Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: TheSlavicShadow    23/11/2017    2 recensioni
Sei mesi dopo essere deiventata Iron Woman, qualcosa inizia a non andare come dovrebbe.
{Earth-3490; sequel di Wherever You Will Go}
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Maggio 2006

 

Il rumore dei passi e dei pugni la distraeva. Non era decisamente abituata a lavorare con un rumore diverso dalla musica. Di solito c’era sempre musica sparata da qualsiasi angolo della casa, o se non era possibile almeno si infilava le cuffie nelle orecchie e lavorava così. Questa volta non c’era musica e non si era nemmeno portata dietro le cuffie. Ed era troppo pigra per alzarsi e andare a cercarle.

Era da qualche tempo che cercava di passare più tempo possibile accanto a Steve. Anche se questo voleva dire passare ore in palestra, molto spesso in silenzio con l’unico rumore di sottofondo Steve che si allenava.

“Signorina Stark, perché devo allenarmi io con il capitano Rogers?”

“Perché si annoia a combattere sempre contro un sacco.” Non aveva neppure alzato lo sguardo su Happy Hogan che era sul ring assieme a Steve. Continuava a muovere il pennino sullo schermo cercando di concludere il disegno di una turbina. Non la convinceva per nulla. Sembrava una cosa talmente antiquata che si stava chiedendo se stesse bene.

No, non stava bene, si era detta.

“Potrebbe allenarsi lei ogni tanto.”

Solo allora aveva guardato il proprio bodyguard, ma non si era alzata. Era rimasta comodamente sdraiata per terra, su uno dei enormi cuscini che aveva fatto portare lì apposta. Così si rilassava e riposava mentre guardava il suo supersoldato preferito che si allenava.

“Happy, potrei licenziarti e assumere Steven al tuo posto.”

“Mi dispiace, ma ho già un lavoro.” Steve era sceso dal ring e le si era avvicinato, ma solo per prendere la bottiglia d’acqua che lei aveva messo accanto a sé. Lo aveva osservato bere e a volte si sentiva come uno di quei fan un po’ maniaci verso i loro idoli. Era capace di osservarlo senza battere ciglio in totale adorazione.

“Quella è schiavitù. Hai una paga misera per quello che fai.”

“Fare da babysitter a te non può essere considerato un lavoro.”

“Questo mi offende, Rogers.” Aveva portato una mano sul proprio petto facendo l’offesa, ma non lo era minimamente. Sapeva che era così. Le avevano messo lo S.H.I.E.L.D. in casa, e anche se Steve non faceva la spia, era un modo per controllarla. Anche solo perché non avrebbe mai permesso che facesse qualcosa di troppo stupido o pericoloso.

“Perché non sei di sopra con Pepper? Sta scegliendo la tua prossima assistente personale.”

“Mi annoia.” Lo aveva guardato negli occhi. Aveva passato il giorno precedente a leggere curriculum assieme a Pepper, e ora non aveva voglia di passare altre ore ad incontrare le candidate. “Pepper sceglierà benissimo e ti prometto che non mi lamenterò. Al massimo la licenzierò e ne troverò un’altra. O un altro.” Aveva sorriso, ma Steve aveva solo inarcato un sopracciglio. Non era geloso affatto. Non sapeva se esserne felice o meno.

“Tasha, vai sul ring. Ora.” Forse un po’ geloso lo era, ma lei aveva solo mugugnato quando lo aveva visto andare a prendere i suoi guantoni e la protezione per la testa. Da quando era diventata Iron Woman, Steve aveva arbitrariamente deciso che doveva saper combattere almeno un minimo. “Fa vedere a Happy che a volte ti alleni anche tu.”

“Quello non è allenarsi. E’ una scusa per saltarti addosso.”

Steve aveva scosso la testa mentre le metteva le protezioni e lei infilava lentamente i guantoni. Non si reputava molto brava. Era sempre stata piuttosto esile e aveva dedicato poco tempo allo sport quando era stata più giovane. Ogni tanto aveva cercato di fare un po’ di palestra, ma perdeva ogni interesse dopo pochissimo tempo. Non faceva per lei.

“Ricordi la posizione di difesa?”

“Sissignore!” Si era messa in posizione e Steve aveva sorriso di più. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di preservare quel sorriso. Doveva vivere per quello. Doveva trovare una soluzione per poter stare con lui ancora.

“Spaccagli le ossa, Rocky.”

Aveva riso di gusto mentre si avviava al ring. Negli anni Steve si era messo al passo con i tempi e aveva visto tutti i film che andavano visti. Almeno la prima parte, se si trattava di saghe.

