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Autore: Myra11    22/11/2017    1 recensioni
Sequel di "You Are Not Trivial", ambientato circa sei mesi dopo la storia principale.
Un Alec devastato dal dolore, e un Magnus curioso, e affascinato.
Come andrà a finire?
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alec Lightwood, Clarissa, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Magnus Bane
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5
 
 And you've got your demons
and darling they all look like me
 
Isabelle accavallò le gambe, tamburellando nervosamente con le dita sul legno scuro del bancone al quale era appoggiata. La riunione andava avanti ormai da tre ore, e ancora non si era giunti ad una decisione definitiva su cosa fare di Sebastian.
Alcuni sostenevano che potesse fornire informazioni utili, altri che dovesse essere ucciso subito.
Dal canto suo la mora concordava con questi ultimi, ma non in tutto e per tutto: lei avrebbe ucciso Sebastian il più lentamente possibile, facendogli provare ogni briciola del dolore che aveva sentito lei quando aveva ritrovato il corpo di Max.
Annoiata dal chiacchiericcio che rimbombava nel salone fece scorrere lo sguardo lungo la stanza, scorrendo su centinaia di teste dai capelli di tutti i colori e soffermandosi poi sulle due che spiccavano di più. L’oro e il rosso di Jace e Clary erano le macchie di colore più evidenti nel luogo, escludendo il bianco dei capelli del prigioniero sul palco.
Quando si girò a guardarlo Sebastian le sorrise, tranquillo come se non fosse successo niente e lui non avesse ucciso suo fratello e ferito lei. Gli regalò un’occhiataccia, a cui lui rispose con una breve risata che le fece salire il sangue alla testa.
Si alzò di scatto e scese gli ampi scalini di legno a passo rapido, superando i genitori e il fratello senza nemmeno degnarli di un’occhiata.
L’unica cosa che le importava davvero erano gli occhi di oscurità del figlio di Valentine piantati su di lei. Gli sguardi dell’intero salone si piantarono su di lei quando saltò sul palco e si lanciò contro il prigioniero, ribaltando la sedia alla quale era incatenato.
«Io ti ammazzo!»
Prenderlo a pugni fu la cosa più naturale che avesse mai fatto: non c’era niente nel suo campo visivo a parte il viso affilato che stava rovinando, non c’erano le urla che le intimavano di allontanarsi né la sensazione di essere a cavalcioni sul suo petto.
«Aveva solo dieci anni!»
«Isabelle!» Stava sollevando la mano insanguinata per infliggergli l’ennesimo colpo quando le braccia di Jace la avvolsero staccandola da Sebastian.
«Lasciami, per l’Angelo!» Inveì la ragazza agitandosi nella presa che la bloccava, senza riuscire a sfuggire al fratello che stava sfruttando la sua forza disumana.
Jace la allontanò ancora mentre Maryse e Robert si avvicinano trafelati. «Lo uccideresti, Izzy.»
«Era quella l’intenzione.» Sibilò lei, e finalmente la presa si allontanò abbastanza per permetterle di girarsi tra le braccia del biondo.
«Credimi, anch’io non vorrei altro che vederlo morto, ma non possiamo ancora ucciderlo.»
Jace l’afferrò per le spalle catturando il suo sguardo, e riuscì a farla calmare abbastanza perché Maryse gli intimasse di allontanarla.
Clary fece per seguirli, ma Robert la bloccò all’ultimo minuto.
«Abbiamo bisogno che tu guarisca il prigioniero.»
«Perché io?» Chiese, chiedendosi se volessero torturarla.
Robert la osservò con comprensione. «Perché le tue rune hanno un potere maggiore, e data la natura di Sebastian non siamo sicuri che rune normali funzionerebbero, ma ci serve in forze per gli interrogatori.»
La rossa sospirò pesantemente e si voltò mentre un altro cacciatore rialzava il prigioniero. «D’accordo.»
Si avvicinò al fratello estraendo lo stilo e si affiancò alla sedia.
«Sorellina.» La salutò il ragazzo, sorridendo sotto lo strato di sangue che gli ricopriva metà del viso.
«Prova a fare una qualsiasi mossa e potrei disegnare per sbaglio una runa per paralizzarti.» Gli sorrise cinica lei, abbassando la mano verso il suo volto.
Sebastian socchiuse gli occhi quando lo stilo gli si posò sulla pelle. «A te non farei mai del male.»
Clary non alzò lo sguardo dal suo lavoro, disegnando l’iratze. «Ci hai già provato.»
«Lo so, e me ne pento.» La voce del fratello vibrava di un’emozione così sincera da attirare lo sguardo della ragazza verso i suoi occhi. Per un istante vide il ragazzo che sarebbe potuto essere, il suo fratellone dai capelli bianchi e dai confortanti occhi neri, il fratello maggiore che aveva sempre desiderato, ma si strappò violentemente da quella visione.
«Menti. Non sai fare altro.» Si allontanò e scese dal palco, lo sguardo di Sebastian che le perforava la schiena.
 
