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Autore: 50shadesofLOTS_Always    21/11/2017    3 recensioni
Dal terzo film della saga: “Si comincia con qualcosa di puro, di eccitante. Poi arrivano gli errori, i compromessi. Noi creiamo i nostri demoni.”
I demoni - e non solo - incombono su Tony Stark, che ha appena dichiarato al mondo di essere Iron Man...
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[probabile OOC di Tony/dosi massicce di Pepperony con una spolverata di zucchero a velo/perché amo Ironman]
Genere: Azione, Comico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Tony Stark
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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STUCK IN REVERSE

“No matter what I do,
I’m no good without you.
And I can’t get enough,
must be the love on the brain, yeah.”
- Love on the brain, Rihanna


"I’m hurting, baby. I’m broken down.
I need your loving, loving I need it now.
When I’m without you,
I’m something week.
You got me begging, begging I’m on my knees."
- Sugar, Maroon 5 

I suoi occhi azzurri scrutarono la sala quasi completamente immersa nel buio, se non fosse stato per le lampade dei tavoli e quelle dei faretti posti in alto sulle pareti. Il Providence, uno dei ristoranti più costosi della città, non era particolarmente affollato quella sera e l’atmosfera era piuttosto intima e romantica. Delle decorazioni di fiori bianchi si arrampicavano sulle colonne rivestite di ebano, limitanti uno spazio centrale quadrato. Al centro, sotto un enorme lampadario scintillante, era stato ricreato una specie di salottino con poltrone e tavolini circolari. Attorno altre coppie stavano conversando a bassa voce, fra una portata e l’altra. A Pepper non dispiacque quel brusio, aveva bisogno di un paio d’ore di tranquillità dopo tutto il trambusto di quel pomeriggio.
Dopo averli accolti, il maître li condusse al loro posto, abbastanza appartato, dove Thomas la aiutò a togliersi il cappotto e tenendolo appoggiato su un braccio, le sistemò la sedia come da galateo. Fece il giro e si sedette a propria volta, dalla parte opposta mentre un cameriere si avvicinava coi menù.
Virginia ne afferrò una copia e cominciò a scorrerne il contenuto. Thomas si fermò per osservarla.
La luce color limone e soffusa creava morbide ombre sul suo viso di porcellana e le labbra risultavano ancora più rosee.
« Posso farti una confessione? » esordì e lei sollevò il capo, perplessa.
« Cioè? »
« Ho mentito, non sei bellissima. Sei meravigliosa » disse tutto d’un fiato, portandosi la mano al petto in un gesto del tutto teatrale come se si fosse liberato di un grosso peso.
Virginia ridacchiò, arrossendo furiosamente. Restarono un paio di minuti in silenzio, durante i quali scelsero cosa prendere. Il Providence offriva soprattutto pesce, perciò c’era una vasta scelta. Quasi imbarazzate come l’affermazione di Thomas poco dopo.
« Non è stato poi male »
« Cosa? » fece lei, ancora indecisa fra branzino e salmone.
« Beh, ho sentito parlare spesso del tuo capo – lei sapeva a cose si stesse riferendo, ma lo lasciò terminare – Ma non mi è sembrato così orribile come me lo hanno descritto » rispose, abbassando la carta per poterla vedere bene.
« E’ solo perché non lo conoscono – disse prima ancora di pensarci – Tony è un po’ complicato, ma è una brava persona » spiegò, sentendo un groppo indigesto a metà esofago e faticò a ricambiare l’occhiata dell’uomo. Se c’era un argomento che avrebbe voluto evitare quella stessa sera, era proprio il proprio lavoro. Non seppe spiegarsi il perché  si sentisse tanto esposta.
« Sembra che tu lo conosca molto bene invece » osservò, senza malizia né irritazione, ma lei esitò comunque nel sorridere e Thomas si accorse di aver toccato un tasto se non dolente, almeno delicato per una qualche oscura ragione.
« Scusami, non volevo essere indiscreto » si affrettò ad aggiungere dopo qualche attimo.
« No, figurati – tornò a concentrarsi sul menù – E’ solo che è stata una giornataccia e vorrei evitare l’argomento lavoro » mormorò e il disagio aleggiò fra loro finché non furono pronti per ordinare.
Un altro cameriere si avviò nelle cucine mentre un altro versò loro del vino bianco, lasciando la bottiglia.