“Signorina Stark, non voglio farle male.”

“Non ti preoccupare, Happy. Anche se non sembra sarai tu quello che finirà k.o.”

Happy sembrava turbato di avere lei come avversario. Quell’uomo le aveva salvato la vita qualche anno addietro quando aveva fatto un incidente con la macchina. Aveva spalancato la portiera che era rimasta bloccata e l’aveva tirata fuori dall’automobile. Era successo poco tempo il suo arrivo in California, e da quel momento quell’uomo non aveva lasciato il suo fianco.

“Capo, le ricordo che sono un ex pugile.”

“E io sono Iron Woman. Dai. E’ un allenamento. Pensi davvero che Steve ti permetterà di farmi davvero del male. Nel momento esatto in cui gli sembrerà che io possa farmi del male, salterà su questo ring e ti fermerà a mani nude. Vero, Stevie?”

“Concentrati così non dovrò intervenire.”

Con la coda dell’occhio aveva notato Steve avvicinarsi al ring e appoggiarsi alle corde. Si era messa in posizione e voleva fare bella impressione. Con Steve a volte si sentiva come se fosse una ragazzina che doveva colpire e attirare l’attenzione di qualcuno. Con Steve non le serviva. Con la maggior parte delle persone non le serviva. Ma con Steve era sempre tutto diverso.

Happy si era mosso. Sapeva che sarebbe partito con un destro, lo faceva sempre. Si era spostata, ben conscia che l’uomo non stesse facendo sul serio. Se lo avesse fatto l’avrebbe atterrata subito. Si rendeva perfettamente conto di essere molto vulnerabile senza l’armatura.

Era partita al contrattacco ma Happy l’aveva bloccata subito.

“Steve mi ha chiesto di sposarlo.”

Aveva visto l’uomo bloccarsi e spalancare gli occhi. Lo aveva distratto quel tanto che bastava per colpirlo prima alla testa e poi abbassarsi come Steve le aveva insegnato e colpirgli le caviglie con una gamba per farlo cadere.

“Ehi! Questo non vale! E’ giocare sporco!” Happy l’aveva guardata mentre lei si rialzava e lo guardava soddisfatta.

“Non abbiamo stabilito nessuna regola. E non puoi pretendere che una fanciulla dolce ed indifesa come me possa combattere seriamente con un uomo della tua stazza. Dai, mi hai vista bene?”

“Sì, ma matrimonio, capo?” Happy l’aveva guardata ancora mentre lei faceva un’alzata di spalle. Subito dopo si era voltato verso Steve e questi sorrideva. “Matrimonio, Capitano? Con questa? Ma è Satana travestito da qualcosa di carino!”

“Non mi ha mai risposto, Happy, quindi penso che sia un no la sua risposta.” Steve continuava a sorridere, appoggiato alla rete del ring. E lei non aveva resistito e gli si era avvicinata. Aveva allungato le mani per fargli togliere i guantoni. Le piaceva quando Steve la viziava con quelle piccole attenzioni.

“Tra non rispondere e una risposta negativa la differenza è molta. Potrei ancora star valutando i pro e i contro del mettere la testa a posto e sistemarmi con un ottantenne molto sexy.”

“Dopo questa sono io che non ti voglio più sposare.” Steve aveva riso e Natasha aveva soltanto allungato una mano per accarezzargli il viso.

Era bellissimo. Era stupendo e magnifico e lei non poteva accettare il fatto che il suo tempo stasse per finire.

“Las Vegas. Io vestita da Wonder Woman e tu da Superman. E con uno vestito da Elvis ad officiare la cerimonia mentre in sottofondo si sente “Can’t help falling in love”. Questa è la mia condizione. O in alternativa io da principessa Leia e tu Han Solo. Ma Elvis non è negoziabile.”

Steve aveva preso la sua mano e ne aveva baciato il palmo. Era una condizione stupida la sua. Steve era un uomo d’altri tempi. Uno che l’avrebbe trascinata in una chiesa addobbata di rose bianche e Rhodey l’avrebbe accompagnata lungo la navata mentre lei cercava di non inciampare nel vestito. Avrebbe avuto Pepper come testimone che avrebbe sicuramente pianto tutta la cerimonia, e Steve avrebbe avuto Coulson nel più roseo dei casi. E Steve. Steve avrebbe indossato la sua divisa militare, con tutte le medaglie. E lei avrebbe fatto fatica a non guardarlo tutto il tempo.

“Possiamo anche fare Spock e Kirk.”

Aveva riso lei questa volta. Non si sarebbe mai aspettata quella risposta.

