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Autore: Chiccagraph    21/11/2017    0 recensioni
Alex Karev si sedette su una delle panche nello spogliatoio. Gli altri specializzandi erano già stati assegnati a uno strutturato per quella mattina ed erano tutti impegnati in casi diversi.
Chi pianificava le ultime cose prima di entrare in chirurgia; chi presentava il caso del giorno; chi si prendeva cura di un paziente dopo un recente intervento. Tutti erano impegnati in qualcosa. Tutti, tranne lui.
Lui continuava a fissare imbambolato la fila di armadietti attaccati al muro, cercando di capire cosa diavolo avesse fatto di male per meritarsi questo.
È stata una settimana strana.
Ma precisamente, che cosa significava una settimana strana?
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Addison Montgomery Sheperd, Alex Karev
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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Ogni giorno è un buon giorno, ma alcuni sono migliori di altri

 
 

Continuò a fissare il numero inciso sulla porta come se volesse imprimerlo nella sua mente.
Sapeva che dietro la stanza 2214 c’erano le risposte che cercava da giorni.
Fece un lungo respiro trattenendo in un primo momento l’aria nei polmoni; e riprese a respirare solamente quando sentì un primo accenno di giramento di testa.
Flesse il braccio stringendo la mano a pugno e senza aspettare oltre bussò tre volte.
 
«Mark, vattene».
 
In un primo momento rimase in silenzio, preso alla sprovvista dal tono esasperato della sua voce. Contò fino a dieci, ingoiò la saliva accumulata in bocca per l’ansia, e dopo aver preso un altro lungo respiro si fece coraggio e si avvicinò alla porta. «Sono io».
 
Sentì un fruscio provenire dall’interno della stanza e poco dopo Addison aprì la porta, con indosso una vestaglia da camera di raso verde annodata ai fianchi magri.
I capelli ramati erano sciolti sulle spalle, lasciati ad incorniciarle il viso, che completamente privo di trucco metteva in risalto ancora di più la profondità dei sui occhi verdi; o forse erano blu, non era mai riuscito a comprendere l’infinità di sfumature che i suoi occhi nascondevano.
Delle volte erano verdi come due smeraldi, altre blu. Blu come il mare più profondo e insidioso. In perfetto contrasto con il rosso dei suoi capelli, un rosso intenso, caldo, come il fuoco che gli bruciava dentro quando i suoi occhi si allacciavano ai suoi. 
Rimase impalata davanti la porta con la bocca semiaperta e uno sguardo sperduto sul volto.
 
«Posso entrare?»
 
Aprì la bocca un paio di volte, senza far uscire nessun suono, infine, si spostò di lato per lasciarlo passare.
Una volta dentro, Alex, si guardò intorno nella sua camera d’albergo e si perse nelle tinte calde dell’appartamento. Tutto era perfettamente ordinato e pulito. Un grande vaso di rose bianche troneggiava il centro del tavolo in legno antico; saranno state più di cento e senza doversi impegnare più di tanto, poteva dire perfettamente chi ne fosse il mittente: d’altronde era famoso per i suoi gesti plateali.
 
«Bei fiori. Sono di un ammiratore segreto?»
 
«Oh, lo so, sono bellissimi. Emanano un odore nella stanza incredibile» disse, guardando i fiori. «Peccato che l’ammiratore non sia molto segreto» aggiunse, con un tono scherzoso.
 
«Ne ha di cose da farsi perdonare, eh?!»
 
«Credo di sì»
 
Si avvicinò al vaso che emanava un intenso profumo di rosa per tutta la stanza. «Nessun biglietto?»
 
Addison lo guardò, sorpresa da quello che stava chiedendo. Completamente stordita. Non tanto dalla domanda, ma più dal fatto che avesse notato la mancanza di una nota sui fiori. Cercò di minimizzare l’aspetto di sorpresa sul suo viso e annuì leggermente. «C’era, ma l’ho buttato. Era troppo pretenzioso e pieno di aggettivi altisonanti per i miei gusti»
 
«Così hai buttato il biglietto ma ti sei tenuta i fiori» disse Alex, ancora con lo sguardo fisso sul mazzo di rose.
 