« E così sei ancora disoccupato » esordì Virginia, aprendo il fazzoletto e sistemandolo sulle gambe.
« Sto aspettando due risposte: una da un ufficio stampa e l’altra da un industriale di New York » rispose lui, imitandola.
« Industriale? Forse posso aiutarti, come si chiama? ».
« Hammer. Justin Hammer – lei spalancò la bocca per dire qualcosa – Lo conosci? »
« Fino a qualche tempo fa, era il nostro principale concorrente… Se così si può dire » disse, arricciando il naso.
« Che intendi? »
« Durante una riunione, tredici anni fa, ai piani alti quando il governo doveva decidere da chi comprare armi, Hammer fece a Tony una proposta – lui aggrottò la fronte – Lui avrebbe messo i capitali e Tony si sarebbe occupato della parte di ingegneria »
« Ho il sospetto che abbia rifiutato » mormorò Thomas, con aria fintamente meditabonda.
« Non lo lasciò neanche finire – fece spallucce – Ebbe comunque il proprio spazio, ma siamo sempre stati noi quelli ad avere gli affari migliori. Poi Tony ha chiuso la sezione balistica, lasciando ad Hammer campo libero »
« Ma vi siete ripresi »
« Già… – ‘Tranne il CEO’, pensò – Hammer si è laureato col minimo dei voti al MIT, ma in compenso ha ottime abilità ciarliere » bisbigliò con aria cospiratrice, sporgendosi in avanti.
Thomas ridacchiò divertito e lei cercò di ignorare la strana sensazione che sorse spontanea.
« Lo hai conosciuto personalmente? »
« L’ho visto una volta sola ad un gala »
« Un gala? Credevo che non ti piacesse quel genere di eventi » mormorò con un cipiglio confuso.
Virginia accennò ad un sorriso mesto.
« Tony mi costringe sempre ad accompagnarlo. Dice che si annoierebbe senza di me, ma finisce che sono io quella a torna a casa da sola » disse, cercando di nascondere il fastidio.
Non odiava le serate dell’alta società, quando di tanto in tanto si riusciva ad incontrare persone intelligenti con cui scambiare quattro chiacchiere, non per forza attinenti al lavoro. Odiava assistere alle sbronze del capo e raccattarlo, non sempre di buon umore. Odiava chiamare un taxi perché Happy accompagnava il capo e qualche nuova amichetta, più oca della precedente, a casa.
Nel migliore dei casi al suo rientro, tutto si era già concluso.
« Se non ti piace il tuo lavoro, cambialo » le suggerì Thomas, facendo un gesto vago.
Virginia scosse vigorosamente la testa per negare, sia quella possibilità sia perché malgrado tutto, amava ciò che faceva. Compreso fare da babysitter a Tony.
« Oh, no. Non potrei mai – sospirò, perché alla fine stavano parlando del suo lavoro – Dieci anni fa mio padre è morto, senza aver detto dei debiti col gioco di azzardo, e io e mia madre ci siamo ritrovate in un monolocale »
« Mi dispiace » mormorò contrito.
Lei sollevò una spalla per fargli capire che fosse tutto a posto, anche se inevitabilmente il ricordo paterno le suscitò del dolore all’altezza del cuore.
« Per caso incontrai un’amica, fa la modella a Hollywood. Ci fermammo a bere un caffè e mentre parlavamo dei bei tempi andati, mi disse di aver trascorso la più bella notte della sua vita – disse sollevando gli occhi al cielo con finto fare sognante – In pratica a una festa a cui aveva partecipato per farsi conoscere, aveva incontrato Tony. Ti lascio immaginare il resto della notte… ».
« Continua » la esortò, divertito.
« Non so quando, ma trovarono il tempo per parlare e Tony le disse che necessitava di un’anima pia, che si occupasse delle sue scartoffie. Lei mi diede l’indirizzo e feci la più grande follia della mia vita – lui sorrise – Mi presentai alla sua porta, dicendogli ‘Buongiorno, Signor Stark. Il mio nome è Virginia Potts, ho una laurea all’Empire State University in economia e amministrazione aziendale. Non ho un’accidente di esperienza e ho un disperato bisogno di un lavoro’ »
« E lui? »
« Aprì il sottile curriculum che avevo con me e dopo averlo sfogliato mi disse ‘Sono disperato anch’io. Lei è assunta, Potts’ – risero brevemente per tornare seri – Non mi interessava il valore della busta paga, l’importante era averla in quel momento. E Tony mi prese con sé, senza neanche badare alle mie magre referenze »
« Ma tu sei brava in quello che fai » rispose Thomas sincero, facendola arrossire. Di nuovo.