“Tasha, a me va bene anche Las Vegas, credimi. Quindi quando te lo chiederò seriamente, pensa solo ad una risposta. Al resto penseremo in seguito.”

“Oddio, sta per venirmi il diabete.” Happy li aveva superati, scendendo dal ring proprio quando si era aperta la porta della palestra e si era sentito il rumore dei tacchi di Pepper.

“Signorina Stark, le presento la sua nuova assistente personale, la signorina Natalie Rushman.”

Natasha aveva guardato prima Pepper e poi la giovane donna che la seguiva. Era bella. Davvero molto bella. E non le era sfuggito il modo in cui i due uomini l’avevano guardata. Non le era mai capitato di vedere l’attenzione di Steve catturata da un’altra donna. E ne era gelosa.

“Vuoi chiederle di unirsi a noi per una cosa a tre, Steven?”

“Cosa stai dicendo?” Steve l’aveva guardata male e lo stesso aveva fatto Pepper, fermandosi di fronte a lei.

“Tasha, non la faccia scappare al suo primo giorno di lavoro. E soprattutto non faccia qualcosa che potrebbe costarci una denuncia per molestie sessuali.”

Aveva soltanto alzato gli occhi al cielo ed era scesa dal ring guardando la donna sconosciuta. Questa le sorrideva lievemente, un sorriso di cortesia ben eseguito. Era una maestra in sorrisi costruiti e quello lo era in modo indiscutibile.

“E’ un piacere conoscerla, signorina Stark. Ed è un onore poter lavorare per lei.”

Natasha l’aveva guardata con attenzione. Doveva avere più o meno la sua età. Ed era davvero bella. Ma a lei piacevano le cose belle e amava circondarsene.

“Rushman, eh? Quella che parla diverse lingue tra cui il latino? Sì, ho letto sul serio il suo curriculum. Davvero parla latino? Non è tipo una lingua morta che non viene più utilizzata neanche nel mondo scientifico e nessuno si ricorda più i nomi latini di piante e animali? A cosa le serve il latino?” Natasha aveva incrociato le braccia al petto e guardava l’altra donna.

“A sorprendere le persone leggendo le lapidi nelle chiese.” Natalie aveva risposto con un sorriso e Natasha era scoppiata a ridere.

“Mi piace! Natalie, ti presento Happy, mio autista e bodyguard. Ti passerà a prendere lui al mattino per venire qui e poi ti riporterà a casa. E lui è Steve, il mio compagno.” Aveva notato Steve voltare la testa verso di lei, ma lo aveva ignorato. Quella era la prima volta che lo definiva così, sia in pubblico che in privato. Non aveva mai avuto bisogno di specificare cosa fossero. Non le sembrava necessario.

Natalie aveva guardato Steve e aveva sorriso. Era un sorriso leggero, ma aveva sorriso anche con gli occhi questa volta.

E lei non doveva essere gelosa.

“Vado a fare una doccia mentre voi vi conoscete.” Steve si era chinato per darle un bacio leggero sulle labbra e poi lo aveva guardato allontanarsi e uscire dalla palestra.

“Cosa mi sono persa qui?” Pepper aveva guardato prima Natasha e poi Happy.

“Il capo vuole sposarsi a Las Vegas con il Capitano, facendo cosplay e con uno vestito da Elvis a fare da prete. La cosa preoccupante è il Capitano che è d’accordo.” Happy aveva scosso la testa, togliendo i guantoni e andando a prendere la propria bottiglia d’acqua.

“Tasha, cosa?” Pepper l’aveva guardata dopo qualche istante in cui era rimasta in silenzio. “Las Vegas? Matrimonio? Mi distraggo due minuti e lei fa questi progetti?”

“Non gli ho mai detto di sì. Gli ho solo detto quali sono le mie condizioni.” Aveva semplicemente fatto un’alzata di spalle. “Torno a lavorare fino a ora di cena, Pepper! Ho ancora dei progetti da revisionare per evitare che ti parta un embolo perché non rispetto le scadenze. Fai fare un giro della casa a Natalie, mi raccomando.” Con un sorriso aveva superato tutti ed era uscita dalla palestra. C’erano davvero dei progetti che la stavano aspettando e che J.A.R.V.I.S. stava analizzando al suo posto. Lei avrebbe continuato con le sue ricerche per sostituire il palladio del reattore.

 

✭✮✭

 

“Tasha, sono le due e mezza. Dovresti dormire.” Steve era entrato in officina, raggiungendola subito al suo tavolo da lavoro. Lo aveva ignorato per qualche istante, continuando a leggere un file aperto, mentre ne aveva almeno un’altra decina aperta. “Sono serio. Non costringermi a portarti in camera di peso.”

