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Autore: Mary P_Stark    23/11/2017    4 recensioni
Inghilterra - 1830
Il regno viene scosso dalla morte di re Giorgio IV e, più nel personale, per l'improvvisa malattia di Whilelmina, la madre di Christofer Spencer. Questo richiama a casa tutta la famiglia che, in quel momento, si trovava a Londra per la sessione estiva in Parlamento. Al gruppo si unisce un amico di Maximilian, Samuel Westwood, molto affezionato alla nonna di Max. Questo rientro anticipato a York consente alla coppia di amici - oltre che rassicurarsi sulle condizioni di Whilelmina - di conoscere una coppia di sorelle, Cynthia e Sophie, che colpiranno in modo travolgente i due giovani.
Ne seguiranno sorprese a non finire, un inseguimento rocambolesco e un finale inaspettato, che metterà di fronte Max a una verità che, fino a quel momento, aveva rifuggito come la peste. (3^ parte della trilogia Legacy - riferimenti alla storia nei racconti precedenti) SEGUITO DI "UNA PENNELLATA DI FELICITA'"
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Serie Legacy'
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11.
 
 
 
 
Era stato bello finché era durato.

Perché era del tutto impossibile che, anche durante l’estate, il tempo rimanesse perennemente soleggiato e stabile.

Non su un’isola come la Gran Bretagna, battuta dai venti caldi e umidi dell’Atlantico, che si contrapponevano a quelli freddi e secchi del Mare del Nord.

Quando si ritrovarono ad approssimarsi a Southampton, le strade ormai battute e le risicate informazioni sui fuggiaschi già nelle loro mani, sul sud dell’Inghilterra si abbatté un temporale davvero eccezionale.

Ciò comportò un rallentamento degli inseguitori e l’utilizzo di pesanti cerate che, però, non impedirono al quartetto di giungere al porto, fradicio e assalito da mille dubbi.

Il maltempo non aiutava mai a vedere le cose sotto la luce più rosea.

L’ultima loro speranza era che, proprio grazie a quel brutto temporale, la nave con a bordo Samuel e Cynthia non avesse preso il largo.

Quando, però, si recarono ai docks e chiesero di un cargo passeggeri diretto nelle Americhe, fu loro risposto che solo un clipper rispondeva a quella descrizione.

Ed era salpato la notte precedente, sul fare della mezzanotte.

Questo mise la parola fine alla loro Cerca.

Non potendo fare altro, il gruppo ormai demoralizzato si rifugiò in una vicina bettola per ripararsi da vento e pioggia, così da riprendersi da quella triste notizia.

Nel togliersi la cerata di dosso, l’orlo della gonna intriso d’acqua e fango, Sophie sospirò sconfitta e, nel lasciarsi crollare su una panca, si coprì il viso per nascondere le lacrime.

Tutto era stato vano. Sua sorella e lord Westwood erano scappati senza che loro potessero far nulla per impedirlo.

Cosa avrebbe detto ai suoi genitori? Come avrebbe giustificato il suo fallimento?

Elizabeth si accomodò al suo fianco, libera anch’essa dalla cerata e, nello sfiorarle una spalla, mormorò: “Non potete prendervi il demerito di quel che è accaduto, Sophie. Sapevamo che poteva succedere.”

“Ma come potrò spiegarlo ai miei genitori? Ho… ho rischiato di rovinare il buon nome della famiglia per riportare a casa mia sorella, così da impedire che lei distruggesse ogni cosa, e non ci sono riuscita. Il disonore cadrà sulle spalle di mio padre, e questo non è giusto” singhiozzò Sophie, poggiando il capo corvino contro la spalla di Elizabeth, che la strinse a sé in un abbraccio consolatorio.

Wendell, in piedi dietro di loro, sospirò spiacente e Max, per l’ennesima volta in quei giorni, desiderò poter consolare a sua volta con un abbraccio la povera Sophie.

Da quel bacio rubato a causa della paura – o dal desiderio portato a galla con violenza, cominciava a credere Max – il giovane Spencer non aveva fatto altro che pensare a Sophie.

Era davvero così spaventoso lasciare a se stesso la possibilità di pensare a una ragazza, soprattutto se così caparbia, intelligente e coraggiosa?

