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Autore: Evola Who    23/11/2017    1 recensioni
[Blade Runner]
[Blade Runner]
*Prequel della storia "Blade Runner 2048 Le memorie di un ex Replicante"*
Los Angeles 2019, uffici di LAPD.
Una giovane ragazza stava camminando per i corridoi dell’ufficio di polizia. Era una ragazza sui 21 anni, viso rotondo, naturale, con occhi ovali sottili e marroni.
Entrò dentro un piccolo ufficio con un sorriso sulle labbra: “Buongiorno, capo!” esclamò e si tolse la giacca e la borsa, posandole sull’attaccapanni e lasciando l’ombrello vicino alla porta.
“Buongiorno, Eva” rispose l’uomo dietro alla scrivania.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Un semplice sorriso


Los Angeles 2019, uffici di LAPD
 

Una giovane ragazza stava camminando per i corridoi dell’ufficio di polizia. Era una ragazza sui 21 anni, viso rotondo, naturale, con occhi ovali sottili e marroni.
 
Indossava un capotto lungo e nero, un maglione viola scuro, dei jeans a vita alta e delle Converse nere. Camminava verso i corridoi, con la tracolla bianca e l’ombrello grigio chiuso in mano.
 
Entrò dentro un piccolo ufficio con un sorriso sulle labbra: “Buongiorno, capo!” esclamò e si tolse la giacca e la borsa, posandole sull’attaccapanni e lasciando l’ombrello vicino alla porta.
 
“Buongiorno, Eva” rispose l’uomo dietro alla scrivania. Era un ispettore di polizia: era un uomo alto e robusto, con i capelli biondi tagliati in stile militare e con dei piccoli occhi blu. Indossava una camicia bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti, i pantaloni neri con una cintura marrone e portava delle scarpe di cuoio.
 
Sulla scrivania si trovava la targa con il suo nome: “Isp: Phil Normal”.
 
“Come stai?” chiese lui, alzando lo sguardo.
 
“Bene. Oggi la pioggia non è tanto forte come ieri” rispose Eva, sorridendo “E poi, ho preso l’autobus in tempo e non è una cosa che mi capita spesso, capo”.
 
Phil sorrise: lui non era il capo di niente. Era solo un ispettore di polizia, che dopo una violenta sparatoria durante un caso era rimasto ferito gravemente, quasi morto. Dopo quell’incidente aveva deciso di lavorare in ufficio, per aiutare le reclute e i giovani stagisti universitari come Eva. Nonostante tutto, gli piaceva sentirsi chiamare “Capo”, la cosa lo faceva sentire importante.
 
“Buon per te” rispose l’ispettore.
 
Eva si sedette davanti al lui, dicendo: “Allora, che cosa devo fare oggi?”.
 
“Le solite cose, Eva. Archiviare i vecchi casi, fare le fotocopie, portare i caffè e partecipare agli addestramenti di tiro”.
 
“Okay, ma prima che ne dici di una pausa caffè e ciambella?” chiese Eva con tono speranzoso.
 
Phil sorrise, dicendo: “Come riesci ad essere felice e a mettere quel bel sorriso in faccia già di prima mattina?”.
 
Eva ci pensò, fece spallucce: “Beh, seguo solo i consigli del mio psicologo: pensare a tutte le cose felici, sia grandi che piccole, e penso all’attesa di tornare a casa e fare le cose che mi piacciono. In pratica seguo il motto: ‘l’attesa del piacere è essa stessa il piacere’” disse.
 
“Lessing” rispose Phil sorpreso.
 
Eva annuì e continuò: “Poi, sto facendo un tirocinio nel luogo del mio futuro posto di lavoro. Un giorno potrei persino sedermi a quella scrivania” fece un sorriso beffando.
 
Phil ricambiò, dicendo: “Allora, ti piacerà molto l’attesa per avere questo posto perché sarà una lunga strada”.
 
“Lo farò” rispose lei con un sorriso di sfida.
 
L’ispettore fece una piccola risata, gli piaceva la sua simpatica stagista e così anche il suo sorriso. Si era affezionato a quella giovane ragazza aspirante Detective.
 
Ma il sorriso di Phil si spense poco dopo, quando disse: “Sai, Eva, non mi aspettavo che saresti tornata qui così presto. Dopo tutto quello che è successo… soprattutto dopo quello che è accaduto a tuo padre…”. 
 