“Sai che questo potrebbe eccitarmi, Steven.” Aveva chiuso un file leggendo quello successivo. Non era neppure questo quello che stava cercando.

“Partiamo tra meno di 6 ore.”

“Perché siete tutti così ossessionati da queste partenze in orario? Abbiamo un aereo privato. P-R-I-V-A-T-O. C’è il mio nome stampato sopra, se non l’avevi notato.” Lo aveva guardato. E lo aveva squadrato. Aveva addosso i pantaloni di una tuta. E un asciugamano attorno alle spalle. Ed era a petto nudo. “Mi vuoi far venire un infarto prima del tempo? Ho un cuore debole, dovresti saperlo.”

“A cosa stai lavorando?” Aveva alzato gli occhi al cielo e le si era avvicinato. Aveva trascinato una sedia con sé e si era seduto accanto a lei. “Ehi. Questi sono file segreti.”

“Certo che lo sono. Non posso mica andare da Fury e chiedergli di farmi vedere cose segrete sbattendo le ciglia un paio di volte. Mi chiederebbe subito di lavorare per lui. E tu basta che faccia finta di non aver visto nulla.”

Steve era rimasto in silenzio, leggendo anche lui i file.

“Tasha, cosa stai cercando? Quest’uomo è scomparso da diverso tempo.”

“Non è scomparso. Lo S.H.I.E.L.D. lo segue costantemente perché non possono lasciare una mina vagante simile senza monitoraggio.”

“Sembra che tu stia parlando di te stessa.”

Lo aveva guardato male e poi aveva fatto partire un video.

“Guarda. Questo è Bruce Banner ad una conferenza. E’ un fisico nucleare strabiliante. Ha lavorato per l’Esercito per un periodo ed è così che l’ho conosciuto. E’ una delle persone più intelligenti che io conosca. Sono ancora al primo posto io, giusto per specificare, ma tra lui e Reed Richards non so chi possa essere messo subito dopo di me.”

“Hank Pym?”

“Pym è vecchio e puzza di naftalina.” Lo aveva guardato male. Tra suo padre ed Hank Pym non correva buon sangue. E di conseguenza neppure tra lei e il vecchio scienziato. “Torniamo a Banner perché potrebbe essere lui la soluzione al mio problema. Subito dopo la morte di Howard, l’Esercito gli ha commissionato un lavoro speciale, che non ti piacerà per nulla. Sintetizzare di nuovo il siero del super-soldato. Gli appunti di Erskine in mano all’Esercito non sono completi, e quelli di mio padre sono in mano allo S.H.I.E.L.D. da sempre. O così credo e spero. Banner stava lavorando a questo, solo che qualcosa è andato storto e i raggi gamma uniti al siero che ha sintetizzato lo hanno trasformato in questa creatura fatta di rabbia repressa verso qualsiasi cosa respiri. Soprattutto Ross.”

“Ross è stato congedato, no?”

“Per fortuna sì. Mi metteva i brividi quell’uomo e sono davvero pochi quelli che riescono a farmi provare tanto schifo con la loro sola presenza.” Stava osservando Hulk, l’essere in cui Banner si trasformava quando perdeva il controllo, distruggere tutto quello che aveva di fronte. Anche se in tutta quella rabbia cieca sembrava esserci una qualche logica. Attaccava per difendersi. Non attaccava a caso, come Ross continuava a sostenere. “Era fidanzato, sai? Con la figlia di Ross. E lei è rimasta ferita nel primo scontro tra Hulk e gli scagnozzi di Ross.”

“Non sapevo fossi così informata sul caso Banner.”

“Io sono informata su tutto, Steve. O meglio, sulle cose che mi interessano. Tipo, cosa sta esattamente succedendo alla Baxter Building? Perché Richards doveva essere presente alla Expo per parlare della sua missione spaziale, ma nulla. Non ho idea di cosa stia facendo e Fury ha criptato i file meglio del solito.”

“Un giorno Nick ti arresterà per tutto questo, lo sai?”