Dopotutto, non c’era nulla di male se, la sua mente e il suo cuore, duellavano un po’ tra loro per avere il sopravvento.

Cosa gli aveva detto Violet, leggendo Sense and Sensibility, una novella che le avevano consigliato in libreria?
Che le due sorelle Dashwood lottavano tra il senso della ragione e l’amore passionale, affrontando i due sentimenti in modo opposto?

Il solo pensarlo lo fece rabbrividire – come si era fatto convincere ad ascoltare una storia così sdolcinata? – ma, a conti fatti, era ciò che stava accadendo a lui.

Quel bacio, tanto bramato quanto giunto in maniera improvvisa, aveva sparigliato le carte in tavola.

Se Sophie, giustamente, era più preoccupata per la sorella, piuttosto che per ciò che era avvenuto tra loro, lui non riusciva a essere altrettanto altruista.

Pur se preoccupato per i fuggiaschi, non riusciva a togliersi dalla mente l’idea che, una fanciulla come Sophie, avrebbe potuto farlo capitolare con estrema facilità, se solo avesse voluto.

Lei era intelligente quanto caparbia, dolce quando lo richiedeva la necessità e testarda se l’esigenza lo imponeva.

Non si era guardata indietro, quando era giunta da lui con quella perentoria richiesta di aiuto, né lo aveva fatto più avanti, quando la stanchezza provata dal viaggio avrebbe potuto farla desistere.

No, c’era nerbo, in lei, e un senso dell’onore che molte nobildonne avrebbero dovuto prendere a esempio.

“Voi non dovete criticare il vostro agire, miss Sophie… solo io devo criticare me stesso” esordì una voce alle loro spalle, sorprendendoli tutti.

Sophie sollevò di scatto il capo dalla spalla di Elizabeth mentre lady Chadwick, senza parole al pari dello zio e del fratello, osservava a occhi sgranati la figura di Samuel Westwood, in piedi a pochi passi da loro.
 
***

Il salottino dove si trovavano in quel momento, era sicuramente più tranquillo della taverna dove avevano trovato Samuel – o meglio, dove Samuel li aveva trovati.

Da quel poco che erano riusciti a comprendere dopo quel fortunoso incontro, avvenuto solo a causa della pioggia – che aveva costretto Samuel a rifugiarsi all’interno della bettola – lui e Cynthia avevano pernottato in quell’albergo.

Avendo preso due stanze separate, Samuel non si era reso conto che, durante la notte, la ragazza era sparita senza lasciare traccia di sé… o quasi.

Ora, nella relativa sicurezza di quella stanza, messa a disposizione per loro dal padrone dell’albergo, Samuel estrasse un foglio vergato a mano e lo porse a Sophie.

Lei, con dita leggermente tremanti, lo aperse e lesse febbrilmente quelle brevi parole, prima di sospirare inorridita ed esalare: “Signore Iddio, non può essere!”

Elizabeth sfiorò un braccio alla ragazza e lei, scrutandola disperata, le passò il foglio, esalando: “Non ho cuore di leggerlo a voi tutti. E’ davvero troppo umiliante.”

Elizabeth lo passò senza guardarlo a Max e, perentoria, prese sottobraccio Sophie per farla sedere su una poltrona, forse temendo un suo possibile svenimento.

Max non attese un solo attimo e, a bassa voce, mormorò quanto scritto in quel foglio pergamenato, comprendendo subito il perché della reazione di Sophie.
 
Solo Dio può comprendere realmente quanto voi, lord Samuel Westwood, apparteniate
a quella cerchia ristretta di uomini che, realmente, rendono onore al proprio nome.

Proprio per questo sono a scusarmi con voi con questa mia che, sicuramente, non potrà
mai appianare il debito che avrò  per sempre nei vostri confronti. 
Sia in termini di
protezione, che di fiducia. 
La vostra, sicuramente, è stata mal riposta, visto il trattamento
che sto per riservarvi, ma vorrei sapeste perché sono giunta a questo increscioso
quanto imperdonabile comportamento. 
Non potendo allontanarmi da sola
dalla mia casa, ho dovuto approfittare del vostro buon cuore per raggiungere
l’uomo che aveva rubato il mio cuore. 
Non lo nominerò perché non desidero che lo odiate,
poiché solo su me deve ricadere il vostro biasimo. 
Sappiate soltanto che mi ama di amor
sincero e si prenderà cura di me come, sono sicura, avreste potuto fare voi, se vi avessi amato.

