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Autore: JEH1929    23/11/2017    0 recensioni
"Perché, per quanto si cerchi di fuggire dal passato, di lasciarselo alle spalle, quello è sempre lì dietro l’angolo, pronto a richiamarti indietro alla minima deviazione.
Non posso sfuggire all’attrazione fatale di Neptune."
Fanfiction ambientata 5 anni dopo la fine della terza stagione, senza tenere conto del film e dei libri.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Logan Echolls, Un po' tutti, Veronica Mars
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Tornare nella propria stanza dopo così tanto tempo fa sempre un certo effetto. Il vecchio Backup mi era venuto in contro scodinzolante, ma con la lentezza della tarda età che ormai cominciava ad avanzare.
- Sei arrivata all’improvviso. – sta dicendo mio padre, appoggiato allo stipite della porta della mia camera, mentre sistemo i pochi vestiti che mi sono portata.
- Sì, ho deciso su due piedi.
- Non dovresti prima darmi un po’ di preavviso, nel caso non fossi disponibile o avessi qualche impegno?
Alzo lo sguardo su di lui, ammiccante.
- Non stavi per caso aspettando la compagnia di qualcuno? Compagnia femminile? – gli faccio l’occhiolino.
Lui strizza l’occhio a sua volta e si avvicina come per dirmi qualcosa.
- Non sono affari tuoi. – risponde, facendomi scoppiare a ridere.
Dieci minuti dopo sono in strada, Mac sul seggiolino del passeggero, visto che sono passata a prenderla. La mia amica non è cambiata affatto, ha tagliato i capelli più corti, in un modo che le dà un’aria più adulta, ma un ciuffo color indaco è ancora ben visibile sul lato sinistro della testa. Quando mi sono presentata alla sua porta, ha tentato di chiudermela in faccia per scherzo, poi mi ha abbracciata, anche se non mi sono persa lo sguardo di rimprovero nei suoi occhi. Adesso stiamo andando a casa di Wallace, motivo principale, e unico, mi ripeto, della mia venuta a Neptune.
Ormai il sole sta tramontando e Mac mi ha assicurato che a quest’ora Wallace sarà sicuramente a casa, visto che non esce quasi mai.
Quando il mio amico apre la porta, per poco non sobbalzo per il suo cambiamento: è visibilmente dimagrito, profonde occhiaie circondano i suoi occhi gentili e si è tagliato la sua massa di capelli ricci. Non appena mi vede un sorriso gli attraversa le labbra e per qualche secondo non è che il mio vecchio Wallace, lo abbraccio e lui ci fa entrare.
Dopo che ci siamo seduti sul divano, inizia chiedendomi come va il mio lavoro di investigatore. Gli racconto le ultime novità, tacendo il fatto che ho perso il caso di Montana e che il messaggio che Frank mi ha mandato in risposta alla mia richiesta di ferie è stato tutt’altro che amichevole.
- Veronica, non dirmi che sei qui per il motivo che mi sto immaginando. – mi chiede Wallace dopo qualche secondo.
Capisco subito a cosa si riferisce e mi blocco un secondo, anche se cerco di mascherare il tutto con un sorriso enorme.
- No, non c’entra niente. Sono qui per te, caro il mio Signor Depresso.
Wallace lancia un’occhiataccia a Mac, che si limita ad alzare le spalle, come se non ne sapesse nulla.
- Io sto bene. – dice Wallace.
Se c’è una cosa che ho imparato bene nel corso degli anni dalla morte di Lilly è stato proprio capire quando una persona mente, specialmente una persona che conosco bene come Wallace. Poi, lui non è mai stato bravo a mentire. Forse è qualcosa che ha a che fare con la purezza…
- Andiamo, Wallace, mi credi un’investigatrice così scadente? Per questo potrei andare in bagno a piangere, sai? – rispondo, simulando una voce da bambina.
Riesco a strappare un nuovo sorriso al mio amico, ma sono sicura che non mi dirà nulla stasera e probabilmente neanche davanti a Mac.
Nel momento stesso in cui Wallace chiude la porta alle nostre spalle, Mac mi rivolge un’occhiata interrogativa.