“Orami è passato” rispose Eva con un’espressione inespressiva
 
“Ormai è già passato un mese. Mia madre si sta facendo una vacanza con sua sorella, mio fratello ha cominciato a lavorare e io ho appena iniziato la mia tesi. Lo psicologo mi ha detto di ricominciare con la mia routine, perciò voglio continuare a fare il mio tirocinio. Voglio finire i miei studi e continuare la mia vita. Punto”. Rimase impassibile, poi guardò in basso, con un sguardo duro.
Phil rimase stupito dalla risposta e dal suo sguardo serio e irritato. Si sentiva in colpa per avere spento il suo sorriso per una domanda con la quale voleva solo sapere se stesse bene.
 
“Okay, prima di andare a lavorare… ti va di andare a prendere un caffè e una ciambella. So che ci sono le tue preferite”.    
 
“Quelle al cioccolato e panna?” chiese Eva, facendo un piccolo sorriso speranzoso.
 
Phil sorrise, contento di ritrovare il suo sorriso luminoso e rispose: “Certo, in più con gli zuccherini”.
 
Eva sorrise ed entrambi si mossero verso la porta.
 
“Capo…” disse Eva prima di uscire con aria pensierosa.
 
Phil si fermò davanti alla porta e la guardò con aria perplessa.
“Lei sa qualcosa sul caso dei replicanti ribelli fuggiti?”.
 
L’ispettore sopirò con aria paziente, guardò in basso e rispose: “Eva… te l’ho già detto. Tu non sei autorizzata a conoscere i casi in corso. E quello che senti non devi dirlo a nessuno fuori di qui. Quindi, non puoi sapere niente di questi casi”. La guardò con aria paziente.
 
“Lo so, lo so. Ma… mi chiedevo, è giusto arrestarli?” rispose Eva, guardandolo con aria perplessa “Insomma… certo. Sono scappati e hanno infranto la legge, è giusto che debbano essere arrestati. Ma… sono scappati da un campo nelle colonie Extramondo, dove li trattavano come schiavi.
Hanno solo quattro anni di vita. Insomma, è giusto arrestarli per poi rimandarli in quei campi o peggio? Non sono anche loro degli esseri umani? Anche se sono stati creati in laboratorio non sono pur sempre esseri viventi?” proseguì.
In fondo, da quando avevano annunciato il malfunzionamento dei replicanti Eva aveva sempre avuto dei dubbi sul loro utilizzo.
 
Phil sopirò, la guardò, le mise una mano sulla spalla, guardandola come un padre che doveva spiegare una cosa importante a sua figlia: “Eva, non ti devi fare delle paranoie emotive sui replicanti”.
 
Lei ascoltò attentamente, mentre Phil continuava: “Non sono umani. Sembrano umani, ma non lo sono. Sono stati creati per aiutare per la nostra società. Non provano le nostre stesse emozioni, non hanno una vera coscienza o una vera anima. Sono scappati e hanno infranto la legge, possono essere pericolosi. Quindi, devono essere presi a qualsiasi costo”.
Eva rimase stupita dal suo discorso e pensò attentamente alle sue parole.
 
“Chiaro?” chiese Phil.
 
“Sì, tutto chiaro, capo” rispose, quindi sorrise.
 
L’ispettore ricambiò il sorriso, dicendo: “Bene”. Le diede una pacca sulla spalla “Bene, andiamo a magiare quelle ciambelle”.
 
40 minuti dopo…
 
Eva si trovava nell’archivio, con in mano una scatola piena di fascicoli di casi risolti (che non aveva l’autorizzazione per leggerli) e pensò a quel discorso dell’ispettore sui i replicanti.
 
In fondo, aveva ragione. I replicanti non erano umani, erano delle macchine create per facilitare la vita degli esseri umani, per la coseità, quindi erano programmanti per dover rispettare la legge e non trasgredirla. Phil aveva ragione anche su un altro fatto: erano stati creati e non avevano un’anima e una coscienza. Eva si fermò, guardando in basso, e pensò a quello che era successo meno di un mese prima.
 
Suo padre si era suicidato, impiccato nell’ufficio della sua azienda, senza lasciare una lettera o un biglietto di spiegazione, lasciando perplessi due figli e un ex moglie.
 
 Il lutto era durato poco per Eva, sia per sua madre che per suo fratello gemello. Per lei, lui non era mai stato un padre. Era solo un uomo che aveva deciso di sposarsi, mettere incinta sua moglie, dare alla luce due figli in una volta sola, per poi buttarsi sul lavoro, dimenticandosi di avere una famiglia.
 