Virginia cercò di mimetizzarsi con l’ambiente, sistemandosi la frangetta col dorso di una mano.
‘Controllati, per l’amor di Dio!’, la sgridò la vocina.
Malgrado si trattasse di una semplice cena da amici, non poteva fare a meno di pensare che fosse un uomo eccezionale e non poteva neanche ignorare che ricevere i complimenti da uno così, non le facesse piacere.
‘Non hai più sedici anni!’.
« Sì, ma non basta. Il settore in cui lavoro è pieno di squali e c’è molta competizione, soprattutto tra le poche donne che ci sono. La maggior parte di noi vengono denigrate e umiliate. Non hai idea di quante offerte volgari abbia ricevuto nell’arco del mio servizio alle Starks »
« Da Tony? »
« No! A Tony piace scherzare, ma non ha mai alzato un dito su di me. Mi ha sempre trattato con rispetto, non come un uomo. Ma come una donna – abbassò il viso sulle proprie dita intrecciate – Se non mi avesse assunta, probabilmente non sarei qui »
La verità taciuta era che cominciava a sentirsi in colpa. Si era infuriata molte volte, ma stavolta era stato diverso. Non si era trattato del solito teatrino quotidiano, su cui Tony avrebbe calato il sipario per poi uscire dalle quinte con una delle sue. La discussione aveva preso toni più gravi perché la faccenda stessa era diventata più grave: c’era sicuramente un motivo perché i più grandi supereroi tenevano la loro vera identità segreta, un motivo ragionevole che garantiva loro una vita tutto sommato normale. E lui come al solito non si era minimamente preoccupato e aveva sbandierato la cosa ai quattro venti.
« Allora propongo un brindisi » disse Thomas, distraendola dai pensieri.
« A cosa? » chiese, afferrando il calice.
« Al giorno in cui sei stata folle e che ti ha condotta qui » sentenziò Thomas, facendo tintinnare i cristalli.
Tre ore passarono in fretta in cui approfondirono la conoscenza l’uno dell’altra, chiacchierando del più e del meno fra un boccone e l’altro. Il lavoro venne accantonato e parlarono soprattutto dell’infanzia di lui, dei gusti letterari e cinematografici di lei. Stavano terminando il dessert, quando in sottofondo fu messa della musica blues e Thomas colse l’occasione per invitarla a ballare. Col mento indicò la sala centrale dove alcune coppia già stavano volteggiando e Virginia le osservò per un lungo istante. L’aria magica era la stessa di quella sera, ma una stonatura la ricondusse gli occhi grigi del proprio cavaliere.
« No, grazie. Non mi piace » mentì.
Per sua fortuna, l’uomo non insisté e potè tornare a godersi la serata.
Ad un tratto, Thomas si scusò per poi avviarsi verso le toilettes. Virginia allungò il collo e quando fu sola, prese la pochette e dopo averla aperta, accese il display del proprio smartphone. Nessun messaggio, né chiamata persa.
La sensazione di prima si ripresentò, più acuta e fastidiosa. Di solito Tony la molestava anche quando la giornata lavorativa si era conclusa. Invece sembrava quasi che non gli interessasse. Mise via l’oggetto tecnologico e prese a guardarsi intorno. Thomas tornò, ma non gli diede il tempo di sedersi.
« Potresti darmi un passaggio? »
« Tutto bene? » le chiese con premura.
« Sì, sono solo un po’ stanca » disse con tono sommesso, ripiegando con cura il tovagliolo.
« D’accordo » acconsentì Thomas prima di sollevare una mano per chiamare un cameriere e chiedere il conto.
 
Intanto a Malibu Point, un noto miliardario era immerso in un profondo stato di riflessione. Comunemente detta “esame di coscienza”. Alla sua sinistra, giacevano due spicchi di pizza ormai freddi. Era riuscito a scaldarla qualche ora prima senza bruciarla. Il miliardario in questione, Tony Stark, stava maneggiando dei pezzi della sua ultima creazione mentre una parte dei suoi neuroni stavano seguendo le note graffianti della chitarra, e l’altra parte stava rielaborando la lite che era avvenuta poche ore prima.