Addison strinse le spalle; si accigliò momentaneamente mentre fissava anche lei i suoi fiori. «Beh, guardali!» esclamò. «Sono bellissimi; e, inoltre, mi piace il loro profumo. Mi piace tornare in camera e sentire un odore che non sia solo quello del disinfettante o il deodorante del bagno».
 
Si guardò intorno perdendosi nell’immensità della stanza. Questa suite era ben più grande del suo appartamento.
Posò la borsa ai piedi del grosso, lungo divano ad elle, in stile veneziano di velluto bordeaux con le bordure dorate. Le mura erano ricoperte con della carta da parati dorata, arricchita di disegni floreali ed astratti. Di fronte al divano era posizionata una scrivania barocca, di piccole dimensioni usata come scrittoio; e ovunque c’erano pile di libri e di fogli, scritti fitti.
Si girò verso la donna alle sue spalle che teneva lo sguardo fisso sul pavimento, mentre con le dita giocherellava con il nastro che teneva uniti i lembi della sottoveste.
 
«Addison»
 
Al suono del suo nome alzò lo sguardo, abbandonando contemporaneamente la stoffa leggera che con un’onda delicata si riposizionò sui suoi fianchi.
Mosse qualche passo nella sua direzione e di riflesso la donna ne fece due indietro.
 
«Addison» ripeté nuovamente il suo nome. «Mi dispiace di essere piombato nella tua stanza senza avvertirti, ma non avevo il tuo numero e sono giorni che fingi di non vedermi e ignori le mie chiamate sul cercapersone e dovevo… volevo parlarti».
 
Annuì in risposta esortandolo a continuare.
 
«Ecco vedi… non ci sto capendo nulla e il tuo comportamento mi sta facendo letteralmente impazzire».
 
«Non le mandi certo a dire tu, eh».
 
«Non sono mai stato bravo con i discorsi e i giri di parole».
 
Un altro passo e si ritrovò di fronte la donna, che pietrificata con le spalle al muro, aspettava in silenzio che continuasse a parlare.
 
«Non voglio essere un cerotto, disponibile all’uso, per tamponare le ferite che qualcun altro ti ha provocato» disse.
 
Rimase a fissarla. Non avrebbe voluto in realtà, ma la vestaglia che raggiungeva solo la metà coscia, lasciando scoperto il pizzo della sottoveste, lo aveva ipnotizzato. La pelle bianca, cosparsa di piccole lentiggini, era lasciata completamente esposta e il movimento del suo petto quasi lo cullava, incantandolo.
Fu riportato alla realtà quando Addison si schiarì rumorosamente la gola per attirare la sua attenzione. E guardando la situazione ora, osservando la sua fronte aggrottata mentre ripeteva le sue parole in confusione, pensò di essere un vero idiota.
 
Lei rimase ferma nella sua posizione, bloccata tra il corpo dell’uomo e la parete alle sue spalle. Continuava a fissarlo senza parlare. Alex si passò una mano tra i capelli, con un gesto stizzito, «Scusami, non so cosa mi sia preso. Non sarei dovuto venire qui» si allontanò dalla parete, catturando nel suo percorso a ritroso la borsa dal pavimento, e si mosse verso la porta.

Poco prima di raggiungere la maniglia Addison lo fermò. «Tu non sei un cerotto»
 
Si bloccò, con la mano a mezz'aria, ancora girato di spalle. Le gambe che gli formicolavano non permettendogli di muoversi.
 
«In un primo momento non credevo che ti importasse e poi… non volevo farti stare male»
 
«Non sono stato male»
 
«Ma ora sei qui e, uhm, credo che sia giusto darti una spiegazione»
 
Addison si avvicinò al grande stand di quercia e, aprendo una delle ante in basso, tirò fuori una bottiglia di rum dal mini bar della stanza. Raccolse due bicchieri, una manciata di cubetti di ghiaccio e si spostò verso il divano. Alex si lasciò guidare da lei, sedendosi poi alla sua destra. Da questa posizione godeva di un panorama mozzafiato. Una vetrata si estendeva tra le due pareti ai lati della stanza, lasciandolo spettatore della vita frenetica sotto i loro piedi. 
 