Mantenete puro il vostro cuore per una donna che lo meriti, e ditele da parte mia che mai donna
sarà più fortunata, nell’avervi. 
Che la buona sorte vi assista, Samuel, e che possiate dimenticarmi
in fretta. 
Dite a mia sorella di perdonarmi, se mai potrà. So di aver fatto del male anche a lei, comportandomi così.                                                                                                                        Cynthia
 
Max non poté non provare un moto di rabbia nei confronti di Cynthia che, pur avendo avuto parole di lode per Samuel, lo aveva anche lasciato in sordina, senza avere il coraggio di affrontarlo.

Oh, sì, ogni cosa scritta in quella lettera era vera, per ciò che riguardava l’amico.

Lui era effettivamente un uomo d’onore, e lo dimostrava il modo cavalleresco in cui aveva trattato la donna che aveva creduto di amare, riamato.

Su Cynthia non sapeva che dire, a quel punto, ma bastavano le lacrime inorridite di Sophie a riassumere tutto ciò che provava.

Rabbia e amarezza estreme.

E un desiderio, via via sempre più grande, di chiedere giusta vendetta per Sophie e il suo amico.

Perché, se vedere Samuel così abbacchiato lo intristiva non poco, scorgere le lacrime di Sophie lo stava portando lentamente sull’orlo della follia.

Quanto avrebbe voluto avere per le mani il fatuo damerino che, evidentemente, aveva cospirato fin dall’inizio con Cynthia per architettare quella fuga!

E quanto avrebbe voluto parlare con quest’ultima per dirle a chiare lettere cosa ne pensava di lei, e quanto era amareggiato dal suo comportamento.

Sophie si era spesa anima e corpo, rischiando la sua vita e la sua reputazione, per salvare da se stessa la sorella… e cosa aveva ottenuto, se non dolore?

Quanto a Samuel, poteva in parte incolpare il suo buon cuore e la sua propensione a cedere di fronte a un bel sorriso femminile, ma nulla giustificava il trattamento subito.

Gettando a terra lo scritto con espressione irritata, Max abbracciò in silenzio l’amico e, stringendolo a sé, mormorò contrito: “Pensiamo solo a tornare a casa, Sam. Solo a questo.”

Lui sorrise mesto, asserendo roco: “Mio padre, stavolta, mi ucciderà.”

“Non diremo nulla a tuo padre. Sarà il nostro segreto” lo rassicurò Maximilian, cercando di soffocare i tremiti dell’amico.

Non avrebbe più permesso a nessuno di ridurlo in quello stato, foss’anche l’ultima cosa che avesse fatto in vita.
 
***

La luna brillava pallida, nel cielo ora sgombro di nubi, e l’aria era satura di odori quanto umida, ma Sophie sembrava non accorgersi dell’umidore sulla pelle.

Max la trovò così, sulla terrazza dell’albergo che scrutava la piazza sottostante.

Era stata silenziosa per tutta la durata della cena, e neppure Samuel era riuscito a scuoterla un poco dall’apatia che era scesa su di lei dalla notizia del tradimento della sorella.

In parte la comprendeva perché, se Andrew o Lizzie si fossero comportati a quel modo, lui si sarebbe sentito devastato.

Però, era anche vero che poteva prendere su di sé le colpe della sorella.

“Fa un po’ fresco, per rimanere fuori la notte” esordì a quel punto Maximilian, avvicinandola e drappeggiandole un mantello sulle spalle.

Lei sobbalzò leggermente e, nell’arrossire per quel gesto galante, reclinò il capo e mormorò: “Vi ringrazio. Non mi ero accorta che l’aria si era fatta così fresca.”

“Può capitare, quando si hanno mille pensieri per la mente” asserì lui, poggiandosi contro il parapetto in metallo della balconata.

