a chi serve...come mettere a posto chi ne ha bisogno-
    -    Che si traduce in...?-
    -    Si traduce in selezionare la clientela in modi a noi sconosciuti!- esclamò Mai – Ed inscenare lui stesso qualche gioco o spettacolo, quando gli va. Ehi, perché non le fai vedere?-
    -    Non se non le interessa- rispose Atem, rivolgendo una lunga occhiata alla ragazza.


Ancora una volta, Aki si sentì quasi denudata da quei perforanti occhi ametista. Annuì senza rendersene conto, strappandogli un nuovo sorriso.
Per qualche motivo si sentì rabbrividire. Non sapeva dirle se la sensazione le piaceva o meno.
Poi, senza dire altro, Atem si allontanò, senza congedarsi dalle due donne. Con passo silenzioso si accomodò al suo tavolo privato, tornando a sorseggiare il Martini che poco prima si era preparato al bancone. Aki lo osservò stupita, Mai si lasciò sfuggire un risolino.
    -    Tipico del faraoncino- chiosò poi – Non fa mai le cose che gli chiedi, se non quando ha voglia. E i suoi giochetti non fanno eccezione. Ma li farà, stai tranquilla-
    -    Esattamente cosa devo fare...ora?- chiese Aki, insicura.
    -    Niente zuccherino, proprio niente! Torna pure al tuo lavoro, te ne accorgerai da sola quando farà qualcosa-
Mai le riservò un'ultima carezza al volto, prima di dileguarsi in mezzo alla clientela e ad intrattenere qualche conversazione. Aki rimase semplicemente lì, ad osservare entrambi senza dire una parola: Mai che ancheggiava sinuosa ed ipnotica tra i tavoli, e Atem che la osservava svogliato, sorseggiando il suo Martini di tanto in tanto.
    -    Ehi Aki...non vorrei dirti, ma Yugi ha bisogno di una mano-
La voce di Yusei la riscosse dal suo improvviso stato di spaesamento. Aki si lasciò sfuggire un piccolo gemito di sorpresa, scattando in avanti come se fosse stata pungolata alle natiche e puntando decisa uno dei tavoli da cui un cliente stava facendo cenno di avvicinarsi. Yusei sorrise, divertito da quella scena.
La serata era nel vivo, nonostante fosse una domenica sera la clientela era numerosa e i tavoli pieni, come se nessuno dovesse lavorare il mattino dopo. Gli piaceva osservare le coppie e i gruppi dalla sua postazione: il stare riparato dietro il bancone gli dava un certo vantaggio, era praticamente invisibile a chi stava dall'altra parte, troppo concentrato a scattarsi dei selfie o a osservare le esibizioni. Aki tornò da lui proprio mentre Yuma salvava un lancio di bottiglia troppo azzardato, guadagnandosi un applauso da Yuya.
    -    Un Cosmopolitan, un Mojito e-e un Blowjob- ordinò la rossa, del tutto dimentica del fatto che lui già conosceva le ordinazioni. Tuttavia Yusei non glielo fece notare, fin troppo divertito dal tentennamento con cui aveva elencato l'ultima ordinazione.
    -    Cos'è, ti imbarazza?- domandò poi il barman, riempendo di ghiaccio uno shaker con pochi, semplici gesti – Ehi! Aaaaah, non il Cointreau, mi serve, BESTIE!-
La bottiglia di liquore francese atterrò con precisione tra le mani di Yuya, che la porse docilmente al barman. Il giovane riservò un'occhiata omicida ai due colleghi, che trotterellarono alle loro postazioni senza fiatare. Yuma si fece roteare un bicchiere collins tra le mani, cominciando a versare zucchero e piazzare foglie di menta, mentre Yuya aveva già riempito lo shaker con ghiaccio, liquore di caffè, Amaretto e crema Irish.
    -    Non so cosa sia, in realtà- spiegò Aki, facendo spallucce. Yusei le sorrise affabile: era molto tenera quando sollevava le spalle in quel gesto innocente.
    -    Beh, è quello che sta preparando Yuya- le spiegò poi – Liquore di caffè, Amaretto e crema Irish. Ti ha detto se ci vuole anche della panna?-
    -    Non l'ho chiesto, se vuoi vado-
    -    Ahahaha! Non chiedere, ci penso io! La panna ci va sempre, sul Blowjob-
    -    Questa conversazione sta diventando davvero strana-
    -    Ecco qua!-

