Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
Segui la storia  |       
Autore: silbysilby_    25/11/2017    1 recensioni
Seul, 2015.
La notte di Halloween era sempre stata un evento storico all'Anathema, la discoteca più in voga della città. Già non era un posto raccomandabile, ma in quella occasione raggiungeva apici scandalosi. Sorprendeva pure Jimin e lui di certo non era un santo. A meno che ai santi non sia permesso fare i ballerini nei club.
Jimin si sarebbe aspettato di tutto, tranne che essere coinvolto a sua insaputa in un esperimento. In effetti, non gliene si può fare un torto; da quando in qua le mele hanno incubi, gelosia e passione come effetti collaterali? E da quando in qua le maledizioni si trasmettono con un bacio?
I suoi amici non possono saperlo. Yoongi non vuole saperlo. Non vuole avere più niente a che fare con Park Jimin.
Genere: Dark, Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Volevo scrivere qualcosa di intelligente prima di lasciarvi al capitolo, ma ho appena sentito Mic Drop di Desiigner E IL BABY WATCH YOUR MOUTH NON ME L'ASPETTAVO, YOONGI MA CHE FAI
E niente. Finalmente questo capitolo ha davvero l'atmosfera giusta. LIE e BOY MEETS EVIL non ci erano arrivati del tutto. 
Vi dico solo: tenete gli occhi aperti. Voglio vedere chi nota gli intrusi. (Tipo "Dov'è Wally?") (scrivetemi se li trovate hahahaha) 

Se volete seguirmi su twitter @silbysilby pubblico spesso qualcosa di speciale per voi AMICI CERCASI


I feel like dying when my brother is sad
When my brother is sick, it hurts more than when I’m sick
-----------------------------------------------------------------------------
BEGIN 