«Quella vetrata è pazzesca»
 
«Lo so» rispose, con un leggero sbuffo del naso.
 
Si girò nuovamente verso di lei, e l’ombra di mistero che lesse nei suoi occhi gli fornì la giusta dose di determinazione di cui aveva bisogno per non arrendersi e sfruttare al massimo questa occasione che il fato gli aveva dato. «Perché questa è stata una settimana strana?»
 
Addison riempì i due bicchieri e gliene passò uno; lo portò alle labbra e ingoiò in un solo sorso il suo contenuto ambrato. «Alex, questo non riguarda noi»
 
«Mi hai detto che il tuo comportamento è stato frutto di una settimana fuori dal normale, non ordinaria. Cosa significa?»
 
«Mi dispiace di avertelo detto. È vero, è stata una settimana difficile per me ma non è stato il motivo, o perlomeno l’unico motivo, che ha condizionato i miei comportamenti nei tuoi confronti»
 
Alex Karev sapeva perfettamente che nel grande schema delle cose lui non valesse molto. Ma gli piaceva pensare che comunque valesse di più di una settimana strana. Doveva significarlo per forza, altrimenti non riusciva a dare una spiegazione logica all’imbarazzo che era seguito al loro incontro; o al suo essere così sfuggente. C’era qualcosa che la donna gli stava nascondendo ed era certo più che mai di volerlo scoprire. «Ti sei pentita?»
 
«No» si passò la lingua sulle labbra, inumidendole. «È solo che… sbaglio così tante cose, che se per caso, ne faccio una giusta, è per sbaglio»
 
«Mi piace essere questo genere di sbaglio» disse, poggiando il bicchiere ormai vuoto sul tavolino.
 
Sapeva che c’era molto di più dietro questo sbaglio; un passato intero di cui non era a conoscenza ma che pesava sulle loro teste come un macigno. Non l’avrebbe forzata, non voleva costringerla a parlare. Voleva che si fidasse di lui, che lo considerasse di più di un semplice ragazzo incontrato in un bar. Lui non era qui per farle compagnia, era qui per farle capire che avrebbe potuto fidarsi di lui; che avrebbe potuto parlare e aprirsi con lui.
Si spostò in avanti, invadendo il suo spazio personale e le scostò una ciocca di capelli dal viso, incastrandola dietro l’orecchio. Addison allargò gli occhi, presa alla sprovvista dalle parole dell’uomo e dalla sua improvvisa vicinanza.
 
«Alex, credo che sia giusto che io sia sincera con te a questo punto» disse, guardandosi le mani mentre giocherellava con le unghie smaltate. «Tu mi piaci Alex, mi piaci in un modo che non credevo possibile, ma sei uno specializzando e io uno strutturato. Non posso permettere che questi sentimenti annebbino il mio giudizio. Ho un dovere morale nei tuoi confronti e intendo rispettarlo». Ingoiò il groppo che aveva in gola e si fece forza per continuare il discorso che da giorni continuava a ripetersi nella mente. «Mi dispiace, tu non ti immagini quanto mi dispiace, e adesso vorrei tanto non averlo fatto perché da quella sera è l’unica cosa a cui penso ogni volta che ti guardo e… non posso permetterlo. Non posso farlo succedere».
 
«Perché?»
 
«Come puoi chiedermi perché?» rispose, con le lacrime agli occhi. «In questi ultimi mesi ho divorziato, ho avuto una non-relazione con Mark e, come ciliegina sulla torta, ci sei tu. La mia testa è un caos totale e non riesco a gestire tutto questo. Non sono in grado di provarci un’altra volta. Ho il cuore lacerato e non reggerei un ulteriore colpo»
 
Alex si spostò alla sua sinistra, slittando con il corpo verso quello della donna; le afferrò le mani e le strinse tra le sue. «Non devi aver paura. Il tuo unico errore è stato quello offrire il cuore a chi aveva bisogno del cervello»
 
«Alex»
 
Addison abbassò la testa e strinse gli occhi chiusi. Alex decise che quello era il momento di agire: ora o mai più. Si sporse in avanti catturando le sue labbra. Quelle labbra che da giorni lo ossessionavano fino alla follia, come un drogato in cerca della sua dose.
In un primo momento non rispose al bacio, cercando di fare resistenza, respingendo il calore del suo corpo, ma poco a poco cedette, e si ritrovò a duellare con lui alla ricerca del controllo dei loro movimenti fluidi e al tempo stesso impacciati.