Le spalle rivolte alla piazza illuminata da lampioni a olio, Max la scrutò nella sua interezza senza dire nulla, il volto in ombra e perciò intelligibile allo sguardo di Sophie.

Sophie che, ben più che conscia della sua presenza, e del profumo di lui che si espandeva dal mantello, era indecisa se darsela a gambe o scoppiare a ridere di se stessa.

Non era possibile, vero, che si fosse innamorata di lui? Non poteva essere stata così sciocca!

Erano davvero bastati un bacio e la sua galanteria in quei dieci giorni di viaggio, a farla capitolare?

Era dunque così superficiale da cadere preda di un bel faccino guarnito di un nome titolato? Cosa la differenziava, dunque, da sua sorella?

“Non lo fate” disse soltanto Maximilian, sorprendendola, neanche le stesse leggendo nella mente.

“Cosa intendete dire?” mormorò lei, stringendosi nel mantello, come se l’aria della notte fosse, di colpo, divenuta gelida.

“Prendere su di voi le colpe di vostra sorella, o i suoi errori. Voi non siete lei” asserì con tono perentorio il giovane.

“Come potete dirlo? Quanto mi conoscete, per affermarlo con sicurezza?” si lagnò la ragazza, volgendogli le spalle.

Lui allora sospirò vagamente irritato, si scostò dalla balaustra e, nel raggiungerla, poggiò le mani sulle sue spalle per poi sussurrarle all’orecchio: “Una ragazza egoista non piangerebbe per il comportamento della sorella. Una ragazza egoista avrebbe approfittato del mio …scivolone, pretendendo debito pegno.”

Azzittendosi per un attimo, la aggirò e, occhi negli occhi, terminò di dire: “Una ragazza egoista non sarebbe neppure uscita di casa, lasciando la sorella a pagare per i propri errori. Voi non siete lei.”

Ciò detto, le carezzò il viso con il dorso della mano e, in silenzio, se ne tornò dabbasso, lasciandola sola con quelle ultime parole di commiato e i mille dubbi che seppero scatenare.
 
***

“Sei sicura di volerti fermare? Non credi che saremo un bell’impiccio, per lui?” domandò per la centesima volta Max, guadagnandosi un’occhiata venefica da parte della sorella.

“Se lo ripeti ancora una volta, Maximilian Gregory Spencer, giuro che farò di te uno sfilatino e ti farò mangiare dai miei levrieri. E’ chiaro?!” sbottò Lizzie, facendo ghignare nervosamente il fratello e sorridere Wendell.

Samuel si limitò a un sorriso di circostanza, e Sophie a uno ancora meno sentito.

Da quando erano partiti per rientrare a York, gli Spencer avevano tentato il tutto e per tutto, per far riprendere le parti lese di quella sventurata avventura, ma a poco erano servite le loro burle.

Dopo tre giorni di cammino, alla fine, Elizabeth aveva pensato di giocare una carta improvvisata ma che, visto il luogo in cui si trovavano, avrebbe potuto essere quella vincente.

Chesterton sarebbe stato il prossimo paese che avrebbero toccato e, poiché lì risiedeva una vecchia conoscenza di Lizzie, sarebbe valsa la pena di fermarsi.

Soprattutto, pensando a chi avrebbero visitato.

“Andremo a Chesterton e ci fermeremo lì, a costo di farti proseguire a piedi mentre io reggo le redini di Spartan” lo minacciò Elizabeth.

“Spartan non ti darebbe mai retta” la mise in guardia per contro Maximilian.

Lei, però, sogghignò e, facendo gli occhi dolci allo stallone, mormorò: “Chi è l’amore della mamma, eh, Spartan?”

Lo stallone nero scosse il muso enorme, nitrendo allegro e Maximilian, disgustato dal comportamento della sua cavalcatura, borbottò: “Maschio degenere… solo perché ti ha accudito lei durante la nascita, non trovi in te un minimo di autocontrollo per mostrarti superiore a qualche moina?”

Il cavallo lo guardò come se fosse pazzo, e avesse compreso perfettamente quel che Max aveva tentato di dirgli, trovandolo semplicemente assurdo.