(6) November 1st, 2015 - Sunday

Passarono pochi secondi tra il suono del campanello e il momento in cui la porta si aprì. 
Una signora abbastanza avanti con l'età fece la sua apparizione sullo stipite, un sacchetto di plastica in mano e un sorriso bonario già impresso sulle rughe che le circondavano la bocca. Anche se non conosceva le persone che si ritrovò davanti non si trattava certo di una visita inaspettata. 
Persino lei che era anziana si era sforzata di stare sveglia un'oretta in più del solito in occasione della notte di Halloween. I bambini venivano sempre a farle visita e a lei poteva solo fare piacere. Aveva anche comprato una piccola lanterna dotata di candela da mettere sul muretto che separava la strada dal suo giardino per segnalare la propria casa.
Il trucchetto pareva funzionare. Era la dodicesima volta che le suonavano al campanello. La signora andò ad aprire la porta, tutta curiosa di vedere chi avrebbe trovato sul proprio vialetto. 
Bastò una sola occhiata per farle capire che il gruppetto era piuttosto insolito. Resi visibili dal lucernario, vide una bambina, un bambino e due adolescenti. La luce giallastra li illuminava dritta in faccia, alle loro spalle un mantello di notte e buio.
"Dolcetto o scherzetto?" le venne chiesto, un coro di voci alquanto dissonante. 
La vecchietta rise, limitandosi a scuotere il sacchetto che teneva in mano. La bambina le si avvicinò con un sorriso sdentato, le manine protese in avanti che tenevano ben aperta una fodera di cuscino. Intuendone l'uso, la signora ci versò all'interno una buona metà delle caramelle che le erano rimaste. 
Il gruppetto aveva già iniziato a chinare il capo per ringraziare e passare alla casa successiva quando uno dei due adolescenti frenò tutti quanti. 
"Mi scusi, signora." disse, la voce più profonda di quanto ci si aspettasse da uno così magrolino. "Possiamo chiederle se riconosce i nostri costumi?"
La signora non rispose e non annuì; si limitò ad eseguire la richiesta. Tamburellò con le dita raggrinzite contro lo stipite della porta mentre faceva scorrere lo sguardo da un giovane all'altro, pensierosa. 
"Campanellino." disse all'indirizzo della bambina.
"Un robot." aggiunse guardando il bambino, quei suoi occhioni neri tenuti bassi.
"E... le due gemelle di Shining? Il film di paura?" 
Uno dei due adolescenti a cui si era appena riferita, quello di un biondo innaturale che gli aveva rivolto la parola per primo, si piegò in due dal ridere. L'altro si limitò a un sorriso cordiale.
"Non proprio." 
Un broncio era andato a formarsi sul viso della bambina che lanciò un'occhiata accusatoria al ragazzo che ancora se la rideva. "Siamo i personaggi di Alice nel paese delle meraviglie." protestò. 
Una delle sue manine andò a stringersi al pesante cappotto nero. Esso nascondeva la maggior parte del suo costume, ma da sotto sporgeva un lembo azzurro di quella che aveva tutta l'aria di essere plastica. 
"Io sono Alice." aggiunse, come per voler chiarire il concetto. Un moto di pietà si mosse nel cuore della donna; la piccola suonava vagamente esasperata. 
Il bambino si decise a parlare solo quando venne fissato troppo a lungo per poter continuare a far finta di niente. Sopra la giacca indossava una maglia extra-large, delle striscie di nastro adesivo telato poste orrizzontalmente tutt'intorno a lui. 
"Lo Stregatto."
Quando la signora portò nuovamente la sua attenzione su di loro, i due adolescenti si erano messi uno di fianco all'altro, a braccetto. Sembrava più un gesto dettato dal freddo che dall'affetto; era l'ultima notte di ottobre e i due portavano lo stesso pigiama un po' retrò, senza nessuna giacca a coprirli. L'anziana sperò bene che sotto quella stoffa leggerina i due portassero strati e strati di magliette e canottiere. 
Per sua sfortuna era troppo lontana (essersi dimenticata gli occhiali da vista in casa non era d'aiuto), altrimenti avrebbe notato le lenti a contatto azzurre che indossavano entrambi. 
"Pincopanco." disse il castano. 
"Pancopinco." finì il biondo. 
L'anziana rivolse un mezzo sorriso di scuse a tutti. Disse di non conoscere il tema, ma il quartetto sapeva benissimo che stava mentendo. Se così non fosse gli occhi non le si sarebbero dovuti accendere man mano che le loro identità venivano rivelate. Era solo troppo gentile per dir loro che i costumi facevano pena. 
Senza rubarle altro tempo, il gruppo salutò l'anziana, ripercorrendo il vialetto da cui erano venuti. 
La notte, anche se di sera si sarebbe dovuto parlare dato che erano appena le nove e mezza, era silenziosa come sempre. Ogni tanto si sentiva qualche bambino schiamazzare nelle vie vicine, i trilli dei citofoni, il rumore di piccoli passi concitati. I lampioni e le finestre delle case erano le uniche fonti di luce che assicuravano un minimo di visibilità a tutti quanti, anche se vedere gruppi e gruppi di bambini marciare per le strade come formichine non avrebbe mai intimorito nessuno. 
Ogni volta che ne incrociavano uno, il quartetto ne guardava i costumi, indicandosi i più belli. O almeno, i tre maschi se li indicavano, la bambina si limitava a controllare che la cerniera del suo cappotto fosse ben chiusa sotto il suo mento. 
Questa volta, però, la bambina non si limitò al silenzio. Stavano camminando per una delle tante strade quando tutto ad un tratto lasciò cadere la federa con le caramelle a terra. Puntò i piedi. 
"Il mio costume fa schifo, Taehyung!" 
Il ragazzo chiamato in causa sospirò. Eonjin aveva proprio preso da loro madre: usava il suo nome di battesimo per intero quando la faceva arrabbiare. 
"Non si dice che fa schifo. Al massimo non ti piace. Guarda che io l'ho fatto con amore." 
La voce già squillante di suo di Eonjin raggiunse livelli paranormali. "Mi hai messo addosso un sacco del pattume azzurro!" 
A questa affermazione, Taehyung dovette davvero trattenersi dallo scoppiarle a ridere in faccia. Si scostò da davanti gli occhi la frangia bionda, le labbra tremolanti. 
"Lo sai anche tu che quest'anno abbiamo deciso di risparmiare. E poi sei tu che non hai voluto mettere il costume che ti abbiamo preso a Carnevale."
"Non mi hai nemmeno fatto i capelli gialli come Alice." 
"Eonjin, te l'ho già spiegato. Non puoi decolorarti per una serata soltanto e le bombolette spray non si vedono sui capelli scuri come i tuoi." 
"Ci sono le parrucche."
"Non possiamo permetterci dei costumi, secondo te potevamo comprare una parrucca?" 
Jungkook decise che era arrivato il momento di intervenire.
Se c'era una cosa peggiore dei bisticci tra Eunjin e Jeonggyu, l'altro bambino, erano i bisticci tra Eonjin e Taehyung. Erano cresciuti una più testarda dell'altro e non se la davano vinta a vicenda neanche a morire. Si sarebbe detto che quest'ultimo, essendo il figlio maggiore, avrebbe posto fine ad ogni questione con maturità, ma non era così. 
Quella notte, più che fare da babysitter ai due piccoli di casa Kim con il suo migliore amico, al castano era parso di fare da babysitter per i Kim e basta. Terzo bambinone incluso. 
E dire che Taehyung aveva un anno in più di lui. Pff. 
Jungkook poteva ben vedere perché la madre di quei tre mostricciatoli gli avesse addirittura offerto dei soldi pur di accompagnarli a fare il solito giro di ronda di Halloween. Sarà stato che non era di famiglia o che piaceva di più caratterialmente, ma i due bambini a lui obbedivano (cosa che con Taehyung non avveniva). Specialmente Eonjin. Era sempre più timida con lui nei paraggi. Jungkook decise di usare la cosa in suo favore. 
“Stai così bene mora," disse. "perché farti bionda? Preferiresti essere riconosciuta come Alice per una sola sera e essere brutta tutto l’anno?”
La cosa parve fare immediatamente effetto. Il broncio che corrugava il visino della bambina si distese, sfumandosi di vergogna. Le guance gli rimasero rosee di rabbia, il nasino rosso dal freddo. 
Eonjin alzò gli occhioni su Jungkook, facendogli un po’ pena. Così come il fratello maggiore, anche lei odiava essere ripresa o sgridata.
“Ma Tae non ha dato retta alla mamma e si è fatto i capelli gialli…” disse, lamentosa.
“Infatti, lui è brutto.”
Un risentito “Ehi!”, poi Jungkook ricevette una gomitata.
Il castano ci provò a stare serio, a continuare a guardare Eonjin negli occhi come niente fosse, ma non ce la fece. Non quando Taehyung alzava le mani su di lui per giocare. Non quando richiedeva inconsciamente la sua attenzione. Non quando sorrideva a quel modo. 
Jungkook rise, il fiato che gli si tramutava in nebbia.
Da quando aveva superato Taehyung in altezza era stato più semplice placcare i suoi attacchi, soprattutto considerando che l’altro era troppo magrolino per poter sperare di vincere contro di lui. Non che Jungkook fosse un armadio. Amava stare in forma, ma rientrava comunque nel normo-tipo. 
Con il pugno di Taehyung chiuso nel suo, faccia a faccia con quegli occhi momentaneamente celesti che parevano catturare tutta la luce presente per le strade notturne, Jungkook sentì chiaramente sbadigliare. La bocca di Jeonggyu era ancora aperta quando i due adolescenti si voltarono verso di lui. 
Il più piccolo della banda aveva cinque anni, due in meno rispetto a Eonjin, e come fosse riuscito ad arrivare a quell’orario senza appisolarsi o chiedere di andare a casa era un mistero. Un mistero che poteva facilmente essere sfatato da tutte le cartacce nascoste sotto il suo letto: qualcuno non aveva saputo aspettare Halloween per abbuffarsi di caramelle. 
Battendo in ritirata dal suo precedente attacco, Taehyung controllò l'orario sul cellulare. Lo aveva tenuto in mano per tutto quel tempo dato che i pigiama non avevano tasche né sui pantaloni né sul petto. Effettivamente si presupponeva che uno non ci andasse in giro. 
“Sono le nove e mezza. Massimo un altro campanello e poi torniamo a casa.”
Per sua sorpresa e sollievo, Eonjin non protestò. Jeonggyu sembrava più che felice della cosa, le palpebre che iniziavano a vacillargli.
Vedendolo così assonnato a Jungkook venne spontaneo abbassare la voce. Si chinò verso il basso nello stesso momento in cui il bambino alzò le manine al cielo, lasciandosi sollevare da quelle braccia ormai familiari. “Possiamo anche fare direttamente ritorno, Tae. Questo qui non sta in piedi.”
Taehyung annuì. Cercò subito Eonjin con lo sguardo, trovandola già qualche passo più avanti di loro. A quanto pare non vedeva proprio l’ora di levarsi quel costume di dosso. Non gli diede neppure la mano quando lui gliela offrì. 
Taehyung sospirò con il naso. Doveva ritenersi fortunato che la bambina non stesse insistendo per rimanere ancora in giro. A parte il fatto che era davvero buio come se fosse notte fonda, il ragazzo ci teneva che tornassero tutti a casa sani e salvi. Si sapeva che Halloween era anche la celebrazione degli scherzi di cattivo gusto oltre che quella delle caramelle; fratellino e sorellina si sarebbero spaventati a morte se fossero incappati in un petardo.
E poi quella serata era stata speciale a modo suo. Prolungarla poteva significare dargli il tempo di rovinarsi. 
Era stato tutto divertente, dalla cena all’uscita. 
Okay, Taehyung doveva ammetterlo: lui e Jungkook si erano fatti fin troppe risate quando era arrivato il momento di travestire Eonjin e Jeonggyu.
I quattro avevano cenato insieme abbastanza presto, in modo da poter iniziare con i preparativi il prima possibile. La signora Kim si era limitata ad ordinare della pizza, troppo stanca per mettersi ai fornelli; quell’anno aveva davvero deciso di affidarsi a Taehyung e Jungkook in tutto e per tutto, ritenendo i rispettivi diciassette e sedici anni più che sufficienti per badare a due bambini delle elementari. Inoltre, suonare a casa degli sconosciuti poteva rivelarsi abbastanza imbarazzante per un adulto, anche con la scusa di essere un accompagnatore. 
Perciò si erano dovuti arrangiare anche con i costumi. Tra la velocità assurda con cui quei due bambini stavano crescendo e il continuo cambio delle mode a cui erano tanto soggetti, comprarne di nuovi sarebbe stato uno spreco di denaro. 
Era stato così che, per fare più in fretta, i due migliori amici si erano presi un marmocchio a testa. 
Per quanto si fidasse più di Jungkook, Eonjin si era vista costretta a seguire Taehyung e il suo dubbio gusto nel vestire. Quando si trattava di cambiarsi d’abito faceva troppo la vergognosa in presenza di Jungkook, ma forse avrebbe cambiato registro se avesse potuto vedere come sarebbero andate a finire le cose. Di certo al suo mi serve un vestito azzurro non si era aspettata che il fratello maggiore le mettesse addosso un sacchetto per il pattume, giusto ritagliato per dar spazio a testa e braccia. Sotto le aveva fatto indossare maglia, maglione e pantaloni lunghi, tutto rigorosamente bianco.
Taehyung non aveva davvero niente di meglio da offrirle: il guardaroba di loro madre era off-limits e lui non ci avrebbe pensato neanche per sogno di far indossare alla sorellina pasticciona una delle sue magliette. 
Jungkook se l’era cavata meglio con lo Stregatto, anche se aveva dovuto chiedere a Taehyung cosa si trovasse dove più o meno ogni cinque secondi.
Jeonggyu era facile da accontentare. Era bastato prendere in prestito una delle maglie sportive del signor Kim e farla diventare a strisce. Con tutto quel nastro adesivo telato il bambino era pure catarifrangente per le strade, non poteva chiedere di meglio. 
Jungkook aveva disegnato sul suo visino naso e baffi da gatto. Poi aveva dovuto aggiungere un paio di orecchie direttamente sulla fronte; avevano provato a convincere Jeonggyu ad indossare un cerchietto di cui Eonjin era già in possesso, ma non c’era stato verso. Adesso, se lo si guardava da lontano, sembrava avere due grossi triangoli al posto delle sopracciglia. 
Taehyung aveva provato a fare un po’ di terrorismo anche sul fratellino minore, fallendo. Lo spolverino di casa cadeva in continuazione se infilato nel retro dei pantaloni, la brutta imitazione di una coda. 
E niente, Taehyung si era divertito da matti, non sapeva come altro dirlo. 
Se gli fosse stato chiesto tempo prima anche lui avrebbe detto che trascorrere Halloween a tenere d'occhio dei bambini sarebbe stata una rottura, ma non era così. Perché quando si è in compagnia del proprio migliore amico tutto diventa estremamente divertente. 
Lui e Jungkook si sarebbero potuti fare preti, avrebbero potuto frequentare una facoltà universitaria di chirurgia plastica o avrebbero potuto passare una notte intera chiusi in un museo delle scienze naturali in allestimento che avrebbero trovato il modo di farsi due risate.
Taehyung ricordava abbastanza bene gli anni in cui era stato lui stesso il bambino iperattivo a fare dolcetto o scherzetto, ma questa nuova esperienza stava sovrascrivendo tutto quanto. 
Chissà come sarebbe stata la sua infanzia se solo avesse conosciuto Jungkook alle scuole elementari e non durante il suo primo anno di superiori. Non che Taehyung avesse avuto un’infanzia solitaria, ma con Jungkook le cose erano sempre state diverse. Se con gli amichetti delle medie Taehyung si era sentito in dovere di dimostrare la sua non ancora acquisita virilità, con Jungkook si era sentito, e si sentiva, apprezzato per quello che era. Deboluccio e ingenuo.
Alla fine i due adolescenti avevano passato il loro trentuno ottobre così. A fare il giro del vicinato a piedi, a tenere i bambini lontani dalla strada, a scegliere le loro vittime tra le persone più anziane e le famiglie, a prediligere le vie ben illuminate...
Ed era stato memorabile. Niente party, niente casini. 
Le luci delle case stavano già iniziando a scarseggiare quando la truppa fece ritorno a casa Kim.  
La madre di Taehyung, Eonjin e Jeonggyu li accolse tutti nell'appartamento non appena entrarono. Era avvolta in una vestaglia da notte, evidentemente sulle spine per aver affidato i propri figlioletti (amico-accessorio incluso) a sé stessi. 
Jeonggyu scese dalle braccia di Jungkook per andare a rifugiarsi in quelle calde della madre mentre Taehyung riponeva le chiavi di casa al loro posto. Anche Eonjin si diresse verso di lei, mostrandole come era stata conciata. 
La signora Kim non seppe come fece a fingere di fulminare il suo primogenito con un’occhiataccia. Gli fece addirittura i complimenti più tardi. 
Le luci vennero spente. 
Eonjin e Jeonggyu vennero messi a letto. 
Una favola della buonanotte fu raccontata.
La madre di Taehyung riemerse dal corridoio che separava la sala da pranzo dalla zona notte una decina di minuti dopo. Andò in cucina, dove Taehyung e il suo migliore amico si stavano preparando della tisana. Dovevano aver pensato anche a lei, perché le tazze poggiate sul bancone erano tre. 
La donna esibì un sorriso stanco, grata per quel piccolo gesto. Raggiunse i due ragazzi, guardando come tutto fosse già pronto. 
“Ti prego, Jungkook, portati a casa metà di ‘sta roba.” disse, gesticolando in direzione delle due federe strapiene di dolciumi poggiate a terra. “Non ho abbastanza risparmi per star dietro a tutte le carie che i miei figli si faranno venire.”
La zazzera corta di capelli le scivolò via da dietro l’orecchio, coprendole un occhio. Jungkook si limitò a sorriderle, porgendole una tazza per il manico. Gliela posò delicatamente tra le mani, temendo di far strabordare parte della bevanda bollente.
Mentre la signora Kim andava ad accomodarsi al piccolo tavolo della cucina, Jungkook preferì rimanere in piedi; con la schiena poggiata al bancone prese tra le mani la propria tisana, portandosela alla bocca. 
Mettere qualcosa di caldo in corpo era una sensazione magnifica. Per quanti strati di maglie si fosse messo, uscendo in pigiama a quel modo si era assicurato un buono sconto per una polmonite. Taehyung aveva fatto tanto lo spavaldo per tutta la serata riguardo la questione, ma alla vista di Jungkook non era sfuggito quel pacchetto di fazzoletti che l'altro si era infilato in tasca di contrabbando non appena erano rientrati a casa. Lo aveva pure beccato sfregarsi il dorso della mano sotto il naso subito dopo aver passato un sottobicchiere alla madre. Persino in quel momento sembrava tutto intirizzito, seduto anche lui al tavolo. 
Jungkook era tutto occhi. Ogni volta che madre e figlio stavano uno di fianco all'altro era sempre uno spettacolo.
C'era poco dei lineamenti di una nell'altro, i capelli biondissimi di Taehyung che fuorviavano non poco, ma il temperamento del carattere era lo stesso.
La signora Kim era proprio una tipa tosta. Per lei ogni scusa era buona per organizzare cene e non faceva altro che invitare tutto il gruppo di amici da loro, anche quando la casa era particolarmente impresentabile. Certo, da quello che gli confidava Taehyung, Jungkook non poteva certo dire che si trattasse della madre perfetta, ma a parere suo ci si avvicinava molto. Era la classica una mamma per amica
Anche per questo il castano si aspettava già la prossima domanda di lei.
“Resti a dormire?” 
“So che da domani avrete ospiti e io non voglio rallentare i preparativi. Ci guardiamo un film e poi vado.” 
Un’ulteriore offerta di disponibilità. “Vuoi che ti accompagno a casa con l’auto?” 
“Abito letteralmente nella via di fianco, non c’è bisogno. Ma grazie.” 
La donna regalò un sorriso affettuoso a Jungkook, illuminato dalla luce scarsa che sovrastava l’area cottura. Finì la sua tisana e si alzò da tavola per riporre la tazza nel lavandino, la bustina dell’infuso dimenticata al suo interno. “Vado a rimboccare le coperte alle due scimmiette. Buona notte, ragazzi.” 
Lei e la sua vestaglia sparirono nel corridoio che portava alle camere da letto, ma non prima che la donna avesse stritolato affettuosamente le guance di suo figlio. Taehyung fece un verso di protesta contro l’indelicatezza del gesto, ma si ritrovò a sorridere quando gli vennero sconquassati i capelli lisci.
“Buona notte.” ripeté la signora Kim, lasciandoli soli.
Jungkook e Taehyung rimasero in silenzio fino a quando non sentirono la porta del corridoio chiudersi dietro di lei. 
“Allora, film?” chiese subito il più giovane. 
“Mia madre ti adora.” rispose Taehyung. I suoi occhi erano ancora posati sul punto dove aveva visto uscire il soggetto dei suoi pensieri, un’espressione indefinita che ci vacillava all’interno. “Dovresti sentire come parla bene di te ogni volta che ti menzioniamo a qualche conoscente. Oh, mio figlio si è trovato gli amici giusti. Oh, dovreste conoscere il suo migliore amico, un ragazzo così per bene. Eonjin e Jeonggyu diventano degli angioletti con lui.” 
L’imitazione di Taehyung sarebbe dovuta risultare divertente, ma in un qualche modo non lo era per niente. Jungkook sapeva che non era con lui che Taehyung ce l’aveva. Alle volte, la mente del biondo era intelligibile come carta velina controluce per lui. 
“Dice così solo perché non sono suo figlio.” 
Il biondo nascose metà del suo viso dietro la tazza, inclinandola più che poté. Quando ne riemerse, buttando fuori il respiro bollente che gli aveva lasciato la bevanda, Jungkook poté dedurre due cose dalla faccia che fece: o quell’ultimo sorso era davvero amarognolo o Taehyung non era affatto convinto che Jungkook avesse ragione.
Taehyung scese dalla sua sedia, seguendo l’esempio dato poco prima dalla madre. Il leggero clangore del fondo della tazza che veniva appoggiata sul metallo del lavandino sembrò spezzare quell’atmosfera vaga che si era venuta a creare. “Dai, guardiamo cosa c’è in televisione. Qual’era quel canale che avevi trovato con la maratona notturna di horror?” 