Si tirò indietro, per riprendere aria, e portandosi una mano alla bocca ne percorse il perimetro con le dita. «Non capisci tutto questo è un enorme errore. Stai sbagliando».
 
«Dicono che sbagliando si impara. Allora lasciami sbagliare».
 
Allontanò gli occhi da lui. Sospirò. Non voleva avere questa discussione in questo momento. «Credi che sia possibile fare la cosa giusta se quella sbagliata ti piace da morire?»
 
«Credo che sia meglio essere felici per sbaglio che tristi per scelta» mormorò, afferrandola per i fianchi e spingendola verso il suo corpo.
 
Addison lo fissò in silenzio, come se stesse cercando di memorizzare ogni aspetto del suo volto. Sentì la punta delle dita formicolarle come gli occhi di Alex si fissarono sulle sue labbra. Alex tracciò lentamente con il pollice i contorni della sua mascella, mentre con l’altra mano accarezzava la pelle sensibile della sua schiena premendo su ogni vertebra della sua colonna spinale. Il suo tocco era impresso a fuoco nella sua pelle.
Il loro contatto visivo continuò, come in un duello, fino a che entrambi non si resero conto del bisogno che avevano l’uno dell’altro.
Addison si chinò lentamente in avanti e, mentre la mano di Alex scivolava sul suo collo e nei capelli, si fermò, quando le loro labbra erano a soli pochi centimetri di distanza. Alex non colmò immediatamente il divario continuando a spostare lo sguardo dai due cuscinetti di carne rossa, alla profondità dei suoi occhi. Mosse la seconda mano spostandola al centro della sua schiena, portando il corpo della donna più vicino; e poi avvicinò il viso a quello di Addison, chiudendo lo spazio sottile tra le loro bocche, baciandola dolcemente e profondamente. La mente di Addison ruotava a mille giri al minuto mentre la bocca rispondeva all’assalto delle sue labbra curiose. Senza pensarci due volte intrecciò le dita dietro il collo dell’uomo, tra i capelli corti e la pelle lasciata esposta dallo scollo della maglietta. Inalò nella sua bocca mentre la lingua di Alex giocava con il suo labbro superiore, baciandolo e succhiandolo. Ad Addison mancò il respiro persa completamente nel loro bacio, come l’uomo saccheggiava senza indugi la sua bocca.
Continuarono ad assaporarsi lentamente mentre le dita di Alex si impigliavano tra i suoi capelli e, inclinandole la testa di lato, approfondiva il bacio.
Addison ansimò, sentendosi stringere le forti braccia dell’uomo intorno al corpo; sentendo le sue mani accarezzarla in tutti i punti in cui voleva essere toccata. Infine separò le loro labbra, cercando di riprendere fiato e ritrovare la sua compostezza.
 
Alex poggiò la fronte su quella della donna, lasciando i loro nasi sfiorarsi. «Solo un idiota come Shepherd può rinunciare a tutto questo ed esserne felice.»
 
Lui non sapeva cosa voleva. Non ancora. Ma l’unica cosa di cui era certo era di non voler essere solo una settimana strana. Voleva tutto: il pacchetto completo. Voleva lei tutti i giorni. Tutto il giorno. Moriva dalla voglia di sentire il peso del suo corpo sul suo. La voleva possedere come tutti avrebbe voluto e amare come solo pochi avrebbero potuto.
 
Addison sedeva ancora appollaiata tra le sue gambe, con il volto affondato nell’incavo del suo collo. «Non so cosa voglio. Non so cosa fare. Ho una tale confusione in testa».
 