< Per dieci anni, ho impedito che la sua azienda finisse in bancarotta solo perché lei odia le scartoffie. L’ho difesa quando tutti la accusavano di stress post traumatico e, anche se non se lo ricorda, sono stata sempre io a raccattarla nei luoghi più impensabili quando lei era troppo arrabbiato col mondo per stare in piedi >.
Invece ricordava. Ricordava perfettamente – non proprio tutti, è vero – gli episodi in cui lo aveva soccorso dopo una rissa o l’attimo prima di essere arrestato per qualche bravata. Lo aveva ripreso ogni volta, e ogni volta, gli aveva sorretto la testa per evitare che affogasse abbracciato alla tazza di un water.
< E indovini un po’? Non ho mai preteso un aumento, né particolari attenzioni da lei. Ma avrei gradito un minimo di riconoscimento per esserle stata fedele, perché non scherzavo quando ho detto di odiare dover cercare lavoro! >.
Come avrebbe potuto contraddirla? Si sentiva un verme e ordinò all’AI di alzare il volume, ma il telefono squillò e JARVIS gli passò la videochiamata su una schermata, che si sovrappose alle altre già fluttuanti attorno alla scrivania.
« Stai lavorando » commentò Rhodey, il cui volto gli appariva davanti come un ologramma futuristico.
« Che acume » rispose, senza distogliere l’attenzione da ciò che stava facendo.
« Un bicchiere di whiskey » aggiunse, alludendo al bicchiere in un angolo non molto lontano dall’armatura.
« Scotch » lo corresse.
« …e la faccia Voglio-disperatamente-Pepper – sogghignò quando l’amico gli rivolse un’occhiataccia – Perché non sei con lei? »
Non aveva proprio voglia di parlare di quello stoccafisso che, facendo l’educato con lui e il cascamorto con lei, se l’era portata a cena.
« Taci – sbottò – Ho mal di testa » borbottò, dando un colpetto ad una placca che proprio non voleva fissarsi.
« La tua coscienza ti sta parlando »
« No, sono al telefono con un Colonello rompiballe ».
Rhodey lo esaminò e malgrado fossero in videochat, riuscì a vedere alcune gocce di sudore imperlargli la fronte come se fossero in piena estate. Il viso di Tony gli appariva inoltre più pallido del solito, più di quello stesso pomeriggio. Fu quel pensiero a preoccuparlo.
« Sicuro di stare bene? »
« Ti ho detto che ho mal di testa »
« E’ il palladio vero? – chiese, ma non attese la conferma – Quota? ».
Tony abbandonò gli attrezzi, passandosi un polso sulla fronte per asciugarla dal sudore febbrile.
« Quindici percento » rispose, appoggiandosi al piano e fissando la corazza smontata sul ripiano.
« Questa sceneggiata non durerà a lungo e lo sai. Non ti porterà a niente, dovresti dirglielo » lo rimbrottò Rhodey, pur sapendo che non avrebbe mai seguito alcun suggerimento. Tranne forse quelli di una donna dai capelli rossi. Fu quasi tentato di scavalcarlo e dirglielo lui stesso alla suddetta, ma se lo avesse fatto, Tony non l’avrebbe mai perdonato e inoltre, non era suo compito.
« Avresti dovuto lasciarmi in Afghanistan » bofonchiò il miliardario più rivolto a sé stesso, riscuotendolo dai suoi pensieri. Lo osservò svuotare il bicchiere di alcol e pensò a quel giorno in cui aveva sentito Pepper singhiozzare e l’altro giorno in cui l’aveva richiamata per dirle che il suo stupido capo stava tornando.
« Ho fatto un giuramento e sei mio amico. Anche se stai rendendo la cosa più difficile – disse, scuotendo il capo – E poi lo avevo promesso a Pepper »
Tony stava per dire qualcosa quando JARVIS li interruppe.
« A proposito della Signorina Potts. E’ tornata »
Tony si girò verso la parete di vetro del laboratorio da cui si vedeva la rampa di scale e si diede una ravvivata ai capelli. A quel gesto frettoloso, Rhodey rise.