Quando aprì gli occhi, Jungkook realizzò una cosa alla volta.
Primo: a svegliarlo era stato un urlo agghiacciante.
Secondo: la televisione stava ancora andando e il ragazzo non aveva idea di che film si trattasse, di cosa fosse quello strano mostro gelatinoso che occupava metà schermo e del perché stesse azzannando il pollicione di una presentatrice radiofonica. 
Terzo: il suo televisore non era così grande. 
Quarto: quello non era il suo salotto. 
Quinto: quello non era il suo divano. 
Sesto: quello premuto contro le sue caviglie non era il suo cane. 
Cavolo. Jungkook si era addormentato a casa Kim. 
Il ragazzo balzò su con la schiena, mettendosi seduto. Il divano era un bordello di gambe, coperte, cartacce di barrette al cioccolato e ulteriori coperte. La stanza sarebbe stata immersa nel buio più totale se non fosse stato per la televisione che proiettava luci e colori su ogni superficie disponibile. Persino l’incarnato di Taehyung fungeva da tela. 
Jungkook si diede una frenata quando vide come quest’ultimo stesse dormendo pacificamente. Il biondo era tutto accovacciato contro lo schienale del divano, alla ricerca di calore. Solo una spalla gli sbucava da sotto la coperta, tenuta stretta stretta all’orecchio. 
A premere contro le caviglie di Jungkook dovevano essere stati proprio i piedi scalzi dell’altro.
Per sua fortuna il telecomando era appoggiato sul tavolino di fronte a loro, per cui Jungkook non si dovette alzare. Mettendo in muto il televisore, controllò l’orario sulle impostazioni: non era tardi, di più. Anzi, era così tardi che poteva essere considerato presto, ma della mattina dopo. 
Non sapeva neanche lui cosa fosse meglio fare. Aveva detto ai suoi che sarebbe tornato a casa verso mezzanotte, l’una, giusto il tempo di vedersi il film per l’appunto. Okay che non sarebbe stata la prima volta che Jungkook si addormentava a casa del suo migliore amico, ma tutte le altre volte ci aveva pensato la signora Kim ad avvisare i suoi. Invece lei era andata a dormire ancor prima di loro, per cui i suoi genitori dovevano essere all’oscuro di tutto. 
Jungkook aveva paura a cercare il suo cellulare. Quella volta una bella ramanzina non gliela risparmiava nessuno. 
Jungkook guardò Taehyung, indeciso. Avrebbe dovuto svegliarlo, farlo andare a dormire su un letto vero e proprio se non voleva ritrovarsi l’indomani con un torcicollo allucinante. 
Eppure il biondo dormiva così bene. Le sue palpebre chiuse sembravano talmente lisce da essere più lucide rispetto al resto della pelle.
Ma d’altronde, che poteva farci Jungkook ormai? Erano le tre di notte passate, tornare a casa a quell’ora non gli pareva la più grande delle idee. E poi il danno ormai era fatto. Un altro paio di ore di sonno non avrebbero fatto la differenza.
Cercando di muovere il meno possibile il divano sotto di sé, Jungkook si allungò sulla metà che non gli spettava. Ripescò i calzini di Taehyung e glieli mise nonostante quest’ultimo odiasse dormirci. Gli rimboccò la coperta su quella spalla esposta, accumulandogliela sotto il mento scarno. 
Una volta tornato al suo posto, Jungkook si riposizionò con il capo su uno dei braccioli, stringendo un cuscino quadrato al petto. Spense il televisore, facendo calare definitivamente il buio. 
Il tempo di appoggiare alla cieca il telecomando sul tavolino che i piedi freddi di Taehyung tornarono a infilarsi tra i suoi polpacci.