Addison non sapeva come gestire questo guazzabuglio disordinato di sentimenti. Non sapeva come affrontare questa situazione e al tempo stesso combattere la voglia crescente di lui. Quando si diventa grandi si è obbligati a fare delle scelte che si ripercuoto sulla propria vita e la cambiano, modificandola inesorabilmente; e ora, incantata dal calore dei loro corpi intrecciati, sapeva di non avere altra scelta se non quella di lasciarsi andare e smettere di lottare contro sé stessa.
 
«Ehi,» disse sottovoce, «so che sei spaventata e un po’ folle a causa di tutto quello che sta succedendo, ma voglio che tu sappia una cosa»
 
«Cosa?» chiese, con la voce ovattata dal contatto con la sua pelle.
 
Spostò la mano dal fianco alla sua guancia, guardandola fissa negli occhi. «Voglio che tu sappia che non voglio essere ciò che vuoi. Voglio essere ciò che non sapevi di volere».
 
Addison gli sorrise dolcemente, poggiando entrambe le mani sulle spalle dell’uomo. «Questa dove l'hai letta, nei baci perugina?». Lo guardò negli occhi e si sentì confortata e persa nello stesso momento. «Che cosa facciamo ora?»
 
«Ci proviamo»
 
«Non so se posso farlo» disse immediatamente.
 
«Non devi fare nulla che non vuoi fare veramente» disse, cercando di metterla a suo agio.
 
«Non sappiamo nulla l’uno dell’altro… come pensi che questo possa funzionare».
 
«Pensi davvero che non sappia niente di te?» rispose, sorpreso della sua dichiarazione.
 
«No, non lo fai… voglio dire, uhm, sai che le cose generali, conosci le voci di corridoio… ma non mi conosci davvero. Non le cose importanti».
 
«Io ti conosco» rispose, notando una leggera incertezza nei suoi occhi. «Potrei non sapere quale sia il tuo colore preferito, o il tuo secondo nome di battesimo, ma conosco le cose importanti. So che sei determinata e altruista. Un dottore incredibile con cui ho avuto la fortuna di poter lavorare» fece una pausa, studiando la sua espressione. «Sei completamente pazza» Addison si voltò alla sua seconda osservazione, guardandolo sbalordita. «Sei così pazza che crei dipendenza. Mi rispondi male, poi bene, poi non mi rispondi affatto. Sei dolce, ma anche terribilmente testarda. Pungente. Un minuto prima mi baci e quello dopo scappi via. Mi incasini la giornata, mi fai uscire fuori di testa… cambi idea mille volte. Ed io ci ho provato davvero, ma… non esiste un modo per descriverti perché hai mille sfumature diverse. E poi, durante la giornata, penso a tutto questo e a tutte queste cose che ti rendono così dannatamente interessante e.…»
 
Alex spezzò momentaneamente il contatto dei loro occhi, prendendo fiato. «E capisco che sei come una droga. E io ne sono già diventato dipendente».
 
Alex la guardò, spaventato e felice dell’espressione di sorpresa che leggeva nei suoi occhi. Addison sentì il suo cuore stringersi e piombare verso il basso, incastrato tra lo sterno e i polmoni. Batteva così forte da sentirne il movimento nella cassa toracica. Le sue orecchie la stavano ingannando? Stava per svegliarsi e rendersi conto che tutto questo non era altro che un sogno?
Chiuse gli occhi, stringendoli. Poi posò lentamente la mano sulla sua, infilando il mignolo tra il palmo e la sua coscia. Lui non rispose immediatamente al suo tocco, ma poi girò la mano verso l’alto, intrecciando le loro dita.
Addison teneva lo sguardo fisso sulle loro mani intrecciate, come ipnotizzata.
 
«Mi dispiace di averti messo in questa situazione» disse lentamente, rotolando gli occhi verso l’alto e vergognandosi di come si era comportata in questi ultimi giorni.
 
«Tutto quello che mi interessa sei tu. Non mi interessa la situazione e le altre persone coinvolte nella situazione».
 
«Voglio conoscerti»
 
Alex sorrise brevemente. «Cosa vuoi sapere?»
 
«Tutto». 


   
 
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