“Ehi, non è colpa mia se le informazioni più succulente sono in mano sua.” Aveva chiuso tutti i file. Forse Banner poteva davvero avere una soluzione per lei. Ma come poteva andare in cerca di Banner senza far insospettire Fury? Come poteva avvicinare Banner senza che questi le scagliasse contro Hulk? Banner poteva davvero essere la sua ultima speranza e non poteva avvicinarlo. Avrebbe dovuto mentire ancora a troppe persone. Avrebbe dovuto mentire ancora a Steve e questa era la cosa che più la turbava. Già gli stava tenendo nascoste troppe cose e questo non le piaceva. “Quando saremo in Francia, che ne dici di prolungare la vacanza? Rimandiamo a casa tutti gli altri e noi ci godiamo la Provenza. Visitiamo poi tutti quei posti di cui mi parlavano Dum Dum e gli altri quando ero bambina. Andiamo fino a Parigi e facciamo la stupida coppia innamorata.”

Le aveva accarezzato piano una guancia e lei non aveva fatto altro che affondare di più il viso in quella mano. Steve le dava sicurezza. Le sembrava quasi di essere indistruttibile solo standogli accanto.

“Intanto andiamo a Monaco.” Steve aveva parlato piano, appoggiando le labbra sulla sua fronte. “Ci godiamo il cibo, il sole, la corsa. Magari fai shopping con Pepper e Natalie. Ti comporti da riccona viziata. E poi vediamo cosa fare. Va bene?”

Aveva annuito lentamente alzando poi il viso per baciarlo e Steve l’aveva subito abbracciata. L’aveva stretta con forza e lei si era spostata dalla propria sedia per sedersi in braccio a lui.

“Tasha, cosa c’è che non va? Se non mi parli non posso aiutarti.”

“E’ tutto sotto controllo e temo che la struttura del reattore arc non sia proprio di tua competenza.” Lo aveva guardato e Steve era davvero preoccupato. Sapeva che qualcosa non andava. Sapeva che le cose erano più serie di quello che lei faceva vedere. Steve sapeva che stava male e che faceva di tutto per nasconderlo. “E’ il palladio. Ha sette isotopi, di cui sei sono stabili. E ora non sembrano stabili neppure questi. E’ come se si stesse trasformando in un elemento sconosciuto e le componenti del reattore non riescono più a controllarlo. Il palladio e l’armatura non vanno più d’accordo, per metterla in parole povere.”

“Abbandona Iron Woman per qualche tempo.” Lo aveva guardato male appena aveva pronunciato quelle parole e lui aveva solo alzato gli occhi al cielo. “Qualche tempo, Tasha. Non ti chiederei mai di abbandonare qualcosa a cui tieni, te l’ho già detto. Se non credessi che ora ti farebbe bene prenderti una pausa, non te lo direi. Appena torniamo dalla Francia possiamo fermarci a New York e dare un’occhiata a quella palazzina di cui mi parlavi. Che ne dici?”

Aveva annuito, appoggiando subito dopo la testa sulla spalla di Steve. Avrebbe dovuto dirglielo. Avrebbe dovuto parlargli delle sue condizioni di salute e del fatto che non aveva una soluzione. Del fatto che brancolava nel buio e che non sapeva quanto tempo le rimaneva. Forse doveva davvero annullare ogni impegno e trascinare Steve a Las Vegas e sposarlo. Potevano poi partire per una luna di miele e avere almeno un attimo felice prima della catastrofica fine.

Solo che era sicura che nel momento in cui gli avesse detto quale fosse la realtà, Steve si sarebbe fiondato allo S.H.I.E.L.D. e avrebbe cercato l’aiuto di Fury e di chiunque altro gli venisse in mente. Solo che lei aveva già consultato tutti i file disponibili dello S.H.I.E.L.D. e non aveva trovato nulla che potesse aiutarla. Il reattore arc poteva funzionare soltanto con il palladio. Ma il palladio non andava più bene per il suo corpo.

 

✭✮✭

 

Avrebbe dovuto ascoltare il consiglio di Steve e delegare a qualcuno il viaggio a Monaco. Pepper poteva occuparsene tranquillamente da sola. Avrebbe fatto bene anche alla sua nuova carica di amministratore delegato. Poteva anche mandare con lei Natalie. Era sicura che insieme avrebbero fatto faville. Ma lei avrebbe fatto meglio a starsene rinchiusa in officina.

Perché quello era un girone infernale, ne era certa.

Steve aveva aperto la porta del ristorante dove avrebbero pranzato. Era anche una scusa per fare affari. Tutta la gente che contava era rinchiusa tra quelle mura, mentre aspettavano l’inizio della corsa automobilistica tra un aperitivo e l’altro. Le Stark Industries avevano progettato una nuova macchina da corsa e quello era il suo debutto.

“Tasha Stark! Che sorpresa.”

“Christopher.” Aveva fatto un sorriso molto tirato. Sperava di non dover mai più incontrare quel giornalista. Non aveva scritto proprio un bell’articolo su di lei l’anno prima.