Soddisfatta, Elizabeth sollevò il nasino a punta e dichiarò: “Mai sottovalutare certi legami, caro mio.”

Samuel si ritrovò a sorridere un poco, asserendo con tono fiacco: “Mia cognata è l’amore incondizionato del cavallo di mio fratello. Dite che il motivo sia lo stesso, Lizzie?”

“E’ possibilissimo, Samuel. E, quando saremo arrivati a destinazione, potrete chiedere a qualcuno più esperto di me quanto sia importante l’imprinting, sui cuccioli di qualsiasi specie” assentì Lizzie, sorridendo caramente all’amico.

Approfittando della momentanea ripresa di Samuel, Max lanciò un’occhiata a Sophie che, invece, sembrava caparbiamente convinta nel voler rimanere in silenzio fino a York.

Ma perché si ostinava a essere così testarda?!

Sbuffando, tornò a guardare dinanzi a sé e, nel suo animo, cominciò a sperare che l’idea strampalata della sorella potesse avere qualche effetto.

Dopotutto la prima volta, con Sophie, aveva funzionato.

Con quella nuova speranza, Max seguì con maggiore convinzione Lizzie.

Senza esitazione, allora, Elizabeth puntò verso l’esterno di Chesterton fino a raggiungere una bassa casa in mattoni rossi, circondata da un ampio muro di sassi.

Nelle vicinanze, si udirono degli uggiolii di cane, un abbaiare discontinuo e diverse voci umane e Lizzie, ampliando il suo sorriso, dichiarò: “Bene… ci sono.”

“Chi, di grazia?” si informò Samuel.

“Vecchi amici” asserì lei, allungando una mano per suonare la campana posta dinanzi a un cancello chiuso.

Lo scampanio riuscì a sovrastare il rumore prodotto dai cani e, nel giro di un minuto, un giovane alto e robusto si presentò al cancello d’ingresso.

Lì, bloccandosi a metà di un passo, strabuzzò gli occhi, si affrettò ad aprire ed esclamò: “Mi venisse un colpo… lady Lizzie! Lord Wendell! Lord Max!”

Elizabeth si lasciò aiutare a scendere da cavallo dal giovane bruno e, non appena poggiò le scarpine sul selciato, lo abbracciò con forza, esclamando: “Roy Ronson! Che piacere rivederti!”

“Sempre energica, eh, milady?” rise il giovane, scostandosi dalla donna per stringere le mani degli altri Spencer.

Samuel aiutò Sophie a scendere da cavallo e, a quel punto, Roy si avvicinò anche a loro e disse: “Benvenuti alla Golden Dog House, il miglior allevamento di cani da compagnia di tutta l’Inghilterra.”

Sophie e Samuel sbatterono sorpresi le palpebre ed Elizabeth, tutta soddisfatta, dichiarò: “Il mio primo investimento.”

Roy rise della sua uscita così tronfia e, nell’accompagnarli sul retro della grande casa, mise in mostra le gabbie coi cani e il campo di addestramento.

“Lady Lizzie ha pensato che, per gli orfanotrofi, bastassero l’impegno dei genitori e dei loro amici, così ha creduto in noi e ci ha concesso di aprire questa impresa, sovvenzionandola” spiegò loro Roy, scrutando Elizabeth con autentica adorazione.

Lo sguardo di Lizzie si fece dolce, quando Roy cominciò a spiegare come avessero avviato la loro società – composta da ragazzini orfani provenienti da Londra – e Sophie, per tutto il tempo, studiò la donna e le sue reazioni.

Aveva abbracciato con candore puro un ragazzo che, non solo non era un suo pari, ma era anche senza famiglia.

Lei, tutti gli Spencer, erano divenuti la famiglia di quel ragazzo, e anche degli altri giovani che abitavano quella grande casa rossa.

Erano davvero così diversi da lei come credeva, o erano solo sue sciocche fisime, nate nella sua testa soltanto a causa della brutta esperienza passata da Cynthia?

Sophie non seppe rispondersi ma, quando guardò Max prendere in braccio un cucciolo di setter inglese per coccolarlo, lo sperò con tutta se stessa.