- Ha qualcosa. – le dico.
- Cosa?
Rifletto per qualche secondo.
- Mi hai detto che è diventato strano dopo essere andato a New York con la squadra di basket?
Mac annuisce.
- È successo un incidente? Qualche studente si è fatto male?
- Non che io sappia.
- L’esito della partita?
- Vittoria schiacciante per il Neptune.
- Quindi non è qualcosa riguardante la partita.
Il mio cervello si mette in funzione.
- Pensi che conosca qualcuno a New York? – chiede Mac.
Nel momento in cui mi pone la domanda, mi chiedo come faccia a non esserci arrivata fino ad ora. Forse le mie capacità di detective sono davvero diminuite negli ultimi giorni?
- Certo che Wallace conosce qualcuno che vive a New York e la conosciamo anche noi. – rispondo.
- Chi?
- Jakie Cook.
 
 
- Forza, è il momento.
Dick entra come una furia nella mia stanza e spalanca la finestra, facendo entrare la luce del tramonto. Mi riparo gli occhi con un braccio, mugolando qualche parola indefinita.
- Andiamo.
Mi tira via il braccio dalla faccia e mi costringe ad alzarmi dal letto.
- Che vuoi? – biascico.
- Dobbiamo uscire, questo è il momento buono.
- Io non ho alcuna intenzione di uscire da qui.
- Puzzi da fare schifo di sudore e di alcol, la tua stanza ha un odore ancora peggiore di te. Sono riuscito a fare venire Marcia, che deve pulire tutto il casino che c’è qui dentro. Mi sembra che sia il caso che anche tu ti dia una lavata e che venga con me, invece di disturbare lei.
- Dille che può pulire tutta la casa e lasciar stare la mia camera.
- Logan, pensa a cosa direbbe Veronica se ti vedesse così.
Gli lancio un’occhiataccia, ormai completamente sveglio. Sa di aver toccato un nervo scoperto.
Tre quarti d’ora dopo, io e Dick scivoliamo fuori dal cancello sul retro non visti dai pochi giornalisti rimasti di vedetta. Un mal di testa persistente mi martella le tempie. Quando Dick mette in moto la sua Lotus gialla, è ormai troppo tardi perché i giornalisti possano scattarmi anche un’unica foto.
Il mio amico mette la musica a volume alto, in modo che non sia necessario parlare e lo ringrazio mentalmente per questo, anche se non sono sicuro che l’abbia fatto per me. Chiudo gli occhi, appoggiando la testa al vetro del finestrino e il fresco che mi trasmette calma un pochino il mio mal di testa.
Dopo qualche minuto Dick rallenta, apro gli occhi e con un sussulto mi rendo conto che siamo nei pressi del nostro locale. La scena del litigio violento con Lara mi torna in mente a tratti, vista la mia scarsa lucidità in quel momento. Dovevo essere parecchio ubriaco. Tendo i muscoli dell’avanbraccio, stringendo la manopola sulla portiera della macchina.
- Stai scherzando? – sibilo.
Dick si volta verso di me senza capire.
- Perché mi hai portato qui?
- Pensavo che uscire a bere qualcosa sarebbe stata la soluzione migliore.
In quel momento la luce di un flash mi perfora la vista, mentre una miriade di giornalisti si affretta in direzione della Lotus.
- Merda. – esclama Dick, mentre cerca di virare in direzione opposta, ma ormai l’auto è circondata.
I flash continuano a esplodere in ogni direzione, mentre decine di corpi ammassati l’uno sull’altro fanno di tutto per arrivare a vedere almeno per qualche secondo il volto del famoso attore, anzi il volto del famoso assassino.
Ed è in quel momento che perdo il controllo. Spalanco la portiera e comincio a spintonare tutti coloro che mi circondano, nel disperato tentativo di liberarmi da quella persecuzione. So che mi stanno riprendendo, ma non mi importa, voglio solo scappare da queste persone, voglio solo correre via. Finalmente riesco a creare un varco, non so se travolgendo o colpendo qualcuno. Non appena riesco a respirare un po’ d’aria, velocemente mi allontano, infilandomi in un viottolo secondario e dirigendomi verso la parte più povera della città. Fortunatamente non riescono a seguirmi. Prima di allontanarmi del tutto riesco a sentire la voce di Dick che mi chiama e lo maledico mentalmente per avermi convinto a uscire dalla mia stanza.