« Ti sei appena... »
« Au revoir » disse, chiudendo immediatamente la chat e accendendo lo stereo.
 
Virginia scese dall’auto, facendo attenzione a dove mettesse i piedi. Salutò Thomas con una mano con cui reggeva la pochette e stringendo i fiori contro il petto, si avviò all’ingresso. Entrò, e al posto dell’accoglienza del maggiordomo virtuale, gli AC/DC le arrivarono di prepotenza dal piano inferiore. Calcolò l’idea di scendere e controllare che fosse tutto a posto – era tornata alla Villa per questo, ma non l’avrebbe mai ammesso – e che quando si sarebbe svegliata il mattino seguente, la casa non si sarebbe sbriciolata. Proprietario incluso. Socchiuse gli occhi e con un sospiro, scese la rampa di scale che portava all’antro del genio dopo aver abbandonato i fiori sul tavolino del salotto.
Tony, chinato su un pezzo della Mark IV, stava per rimproverare il computer per aver abbassato il volume dello stereo quando udì il ticchettio dei tacchi. Sollevò il capo e la vide scendere i gradini con la stessa eleganza di una regina. Si chiese perché fosse tornata proprio da lui.
Il suo appartamento era molto più vicino al Providence.
« Credevo che l’avrei rivista domattina – esordì tranquillo e quando la vide rigida, accennò un sorriso – Si accomodi ».
« V-volevo accertarmi… – mormorò, aggrottando poi le sopracciglia come faceva quando voleva capire se preoccuparsi o meno per la sua incolumità – E’ pallido, si sente bene? »
Tony annuì prima di indicarle con un cenno del capo, lo sgabello vicino al tavolo.
« Sono le dieci e mezza »
« Sì, è che… Ero un po’ stanca ed ero già sulla strada – balbettò lei, avvicinandosi come richiesto – Spero che non le dispiaccia se… »
« Assolutamente » rispose Tony, senza lasciarla terminare.
Lei era sempre la benvenuta e il fatto che gli avesse mentito – diede per certo che l’idiota delle calle avesse fatto qualche mossa errata – lo fece gongolare.
Virginia si sedette dalla parte opposta dell’uomo e lo osservò: la fronte aggrottata, lo sguardo attento e schivo, i capelli in disordine, la camicia stropicciata – lo sgridò mentalmente per la macchia scura sul fianco – le maniche arrotolate fino ai gomiti e il colletto aperto. Non seppe se fossero i bottoni fuori posto o le piccole rughe agli angoli degli occhi o piuttosto la scrupolosità che esercitava ogni qualvolta che lavorava a strani congegni, che lei non sarebbe mai stata in grado di concepire neanche con la più fervida immaginazione, ad incantarla per un paio di secondi abbondanti.
« Era gay? » le chiese, distogliendola da quello stato di trance.
« No »
« Allora era noioso » aggiunse, continuando a smanettare con le mani infilate nel metallo fra circuiti e cavi.
Virginia si morse il labbro inferiore, trattenendo l’ironia quando su un angolo del piano, vide un piatto di pizza avanzata. Nonostante la cena, sentiva un certo languorino.
« Posso? » domandò timidamente, allungando una mano verso la pizza per cambiare discorso.
« Non le ha pagato la cena? » chiese, fingendosi sconvolto.
« Ha pagato » smentì lei, piegando a metà lo spicchio.
« Ha scoperto che ha… cinque marmocchi – tirò lui ad indovinare, chinandosi un poco sull’armatura ma Virginia negò col capo – Ha fatto un commento troppo spinto » disse, sollevando gli occhi mentre addentava la pizza.
« A quelli sono abituata » ridacchiò e masticò, cercando di non notare il modo strano in cui Tony aveva preso a fissarla, facendola sentire come un qualcosa di esotico.
« Ho capito… Sottodotato »
« Signor Stark! » lo riprese con un singulto.
« Se non è quello lei è davvero incontentabile, Potts » dichiarò col suo solito brio, soddisfatto nel vedere le sue guance virare al cremisi. Era vestita in modo elegante e mangiava della banalissima pizza pseudo italiana nel proprio laboratorio. Un’immagine contrastante che però gli fece immaginare che fosse la quotidianità. Celò un sorriso quando Virginia sollevò lo sguardo. Ingollò il boccone e prese ad avvoltolare un filo di mozzarella fusa intorno a un dito.