(7) November 1st, 2015 - Sunday

La prima cosa che comparve nella visuale di Jimin quando aprì gli occhi fu il retro di un cellulare. Successivamente, la ragazza dietro di esso. 
Lo sguardo di lei si allacciò al suo non appena si accorse che era sveglio, l’espressione stupita e vagamente abbindolata. Abbassò il cellulare dal viso, mostrandosi in tutta la sua giovinezza. Doveva essere una studentessa più piccola d’età di Jimin, al massimo una sua coetanea. 
Neanche a dirlo, il ragazzo non aveva la benché minima idea di chi fosse. E neanche del perché lei fosse seduta a terra con la schiena contro la parete mentre lui se ne stava spaparanzato a letto. 
Jimin si sollevò a sedere. Il lenzuolo bianco che lo copriva fino a sotto il mento scivolò giù, il suo essere nudo, la seconda, non tanto grande, rivelazione della mattinata. 
Per evitare altre rivelazioni si tenne stretta la coperta sull’inguine prima di guardarsi intorno.
 Il fatto che si trovasse su un letto, in compagnia di un tizio che continuava a dormire alla grossa, in una camera che non riconosceva minimamente non era una grande sorpresa. Dio solo sapeva quante volte gli era capitato di ritrovarsi alla mattina in posti inimmaginabili, i ricordi delle nottate precedenti un puzzle dai pezzi mancanti. 
I suoi vestiti erano piegati con cura su una seggiola lì a fianco, con tanto di guanti, il cerchietto con le orecchie da gatto ed il rossetto viola. I suoi anfibi erano ben disposti sotto di essa, il cellulare in carica sul comodino. Almeno questa volta non avrebbe dovuto tirar su una squadra di ricerca per trovare i suoi indumenti.
L’unica cosa a non essergli familiare nella situazione era quella ragazza vestita dalla testa ai piedi, i capelli raccolti in una crocchia ed il telefono tra le mani. Jimin, meno a disagio di quanto ci si possa immaginare, si schiarì la gola. 
“Ciao.” 
“Ciao, Jimin.” rispose lei. Il suo nome venne scandito in tono carezzevole, come se la ragazza si stesse gustando il suono di quelle sillabe.
"Ehm," Jimin si passò una mano tra i capelli, indeciso su come muoversi. "Ti dispiacerebbe dirmi in che zona di Seul siamo?" 
"Siamo appena fuori dal centro. Non so esattamente come tu e mio fratello abbiate fatto a tornare a casa dato che eravate entrambi ubriachi. E anche piuttosto focosi. Vi sareste messi a fare sesso sullo zerbino se non vi avessi ricordato che non distavate molto dal letto in camera sua.”
Jimin non si mostrò impressionato dalla cosa. Erano cose che capitavano quando la persona con cui stava per darci dentro dimenticava le chiavi di casa. 
Fece la sua solita domanda di circospezione. "I vostri genitori?" 
"Non abitano qui. In questo appartamento ci siamo solo io, mio fratello e un paio di amici." 
Jimin annuì, sollevato. Si sentiva la testa troppo pesante per anche solo pensare di doversi calare da qualche finestra o sorbirsi le scenate peggiori. Ma c'era ancora una cosa che non quadrava.
"E tu ora saresti in questa camera perché...?" 
"Me lo ha chiesto lui. Di filmare, intendo."
Le sopracciglia scure di Jimin schizzarono verso l'alto e scomparirono sotto la frangia scarmigliata. Aprì la bocca per parlare ma si ritrovò a corto di parole. Questa sì che gli era nuova.  
L'accanimento delle dita della ragazza sul cellulare aumentò. Le unghiette tinte di un blu elettrico tamburellavano contro la cover, come se temesse che il ragazzo potesse saltare giù dal letto da un momento all'altro per strapparglielo via. L'espressione bambina di lei era piatta, gli occhioni grandi e ingenui mentre si stringeva le ginocchia ossute contro il petto. 
Tutto normale. Come se non avesse appena ammesso di aver assistito a un rapporto sessuale che coinvolgeva il fratello. 
"Hai intenzione di metterlo in rete?"
"No, lo terrò per me."
Jimin era confuso. Era sveglio da troppo poco tempo per poter ragionare su certe questioni. Si strofinò un occhio con il dorso della mano e fece per stirarsi la schiena. Il modo in cui i muscoli guizzarono sotto la sua pelle attirarono immediatamente gli occhi della ragazza. 
Davvero, non sapeva come sentirsi a riguardo. Avrebbe dovuto sentirsi oltraggiato? Divertito? D'altronde, cosa mai poteva essere un video che lo incriminava esplicitamente? Non era come se nessuno fosse a conoscenza del fatto che in qualità di essere umano potesse scopare, o del fatto che lui in particolare lo facesse parecchio e di sicuro non con una persona esclusiva.  
In un qualche modo, considerato il suo stile di vita, sembrava quasi sbagliato sentirsi in disaccordo, come se avesse perso i diritti d'autore sul proprio corpo. O forse era talmente abituato ad essere indicato con il dito dalla gente che una pecca in più non avrebbe cambiato niente.
Il ragazzo ancora sdraiato al suo fianco, il fratello della ragazza, si mosse nel sonno, aggrappandosi al fianco di Jimin da sotto il lenzuolo. Il suo corpo era caldo, ma appiccicaticcio. 
"Ho fatto un incubo terribile..." bofonchiò Fred, la guancia premuta contro le ossa del bacino di Jimin. 
Né quest'ultimo né la sorella lo assecondarono, evitando di chiedergli ulteriori particolari che non interessavano a nessuno. Jimin si allungò verso il comodino per staccare il proprio cellulare dalla corrente, ignorando le proteste di Fred che aveva tutte le intenzioni di rimettersi a dormire sfruttando lui come cuscino. 
Il ragazzo dai capelli argento si sottrò alla sua presa senza tante cerimonie e arruffò un altro po' di lenzuola contro il suo stomaco, sedendosi a gambe incrociate. Una volta aumentata la luminosità, sbloccò lo schermo del proprio cellulare. Stava scorrendo velocemente le notifiche dei vari social network quando ne vide una anomala. 
Proveniva dallo Store del suo cellulare e confermava che un'app era stata scaricata con successo. Il che era strano, perché la memoria del suo cellulare era piena da mesi. Non aveva spazio neppure per scaricare immagini, figurarsi un'intera app. 
Confuso, Jimin la cliccò per cercare di capire di cosa si trattasse. La schermata divenne dapprima scura, poi una lucina bianca iniziò a girare in tondo sullo schermo, accerchiando quello che sembrava il simbolo dell'app. La sagoma bianca di una mela era stagliata in mezzo a tutto quel nero, con tanto di picciolo. 
Ci stava mettendo troppo a processare, per cui Jimin decise di rinviare le sue ricerche a più tardi. Tanto doveva trattarsi di uno di quei link diretti che ti si installavano sul cellulare quando premevi per sbaglio una pubblicità. L'importante era non seguire le istruzioni per scaricare la vera app. Una volta gli era capitata una cosa simile con la MacDonald. 
Una nuova notifica fece vibrare il suo cellulare, spodestando tutte le altre. 
Spodestò anche tutti i pigri pensieri di Jimin quando vide di cosa si trattava. 

Promemoria: 1 Novembre 2016, martedì 
                      Festa di Ognissanti 
9.30: Colazione con il gruppo da Cup's 

Erano le otto e quaranta. Se davvero si trovava appena fuori il centro di Seul e se si fosse dato una mossa avrebbe potuto raggiungere i suoi amici senza dover chiamare un taxi o prendere i mezzi pubblici.
Jimin bloccò con uno scatto secco la mano del bel addormentato al suo fianco, che a quanto pare non era più così addormentato. Stava per chiedere a lui o alla sua strana sorella se sapessero dirgli quanto tempo avrebbe impiegato a piedi per raggiungere il centro, quando la porta della stanza venne spalancata. Un tizio alto e biondo, ormai è superfluo dire che non aveva la minima idea di chi si trattasse, entrò come un ciclone. Con una mano si frizionava i capelli bagnati, con l'altra si spazzolava i denti. 
"Fred, si può sapere dove diamine hai ficcato il deodoran-" 
Gli occhi del nuovo arrivato avevano seguito la curva delle lenzuola arruffate sul corpo dell'amico ed erano finiti dritti dritti sulla figura di Jimin. Dal suo punto di vista quest'ultimo era girato di tre quarti, tutto pelle in vista e capelli argentati. 
Sarà stata la luce soffusa del mattino che giocava con il suo profilo, sarà stato lo sguardo curioso che gli rivolse, sarà stato il modo pudico con cui tentò inutilmente di sfilare un po' più di coperta da sotto Fred per coprirsi meglio, ma lo spazzolino da denti del biondo finì a terra, macchiando la moquette di dentifricio. Era ovvio che non si aspettasse di ritrovarsi sotto lo stesso tetto con Park Jimin, probabilmente uno dei tanti ragazzi popolari di cui aveva solo sentito parlare o aveva visto di sfuggita per le strade.
Jimin diede un cricco indelicato alla fronte di Fred, ottenendo il risultato sperato. Quest'ultimo si mise sulla schiena, liberandolo finalmente dal suo tocco indesiderato e permettendogli di riconoscerlo come la persona con cui aveva ballato la sera prima all'Anathema. Il ragazzo colpito strinse gli occhi, infastidito dalla luce troppo intensa, prima di notare la presenza dell'amico sullo stipite di camera sua. Tra i due iniziò una conversazione che voleva essere discreta, tutta occhiate e cenni con la testa. Jimin si sforzava di ignorarli solo per non rendere la cosa più pietosa di quanto già fosse. 
Alla fine Fred, dato che non sembrava capire cosa intendesse l'amico, si mise in piedi e lo raggiunse dalla porta dove presero a sussurrare, le voci che ogni tanto rischiavano di ingrossarsi in una conversazione abbastanza accesa. Nel frattempo Jimin si fece passare dalla sorella di Fred un paio di boxer puliti che indossò da sotto le coperte, non volendo dare spettacolo. Poi si alzò anche lui dal letto e finì di vestirsi in tutta tranquillità. 
Finse di non sentir volare nell'aria i bisbigli concitati del biondo che rimproverava l'altro di non averlo chiamato per fare una cosa a tre, ma quando sentì Fred rispondere che ci sarebbero state altre occasioni decise che era arrivato il momento di porre fine alle sue fantasie e togliere il disturbo.
Jimin, con di nuovo addosso la sua tenuta nera e gli anfibi allacciati ben stretti ai piedi, si assicurò di prendere contro le spalle di entrambi quando passò tra i due a mento alto. Non li degnò di una parola o di uno sguardo d'intesa, inforcando la porta e il corridoio che l'avrebbero portato all'ingresso principale.
I due ragazzi lo guardarono andare via, il loro piccolo dibattito estinto con la stessa velocità con cui Jimin gli era sfilato d'avanti. Spostarono lo sguardo sulla ragazza ancora presente nella stanza solo quando sentirono il portone sbattere.