“Oh, vi conoscete? Tasha, come sempre le tue conoscenze spaziano ovunque.”

“E’ un piacere rivederti, Tiberius. Quanto tempo è passato? Quasi 10 anni? Non potevamo non vederci per altri 10 anni? Ti credevo morto in qualche squallido bordello parigino, magari di sifilide.”

“Perché tu hai fatto la santa in questi anni?” Tiberius Stone aveva fatto un sorriso malizioso che l’aveva infastidita. No, non aveva fatto assolutamente la santa, ma voleva lo stesso assestargli una cinquina in piena faccia. “Vedo che Steve ti gira ancora attorno.”

Non aveva neppure dovuto voltarsi per percepire la presenza di Steve alle sue spalle. Non le piaceva essere protetta da altri. Ma quando lo faceva Steve si sentiva sempre speciale.

“Stone.” Steve lo aveva pronunciato con voce piatta. Sapeva essere educato, ma l’odio che provava per quell’uomo superava anche quello di Natasha stessa. Le aveva passato un braccio attorno alla vita, come a dimostrare che la donna fosse sua. Steve era un’eccezione anche in questo. Di solito odiava quando un uomo la trattava come un proprio possesso. Quando lo faceva Steve aveva un che di eccitante.

“Non ti stanchi a stare appresso ad una persona così incostante? Ora poi ha questa ridicola fissa di fare la supereroina con quella sua armatura.”

“Al contrario di qualcuno riesco ad apprezzare le sue doti senza esserne invidioso.”

“Ooooh, questa brucia.” Natasha aveva fatto un piccolo fischio senza mai togliere lo sguardo da Tiberius.

“Natasha! Anche tu qui?”

Quello era un girone dell’inferno. Il suo piccolo inferno personale che tornava a infastidirla.

Lentamente aveva girato la testa solo per veder arrivare Justin Hammer. Lo odiava. La sua sola esistenza la irritava. Anche perché non era un inventore. Nessuna delle cose che avevano il suo nome stampato sopra le aveva costruite lui. Era solo un imprenditore che si prendeva il merito di altri.

“Oh, Justin. A chi hai rubato i brevetti questa volta?”

“Simpatica. Davvero molto simpatica.” L’uomo aveva finto una risata, ma lei era abituata a nuotare in acque infestate da squali. Doveva ringraziare Howard per averle insegnato come fare. “Signorina Potts, congratulazioni per la sua promozione.”

Natasha aveva roteato gli occhi quando Hammer si era rivolto a Pepper e non le era sfuggita l’occhiata che aveva dato a Natalie.

“Vado un attimo in bagno. Voi prendete posto intanto, ok?” Aveva guardato Steve e quando questi le aveva annuito si era alzata in punta di piedi per dargli un bacio. Un po’ lo aveva fatto apposta. Doveva ammetterlo.

C’era una piccola parte del suo cervello che le diceva che doveva lasciare Steve. Che doveva ferirlo in modo che la odiasse e allora sarebbe stato più facile da accettare per entrambi. Se non trovava una soluzione entro poche settimane lei sarebbe stata cibo per i vermi e Steve avrebbe sofferto.

“Se non torni entro cinque minuti, ti vengo a cercare. Chiaro?” Steve aveva inarcato un sopracciglio. “So che ora vuoi scappare, ma io ti avevo detto di rimanere a casa e lasciare ad altri questo viaggio.”

“Quanto ti odio quando hai ragione.” Aveva risposto con una smorfia e poi si era allontanata. Doveva controllare il livello di palladio e non era sicura di poterlo fare in albergo. Steve le lasciava sempre i propri spazi, ma non riusciva a farlo quando sapeva che Steve era solo dall’altra parte della porta. Non sarebbe mai entrato. Non l’avrebbe mai scoperta. Ma lei non ci riusciva. Gli stava mentendo e questo le faceva provare senso di colpa.

Steve le aveva dato un altro bacio. Aveva sentito Tiberius dire qualcosa, ma non lo aveva ascoltato. Si era concentrata solo sulle labbra di Steve e su come la facesse sentire. Non aveva ascoltato neppure lo scambio di battute che Steve aveva avuto con Tiberius mentre lei si allontanava. Aveva solo sentito Hammer dire che potevano anche sedersi tutti assieme e sperava con tutta sé stessa che gli altri avrebbero rifiutato.

Si era chiusa in bagno estraendo dalla borsetta il dispositivo per la misurazione. Aveva punto un dito e aveva bestemmiato tra i denti.

Era salito a 57%.