« Signor Stark, mi dispiace per oggi. Non avrei dovuto »
« …dire la verità? » concluse Tony, guardandola finalmente da sotto le ciglia.
In quelle tre ore aveva rimuginato sulla conferenza e sulle sue parole, e dopo aver provato il rimorso per averla spaventata, era giunta la presa di coscienza su ciò che sarebbe costato loro. Non aveva esposto al mondo solo sé stesso, ma anche lei e Happy.
Virginia esitò nel portarsi il dito alla bocca per leccare via il formaggio.
« Ha ragione invece – annuì – Non ha niente di cui incolparsi » mormorò e per la prima volta, Virginia lo vide sotto una luce diversa. Sembrava stanco.
Aveva l’aria contrita di chi sa di aver fatto l’ennesima bravata e che le scuse servono a ben poco.
« Non avrei dovuto comunque alzare la voce a quel modo. Le chiedo scusa »
« Anch’io » disse sincero, le labbra incurvate in un sorriso obliquo per non rammentarle le quotidiane ramanzine.
 
Il mattino seguente parve trascinarsi faticosamente. Erano appena scoccate le tre del mattino quando Virginia si svegliò. Con un braccio si puntellò per sedersi, poi arcuò la schiena per stirarsi. Stropicciati gli occhi, si guardò attorno chiedendosi se non fosse stato il caso di andare a controllare Tony. La sera precedente, dopo che avevano terminato la pizza, erano saliti in salotto e lungo la scalinata, lo aveva visto massaggiarsi una tempia e procedere verso la propria stanza con l’andatura tipica di chi ha appena preso l’influenza. Pur riconoscendo che fosse una vera follia, si avviò al piano superiore.
Non c’erano rumori preoccupanti dal laboratorio, perciò pensò che avesse avuto il buonsenso di restarsene a letto perché anche se non l’aveva ammesso, lei sapeva che qualcosa non andava. La porta era socchiusa, le bastò spingerla appena. Fece capolino per poi avanzare verso il letto dove l’uomo stava, almeno apparentemente, dormendo. Si accostò e lo esaminò critica. Aveva la fronte imperlata di sudore e la bocca schiusa, come se faticasse a respirare. Capì che era svenuto o comunque era caduto in qualche specie di torpore febbricitante che lo avesse reso semincosciente. Premendo le labbra, si chinò verso di lui.
« Tony? » bisbigliò, poggiando una mano sulla sua fronte.
La ritrasse quando sentì che era bollente. Si diresse in bagno, prendendo due salviette di spugna. Le bagnò con acqua fredda, le strizzò un po’ e tornò verso il giaciglio. Si sedette piano sul bordo del letto e sporgendosi, posò un panno sulla fronte dell’uomo. Poi gli prese un braccio e girandolo, posò l’altro panno sul polso, sperando che gli avrebbe fornito del sollievo.
Vedendo che non si svegliava, chiese a JARVIS di avvisare Happy. Dopo poco meno di venti minuti, sentì la voce dello chauffeur al piano di sotto. Quando lo raggiunse, le mostrò la busta della farmacia – miracolosamente aperta h24 – e lei sorrise. Con un bicchiere d’acqua, senza dargli alcuna spiegazione, prese le medicine e risalì verso la camera patronale dove preparò tutto l’occorrente per quando Tony si sarebbe quantomeno ripreso abbastanza da bere un’aspirina. Nell’attesa, andò a recuperare un buon libro.
Quando tornò nella stanza, si sedette sulla poltrona poco distante, piegando le ginocchia sotto di sé.
Passò una buona mezzora prima che Tony si svegliasse. Tuttavia dovette fare diversi tentativi prima di riuscire a sollevare le palpebre. Si sentiva la testa pesante come se dentro la scatola cranica ci fosse stata una pallina di piombo. Si volse e nella penombra della lampada, in un angolo della camera, scorse la figura della propria assistente.
« Potts… » biascicò e un paio di occhi azzurri si sollevarono nella sua direzione.
« Tony » mormorò, lasciando il libro sulla seduta e avvicinandosi.
« Che è successo? »
« E’ svenuto, credo » rispose, accostandosi al comodino.
Fece sciogliere una pastiglia nell’acqua mentre Tony cercava di capire meglio la dinamica.