(8) November 1st, 2015 - Sunday

Un vassoio con sopra sei tazze di porcellana venne appoggiato con cura al centro di una tavola ben apparecchiata. La cameriera, una ragazza che non doveva avere più di una ventina d'anni, le dispose una per una davanti ai ragazzi già seduti ai loro posti, preceduta da un'altra che distribuiva dei piattini dall'aria delicata. Quando quest'ultima ebbe finito si allontanò verso il bancone per poi tornare con un cestino colmo di ogni genere di biscotto, bustine di zucchero fino o di canna, fruttosio, caffè in polvere e una piccola confezione di panna spray.
I ragazzi ringraziarono un po' impacciati le cameriere e guardarono tutto quel ben di Dio che gli era appena stato servito con l'acquolina in bocca: Cup's era senza dubbio il locale migliore dove potersi godere una ricca colazione senza pagarla un occhio della testa.
Il gruppo aveva scovato quel posto agli esordi della loro amicizia. Al tempo, essendosi tutti appena iscritti alla prima superiore (Seokjin a parte che già frequentava il secondo anno), si erano concentrati per lo più nel conoscere i loro compagni di classe, senza considerare quelli delle altre. Poi era capitato di scoprire amicizie in comune, qualcuno dalle scuole medie, qualcun altro per la città in cui vivevano o per via di un qualche corso o club extra scolastico. 
Più precisamente, Namjoon era in classe con Yoongi e Jimin che già erano conoscenti di vista; Yoongi conosceva Taehyung, dato che entrambi avevano vissuto a Daegu; il migliore amico di Taehyung era Jungkook, che ancora era uno studente delle medie; Jungkook frequentava un corso di danza con Jimin; Jimin aveva detto a Namjoon di voler conoscere il suo ragazzo, Seokjin. 
Alla fine, gira che ti rigira, capitava spesso che la compagnia con cui si usciva fosse sempre formata dagli stessi elementi, per cui lo avevano reso ufficiale. Avevano deciso di comune accordo che questa fitta rete di conoscenze sarebbe stata da sbrogliare entro la fine del primo anno. Così avevano cercato un locale in centro che potesse intermediare tra le abitazioni di tutti, che non fosse troppo affollato e costoso per non creare disagi a nessuno. 
Cup's aveva subito fatto al caso loro: era in un angolo un po' appartato, invisibile a chi non sapeva della sua esistenza, la sua entrata confusa tra vari edifici dall'aria un po' austera. Serviva principalmente la colazione, ma vendeva anche cose salate e piatti caldi, in modo da garantirsi una clientela anche durante l'orario del pranzo e della cena. 
I ragazzi avevano potuto constatare che la clientela era principalmente formata da famiglie con i loro bambini, lavoratori e qualche studente come loro, rendendolo un posto tranquillo e piacevole. Anzi, talvolta erano proprio loro a risultare i più chiassosi.
E dopo tre anni eccoli ancora lì, sempre insieme, sempre allo stesso tavolo. 
Il personale ormai li conosceva: le cameriere sorridevano loro quando li vedevano entrare tutti insieme e l'omaccione che stava chiuso in cucina sapeva perfettamente quanti caffè, thè o cappuccini costituivano il loro solito ordine. Lasciavano sempre che l'affiatato gruppetto occupasse il tavolo fino all'orario di chiusura anche se avevano finito di consumare ore prima; capitava spesso che Cup's si ritrovasse ad essere sede dei loro studi o delle loro ricerche scolastiche.
Andare da Cup's per la colazione era una tradizione, così come quella di farlo la domenica, nei giorni festivi o in quelli lavorativi in cui l'entrata a scuola era posticipata di un'ora o due. 
E, se non si fosse già capito, per il gruppo le tradizioni erano una cosa seria.
Così, anche quel primo novembre, il giorno di Ognissanti, si erano dati appuntamento. Per l'occasione Cup's era stato decorato in pieno stile Halloween, dai servizi di piatti di porcellana decorati da disegni di zucche e pipistrelli, alle foglie autunnali dei centrotavola, mantenendo l'aria un po' rustica che lo contraddiceva. 
Anche quella mattina, come tutte le mattine, il gruppo si era disposto al tavolo secondo un ordine ben preciso, proprio come si fa in famiglia. Una sola volta in quattro anni avevano provato a scambiarsi di posto, ma l'esperimento pareva aver disorientato tutti quanti. 
Essendo in sei persone si erano divisi in due, tre per ogni panca modulare. Jungkook sedeva tra Yoongi e Taehyung, che fronteggiava Namjoon. Alla sinistra di quest'ultimo c'era Seokjin, i due piccioncini che non smettevano di mettersi le braccia intorno alle spalle neanche quando mangiavano, e infine Jimin. 
L'unica cosa ad essere diversa dal solito era quell'ultimo posto ancora vacante.
Appena le due cameriere sparirono dietro il bancone, Jungkook e Taehyung fecero subito per allungarsi verso il cestino di biscotti, ma Namjoon schiaffeggiò loro le mani.
"Non aspettiamo Jimin?" chiese il ragazzo, il punto interrogativo nel suo tono di voce molto retorico. 
I due si guardarono negli occhi, l'aria un po' colpevole per non aver pensato prima all'amico. Jungkook tornò subito ad appoggiarsi allo schienale di legno. Lo stomaco di Taehyung brontolò in protesta.
"Ma chissà quando arriverà quello lì. Di sicuro ieri sera avrà fatto tardissimo, sarebbe capace di farci aspettare per ore..."
Namjoon appoggiò il mento sul palmo della mano, rifilando a Taehyung un'occhiata storta per la sua poca fede.
Battendo su quei suoi capelli scuri, la luce artificiale ne mostrava chiaramente i riflessi verdastri, il pessimo risultato di una tinta sbagliata. Il suo volto appariva ancora più stanco, I lineamenti morbidi più marcati del solito.
Se ne era accorse Seokjin che subito prese ad accarezzargli la nuca con fare preoccupato. 
"Arriverà, arriverà." rispose allora quest'ultimo, senza guardare direttamente Taehyung. 
C'erano certe volte, come quella, che Seokjin, più che il ragazzo di Namjoon, sembrava il suo interprete. Come se servisse un intermediario tra le parole e i pensieri del primo e il resto del mondo.  
Taehyung annuì con la testa ed imitò Jungkook, gli occhi che vagavano per il locale alla ricerca di una distrazione qualsiasi per ammazzare il tempo. 
La cosa durò più o meno sette secondi, poi lo stomaco gli brontolò di nuovo. 
"E se io e Kookie intanto andassimo a saldare il conto? Così almeno prendiamo il lecca-lecca omaggio." 
"Ma se ne avete letteralmente un sacco pieno con voi." gli fece notare Seokjin.
"Tecnicamente è una federa per cuscini."
"Lecca-lecca omaggio?" fece Nam, sollevando il capo. 
Taehyung annuì per la seconda volta, un sorriso piccolo piccolo sul viso. 
Si sarebbe vergognato un po' ad ammetterlo, ma si era intristito per un attimo. Voleva un bene dell'anima a Namjoon, odiava sentirsi anche solo minimamente responsabile per il suo morale basso. In confronto a lui, Taehyung si vedeva solo come un ragazzino frivolo e viziato. 
"Sono per i clienti venuti in maschera, Joonie. Più precisamente per i bambini." spiegò Seokjin, scoccando una frecciatina ai due ragazzi di fronte a loro.
"Non disperare, Jin" disse Jungkook, unendosi alla conversazione con quello che non si poteva non descrivere come un sorriso birichino. "Con quei capelli potreste sempre dire di esservi travestiti rispettivamente da alga e da salmone crudo. Avrete anche voi il vostro lecca-lecca." 
Seokjin puntò un dito accusatore contro Jungkook, il collo che già gli si arrossava. 
Lo abbassò quando sentì Namjoon ridacchiare alla sua destra. 
Si voltò verso il suo ragazzo, un'aria offesa così falsa che neppure lui riusciva a stare serio. "Tu, traditore. Avevi detto che il rosa mi dona." 
La risata di Namjoon si fece più forte quando Seokjin si mise a scansare il suo tocco con l'espressione più indignata di sempre. Stringeva la mano dell'altro tra i palmi e l'abbassava ogni volta che faceva per avvicinarglisi, scuotendo la testa. Quindi Namjoon lo attaccava con la mano libera che a sua volta veniva braccata. Così, in un gioco infinito di mani. 
Alla fine Seokjin gli prese entrambe le mani contemporaneamente e Namjoon si chinò in avanti per baciarlo. 
Taehyung e Jungkook si scambiarono un'occhiata. E poi erano loro i bambini.  
Senza dire altro (e a chi avrebbero dovuto? Quei due erano troppo presi a succhiarsi la faccia, Yoongi non si staccava dal cellulare), scorsero dalla panca e si diressero verso il bancone. 