Yuma si piazzò trionfante i pugni sui fianchi, un sorriso sul volto che avrebbe potuto fargli il giro della testa due volte, non ci fossero state le orecchie a contenerlo. Il bicchiere di Mojito che gli stava davanti era da manuale: rum bianco, sciroppo di zucchero, succo di lime, acqua di seltz e ghiaccio spezzato erano attraversati di netto da una cannuccia nera, e le foglie di menta e i pezzi di lime sembravano posizionati al millimetro. Yusei si sporse di poco, lo annusò e sollevò il pollice destro.
    -    La conversazione non diventerà strana a meno che tu non voglia che lo sia- le rispose poi il giovane, prima di cominciare a riempire lo shaker.
Vodka pura, dall'odore pungente che le solleticò le narici perfino a quella distanza; succo di mirtillo rosso, succo di lime, e il già nominato Cointreau che Yuya aveva salvato in tempo da un indecoroso volo a terra: Yusei cominciò a versarli nello shaker in dosi calcolate al millimetro. Le bottiglie roteavano troppo velocemente per i gusti di Aki, ma a differenza dei due Yu, il moro dal tatuaggio dorato era molto meno acrobatico, più funzionale. Ogni bottiglia compiva perfette rotazioni nell'aria, afferrata dalla salda presa del barman che sembrava perfettamente a suo agio in quelle azioni. Si permise perfino di fischiettare a tempo con la musica della band, mentre la bottiglia di Cointreau tornava al suo posto.
Si era arrotolato le maniche fino ai gomiti, rivelando il tatuaggio: la testa di drago osservava il mondo con sguardo fiero ed impenetrabile, tremendamente somigliante a quello di Yusei. Erano i suoi occhi che la stavano osservando, mentre lo shaker compiva argentei circoli: blu come il mare dove era più profondo, vividi ed intelligenti, vibranti di energia. Aki rimase ad osservarlo, senza spiccicare parola.
Stava arrossendo. Lo sapeva, lo sentiva: orecchie e guance avevano raggiunto temperature di fusione del nocciolo, ed era sempre stato un grosso problema per una pallidina come lei. E l'avere i capelli rossi non aiutava affatto! Quand'era così, la similitudine con la testa di un fiammifero acceso era perfetta.
E il problema ancora più grosso era che Yusei sembrava essersene accorto. Gli occhi si erano affilati come la lama di uno spadaccino d'altri tempi, arpionati su di lei come un'aquila su una preda. Aki provò l'invitante impulso di parcheggiargli il tablet delle ordinazioni in faccia, chissà cosa la trattenne.
È solo perché è un ragazzo carino, le disse la vocina nella sua testa, e in cuor tuo non ti dispiace. Fosse stato qualcun altro a guardarti così ti avrebbe fatta incazzare.
Stupida coscienza, aveva ragione anche lei. Yusei non le staccò di dosso gli occhi finché non ebbe terminato di preparare il Cosmopolitan, aggiungendoci un anello di lime a decorazione. Aki si strinse di nuovo nelle spalle e abbassò lo sguardo, sistemandosi meglio una ciocca dietro l'orecchio destro.
    -    Sai perché si chiama Blowjob?-
La voce di Yusei la fece rabbrividire per l'ennesima volta nella serata: Aki decise che sì, quella sensazione le piaceva. Alzò lo sguardo: il barman le porgeva il vassoio su cui erano posati Mojito, Cosmopolitan e Blowjob, con tanto di topping di panna montata. Yuma e Yuya stavano rispettivamente alla destra e alla sinistra di Yusei, due grossi sorrisi sul loro volto che le rievocarono in mente l'immagine di inquietanti mascheroni tribali.
    -    Perché si beve senza mani-
Aki tentennò per un attimo, barcollando lievemente quando il vassoio le venne posato tra le mani. Si schiarì la gola e si voltò senza fiatare, avanzando a passi piccoli e rapidi verso il tavolo da cui era partita l'ordinazione. Alla sua destra, Yuma fischiò tra il divertito e compiaciuto.
    -    Vuoi già calare i tuoi assi migliori o cosa?- gli domandò poi, con un sopracciglio alzato.   
    -    Non montatevi la testa, tu e soprattutto TU- rispose Yusei, indicandoli entrambi con veementi gesti delle mani – L'ho solo punzecchiata un po', ha bisogno di sciogliersi-
    -    Aha...dico, l'hai vista? Sembrava dovesse esplodere da un momento all'altro per quanto era arrossita!-
    -    Non infuochiamo gli animi, ah?-
Un impreciso punto ai piedi del palco andò a fuoco.