Cammino per quelle che mi sembrano ore, la testa bassa per non farmi notare ed evitando tutte le strade più trafficate. Sento un gran bisogno di bere e alla fine mi infilo in un localino piuttosto oscuro, che non ho mai visto prima e dove quindi non rischio di incontrare qualcuno che conosco.
Sempre con la testa bassa mi siedo sulla prima sedia libera che vedo al bancone, senza guardarmi intorno. Il barista si avvicina. È un uomo alto e largo, con un cappello da baseball nero sui capelli grigio scuro. Mi lancia una lunga e penetrante occhiata, ma poi mi chiede cosa voglio bere, senza aggiungere altro. Ordino un bicchiere di Whisky liscio, che lui mi serve senza fare domande. Lo butto giù tutto d’un fiato e poi ne ordino un altro. Mentre me lo versa, vedo con la coda dell’occhio che qualcuno si sta avvicinando e prego che nessuno mi abbia riconosciuto.
- Logan?
Sobbalzo, sentendo quella voce, la sua voce. E mi volto.
Veronica è in piedi di fronte a me, in quello squallido bar. Indossa degli abiti così poco da Veronica che per un istante vorrei scoppiare a ridere, ma la sua espressione è esattamente quella di sempre. Mi sta guardando spazientita e come al solito mi sento un idiota.
 
 
Dopo aver lasciato Mac a casa sua, entrare in casa non era stato possibile, non c’era nessuno e io non avevo preso la mia chiave. Mio padre sembrava introvabile, lo avevo chiamato e gli avevo lasciato due messaggi, ma non avevo ottenuto alcuna risposta. Avevo allora provato a chiamare la Mars Investigation e mi aveva risposto Weevil, che ormai lavorava stabilmente con mio padre da un anno. Mi aveva detto che non aveva la minima idea di dove si trovasse e quando sarebbe rientrato. Si era limitato a ridere quando gli avevo spiegato il mio problema e mi aveva detto che gli avrebbe fatto piacere vedermi un giorno di quelli.
Avevo pensato di fare un salto al Java de Hut, dove avevo lavorato per un paio di anni, ma il pensiero di incontrare qualcuno di conosciuto mi aveva fermato, così come mi aveva impedito di entrare in qualsiasi altro locale che fossero solite frequentare le persone che conoscevo. Avevo bisogno di riflettere su quello che pensavo di aver scoperto riguardo a Wallace e soprattutto perché a distanza di così tanti anni un incontro potesse averlo tanto sconvolto. E soprattutto avevo bisogno di chiarirmi le idee sul perché mi fossi precipitata in questo modo fino a Neptune e avessi lasciato Frank, ancora arrabbiato, a vedersela con un solo SMS. Ero davvero tornata solo per Wallace? Sicuramente era quello di cui cercavo in ogni modo di convincermi.
Alla fine avevo trovato un locale piuttosto buio e riparato, che non sembrava un granché, ma in cui ognuno si faceva gli affari suoi. Mi ero seduta ad un tavolo, ordinando un drink, mentre una partita di football strepitava nella piccola televisione dietro il bancone.
Dopo qualche minuto un uomo era entrato come una furia, a testa bassa e si era seduto al bancone. Avevo impiegato circa cinque secondi a riconoscerlo e senza avere il tempo di pensare, mi ero ritrovata ad alzarmi e ad andare nella sua direzione.
- Logan?
Nel momento stesso in cui si era girato, avevo visto la sua espressione cambiare, da fastidio per essere stato disturbato a sorpresa e infine vi avevo letto qualcosa che non ero riuscita a decifrare: sollievo, forse? Oppure una strana gioia di vedermi, anche se era uno strano modo di dimostrarlo. In fondo, dopo tutto questo tempo, potevo anche incontrare il mio ex senza per questo dover avere reazioni inconsulte e potevamo avere un normale colloquio come due persone adulte che non si vedono per tanto tempo e la cui conoscenza si limita adesso soltanto a un freddo scambio di battute per poi non rivedersi mai più. Eppure quella situazione non sembrava avere niente di normale.