Aumentava sempre di più, in modo inarrestabile. Tutta la clorofilla che stava bevendo per controbilanciare i sintomi sembrava non servire più a nulla. Le linee blu sul suo torace si espandevano più lentamente, ma sapeva che era solo questione di tempo. Poco tempo. E non sapeva cosa fosse peggio; aspettare di morire di morte naturale oppure fare qualcosa di altamente stupido che avrebbe accelerato questo processo.

Non aveva più idee. Non sapeva più cosa fare e dove sbattere la testa per trovare una soluzione, ammesso che ce ne fosse una. Aveva provato tutte le combinazioni di tutti gli elementi presenti sulla tavola periodica. Aveva provato a cambiare il materiale della struttura del reattore arc. Poteva salvarla solo un’operazione per togliere i frammenti che minacciavano il suo cuore, ma nessuno voleva assumersi quella responsabilità. Era una cosa troppo delicata. Bastava un solo piccolissimo errore e lei sarebbe morta sotto i ferri.

Era spacciata in qualsiasi caso.

Aveva controllato l’orologio. Se si fosse sbrigata poteva arrivare alla scuderia delle Stark Industries prima dell’inizio della corsa. Se avesse fatto attenzione sarebbe sfuggita agli occhi attenti di Steve e Pepper una volta uscita dal bagno. Sarebbe scesa di corsa e avrebbe fatto quello per cui aveva costruito quella macchina: per guidarla lei. Quello era stato un sogno da sempre. Suo padre era sempre stato contrario. Sua madre e Jarvis erano anche peggio. Ancora le risuonavano nelle orecchie le loro parole sul fatto che una signorina di buona famiglia non dovrebbe mai correre in macchina. Lo faceva sempre in ogni caso. Poi Pepper. Le aveva detto chiaro e tondo che avevano un pilota professionista da mandare in pista, che lei si sarebbe solo fatta ammazzare. E per finire Steve. Mentre la guardava costruire quella macchina le aveva ripetuto più volte di togliersi dalla mente l’idea di guidarla lei stessa, che correre in strada e in pista erano due cose molto diverse. Gli aveva anche dato retta allora. Si era spostata dal cofano della macchina, sporca di olio e grasso ovunque, e gli aveva dato ragione.

Fino a quel momento.

Quella poteva essere la sua unica occasione per scendere in pista con quella macchina. Aveva passato troppo tempo nel perfezionarla per rimanere soltanto a guardare. E peggio ancora, a guardarla in tv.

Ritenevano tutti che fosse troppo pericoloso per lei stare in mezzo al pubblico. Molti non erano contenti di Iron Woman per svariati motivi. E molti di più erano quelli a cui non piaceva Tasha Stark.

Ma a lei questo non importava. Non le era mai importato. Non era mai piaciuta a molte persone. Quando la sua azienda produceva armi, più volte aveva visto dal proprio ufficio la polizia che faceva disperdere i manifestanti che si ammassavano davanti all’ingresso. Ed era abituata a queste cose sin da quando era piccola. Gli Stark non piacevano molto all’opinione pubblica. Suo padre era stato un uomo potente, e non piaceva. Lei era solo una ragazzina viziata, secondo molti, e non piaceva per quello.

Si era velocemente infilata la tuta blu da corsa. Le sarebbe servita per fare le foto alla fine della gara. Perché che avessero vinto o perso a lei poco importava. Quella era solo l’inaugurazione di un suo nuovo progetto; le macchine da corsa.

E non voleva pensare in quel momento a Steve. Al modo in cui sicuramente sarà andato nel panico non vedendola tornare in bagno. Aveva probabilmente avvertito subito Pepper, che avrà contattato Happy. Sarebbero tutti e tre andati nel panico non trovandola da nessuna parte. E poi l’avrebbero vista in tv. Riusciva già a sentire le urla isteriche di tutti e tre. E forse anche quelle di Natalie si sarebbero unite al coro.

Ma in quel preciso istante non le importava. Un po’ era anche abituata a sentirle sempre dalle persone che la circondavano. Era un pattern che si ripeteva all’infinito. Solo che in quel momento voleva davvero salire su quella macchina e andare veloce. Voleva sentire il brivido del raggiungere i quasi 300 km/h. Voleva poter percorrere quanti più giri possibili, ben sapendo che non avrebbe mai concluso tutti i 78 giri e 260 chilometri del percorso.