In un primo momento non se ne rese neanche conto, troppo impegnata a consegnare le bevande senza rovesciarle sul tavolo e rovinare tutto; ma quando Aki si rese conto della fiammata per poco non si fece sfuggire il vassoio dalle mani. Chi era più vicino al punto in cui il fuoco si era alzato scattò dalle sue sedute e si allontanò precipitosamente, arraffando telefonini e borsette e mettendosi a debita distanza. I musicisti sul palco abbandonarono le loro postazioni, portando via con sé gli strumenti: la rossa giurò di aver sentito il biondo bassista ululare un'imprecazione.
Tuttavia, nessuno si muoveva. Poco lontano, Yugi era rimasto ad osservare la pira di fuoco che saliva verso il soffitto, senza muovere un muscolo né avvicinarsi all'estintore a poca distanza da lui. Judai si era affacciato dalla porta delle cucine, studiando la situazione da lontano, Yuma e Yuya avevano interrotto i loro giochi con le bottiglie e anche Yusei aveva alzato lo sguardo sulle fiamme, ma nessuno di loro muoveva un passo né chiamava aiuto. Mai si materializzò al suo fianco, sfiorandole un braccio e facendola sussultare: la bionda cantante le fece di nuovo l'occhiolino, corredato da un bel sorriso.
Aki gettò un'occhiata inquieta in direzione di Atem: forse lui avrebbe reagito in maniera diversa, confermando che la situazione era potenzialmente pericolosa. Perché nessuno si muoveva? Perché nessuno faceva nulla? Il proprietario del Pharaoh's Kingdom le regalò un altro dei suoi enigmatici sorrisi da sfinge, prima di alzarsi dal tavolo e dirigersi verso la pira. Con calma, si slacciò il gilet, restando solo in camicia nera. Si sfilò l'indumento dalle spalle, e con un fluido gesto lo lanciò in mezzo al fuoco: le fiamme brillarono più intensamente per pochi attimi, poi sparirono, semplicemente. Al loro posto, le piume lucide e nere di un grosso corvo presero il volo: il volatile sfrecciò al di sopra dei tavoli, generando esclamazioni di stupore generale, virò verso il bancone dove si appollaiò, arruffò le penne e gracchiò un paio di volte. Troppo grande perfino per essere un corvo normale, figurarsi per essere nascosto in una manica di camicia o in uno striminzito gilet, il corvo si voltò verso la platea confusa e li osservò, svelando loro un terzo occhio dorato sulla sua fronte. Quando Aki si voltò ad osservare Atem, dallo sguardo che animava i suoi scintillanti occhi d'ametista capì che aveva appena cominciato.

Il corvo gracchiò ancora. Tra le mani di Atem, la cintura di brillanti di una giovane donna si tramutò in una lunga fila di neri scarabei che fecero gemere inorridite le signore, salvo poi fare esclamare di stupore ancora una volta: una volta caduti a terra, gli insetti si tramutavano in oro e ossidiana, meravigliosi gioielli perfetti in ogni dettaglio nel rievocare gli insetti tanto cari agli Egizi. L'orologio da polso del misterioso accompagnatore di una avvenente donna si deformò all'inverosimile, quasi fosse stato ripetutamente passato sotto una rovente fiamma, allungandosi e liquefacendosi come il cipollotto dipinto da un pittore dalle idee confuse; e con la stessa semplicità ritornò al suo stadio normale, e così anche gli scarabei regredirono all'originale forma di cintura. L'uomo rimase ad osservare stupito il suo orologio, la donna si rifiutò di indossare ancora la cintura e uscì per qualche minuto, visibilmente spaventata.
Atem la ignorò. Alzò la mano destra verso il corvo rimasto sul bancone: l'animale lo osservò guardingo con i suoi tre occhi, gracchiò ancora una volta, poi si sollevò in volo con due poderosi battiti d'ali. Puntò dritto il giovane uomo, e poco prima di schiantarglisi addosso le ali nere mutarono in pieghe e piegoline che gli si strinsero al busto. Atem sollevò una mano e allacciò l'ultimo bottone del gilet.