Dopo qualche secondo di silenzio imbarazzato, mentre lui continua a guardarmi con espressione così stupita da lasciarlo incapace di pronunciare qualsiasi parola, gli chiedo se posso sedermi. Si riscuote improvvisamente e annuisce.
- Allora?
- Come stai?
Iniziamo allo stesso momento.
- Prima tu. – dico.
Annuisce di nuovo, sembra ancora piuttosto sconvolto, come se fosse l’ultimo posto dove avrebbe mai pensato di trovarmi ed effettivamente è l’ultimo posto in cui pensavo che sarei mai venuta, ma avevo bisogno di schiarirmi le idee, da sola. Del resto neanche io avrei mai pensato di trovarlo qui. Anzi ero convinta che non lo avrei proprio incontrato, ne avevo tutte le intenzioni. Qualche giorno a Neptune per vedere come stava Wallace e poi via verso San Diego e verso la mia vera vita. Niente Logan. Eppure lo avevo incontrato, per caso, nel posto più assurdo della città.
- Che ci fai a Neptune? – chiede Logan.
Dritto al punto. Accenno un sorriso imbarazzato.
- Sono venuta a trovare mio padre. Wallace non stava bene.
- Wallace non sta bene?
Mi viene quasi da ridere per la strana situazione. Sono cinque anni che non ci vediamo e stiamo davvero parlando di Wallace?
- Niente di grave.
- Come stai? – chiede.
- Bene. – non riesco a rispondere nient’altro.
Lui sposta lo sguardo da me e torna a fissare il drink che stringe convulsamente nella mano destra, le nocche quasi bianche. Cala un silenzio ancora più imbarazzante.
- Tu come stai? – azzardo alla fine.
Accenna un sorriso, voltandosi nella mia direzione, ma è uno di quei sorrisi sarcastici, freddi, che non coinvolgono gli occhi, uno di quei sorrisi alla Logan Echolls fuori controllo, il Logan del periodo dopo la morte di Lilly. Per un attimo mi spaventa.
- Intendi in generale o per qualcosa in particolare? – chiede.
Ovviamente non mi sta rendendo la situazione affatto semplice. Alzo le braccia, intendendo che mi può rispondere come meglio crede.
- Se parli della mia salute fisica, sì, sto bene. Se parli del resto… penso che sia su tutti i giornali.
- Hai trovato un buon avvocato?
- Vedo che lo hai saputo anche tu, allora.
- L’ho visto in televisione e poi Leo mi ha raccontato il resto.
Mi accorgo che un lampo di sorpresa gli attraversa gli occhi nel momento in cui pronuncio il nome di Leo.
- Siamo rimasti amici. – mi affretto a spiegare, senza neanche sapere bene il perché.
Annuisce, ma il sorriso di prima spunta di nuovo sulle sue labbra, solo che ora sembra quasi rassegnato.
- Nessuno crederà mai alla mia innocenza. Ci sono dei testimoni e le telecamere di sorveglianza. L’avvocato sta patteggiando per omicidio di secondo grado.
Di nuovo non riesco a dire niente, mi capita raramente di rimanere senza parole.
- Chi è il testimone? – chiedo.
- Casey Gant.
Ah, non me l’aspettavo. Il vecchio Casey Gant. Erano anni che non lo vedevo. Avevo saputo che aveva rilevato la casa editrice lasciatagli dalla nonna e che andava molto bene, ma non sapevo se era tornato definitivamente a essere il ragazzo irritante e vagamente perfido che era prima di unirsi alla Comunità del Dolce Far Niente oppure se aveva ancora conservato qualcosa del ragazzo dolce che avevo avuto modo di conoscere per qualche giorno, nonostante il lavaggio del cervello a cui lo avevano sottoposto i suoi avidi genitori.
- E cosa dice di aver visto?
- Ha visto che io e Lara stavamo litigando sul retro del locale.