Mentre sua sorella picchiava il fratello di Clarissa, Alec stava cercando di mantenere insieme i pezzi della sua corazza. Era stata una giornata relativamente tranquilla – Magnus era sparito dopo colazione ed era appena tornato, in tempo per la cena – ma proprio per quello gli riuscì più difficile riassumere la sua facciata di spensierata allegria.
«È andato tutto bene?» Gli chiese con un sorriso appena accennato, ma dentro bruciava. Letteralmente: erano due giorni che si sentiva con i polmoni in fiamme come se non riuscisse ad incamerare abbastanza aria, i muscoli rigidi e stanchi come quando era bambino.
Lo stregone si appoggiò al tavolo della cucina dopo aver preso una confezione di cibo cinese. Alec avrebbe anche cucinato, ma ai fornelli era quasi più disastroso di Isabelle.
«Si. Tu come stai?»
Gli occhi felini si socchiusero puntandosi su di lui, e il ragazzo seppe che stavano studiando le sue guance più incavate del solito, gli occhi stanchi e l’aria confusa. Era l’ultimo giorno della loro prima settimana di convivenza e gli incubi erano tornati a tormentarlo, per questo aveva smesso di riposarsi mentre dormiva. Passava le notti ad artigliare le coperte e mordersi le labbra a sangue nel disperato tentativo di non urlare. «Sto bene.» Mentì, ma che Magnus si ricordasse o meno di lui, una sua bugia non era mai riuscita a convincerlo.
Infatti il Nascosto posò il cartone di cibo e gli si avvicinò, abbassando lo sguardo lungo i centimetri di altezza che li separavano: non era facile trovare qualcuno più alto di Alec, eppure lui lo era.
«Voglio vedere le ferite.»
Alec indietreggiò di un passo. «Cosa? No!»
«Alexander…» La voce di Magnus conteneva un avvertimento, ma il giovane lo ignorò mentre si seguivano per la cucina in una versione inquieta del gatto e topo. Alla fine il cacciatore si trovò con le spalle al muro ma non successe niente di ciò che si aspettava.
Lo stregone si abbandonò contro di lui all’improvviso, la fronte appoggiata sulla sua spalla, unico punto di contatto tra di loro.
«Magnus…Cosa succede?» Gli domandò Alec, indeciso sul dove mettere le mani. Avrebbe dovuto abbracciare Magnus o evitare di toccarlo? Alla fine optò per una via di mezzo, posando una mano soltanto sulla spalla del Sommo Stregone di Brooklyn.
«Ho fatto un sogno, ieri notte. Riguardava...»
Il ragazzo rimase silenzioso, senza sapere cosa aspettarsi, ma Magnus scosse piano la testa.
«Lascia stare.» Nonostante le parole noncuranti, non si mosse, e Alec non fece niente per respingerlo. Sapeva che avrebbe dovuto allontanarsi, ma non poteva.
Era come essere rintanati al caldo sotto le coperte d’inverno: sapevi che dovevi alzarti ma semplicemente non avevi la forza di allontanarti da quella sensazione di benessere.
Mormorò nuovamente il nome dello stregone – se fosse stato lui ad allontanarsi sarebbe stato più semplice – e finalmente lui sembrò tornare presente a sé stesso, staccandosi dal suo corpo come se fosse appena uscito da una trance.
«Bruci, Alexander.» Affermò Magnus accigliandosi, poi uscì dalla cucina con la scatola di cibo cinese e si chiuse nel suo studio.
Fu così che Alec mangiò da solo e andò a rifugiarsi nella camera degli ospiti.
Quella notte le sue urla avrebbero probabilmente riecheggiato in tutto il quartiere se l’appartamento non fosse stato insonorizzato.
Il breve contatto con Magnus sembrava aver aggiunto altro dolore al pozzo che gli riempiva il corpo, e fu proprio Magnus a spalancare la porta e a precipitarsi accanto al letto.
«Alexander!» Lo chiamò mentre si sedeva sul materasso e lo afferrava per le spalle, scrollandolo. Il volto del diciottenne era vulnerabile e disperato come non mai, come se stesse rivivendo qualcosa di orribile, o qualcosa di bello che aveva perduto.
Quando riaprì gli occhi all’improvviso, lo stregone li vide lucidi di lacrime, e un’immagine sfocata gli solleticò il cervello.
Un ragazzo singhiozzava nella doccia, dilaniato da una sofferenza che aveva trattenuto a lungo, e lui lo abbracciava lasciando che l’acqua li avvolgesse entrambi.
Sentiva le rune sotto le dita. Aveva stretto il Nephilim a sé finché non si era calmato.
«Va tutto bene, tranquillo.» Abbassò lo sguardo addolcito su Alec, abbracciandolo e lasciando che fosse il suo respiro regolare a calmare il diciottenne.
Affondò le dita in quella massa di disordinati capelli neri e li accarezzò più e più volte, sentendo quel movimento come insolitamente familiare.
Alec mormorò il suo nome in un singhiozzo, e Magnus gli sfiorò la fronte con le labbra.
«Va tutto bene…» Ripeté, lasciando che la presa ferrea del suo ospite e le sue unghie gli lasciassero segni scarlatti di dita e piccoli graffi sulle braccia.
 «Sono qui.»

 
 
 
  
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