Il silenzio che aveva regnato sovrano fino a quel momento venne rotto da un veemente scroscio d'applausi. Mai rideva accanto a lei, applaudendo a sua volta, la band di musicisti fece ritorno sul palco con circospezione, non sapendo cos'altro aspettarsi.
Atem sorrise appena, ma più di questo non fece. Ignorò le ovazioni, gli applausi, i complimenti, e restò ad osservare l'unico uomo che, in fondo alla sala, non lo celebrava, ricambiando il suo sguardo.


****

La lancetta dei minuti aveva da poco superato la mezzanotte, e tutto il sonno che provava fino a qualche momento prima era scomparso nell'esatto momento in cui aveva percepito quella sottile interferenza. Mana si tirò su a sedere di scatto, gli occhi spalancati nel vuoto e il cuore che batteva all'impazzata nel petto quasi a voler uscire. Vi posò entrambe le mani sopra, come se volesse porgli un freno.
Quella sensazione...era da tempo che non si faceva strada nel suo corpo. La giovane si guardò le dita con sguardo perso, forse incredulo, sentendole pizzicare lievemente.
Lo sguardo si alzò verso la finestra della sua stanza. Il televisore rimasto acceso illuminava la camera di una pallida luce bluastra, un lieve riverbero che si rifletteva sulla superficie della sua sfera di cristallo e la sua collezione di gemme preziose; lo schermo del laptop spuntava a malapena da un'inquietante barriera di fogli e libri.
Si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra: a quell'ora i quartieri costieri di Nuova Domino si illuminavano delle mille luci delle insegne colorate, i palazzi e i grattacieli che apparivano come inquietanti mostri dalle centinaia di occhi. Lì, da qualche parte in mezzo a quel labirinto di mura e quel dedalo di strade, un elegante lounge bar dall'esotica ambientazione aveva fatto da sfondo a quella che, agli occhi degli inconsapevoli spettatori, era stata semplice illusione. Un gioco di prestigio di grande effetto, capace di confondere e incantare gli occhi dell'uomo.
Mana si lasciò sfuggire un lieve sospiro, spostandosi una ciocca bionda sull'orecchio destro, ignorandola quando la percepì scivolare subito dopo fino ad accarezzarle la guancia.
Era da tempo che non percepiva quella sensazione, quella sorta di sottile interferenza energetica che la univa ad Atem da lungo tempo. Qualcosa l'aveva spinto a mettersi in mostra e a usare le sue abilità, quella sera.
Senza indugiare oltre girò intorno alla scrivania, spostando colonne di libri una sull'altra e ignorando una torre di volumi che crollava rovinosamente a terra. Fece scorrere con uno scatto uno dei cassetti e portando alla luce il cofanetto in legno di mogano, posandolo in bilico su una pila di libri e scoperchiandolo con un gesto attento. Con delicatezza prese il mazzo di tarocchi marsigliesi, tenendolo per il bordo.
Alzò ancora una volta lo sguardo sui grattacieli e i palazzi fuori la finestra, e nel silenzio rotto solo dal brusio del televisore, sintonizzato su un notiziario notturno, Mana dispose le carte in una lunga fila sul tavolo, ora sgombro. Le osservò a lungo, sorvolandole con la mano destra, le dita pallide tese sui loro dorsi, rimuginando tra sé la domanda, quasi assaporandosela tra le labbra e mormorandola a sé stessa.
Voltò una sola carta. L'arcano svelato le mostrò l'inquietante immagine di una torre che crollava e di figure che precipitavano. La Maison Dieu, la Torre.
Un brivido le attraversò la schiena con la forza di una frustata. Rimise tutte insieme le carte, riordinandole nel mazzo.