Infatti, né Eva né suo fratello avevano dei ricordi di loro padre durante l’infanzia. Sua madre aveva deciso di chiedere il divorzio nel momento peggiore della vita di sua figlia, ovvero quando stava iniziando la scuola media in piena crisi d’ansia e l’inizio della sua depressione.
 
Quell’uomo si era tolto la vita senza dare nemmeno una spiegazione logica: non c’era neanche uno scheletro nell’armadio che potesse dare un senso al suo gesto.
 
Eva continuò con il suo lavoro, con aria inespressiva e pensò alla frase del suo capo: “Non provano emozioni, non hanno una vera coscienza e non hanno una vera anima”. In quel momento provò una certa invidia nei confronti dei replicanti. Non avevano una coscienza, non potevano soffrire e non avevano dei ricordi che potevano farli soffrire.
 
Vorrei tanto essere uno di quei replicanti e smettere di soffrire così…”, si disse.   
 
Continuò con il suo lavoro finché non sentì una voce maschile dietro di lei dirle: “Buongiorno, Eva!”.
 
Eva si spaventò, si girò e vide un ragazzo: era alto, magro e sottile come un chiodo, con una folta capigliatura riccia e nera, occhi blu ghiaccio, viso pallido e labbra a forma di cuore. Indossava una maglia bianca, con sotto un cardigan nero chiuso, dei jeans blu scuro e scarpe da ginnastica bianche.
 
“Harry…” disse Eva, sospirando il sollievo “Mi hai spaventato!” Rise.
 
Harry guardò in basso con un sorriso nervoso e disse: “Scusami. Non volevo…”. Si guardarono con un piccolo sorriso divertito.
 
Harry era un compagno di università, studiava anche lui criminologia e faceva il tirocinio alla stazione di polizia. Tuttavia lavoravano in due piani diversi, ma ogni tanto si incontravano per parlare e salutarsi. Per Eva, Harry era un grande amico e lui l’aveva aiutata molto, soprattutto in quell’ultimo mese.
 
“Come stai?” domandò Harry.
 
“Bene. Il mio capo mi ha accolto bene, ho mangiato le mie ciambelle preferite e ho ripreso il mio lavoro non contribuito ma utile. Spero”. Fece una piccola ristata, chiudendo lo scaffale di metallo e appoggiando la scatola vuota a terra.
 
“Tu invece come stai?” domandò lei, girandosi a braccia conserte un sorriso sulle labbra.
“Bene, se non fosse che oggi quei computer mi stanno facendo impazzire! Non so perché ma non stanno facendo quello che dico!”.
 
“Beh, sei tu l’esperto informatico/hacker investigativo. No?” rispose Eva e rise.
 
Harry rise e si guardarono con un sorriso.
 
“Sai, non mi aspettavo che tornassi così presto al tirocinio. Dopo tutto quello che è successo…” disse Harry guardando in basso con un tono un po’ impacciato.
 
Il sorriso di Eva si spense lentamente, sostituito da uno sguardo inespressivo.
“Insomma… dopo tutto quello che ti è capitato, soprattutto con tuo padre…”.
 
“Non mi importa più di lui” rispose secca Eva, guardandolo negli occhi
 
 “Lui non è mai stato un padre né per me né per mie fratello, non è nemmeno mai stato un marito per mia madre. L’unica cosa che mi ha dato fastidio è il fatto che si sia tolto la vita senza un vero un motivo. Non perché mi importi di lui, ma mi dà fastidio non sapere il perché. Si è tolto la vita senza dare alcuna spiegazione”. Guardò in basso. Tra i due si formò un imbarazzante silenzio di tensione, finché Harry disse: “Beh, a volte le persone fanno cose o azioni che sono inspiegabili anche per loro. Non dobbiamo passare il resto della nostra vita cercando una risposta alle loro azioni o alle nostre. Quindi, non pensarci”. Fece un piccolo sorriso sicuro.
 
Eva alzò gli occhi e ricambiò il sorriso, dicendo: “Grazie. Grazie per essermi stato vicino. Sei un amico”.
 
Harry abbassò lo guardò con un sorriso timido e disse un po’ impacciato: “Beh, non servono proprio a questo gli amici?”.
 
Eva lo guardò ammirata, mentre lui spostava lo sguardo in basso.
“Senti, Eva c’è una cosa che volevo dirti da un po’…”.
 