La voce di Logan è piatta, come se stesse rispondendo meccanicamente a delle domande di interrogatorio ed in effetti mi accorgo di aver assunto un po’ il mio tono inquisitorio. Penso che dovrei smettere di porgli queste domande e che non sono affari miei, ma qualche secondo dopo mi ritrovo a porre un nuovo quesito.
- E cosa è successo?
- Veronica… - adesso sembra quasi sofferente.
Non mi guarda negli occhi, ma riesco a vedere la sua espressione da sotto le sopracciglia aggrottate. Sembra totalmente svuotato, come se avesse fatto qualcosa di terribilmente faticoso e adesso non riuscisse neanche a parlarne.
Si passa una mano fra i capelli, mentre cerca un modo per evitare la mia domanda, anche se io so esattamente quale sarà la risposta, prima ancora che apra bocca.
- Ecco… io non mi ricordo molto. Ero abbastanza ubriaco. – dice, come se si aspettasse un qualche rimprovero da me.
Dentro di me maledico la sua stupidità e mi chiedo come sia possibile che un uomo adulto possa continuare a essere tanto idiota, ma poi mi ricordo che io non ho più niente a che fare con lui. Non ho alcun diritto di giudicarlo.
- Come aveva fatto Lara Crane a entrare al Club? Io sapevo che c’era un’ordinanza restrittiva.
- C’era. Ma non so come sia entrata. Deve aver circuito la sicurezza in qualche modo. – ora il suo tono è quasi spazientito.
- Qualcuno all’interno del locale poteva conoscerla?
- La conoscevano tutti. Mi perseguitava da mesi e mesi.
L’immagine di Lara Crane, la bellissima ragazza che ho visto nella foto del notiziario, mi passa davanti alla faccia. Non doveva avere molto più di vent’anni. Probabilmente era una studentessa. Gli enormi occhi azzurri, i capelli biondissimi e il seno formoso, in qualche modo mi ricordava Lilly Kane, sembrava sprizzare energia da tutti i pori. Capivo come una come lei avesse potuto pensare di trovare interessante frequentare una star del cinema famosa in tutto il mondo. Possibile che anche Logan vedesse quella somiglianza? Non posso saperlo, ma sono quasi sicura che sia così. All’improvviso mi affiora un dubbio.
- Conoscevi Lara?
Logan mi guarda stupito, come se non si aspettasse questa domanda.
- Sì, era un bel po’ che mi perseguitava. Mi seguiva ovunque, qui a Neptune, a Los Angeles, ovunque…
- No, intendo se la conoscevi, conoscevi…
- Ah.
Per un attimo penso che non mi risponderà e mi chiedo di nuovo chi sia io per fargli tutte queste domande.
- Sai, era una fan… all’inizio sembrava innocua. – sembra indispettito, quasi in collera, anche se non so se lo è verso di me.
La sua risposta era quasi scontata. Ovvio che all’inizio Logan non abbia potuto fare a meno di dare corda a una bella ragazza che sembrava adorarlo. L’ha sempre fatto.
- La Groupie di Mr Hollywood. – dico, citando il nome che Leo mi ha riferito.
- La chiamavano così.
Rimaniamo di nuovo in silenzio e questa volta è Logan a romperlo.
- Dick mi ha detto che ti ha chiamato.
Deglutisco, non volevo che lo sapesse. Una fitta di senso di colpa mi assale, ma mi affretto a cancellarla.
- Sì.
- Mi ha detto che non hai alcuna intenzione di aiutarmi.
Non rispondo, non riesco a spiccicare una parola.
- È chiaro che non mi avresti aiutato, non dopo tutti questi anni.
Non so perché, ma le sue parole sembra che mi penetrino come lame appuntite di senso di colpa. Perché mi sto sentendo in questo modo?
- In fondo, non hai mai avuto tempo per i vecchi amici in questi anni. – conclude e il sorriso sarcastico torna per la terza volta sul suo volto.