__________________________________________________________

Siamo già al numero 2? Ma che bello è?
Come state tutti? Io sono attualmente impelagata con i miei scritti: l'idea era quella di fare un doppio aggiornamento ma siccome di secondo nome faccio PROCRASTINARE, direi che per questa sera mi accontento. Ditemi che NON sono l'unica, ve ne prego, vi scongiuro perché davvero non SO più dove sbattere la testa.
Fosse possibile trasmettere i miei pensieri al PC per osmosi, avrei scritto mille e più storie. Ma siccome tale tecnologia non è ancora disponibile, e io sono una cialtrona senza ritegno e col fondoschiena pesante come uno schermo panoramico, altro non posso fare che rotolarmi nell'autocommiserazione come un maialino nel fango.

Capitolo di passaggio questo, si raccontano cose e ne succedono molte altre! Avevo detto che avremmo visto Judai e Yusei interagire tra loro spesso, SPESSISSIMO giusto? Ed ecco svelato il perché! I due duellanti leggendari sono, qui, dei coinquilini che dividono più o meno tutto: pranzo, cena, console, programmi varietà, anche il bagno e il garage! Sebbene dormano in stanze separate perché ognuno ha bisogno dei suoi spazi, e uno dei due russa e l'altro tira calci nel sonno. Provate a indovinare chi fa cosa...

La situazione familiare di Aki. Ma che bel quadretto gioioso è uscito fuori? Ammetto di averci messo un po' del mio, solo opportunamente romanzato e modificato per adattarlo meglio ad una società distopica come quella ritratta nella serie 5D'S. Che bordello quella serie, giuro. L'intera dinamica della divisione tra Satellite e Nuova Domino gridava DISTOPIA da ogni lettera. L'Inversione Zero praticamente era un disastro nucleare. I Dark Signers sono praticamente dei non-morti, tra magia nera, la vendetta come veicolo motore delle loro azioni e il fatto di essere tecnicamente morti o quasi. Divine letteralmente DIVORATO da Immortale Terrestre Ccarayhua. Sempre Divine che si divertiva a far torturare ragazzini appartenenti al Movimento Arcadia per aumentare e valorizzare i loro poteri psichici. Gli Immortali Terrestri che assorbivano le anime di civili innocenti.
E questa era SOLO la prima stagione.
Perché ricordiamoci SEMPRE che è un gioco di carte PER BAMBINI!

Mai Kujaku! Che dire di lei? Nella storia anche lei aveva un posto già assegnato con una bella freccia lampeggiante! Bella e preziosa come il pavone che le dà il nome, ruba la bella voce direttamente dalle Arpie del suo deck originale.
Si comincia un certo gioco di sguardi dalla parte del bancone! Con lanci di bottiglia come sfondo. Scrivere di loro è divertentissimo.

Ultimi ma non ultimi, Atem, Mana e il misterioso ospite che tanto misterioso non è! Perché chi altri può restare ad osservare Atem in perfetto silenzio, immobile e stoico come una statua accanto al Partenone?
Ora sappiamo nello specifico cos'è che Atem si diverte a fare, quando è in serata...ma trattasi solo di un assaggino delle sue vere capacità. Illusioni o magia? Sta a voi scoprirlo! Gli altri ci si scervellano sopra già da un po'. E Mana...come non poter tirare in ballo anche li, la Ragazza Maga Nera sua fidata compagna di duelli, sogno adolescenziale di tanti spettatori e mio ennesimo sogno erotico appena intravista? Che meraviglia signori miei.

CREDO di aver detto più o meno tutto, ma sicuramente qualcosa è sfuggito. Per ogni cosa, contattatemi pure via recensioni, posta privata, piccioni viaggiatori, qualunque sia il vostro modo! Vi risponderò più velocemente che le mie incasinatissime giornate mi permetteranno! Vi lascio un omaggino nel frattempo: sapete che mi piace disegnare? Ora sì.
Ci si rilegge presto!

92Rosaspina

Image and video hosting by TinyPic
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh / Vai alla pagina dell'autore: 92Rosaspina