(9) November 1st, 2015 - Sunday

Un gentile "Mi scusi?" detto alle sue spalle fu l'unico preavviso dell'arrivo dei clienti che le venne dato. 
La cameriera si voltò, ancora intenta a sistemare per bene la miriade di monetine con cui un cliente aveva pagato la sua colazione. 
I suoi denti vennero scoperti automaticamente da un sorriso quando vide chi stava dall'altra parte del bancone. Per non parlare del fatto che la cicca che stava masticando quasi gli scese in gola quando notò tutto il resto.
Non appena il cliente precedente e quel suo orribile giubbotto color porpora uscirono dalla sua visuale, poté vedere quei due ragazzi spalla contro spalla, lo stesso identico costume addosso. Forse dire costume era dire troppo; parevano più dei vecchi pigiami un po' retrò pescati in chissà quale cantina, con l'orlo rovinato e i bottoni allentati. 
La cameriera non era sicura se fossero adatti per Halloween o meno. Per quel che ne sapeva lei, i due avrebbero potuto indossarli anche solo per dimostrare come continuassero ad essere attraenti anche conciati a quel modo. E non avrebbero avuto tutti i torti, per giunta. 
Ma il colpo di grazia erano quel paio di lenti a contatto azzurre che entrambi portavano. Se qualcuno glielo avesse chiesto, lei non sarebbe stata in grado di scegliere a chi stessero meglio.
Anzi, il vero colpo di grazia era che andavano in giro insieme. Se non fosse stato che i capelli di uno erano tinti di un prepotente biondo color limone mentre quelli dell'altro erano castani avrebbero sicuramente trovato un qualche modo per divertirsi con la sanità mentale della gente. Sembravano due gemelli, a guardarli così.
Il mondo poteva sopportare tanta bellezza? La cameriera non lo sapeva. Di sicuro lei faceva fatica. 
"Come posso esservi utile?" chiese in automatico, sperando con tutta sé stessa di non essere arrossita.
"Ci puoi dare i lecca-lec-" 
La richiesta del biondo fu interrotta da un pizzicotto ben assestato al suo braccio da parte del castano. 
"Vorremmo saldare il conto." intervenì, rubando la parola all'altro.
La cameriera lanciò loro un paio di sguardi allarmati mentre batteva sui tasti della cassa.
I due si erano messi a bisticciare. Jungkook, o come le era parso di capire che si chiamasse il castano, rimproverava l'altro a furia di mormorii per la sua naturale indelicatezza, guadagnandosi un becco da parte di Taehyung, il biondo. 
Quest'ultimo si teneva il braccio colpito con una mano, bisbigliandogli di rimando che doveva imparare a dominare la sua forza. A sentire questo, l'atteggiamento di Jungkook cambiò immediatamente: il taglio dei suoi occhi parve farsi più morbido quando si mise a tastare con delicatezza il braccio dell'amico, chiedendogli se davvero gli avesse fatto male. Taehyung gli sorrise mite e gli fece segno di no con la testa. 
I due tornarono a rivolgersi verso la cameriera quasi simultaneamente. I loro visi erano sereni, il braccio di uno intorno alla schiena dell'altro e viceversa. 
Lo scontrino non aveva fatto in tempo ad iniziare a fuoriuscire dalla cassa ed essere strappato dal resto del rullo che quei due avevano iniziato a litigare, avevano discusso e si erano riappacificati. 
Cosa saranno stati, dieci secondi? Meno? 
Se non fosse stato incredibilmente strano, la cameriera avrebbe applaudito. 
I ragazzi pagarono la colazione di tutto il tavolo, i soldi già contati in precedenza. 
Il viso di Taehyung si illuminò quando la cameriera posò una manciata di lecca-lecca nel minuscolo vassoino apposito per scambiarsi il resto delle monete. 
Jungkook ringraziò educatamente, chiedendole se fosse sicura di potergliene dare così tanti. Dopotutto, ad essersi travestiti erano solo in due. 
Lei fece un gesto dissimulato con le mani, dicendo qualcosa riguardo al fatto che per gli habituè di Cup's si poteva fare un'eccezione. 
I ragazzi stavano per allontanarsi dopo aver chinato il capo in segno di ringraziamento, i bastoncini dei lecca-lecca stretti in mano, quando si ricordarono all'improvviso di una cosa. Tornarono subito al bancone, quei quattro fanali azzurri che avevano al posto degli occhi ravvivati da una nuova luce. 
La cameriera cercava di seguire il discorso che stava andando avanti tra i due per capire se ci fosse qualcosa di sbagliato nello scontrino o altro che potesse fare per loro, ma era impossibile. I due si erano messi a parlottare fitti fitti, accordandosi su qualcosa.  
Lei si stupì, ma non troppo, quando gli parve di sentir parole come anniversario, dolce e prenotare. 
Sarà stato poco professionale ma non poté frenare la propria curiosità. Dopotutto osservava da lontano quel gruppo di ragazzi più spesso di quanto uscisse con i propri amici. Dover lavorare era sempre una rottura di scatole, ma in tutti quei mesi di part-time loro erano stati decisamente utili a far scorrere le lancette dell'orologio più in fretta. 
Taehyung e Jungkook neanche sentirono la domanda. Erano troppo presi a biasimarsi l'uno con l'altro per aver quasi dimenticato l'anniversario del loro primo incontro. 
Se uno sconosciuto si fosse limitato ad ascoltare la conversazione si sarebbe preoccupato, ma bastava una sola occhiata per capire che non ce n'era affatto bisogno. I due battibeccavano come bambini, con tanto di labbro inferiore sporgente e dito puntatore. 
A detta di Taehyung, avevano già parlato della questione in lungo e in largo, programmando minuziosamente come avevano intenzione di festeggiare. Jungkook in tutto questo non ricordava nemmeno di aver sollevato l'argomento. 
Ma davvero, quando è che l'avrebbero fatto? Avevano passato tutta la serata precedente ad accompagnare Eonjin e Jeonggyu, rispettivamente la sorellina e il fratellino di Taehyung, a fare dolcetto o scherzetto per tutto il vicinato. Okay, poi si erano visti dei film insieme, ma si erano limitati a commentare quanto fosse penoso il trucco di certi zombie.
Jungkook lo fece presente a Taehyung che si prese un attimo per pensarci sopra. 
Un piccolo sorriso gli crebbe all'angolo della bocca quando lasciò vagare la mente nei ricordi della serata precedente. Non c'era stato molto tempo per parlare, doveva ammetterlo. Forse Taehyung si era ritrovato a rimuginarci durante la notte, convincendosi così di aver interpellato Jungkook. 
La cosa non era da escludere a priori. L'evento era di fondamentale importanza per Taehyung, non c'era da riderci sopra. 
Era il quarto. Il quarto anniversario da quando aveva capito che se avesse cercato sul dizionario la definizione di amico di fianco ci sarebbe stato il nome di Jungkook. E tra i sinonimi avrebbe benissimo potuto trovare: uno, migliore amico; due, complice; tre, braccio destro; quattro, spalla su cui piangere
Loro due erano semplicemente i migliori amici per eccellenza. Con il tempo si era sviluppata una tale affinità tra i loro modi di pensare che bastava loro scambiarsi pochi sguardi d'intesa per comprendere battute mai fatte ad alta voce e ridersela a crepapelle. Il cibo preferito di uno era diventato anche quello dell'altro, si dividevano le spese per i videogiochi troppo cari. Le loro madri erano talmente abituate a trovarsi l'amico del figlio per la casa che avrebbero potuto benissimo adottarseli a vicenda. 
Senza contare che c'era la possibilità che l'anno a venire non avrebbero potuto festeggiare insieme. Jungkook ancora non aveva ricevuto notizie, ma Taehyung sapeva con certezza che il ragazzo sarebbe stato accettato a quel programma per studiare all'estero a cui si era iscritto. 
Il solo pensiero della partenza di Jungkook fece evaporare qualsiasi traccia di testardaggine nel biondo. Ammise di non ricordare effettivamente l'occasione in cui ne avevano parlato. Tutto pur di riportare il loro rapporto all'equilibrio perfetto a cui erano abituati. 
Tre secondi dopo i due stavano già valutando serenamente se preferissero la crema alle nocciole o la marmellata. 
La commessa osservò come la questione si fosse risolta per una seconda volta in un batter d'occhio. Ci era voluto un po' più di tempo rispetto la precedente, ma considerando l'argomento puntiglioso era davvero un record. 
A questo punto la ragazza avrebbe fatto loro una standing ovation, invece si schiarì la gola, prima di ripetersi. 
"Non sapevo foste una coppia."
Un bicchiere d'acqua gettatogli in piena faccia avrebbe più o meno sortito lo stesso effetto sorpresa. I due si zittirono subito. 
Privato del loro chiacchiericcio in un modo così repentino, il locale sembrava due volte più silenzioso. Le bocche dei due ragazzi erano rimaste semi aperte, la loro attenzione ora su di lei. 
Il biondo fu il primo a riprendersi. Ridacchiò, appoggiando una mano sul fianco dell'altro in modo giocoso. Non era certo la prima volta che succedeva una cosa del genere. 
Jungkook non reagì alla sua provocazione. Aveva i suoi occhi piantati in quelli della ragazza, così intensi dietro quello strato artificiale di azzurro. Il suo viso bambino era diventato improvvisamente serio, come se qualcuno avesse premuto un interruttore. 
"Non lo siamo." disse in un tono che voleva essere pratico. "Solo amici." 
La cameriera si sentì subito in dovere di scusarsi. Si era forse offeso perché lei gli aveva dato implicitamente dell'omosessuale? 
D'altro canto, il ritrovato buon umore di Taehyung non era stato minimamente scalfito. Appoggiò il mento sulla spalla di Jungkook, correggendolo.
"Migliori amici."
La cameriera chiese scusa per aver frainteso con più leggerezza possibile e cercò di spingere la conversazione sul tipo di dolce che, a quanto aveva capito, i due volevano che Cup's gli facesse trovare in un determinato giorno. 
Jungkook lasciò a Taehyung il compito di spiegare tutto. Si limitò ad annuire di tanto in tanto, le dita che giocherellavano distrattamente con i bastoncini dei lecca-lecca, lo sguardo caduto a terra. 