Cosa? È vero che me ne sono andata dopo il primo anno a Hearst, è vero che non l’ho mai cercato, mai richiamato, che l’ho evitato con tutta me stessa, evitando perfino i gossip sul suo conto. Ma non mi sembra che lui abbia mai fatto niente di più per mantenere il contatto. In un primo tempo ce l’avevo avuta con lui per la storia di Madison, non era stato facile superarlo, in seguito la quantità di impegni e il troppo tempo trascorso dal nostro ultimo incontro mi avevano impedito di cercare un contatto con lui. Avevo passato cinque anni cercando di dimenticare il mio passato e lui era una fetta non indifferente di esso. Tuttavia lui non sembrava aver avuto rimpianti o avermi cercato in nessun modo, fino alla chiamata di Dick. Sento la rabbia montare dentro per le sue assurde accuse e parlo prima di riuscire a trattenermi.
- Sono convinta che ti piacesse tanto che una così bella ragazzina ti venisse dietro e che fosse ossessionata da te. Era forse appagante? Oh, Logan, non sei affatto cambiato. – il mio tono è più cattivo di quanto vorrei.
Lui spalanca gli occhi e mi rivolge uno sguardo furioso.
- Andiamo Veronica, se io non sono affatto cambiato, neanche tu lo sei in alcun modo. Sempre rigida, imperturbabile, perfetta eh? Mai una mancanza, mai un difetto. E nessuna mancanza o difetto possono essere tollerati, vero?
- Cosa vuoi che ti dica?
- “Logan, andrò a casa e metterò la mia testa nel forno, perché non posso continuare a vivere, sapendo che sono una stronza senza cuore!”. Qualcosa del genere * – dice, con rabbia, sputandomi addosso le parole.
Sussulto. Non so se lui sia consapevole di ciò che ha appena detto, ma io me lo ricordo bene, chiaramente. Quel giorno, quando l’avevo accusato dell’omicidio di Lilly e poi ci eravamo incontrati sulla spiaggia. Aveva detto di volermi morta. Rimango immobile, nessuna risposta coerente riesce a venirmi alla bocca, eppure io non rimango mai senza parole. Meccanicamente mi alzo, afferro la borsa e mi dirigo verso l’uscita. Tornare a Neptune è stato un errore. Un colossale e madornale errore.
 
 
La spiaggia dei cani. Backup tirava il guinzaglio, trascinandomi nella sua incessante ricerca di nuovi odori. Non mi sentivo molto bene. Nonostante fossi disposta a crocifiggere chiunque avesse osato fare del male alla mia migliore amica, il fatto che fosse stato proprio Logan mi era inconcepibile, in qualche modo. Sapevo, avevo sempre saputo, che Logan aveva amato Lilly, nonostante tutto, e che l’aveva amata tanto. E chi conosceva Lilly sapeva di non poter pretendere fedeltà assoluta da lei. Io lo sapevo, eppure mi sembrava che con me Lilly si fosse comportata meglio che con chiunque altro, sicuramente meglio di come aveva agito nei confronti di Logan o di Weevil. Avevo sempre saputo che Lilly era egoista, egocentrica, eppure la amavo anche per questo. La sua energia, la sua voglia di vivere non ero mai più riuscita a trovarli in nessun altro e probabilmente non l’avrei mai ritrovata. Avrei sempre voluto bene a Lilly, l’avrei sempre ringraziata per avermi resa la Veronica che ero.
Eppure non riuscivo davvero a conciliare il Logan degli ultimi mesi con il brutale assassino che aveva spaccato la testa alla sua ragazza. Che il suo troppo amore l’avesse condotto a questo? Sapevo bene quanto Logan potesse perdere il controllo. Ero stata costretta ad avvertire la polizia, non potevo tacere le informazioni che avevo saputo su di lui e la caduta del suo alibi lo faceva rapidamente salire nella lista dei possibili assassini. E allora per quale motivo continuavo a sentire un peso a livello dello stomaco?
Improvvisamente sentii che era alle mie spalle, dovevano averlo rilasciato.
- Allora, immagino che ci siamo lasciati, eh?
-  Cosa vuoi che ti dica, Logan?
- “Logan, andrò a casa e metterò la mia testa nel forno, perché non posso continuare a vivere, sapendo che sono una stronza senza cuore!". Qualcosa del genere.
- Stai dicendo che mi vuoi morta? Una parola, e Backup ti aggredisce alla gola.
- Questo farai, bello? Mi morderai alla gola?