“Ecco, Sophie, tenete questo” le consigliò a un certo punto Maximilian, offrendole un piccolo di cocker dal pelo fulvo e le lunghe orecchie.

La ragazza si sciolse al solo incrociare gli occhi scuri del cagnolino e, in un singhiozzo adorante, lo strinse a sé, lasciando che le ultime lacrime di tristezza ne bagnassero il pelo.

Roy non disse nulla, limitandosi a mostrare a un sempre più interessato Samuel le varie razze di cani presenti nell’allevamento.

Lizzie, invece, parve soddisfatta di ciò che vide e Wendell, al suo fianco, mormorò: “Speravi in questo, tesoro?”

“Gli animali sanno aprirci l’animo, e i nostri due amici avevano bisogno di sfogare i loro sentimenti senza, per questo, doverlo fare con noi. Ho pensato che ne valesse la pena. E poi, mi ha fatto piacere vedere come procedevano le cose. Da quando erano nati i gemelli, ero riuscita a venire solo una volta” sospirò Elizabeth, scuotendo contrita il capo.

Battendole una mano sulla spalla, Wendell asserì: “Fai moltissimo per tutti loro, Lizzie. Non pensare di non fare abbastanza. E poi, è tempo che volino da soli e lascino il nido.”

“Mi fai sentire una mamma troppo apprensiva, e non voglio esserlo” brontolò la donna.

“Guardali, e dimmi se non sono orgogliosi di te. Non ti considerano pedante, tutt’altro… e neppure lo faranno mai i tuoi figli, tesoro. Solo, devi abituarti alla loro crescita. Come ho imparato io” la rassicurò lo zio, sorridendole.

“Perciò… non è solo un problema mio?” domandò dubbiosa lei.

“Solo i genitori disattenti, non avranno di questi dubbi, e tu non lo sei di sicuro” le sorrise lui, afferrando subito dopo un piccolo di labrador. “Ecco, credo che ne abbia bisogno anche tu.”

Sorridendo, Lizzie lo prese in braccio e, affondando il viso nel suo morbido pelo dorato, mormorò: “Grazie, zio.”

Fu solo molte ore più tardi, seduti dinanzi alla finestra aperta della stanza offerta loro, che Samuel trovò il coraggio di parlare all’amico.

Pur se il pomeriggio era stato lieto, e la presenza di quegli adorabili cagnolini lo avevano aiutato a riprendersi un poco, la cocente delusione che ancora provava era lì a divorargli l’animo.

Fino a quel momento si era divertito, si era persino preso gioco degli altri, facendo leva sulla sua attitudine a correre dietro alle donne – anche sbagliatissime per lui.

Stavolta, però, lo aveva fatto perché Cynthia lo aveva colpito per la sua spontaneità, per il suo essere diversa dalle altre… e ne era rimasto ferito più che durante una battaglia.

“Quanto mi detesti, da qui all’eternità?” esordì Samuel, lanciando un’occhiata al profilo tranquillo dell’amico.
Max sorrise appena, a quella battuta fiacca, e replicò: “Non potrei mai detestarti, Sam. Picchiarti a sangue, sì, e molto volentieri, ma detestarti? Nah, non ne sarei capace.”

“Dovresti. Merito tutto il tuo biasimo, e anche un po’ di odio. Pur se va detto che, odiando già molto me stesso, non rimarrebbe molto spazio per il tuo, di odio” sottolineò Samuel, scivolando un poco sulla poltrona per poi coprirsi il viso con le mani. “Come potrò mai guardare in viso i tuoi genitori, o zia Mina, dopo questo disastro?”

“Intanto, nonna Whilelmina non sa nulla di tutto questo. Pensa che io e te siamo in viaggio di piacere da qualche parte, anche se avrà cominciato a chiedersi come mai i coniugi Whitmore risiedono a Green Manor” gli spiegò Max, scuotendo una mano con noncuranza. “In secondo luogo, Samuel, tutti possono rimanere ingannati dal proprio cuore… tu hai solo portato alle estreme conseguenze la cosa.”

“E’ dire poco” sospirò il giovane Westwood. “Vorrei tanto essere pragmatico come te, amico mio.”