(10) November 1st, 2015 - Sunday

Yoongi non alzò neanche gli occhi quando Taehyung e Jungkook lasciarono il tavolo. 
Vestito con uno dei suoi soliti felponi abbondanti che lo facevano sembrare ancora più piccolo di costituzione di quanto non fosse di suo, la zazzera di capelli neri trascurata che gli sfiorava le ciglia, teneva gli occhi abbassati sulle proprie gambe, dove aveva appoggiato il cellulare. 
Dato che se non erano al completo non potevano mangiare, si era detto che fino al momento in cui non avessero toccato cibo lui sarebbe potuto stare al telefono a tavola senza sentirsi maleducato. 
Rifilò solo un'occhiata veloce al suo caffè nero quando gli venne posato davanti agli occhi da una delle cameriere, il tipico aroma invitante che raggiunse le sue narici. Il bisogno di berlo e scrollarsi il sonno di dosso una volta per tutte era impellente, ma bastò un'occhiata al posto a sedere ancora vuoto di fronte al suo per frenarlo. 
Yoongi guardò quella parte esposta dello schienale in legno. Guardò quella tazza di cioccolata calda con il rispettivo cucchiaino appoggiato ordinatamente sulla tovaglia e si chiese se lui sarebbe mai arrivato in tempo per fare colazione. 
Probabilmente, considerando quella che già era una mezz'ora di ritardo rispetto all'orario prefissato, da lì a poco uno di loro avrebbe ricevuto un messaggio che diceva di iniziare senza di lui. Il che lasciava implicito il fatto che se la sarebbe presa comoda con chiunque si fosse svegliato e sarebbe arrivato quando ormai avevano finito. O magari non sarebbe arrivato affatto. 
Intanto caldi rivoli di fumo avrebbero continuato a uscire da quella tazza di cioccolata, raffreddandola.
Prima che se ne potesse rendere conto, le mani pallide di Yoongi si erano già allungate sopra il tavolo. Avevano sollevato la tazza per il manico e avevano sfilato il piattino da sotto, posizionandolo delicatamente sopra al bordo di essa, come un coperchio. 
Il ragazzo tornò al suo cellulare come niente fosse, ignorando il sorriso dolceamaro che Seokjin gli rivolse. 
Il suo pollice continuò a scrollare la home di Instagram senza che lui prestasse veramente attenzione a quella sfilata di pose, costumi ed espressioni ammiccanti; la foto più decente che aveva trovato era quella di Jungkook e Taehyung, in compagnia dei fratellini di quest’ultimo. Yoongi era deciso a chiudere l'app nel tentativo di salvare i giga del suo contratto internet per qualcosa di meno futile quando, aggiornando di riflesso un'ultima volta, comparve una foto.
Il suo primo istinto fu quello di chiudere immediatamente tutto e cacciarsi il cellulare in tasca. Peccato che i suoi occhi avessero indugiato un secondo di troppo ed ora gli era impossibile distoglierli. 
L'immagine era stata appena caricata da Fred Johnman, un suo vecchio compagno di scuola risalente alle elementari. Non aveva mai avuto una vera e propria conversazione con il tizio in questione ma, seppur considerando che non lo vedeva da un bel po' di tempo, quello raffigurato non era di certo lui. 
La fotografia era sgranata e mossa, una luce giallo ocra che modificava quelli che dovevano essere i colori naturali. Sullo sfondo si intravedeva un letto ancora ben fatto e una parete spoglia. In primissimo piano, sulla destra, c'era Jimin.
I suoi occhi erano fuori dall'inquadratura, così come la maggior parte del suo naso, ma sulla sua identità non c'erano dubbi. Yoongi avrebbe riconosciuto la forma di quel sorriso ovunque, con o senza quel rossetto scurissimo che terminava in una sbavatura. 
Era girato di tre quarti, la postura curva della schiena che suggeriva la sua posizione seduta. Nel quadrato che Instagram concedeva era ripreso solo per mezzo busto, ma questo non aveva impedito alla sua spalla nuda di rientrarci. Confuso dalle grinze della stoffa e dalle ombre, pareva che Jimin fosse stato catturato mentre si sfilava la maglia di dosso. Da destra sbucavano quelle sue dita infantili, intente ad allentare un collarino di stoffa sottile che presto non gli avrebbe più circondato il collo. 
Come a voler dare l'ennesima prova che si trattasse proprio di Jimin, il suo orecchino a forma di croce penzolava dal lobo dell'orecchio, un scintillante punto luce che bucava lo schermo.
L'intimità che trasudava quella foto fece contrarre lo stomaco di Yoongi. Il modo in cui l'angolo di quella bocca maliziosa era piegato, la leggiadria e la sensualità di quelle dita lo fecero sentire un guardone.
La didascalia sotto la foto si limitava ad un banale #Halloween2016 con tanto di emoticon a forma di zucca. Il profilo di Jimin non era stato taggato, ma nei già numerosi commenti il suo nome aleggiava ovunque, tra gli insulti nei suoi confronti e le lodi per Fred. 
Per poco il cellulare non cadde di mano a Yoongi quando Jungkook gli rifilò una gomitata al braccio nel tornare a sedersi. Il castano si voltò verso di lui per scusarsi con un cenno della mano. 
Taehyung, dall'altra parte della panca, allungò un braccio davanti a Jungkook, passando a Yoongi uno dei tanti lecca-lecca.
"E questi da dove li avete tirati fuori?" chiese quest'ultimo, non davvero interessato alla risposta della sua stessa domanda. 
Jungkook non batté ciglio davanti alla sua espressione corrucciata. Erano tutti piuttosto abituati a vederla. 
"Li davano in omaggio se venivi travestito per Halloween." 
Yoongi squadrò i due ragazzi dall'alto verso il basso. "E voi due chiamate quello un travestimento?" 
Taehyung si sfilò dalla bocca il lecca-lecca per parlare, tenendoselo a pochi centimetri dalle labbra. 
"E' stato Jungkook a sceglierli." disse, il dito puntato verso l'amico e gli occhioni grandi da bambino. L'accusato si girò verso di lui, il naso appena corrucciato in un'espressione indispettita. Quando fece per addentare quel dito, Taehyung lo ritirò velocemente, un sorriso che traboccava dal suo viso mentre tentava di tenere lontano per le spalle l'altro e la sua ira.
La bocca di Yoongi si piegò in una smorfia. "Strano."
Taehyung alzò lo sguardo su Yoongi, scoprendo dai suoi occhi rudi che il destinatario di quell'ironia era proprio lui.
Ma cos'era, la giornata internazionale di Roviniamo l'umore a Kim Taehyung? No, perché lui credeva fosse quella di Ognissanti.
Il cellulare di Yoongi con la foto incriminata scivolò dentro il tascone della sua felpa,  raggiunto poco dopo dal lecca-lecca intoccato.
Jungkook catturò l'attenzione di Seokjin, distraendolo dal notiziario mandato in onda in una piccola televisione che invece Namjoon continuò a seguire. Una delle caramelle gli venne passata da sopra il tavolo. 
Anche se non si sarebbe detto dalle guance paffute e dai capelli rosa, Seokjin era un anno più grande di tutto il resto del gruppo e proprio quell'anno stesso avrebbe finito le scuole superiori. Un po' per quello, un po' per una sua indole caratteriale, era disponibile e affabile con gli altri cinque ragazzi, sempre pronto a dare consigli e ad aiutare nel momento del bisogno, ad essere il fratello maggiore che non tutti avevano avuto. Il suo ragazzo escluso, ovviamente. Anche ai tempi in cui l'aveva conosciuto, Namjoon aveva sempre avuto le idee chiare sui suoi principi e valori, una maturità mentale alla pari con la sua, se non adulta, che lo aveva affascinato da subito.
Seokjin era sul punto di scartare il lecca-lecca quando lo scampanellio dello scacciapensieri appeso alla porta di Cup's annunciò l'arrivo di un nuovo cliente. 