« Non ricordo di aver bevuto così tanto »
« Infatti ha la febbre ».
Si girò verso di lei, accigliato come se fosse impazzita.
« E’ impossibile… Io non mi ammalo mai »
« Perché è l’invincibile Ironman? »
« Esattamente – bofonchiò, fissandola con sospetto – Che ci fa qui? »
« Riesce a sedersi? » gli chiese con la tipica occhiata alla Potts e negò con un mugolio quando provandoci, finì steso come un sacco vuoto di farina.
Pepper si spostò più vicina a lui, gli fece passare una mano dietro il collo, appena sotto la nuca, e con un braccio attorno alle spalle, lo cinse per portarlo a sedersi. Allungò una mano e prese il bicchiere d’acqua con l’aspirina già disciolta.
« Che cos’è? » si informò, ritraendosi.
« Non faccia storie e beva » ripetè Virginia, porgendogli il bicchiere.
« Potrebbe essere avvelenato »
« Se avessi voluto ucciderla, lei non starebbe qui a lamentarsi » gli illustrò e alla fine, troppo esausto, cedette e aiutato, afferrò il bicchiere mandando giù la medicina, fingendo che fosse alcol.
Svuotato il contenuto, Virginia si riprese il bicchiere, lasciando Tony giusto un momento, per posarlo sul comodino. In quell’istante le crollò addosso, con la faccia schiacciata in modo imbarazzante fra i seni, e alcune ciocche scure dei suoi capelli le solleticarono la gola. Così prese forma, nella sua mente, un primo impulso: quello di spingerlo per buttarlo sul pavimento. Qualcosa però nel modo in cui il suo respiro le carezzava la clavicola, la fece desistere e anzi, posò la guancia sulla sua testa.
« Uscirà ancora con quel tipo? – alzò gli occhi al cielo e quell’impulso riemerse – Insomma se davvero tenesse a lei, saprebbe che il suo fiore preferito è la gerbera, che le fragole possono ucciderla… »
Virginia si trattenne dal rimbrottarlo e sbatté più volte le palpebre.
« Lei se ne dimentica puntualmente » mormorò, cercando capire quanto l’uomo fosse cosciente.
Era praticamente impossibile che si ricordasse di un simile dettaglio. Soprattutto se si ricordava le innumerevoli volte l’aveva quasi ammazzata, proponendole puntualmente qualcosa con le fragole.
« Dettagli – replicò lui, fioco – E comunque lo sanno tutti che gli avvocati non sono affidabili »
« E lei che ne sa? »
« Lo so, come so che le piacciono i gatti e che adora la panna »
Virginia abbassò gli occhi e vide che Tony, con la guancia premuta sulla sua spalla, era sul punto di addormentarsi. Volle credere che quelle affermazioni – peraltro vere – fossero frutto del delirium tremens.
« Torni a dormire ».
Lo aiutò a distendersi nuovamente e si alzò, posando finalmente il bicchiere. Non riuscì a drizzarsi completamente in piedi perché le agguantò le dita. La presa era piuttosto debole, segno che probabilmente non fosse conscio delle sue azioni né tantomeno delle parole.
« Resti – deglutì, rannicchiato sotto le coperte – La prego…  ».
Virginia alternò lo sguardo tra le loro mani e Tony, che le parve più un bambino bisognoso di cure che un irritante uomo d’affari.
« Sarò sulla poltrona » tentò di dissuaderlo.
« Le prometto che farò il bravo » sospirò fiacco.
Virginia sapeva che se non lo avrebbe accontentato quella a sentirsi in colpa per il resto della vita sarebbe stata lei. Così rinunciò al libro e salì sul letto.
 

*

La strada sarebbe stata buia se non fosse stato per il lampione che, come una sentinella a fine turno ormai esausta, illuminava fiocamente il lastricato e parte del bordo estremo della careggiata. Un gatto randagio scappò per nascondersi dal passaggio di un uomo, che aveva appena posteggiato la propria vettura a pochi metri. Entrò nella palazzina tranquilla, dove i suoi abitanti altrettanti pacifici stavano dormendo. Salì le scale fino al proprio appartamento. Davanti alla porta d’ingresso, si chinò a raccogliere una piccola busta color senape immacolata. Non un nome o un indirizzo.