Eva lo guardò un po’ stranita, mentre Harry continuava a guardare in basso con aria nervosa: “Che… che cosa fai stasera?”.
 
Lei rimase sorpresa da quella domanda, ma rispose: “Beh, mia madre e mio fratello sono via. Quindi, avevo pesato di mangiare cinese e farmi una maratona dei film tratti dai libri di Agatha Christie”. Sorrise per l’idea di quella serata.
 
“Beh, io avevo pensato se… ti va… di… uscire di insieme?” domandò Harry con un sorriso timido.
 
Eva rimase stupita dalle sue parole.
 
“Avevo pensato di andare a cena e poi al cinema. Se ti va”.
 
“Harry Smith, mi stai chiedendo un appuntamento, per caso?” chiese Eva con un sorriso divertito, credendo che il ragazzo stesse scherzando.
 
“Beh… probabile” rispose Harry, guardando in basso con le guance arrossate e uno sguardo timido.
 
Eva rimase stupita dalla sua frase, capì che stava parlando sul serio.
“Sarebbe troppo strano?” chiese lui.
 
Eva ci pensò: in fondo per Harry provava molto affetto e durante gli ultimi tre anni erano stati quasi inseparabili. Sperava che tra di loro potessero esserci qualcosa di più di una semplice amicizia.
 
Sorrise e rispose con tono dolce: “Okay, voglio uscire con te”.
 
Harry alzò lo sguardo su di lei con aria stupita: “Davvero?”.
 
“Sì” rispose Eva ridendo “Mi piacerebbe tanto uscire con te stasera”. Gli sorrise.
 
Harry ricambiò il sorriso di gioia per la sua risposta, si diedero appuntamento sotto l’appartamento di Eva alle 19:30.
 
Eva si scusò perché doveva prendere altri fascicoli nella stanza accanto e lui doveva ritornare al suo lavoro. Prima lo salutò con un bacio sulla guancia.
 
 
 
 
 
 
40 minuti dopo…
 
Eva andò in mezzo alle scrivanie degli uffici aperti, portando i caffè ai poliziotti.
 
Una donna sui i 30 anni, con i capelli biondi corti, gli occhi blu, il viso naturale, lo sguardo annoiato, con la sua divisa di ordinanza stava seduta alla sua scrivania scrivendo il suo ultimo rapporto.
 
“Bugnarono, Betty” disse Eva, posando la tazza di caffè sulla scrivania.
La poliziotta alzò lo sguardo e sorrise, dicendo: “Buongiorno anche te, Eva! È bello rivederti! Come stai?”.
 
“Bene. Ti ho portato il caffè, all’aroma di nocciola”.
 
“Uh! Il mio preferito!” esclamò la poliziotta, prendendo la tazza e bevendo subito un sorso. Dopodiché lo mise a posto, dicendo: “Grazie, Eva”. 
 
“Di nulla. È il mio dovere” rispose lei sorridendo.
 
“Spero che un giorno il tuo dovere non sarà portarci il caffè gratis” disse Betty.
 
“Vedremo” rispose la ragazza e rise.
 
Tra lei e Betty era nata una piccola amicizia e si fermavano spesso e volentieri a parlare e fare un po’ di gossip sul distretto.
 
“Come stai?” chiese Eva.
 
“Le solite cose” ripose Betty facendo spallucce
 
 “Il lavoro, gli svitati che devo arrestare nei bassi fondi, Tom che cerca di mettermi incinta. La solita rutine”.
 
Eva guardò in basso, finché non vide lo sguardo di Betty.
 
La studentessa seguì lo sguardo della poliziotta e vide in fondo alla stanza un uomo. Era alto almeno 180cm, con i capelli corti castani scuri, il viso duro e inespressivo e poteva avere sui i 40 anni.
Indossava un trench marrone scuro, una camicia di flanella blu e rossa con il coletto rosso con i bottoni dello stesso colore, portava una cravatta rossa lunga fino alla cintura marrone come i pantaloni e le scarpe scure.
 
 L’uomo teneva le mani nelle tasche del trench, aveva un’aria piuttosto annoiata e parlava con l’agente Gaff (che conosceva di fama e per il suo aspetto insolito).
 
Eva rimase perplessa. Aveva già visto un paio di volte quell’uomo di sfuggita, ma non sapeva chi fosse.
 