Si era abbassato per accarezzarlo e Backup, nel momento peggiore, era diventato un angioletto, lasciandosi coccolare e arrivando anche a leccare Logan. In fondo era ovvio, lo conosceva così bene.
- Oh, che tenero omicida! Che tenero omicida! – aveva continuato Logan e, anche se il suo tono era ironico, sarcastico, avevo sentito la disperazione nella sua voce, quasi la rassegnazione, mentre tentava senza troppo successo di trattenere le lacrime.
Il peso a livello dello stomaco si era notevolmente intensificato.
Poi aveva cercato di spiegarmi perché era tornato dal Messico, che cosa ci faceva a Neptune, perché non aveva più un alibi e io avevo voluto disperatamente credergli, lo avevo voluto così tanto, anche se la storia sembrava vagamente assurda.
Poi era arrivato mio padre, preoccupato che Logan potesse farmi del male, ma io in qualche modo sapevo che non me l’avrebbe fatto.
- Ehi! Allontanati da lei! Allontanati da lei! Ora! – aveva gridato.
- Continuo a pensare che le cose non possano peggiorare più di così, sai? Ma sì! È tutta sua. – aveva risposto Logan, la rassegnazione chiara nella sua voce. Una nota di disperazione. Poi si era allontanato.
- Voi due state assieme?
- Non più.
 
 
Rimango bloccato al mio posto, mentre Veronica mi volta le spalle ed esce. Vedo tutta la scena come a rallentatore, come nei film, eppure continuo a non riuscire a muovermi.
So che le parole che ho pronunciato ci hanno scaraventati entrambi nel passato e se penso a quello che è successo dopo, a tutte le disgrazie che mi ha portato quell’unico evento, mi chiedo davvero perché le abbia pronunciate di nuovo.
La volta in cui Veronica mi ha abbandonato, l’unica volta prima della nostra rottura cinque anni fa, mi sono ubriacato, sono salito sul ponte, sono stato aggredito da una banda di motociclisti per un crimine che non avevo compiuto, picchiato a sangue e, come suprema conclusione, sono stato di nuovo accusato di un omicidio che non avevo commesso. La storia della mia vita.
E adesso che Veronica mi sta abbandonando di nuovo mi chiedo se davvero ho pensato prima di dire quello che ho detto. La risposta è ovviamente no. Non penso mai, prima di parlare.
Ma adesso non si tratta soltanto della mia relazione complicata con Veronica, non si tratta soltanto di ripicche del passato, di rancori, di parole non dette e cose non fatte, di parole dette troppo frettolosamente e azioni altrettanto affrettate, adesso si tratta di uscire da una situazione che sembra senza via di scampo, di riuscire a giustificarmi in un processo a cui tutti sembrano già dare un esito certo. Perfino il mio avvocato sembra sicuro che io sia colpevole. Mentre Veronica… lei non lo pensa.
Mi alzo velocemente, prima che lei abbia la possibilità di scomparire di nuovo dalla mia vita. Il proprietario del bar mi urla qualcosa alle spalle, come se avesse paura di non ricevere il suo pagamento, ma io non ho alcuna intenzione di fermarmi a pagare in questo momento.
Veronica sta salendo sulla sua auto, parcheggiata dall’altra parte della strada.
- Veronica! – urlo e metà delle persone per strada si voltano.
Lei si blocca e mi guarda, poi attraversa velocemente la strada, prima che abbia il tempo di buttarmi fra le auto.
- Che vuoi?
È ancora piuttosto sospettosa.
- Veronica, ho bisogno del tuo aiuto. Sei la mia unica speranza.
Lei sembra pensarci per qualche secondo, come se stesse valutando attentamente la situazione, ma io so cosa ha deciso fin dal primo momento.
- Va bene, ti aiuterò.
 
 
 

* Frase pronunciata da Logan nella puntata 01x22, quando Logan affronta Veronica dopo aver scoperto che è stata lei a fornire le prove che lo accusano dell’omicidio di Lilly allo sceriffo.


Ciao a tutti! Ecco un nuovo capitolo, spero ci piaccia.
Ringrazio, come al solito, L Ignis_46
   
 
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