Max rise, a quelle parole, e asserì: “Oh, credimi. Ora, più che pragmatico, sono molto confuso.”

Sinceramente sorpreso, Samuel lo fissò con estrema attenzione nella penombra della stanza e, complice la luce della luna che penetrava dalle finestre, esalò: “Cavoli, amico… oserei dire che hai ragione. Sembri davvero confuso.”

“Lo sono davvero e, se da una parte conosco il modo per risolvere questa confusione, dall’altra ho il terrore di commettere un errore madornale.”

“So di non averne alcun diritto, ma posso conoscere la causa di tutti questi dubbi?”

A Max non occorse neppure un attimo per ammettere con l’amico che, i suoi pensieri turbati, dipendevano da Sophie.

Per quanto Samuel ne avesse combinate di cotte e di crude, e si fosse infilato in quel ginepraio con stivali e giacca a corollario, era il suo migliore amico e sapeva che, per lui, avrebbe smosso anche il mondo, pur di aiutarlo.

Questo lo portò ancora una volta a detestare il comportamento riprovevole di Cynthia, e a chiedersi come potesse, una simile creatura, essere la sorella di Sophie.

Erano così diverse!

Samuel gli batté una mano sul braccio, interrompendo i suoi pensieri e, sorridendo mesto, asserì: “E’ inutile arrabbiarsi, Max. L’errore l’ho commesso io. Tu non commettere quello di farti il sangue cattivo per una persona che ora non ci turberà più.”

“L’ho sempre detto che hai un animo troppo gentile” sospirò Max, pur ringraziandolo.

“E così, miss Sophie è al centro del tuo cuore impaurito, mi par di capire. Di per sé, è un autentico evento biblico, visto che non ti ho mai sentito dire che apprezzassi questa, o quella dama.”

Storcendo la bocca, Max borbottò: “Mi credi un eunuco?”

“No, solo una persona dai gusti assai difficili… o un fifone matricolato che, al solo pensiero di udire la parola ‘matrimonio’, scappa a gambe levate” ironizzò Samuel, facendo ridere sommessamente l’amico.

“Direi un po’ tutt’e due le cose” ammise dopo alcuni attimi Max, grattandosi nervosamente la nuca.

Ancora adesso, al solo sentire quella parola, veniva scosso da certi tremiti, ma non sapeva esattamente dire se fossero di paura, o di aspettativa.

Era tutto così strano, per lui!

“Miss Sophie, però, sembra sconvolgerti in un modo tutto nuovo, eh?”

“Decisamente, e comincio a credere che non ne verrò a capo molto facilmente.”

“Tutto sta a vedere se la fanciulla è interessata, e quanto sia interessata. Non vi sono altri mezzi per scoprire ciò che cerchi. Anche se non vi è certezza in nulla, come hai potuto constatare” sospirò Samuel, scuotendo il capo per il fastidio.

“Ne verrai fuori, amico mio. Un po’ acciaccato, ma ne verrai fuori.”

Samuel assentì, ma ammise: “Credevo davvero che fosse quella giusta, Maximilian. Lo pensavo con tutto me stesso, e non so se potrò mai affrontare un’altra donna senza chiedermi quanto potrò sbagliarmi su di lei.”

Max non seppe che dirgli, perché il pericolo era reale. Come dargli delle certezze sul futuro, quando lui non ne aveva per se stesso?







Note: per chi non lo ricordasse, Roy Ronson è il bambino che, a suo tempo, Lizzie e Alexander salvarono dai rapitori.
Tornando alla storia, abbiamo avuto una svolta decisiva quanto imprevista. Cynthia ha sfruttato il buon cuore di Samuel per raggiungere l'uomo che la attendeva al porto per partire per l'America, pur se la donna ha tenuto a precisare quanto, l'aver usato lord Westwood, l'abbia fatta sentire male. Sophie, così, si ritrova a dover tornare a mani vuote, e col cuore percorso da un dolore cociente, dovuto dall'amore che teme (?) di provare per Max.
Max, a sua volta, sa di provare qualcosa per lei, ma il comportamento di Cynthia scombussola anche lui. 
Come andrà a finire, per i nostri due uomini e per la donzella che spasima per uno di loro?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
  
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