Era colpa di suo padre. Era sempre colpa di Howard se era diventata così. Erano stati in vacanza in Francia una volta quando lei aveva sei o sette anni. Avevano percorso il Paese in lungo e in largo e avevano infine soggiornato a Montecarlo. Mentre sua madre era a fare shopping in compagnia di Ana e Jarvis che faceva da portaborse alle due donne, Howard l’aveva fatta salire in macchina al posto del passeggero. Le aveva detto che l’avrebbe portata a fare un giro su una delle piste più interessanti della Formula 1. A lei non interessava la Formula 1. Le importava solo essere lì con suo padre e passare del tempo con lui mentre era di buon umore. Era colpa di Howard se amava le automobili e la velocità. Anche quel giorno Howard aveva corso più del solito mentre le raccontava di come si svolgesse la gara. Aveva sempre pensato che tutto sommato anche Howard avesse sempre sognato di gareggiare almeno una volta in vita sua. Ma non lo aveva mai fatto anche se sarebbe stato bravo. Di questo era sempre stata certa.

E lei non era da meno.

Lo speaker stava annunciando un cambio di pilota nella scuderia Stark mentre lei si avvicinava alla macchina. Esprimeva i suoi dubbi su questo cambio di pilota così improvviso, ma lei sapeva già che non potevano vincere. Partivano da una posizione di svantaggio, e tutti sapevano che a Montecarlo era quasi impossibile rimontare se non si partiva dalle prime due file. Solo che davvero per una volta in vita sua non le importava vincere. Voleva vedere quanti giri riusciva a finire prima di rinunciare o schiantarsi da qualche parte. Lo schianto contro un guardrail era quello che presumeva sarebbe stato la causa del suo ritiro. Di questo era quasi certa.

Steve l’avrebbe uccisa una volta che avesse finito la sua corsa. Era certa anche di questo.

Si era infilata il casco prima di salire in macchina. Tutti la guardavano. Sentiva i loro sguardi su di sé, ma non ci faceva caso. Le donne non guidavano la Formula 1. Quella era una regola che nessuno aveva mai infranto prima. Le automobili non appartenevano alle donne. Erano un’esclusiva maschile. Peccato che lei ne sapesse sicuramente molto di più rispetto a molti dei piloti stessi che si limitavano a mettersi seduti dietro al volante cercando di non ammazzarsi nella corsa.

Alla fine del terzo giro aveva recuperato una posizione. E miracolosamente non si era ancora schiantata da nessuna parte. Era più difficile del previsto, ma le piaceva. Per essere una prima corsa, poteva anche arrivare in ultima posizione e non le sarebbe importato.

Era sicura che Steve fosse già arrivato al loro box e avesse iniziato ad urlare contro i responsabili e i meccanici. Poteva immaginarlo mentre entrava totalmente in modalità Capitan America e terrorizzava gli altri uomini con la sua sola presenza. Pepper era sicuramente con lui, minacciando tutti di licenziamento, e Happy si lamentava con molta probabilità della mancanza di sicurezza. L’unica incognita era la sua nuova assistente. Doveva ancora inquadrarla per bene per poterle assegnare un ruolo in quel simpatico teatrino che era la sua vita.

Aveva concluso il dodicesimo giro quando qualcosa era andato storto. Aveva perso un paio di posizioni, ma un terzo posto non le sembrava ancora così distante. Solo che qualcosa non andava. In mezzo alla pista c’era un uomo, a petto nudo e con due strane fruste che sembravano fatte di elettricità.

Non avrebbe potuto evitarlo. Sterzare in quel momento era impossibile vista la velocità con cui andava. E lo strano tizio non si muoveva. Sembrava la stesse aspettando e quando gli fu abbastanza vicino, aveva tagliato il muso della sua macchina come se fosse stata fatta di burro.

Aveva in quel momento perso completamente il controllo della macchina, che si era capovolta per l’improvvisa perdita di stabilità data dalle ruote anteriori. Era atterrata addosso ad un’altra macchina, finita contro il guardrail forse per lo stesso motivo. Sperava con tutta se stessa che l’altro pilota fosse uscito dal veicolo prima del suo atterraggio.

Non era svenuta per fortuna. Non aveva sbattuto la testa da nessuna parte e voleva solo liberarsi di quella prigione di lamiere. Aveva tolto il casco e non aveva più tolto gli occhi di dosso all’uomo in mezzo alla pista.

Aveva un reattore arc. In mezzo al petto aveva un reattore come il suo che alimentava le due fruste. Ora vedeva la sua non-armatura di metallo che collegava il reattore ai due dispositivi che teneva in mano. Sembrava avere un accumulatore sulla schiena, o qualcosa del genere.

Se fosse uscita viva da quella situazione, era sicura che sarebbe stato Steve a ucciderla.

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: TheSlavicShadow