Si guardò intorno, poi si rifugiò nel proprio appartamento. Aprì la busta e vi trovò un semplice biglietto bianco di pochi centimetri su cui era stato scritto al computer un numero di telefono. Prese il cellulare e lo compose mentre, passando davanti alla finestra, scostò la tapparella per controllare che nessuno che rientrasse nei propri sospetti lo avesse seguito. Il telefono squillò un paio di volte.
« Sì? »
« Sono contento che tu abbia rivalutato la mia offerta » esordì con un sorrisetto soddisfatto.
« Non è un’offerta, ma un accordo » specificò il suo interlocutore dall’altro capo.
La voce giungeva sgranata, la linea non era eccezionale in quel punto.
« Dov’è la differenza? »
« Che se non lo rispetti, non lo farò neanche io » rispose l’altro e il silenzio gettò un leggero velo di tensione tra i due uomini. Intanto il primo si sganciò il colletto della camicia. Non era stata una delle sue migliori serate, ma neanche una delle peggiori. Come tutte le donne, quella che aveva incontrato aveva fatto la difficile. Prima o poi sarebbe stata sua. Dopotutto si meritava una ricompensa.
« Spero che tu ci abbia pensato bene » disse, calcando particolarmente la voce sull’ultima parola.
Era un disperato, ma non così tanto da accontentarsi. Aveva un piano ben preciso e in qualsiasi modo lo avrebbe portato a termine.
« Io ho bisogno del tuo cervello, tu dei miei soldi »
« Non così tanto – gli fece notare – Comunque sia… » aggiunse, lasciando di proposito la frase in sospeso.
« Domani sarò a Washington » confermò l’altro con pesantezza.
« Sei sicuro di quello che vuoi? »
« Non sei il solo ad avere un conto in sospeso con Stark… » mormorò e sorrisero.
 
Happy scosse il capo e aprì gli occhi. Scrollò il braccio sinistro facendo scendere l’orologio sul polso, così da controllarne l’ora. Erano le cinque e mezza passata. Si era seduto sul divano in attesa, nel caso in cui il boss avesse avuto bisogno di qualcos’altro. Doveva essersi appisolato.
Seppur sentendosi un po’ impiccione, salì le scale verso la zona notte alla ricerca di Virginia, che a breve si sarebbe svegliata per prepararsi alla nuova giornata lavorativa. Si fermò davanti alla porta del capo, lasciata aperta. Avrebbe tanto voluto fare una foto ai due cocciuti che dormivano beatamente, abbracciati nel letto. I loro respiri calmi sembravano sincronizzati. Tony era scivolato nel mondo dei sogni con la testa sullo stomaco di Virginia che, con il capo di lato e le spalle contro la testata, lo cingeva con un braccio mentre l’altra mano era rimasta fra i suoi capelli.
Happy in cuor suo progettò un nuovo articolo da prima pagina. 

Angolo Autrice: Saaaaaalve a tutti! Eccomi qui, finalmente! 
Premetto che sto cercando di fare capitoli di uguale lunghezza (otto pagine word) e siccome stavolta ci saranno
altri personaggi, oltre a quei zuzzerelloni zuccherosi dei Pepperony, mi ci vorrà un po' di più per scriverli *sob*.
Prendetevela con la scuola babbana... 
Ciancio alle bande, ho già in mente una trama abbastanza precisa e come già accennato nelle note pre-prologo, si
svolgerà su falsa riga del secondo film. Perciò riprenderò anche alcuni dialoghi e/o scene, quelle che più ho
apprezzato ;) Questo dovrebbe facilitarmi nella pubblicazione, salvo imprevisti quali compiti e robaccia varia...
Detto questo, ci tenevo ad avvisare (in particolare, chi già mi segue da un po') che presto dovrei pubblicare anche
un aggiornamento per quanto riguarda la mia raccolta You'll Be in my Heart
; o in alternativa una one-shots "inedita" xD.
Non so ancora quale, vista l'altalenante ispirazione >.<
Per ulteriori chiarimenti o commenti, contattatemi :*
Un grazie speciale alla mia adorata _Atlas_ <3 e...

Al prossimo capitolo,
50shadesOfLOTS_Always


PS: come sempre a inizio capitolo, le parti arancio e a destra sono dal POV di Pepper mentre quelle blu e a sinistra dal POV di Tony :)

   
 
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