“Sai chi è quel tizio che sta parlando con Gaff?” domandò a Betty, senza distogliere da lui lo sguardo.
 
“Lui è Rick Deckard, Agente Speciale della squadra Blade Runner”.
 
Eva rimase stupita, dicendo subito: “Vuoi dire che sta lavorando del caso di quei replicanti ribelli?”.
 
“Sì, ma non pensare nemmeno a chiedergli qualcosa su un caso in corso. Conosci le regole…” le disse Betty.
 
“Non sono autorizzata a conoscere le vicende dei casi in corso e quello che sento in questo distretto non deve uscire da qui” rispose Eva con tono annoiato.
 
Le avevano ripetuto quella stessa frase fino alla nausea.
 
“Comunque, dicono che sia il migliore agente nel suo campo. Di solito lavora da solo” continuò Betty.
 
“Allora come mai sta parlando con l’agente Gaff?” chiese Eva perplessa.
 
“Non lo so. A quanto pare il capo li avrà obbliganti a lavorare insieme. Chi lo sa”. Fece una piccola risata.
 
Eva continuò a guadare l’agente Deckard, stranamente affascinata da lui e non sapeva il perché di quel sentimento.
 
 Forse per la sua età che le infondeva sicurezza, con il fisco imponente, con le spalle larghe e il suo viso con gli occhi duri e lo sguardo perso e annoiato. Magari era solo affascinata per il suo lavoro come agente Blade Runner, perché stava lavorando a uno dei casi più interessanti che lei avesse mai sentito.
 
“E… lo conosci?” domandò Eva, continuando a guardarlo.
 
“Personalmente no. Ho sentito dire che è il migliore del suo distretto. È taciturno, determinato e dal grilletto facile” rispose Betty
 
“Ho sentito dire che è anche uno stronzo, arrogante, alcolista del cazzo. Quindi…” disse ancora, quindi ritornò al suo rapporto.
 
Eva rimasta un po’ dispiaciuta nel sentire quelle parole e disse: “Peccato. Mi sembrava un bell’uomo”. Guardò in basso.
 
“Non dirmi che vorresti uscire con uno come Rick!” esclamò Betty alzando lo sguardo su Eva con aria divertita
 
 “Non so se ti converrebbe. Ti farebbe soffrire e basta”.
 
Eva la guardò, dicendo divertita: “Non ci penso nemmeno! Potrebbe avere l’età di mia madre! E poi, sarà anche un agente speciale, ma indossa una camicia e una cravatta orrende!”. Le due donne risero.
 
“Harry mi ha chiesto di uscire stasera” aggiunse Eva.
 
“Harry? Il tuo compagno di corso che fa il tirocinio negli studi informatici? Ti ha chiesto di uscire? Stasera?” domandò Betty stupita.
 
Eva rise e raccontò tutto.
 
Rick sopirò pazientemente ascoltando quel folle di Gaff che parlava.
 
Ad un certo punto, in lontananza, vide una ragazza di profilo, da quella distanza riusciva a vedere i suoi occhiali ovali, il viso rotondo e paffuto, il corpo magro, la coda bassa e i suoi vestiti da maschiaccio.
 
La cosa da cui rimase più stupito fu però il suo sorriso: era dolce, luminoso, la faceva diventare più bella, più giovane, sembrava come il viso di una bambina.
 
Rick rimase stupito da quel semplice sorriso.
 
Perché pensava che dopo tutta quella oscurità, pioggia, nebbia e tutta quella violenza che doveva affrontare trovare un sorriso così luminoso portava finalmente un po’ di gioia in mezzo a tutta quella oscurità.
 
 Sembrava che ci fosse ancora un po’ di speranza in quella umanità.
 
 Era invidioso di quella giovane ragazza. Si vedeva che era ancora non conosceva il mondo che un giorno avrebbe dovuto affrontatore.  
 
Il suo primo pensiero fu: “Dio. Chi sa se anche Rachel sarà così bella quando sorride”. Fece un piccolo sorriso, fissando ancora quella giovane ragazza.


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Note:
Ecco una nuova storia su "
Blade Runner"
(che è una specie di "Prequel" della mia storia "Blade Rubber 2048 le memorie di un ex Replicante" )
su il ricodo di Eva di Rick e il ricodo del soriro di Eva da parte di Rick.
Non pensavo di scrivere un altra storia su "Blade Runner". Ma mi è venuta di getto e... l'ho scritto!
Spero che vi piaccia!
Evola 
 
   
 
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