(11) November 1st, 2015 - Sunday

Il capo di Yoongi sprofondò verso il basso mentre i ragazzi seduti al tavolo con lui si ravvivarono tutti, felici di poter finalmente iniziare a far colazione.
Senza smettere di attraversare il breve tragitto che lo separava da loro, Jimin si sfilò il cappotto, evidentemente sollevato dal calore che aleggiava nel locale. La matita nera con cui si era truccato la sera precedente gli era crollata sotto gli occhi e sia la chioma grigia che la vestita succinta avevano l'aria un po' scarmigliata, ma per quello non si era fatto tanti problemi; dopotutto si trattava solo di una colazione in compagnia dei suoi migliori amici. 
Taehyung e Jungkook notarono entusiasti il cerchietto con le orecchie da gatto, facendo partire una serie di ovazioni quando Jimin mostrò a loro (e a tutto il resto della clientela di Cup's) la profonda scollatura sulla schiena, una distesa di pelle olivastra in quel completo total black.  
"Visto, non siamo gli unici ad essere venuti in costume!" esclamò Taehyung all'indirizzo di Seokjin. "Jimin, li abbiamo già presi io e Kookie i lecca-lecca, ti sei travestito per niente." 
Jimin mollò il proprio cellulare sul tavolo e appoggiò il cappotto sulla sua parte di schienale, rimanendo in piedi. La sua voce si fece calda e promettente, più per far divertire i suoi amici che per una sua malizia. 
"In realtà non me lo sono tolto da ieri sera. O meglio, me lo hanno tolto due volte, ma non avevo un cambio con me."
Quattro dei cinque ragazzi sorrisero, ridacchiarono o si limitarono a scuotere la testa, consapevoli di non dover mai dare troppa corda al ragazzo quando se ne usciva con questo tipo di affermazioni; nessuno di loro voleva davvero scoprire quanta verità ci fosse dietro quelle che parevano battute. 
Avevano imparato ad adattarsi e ad amare anche questo lato scabroso di Jimin, apprezzandolo e trovandolo divertente quando lui per primo ci scherzava sopra. Chi li ascoltava poteva fraintendere il suo atteggiamento e scambiarlo per vanità, finendo per ritenerlo un ragazzo superficiale e civettuolo, ma la realtà era che non lo conoscevano. 
Jimin non aveva mai ferito nessuno di proposito nell'andare a letto con le persone solo per puro e semplice svago. Alla fine della fiera si trattava solo di due o più corpi che bruciavano calorie insieme in un modo alternativo neanche tanto creativo, e dato che lui non era né fidanzato né sottomesso a un qualche contratto di castità non vedeva cosa ci fosse di male. 
Il fatto che la sua vita sessuale fosse più attiva della norma non cambiava la persona che sapeva di essere. Non significava che i suoi principi sulle relazioni in cui entrava in gioco l'affetto valessero meno di quelli degli altri, ma questo sembravano ignorarlo in molti.
Come d'abitudine, Jimin fece il giro del tavolo per posare un bacio veloce sulla guancia di Taehyung, il bastoncino del lecca-lecca che gli graffiò appena il mento. Poi la bocca di Jimin volò sull'angolo di quella di Jungkook con leggerezza, quest'ultimo che aveva rovesciato il capo all'indietro sullo schienale. 
Il castano fece subito una faccia schifata e si raddrizzò tutto, Jimin attaccò a ridere a crepapelle. 
Nell'automatismo di quello che per il gruppo era ancora il rituale di abbracci e saluti del buongiorno, poteva capitare che si prendesse male la mira su certe cose. Nessuno ci dava più troppo peso, ormai. 
Jungkook si stava ancora strofinando il dorso della mano contro la faccia quando fu colpito da una fitta di mal di testa. Serrò istintivamente gli occhi e si portò una mano alla fronte, massaggiandosi le tempie. 
Era una sensazione strana, come se un ago lo avesse punto sulle labbra. Il dolore era sottile, ma infido. 
Solo dopo essersi seduto Jimin notò il cambio di atteggiamento nell'amico. Per una manciata di secondi lo vide dolorante, perso. 
Poi le pieghe sulla fronte di Jungkook si distesero, il male improvviso svanito così come era arrivato. Il suo corpo parve rilassarsi tutto, come se non fosse mai successo niente. 
L'unica differenza che sarebbe potuta essere visibile agli altri era stata celata da quel paio di lenti a contatto azzurre. Le pupille di Jungkook assunsero un colore metallico, tornarono neri e poi di nuovo dorati, fino a quando non sfumarono nel loro colore naturale. 
Nel guardarlo Jimin sentì chiaramente un sapore di mela contro la lingua. 
Jungkook alzò gli occhi, incontrando i suoi. Si fissarono confusi, consapevoli che qualcosa non andasse.  
Jimin si scosse, recuperando un sorriso al volo. Prima di togliersi i guanti ed infilarli su per una manica del cappotto, si sfilò le orecchie da gatto dai capelli argentei e le sistemò sulla testa di Seokjin, al suo fianco. Il ragazzo sorrise, piacevolmente stupito, andando subito a tastare il cerchietto con le mani; si voltò verso Namjoon che gli sorrise a bocca chiusa. Sempre lui allungò una mano per raddrizzargliele e con quella stessa mano scese a stringergli delicatamente il mento per dargli il terzo bacio della giornata. 
Nel frattempo, Jimin aveva tolto il piattino da sopra la propria tazza e aveva morso uno dei biscotti del cestino dopo averlo affondato nella cioccolata calda, affamato. In un qualche modo vedere come un gesto così piccolo da parte sua avesse scaturito quel momento di tenerezza tra la coppia gli aveva stretto il cuore.
"Saresti benissimo potuto tornare a casa tua per cambiarti e farci aspettare ancora. Così fai schifo." 
L'atmosfera allegra e calorosa che contraddiceva Cup's parve essere spazzata via dalla voce tagliente di Yoongi. 
Le tazze e i dolci che tutti i ragazzi si stavano finalmente portando alla bocca rimasero a mezz'aria, le loro espressioni festose scemarono appena. Si sforzarono per non voltarsi verso la fine del tavolo e continuare a mangiare come nulla fosse. Il silenzio che piombò sul gruppo era comunque carico di disagio. Non serviva un genio per capire a chi si stesse riferendo.
Yoongi sorseggiò un goccio del suo caffè nero senza alzare la testa, i capelli che nascondevano i suoi occhi alla vista. 
Di fronte a lui, un'espressione bianca non fece neanche in tempo a formarsi sul volto di Jimin, già sostituita da un sorrisetto ammiccante. Quest'ultimo si piegò in avanti sul tavolo, come per non voler essere sentito, le mani aggrappate al bordo in legno. 
"Che c'è, l'odore ti fa bruciare l'astinenza?" sussurrò. 
Il suo tono era scherzoso, forzatamente accattivante, lo stesso che aveva usato al suo arrivo con gli altri ragazzi. 
Jimin si era rivolto a Yoongi guardandolo da sotto le ciglia, le palpebre ancora striate di matita nera. Tutto quello che poteva vedere dell'altro erano una cascata di capelli mori e la pelle quasi diafana della metà inferiore del suo viso. Sicuramente tanto pallore era dovuto alla stagione, ma il ragazzo gli parve esangue. 
Poi l'altro alzò il capo e Jimin desiderò subito che avesse continuato ad ignorarlo. Un rancore duro e piatto parve traboccare da quegli occhi un po' incavati, tutto riservato solo ed unicamente a lui. 
Le parole seguenti di Yoongi furono appena udibili, ma sputate con cattiveria. 
Piantò il suo sguardo fisso in quello di Jimin, ignorando il modo in cui le sue labbra si separarono appena o il modo in cui le punte di una ciocca argento sfioravano una guancia all'apparenza morbida. 
"Sei proprio una troi-"
"Ragazzi," esclamò Namjoon appena in tempo, sovrastando la sua voce. "Calmate i bollenti spiriti. Siamo qui per fare colazione insieme e goderci la mattinata di libertà. Non voglio discussioni." 
La stessa occhiata di biasimo venne lanciata ad entrambi, l'aria terribilmente adulta che era motivo di tanto rispetto per il ragazzo dai capelli verdi. Seokjin, Taehyung e Jungkook si voltarono verso di lui, grati di quell'intervento; quando la loro attenzione si spostò nuovamente sui due in fondo al tavolo non poterono evitare di sembrare tutti mortificati. 
Yoongi aveva nuovamente abbassato il viso, le mani affondate nella tasca della felpa, la linea della bocca piatta. Jimin era tornato ad appoggiarsi allo schienale, la gola asciutta e la facciata più impenetrabile che gli riuscisse. 
La cosa divertente di tutto quello era che, a dispetto di quello che poteva dettare la logica, tutti ebbero un moto di pietà nei confronti di Yoongi. 
I minuti passarono. Il silenzio venne riempito solo dal suono tintinnante delle posate contro la ceramica e dallo sgranocchiare dei biscotti. 
Fortunatamente Seokjin riuscì a rompere il ghiaccio, chiedendo agli altri se per la sera avessero qualche piano in particolare. A malincuore, Jungkook dovette rifiutare, già impegnato con un intenso programma di studio, mentre Taehyung ricordò al gruppo che quel pomeriggio stesso sarebbe arrivato in città suo cugino Hoseok, per cui avrebbe speso l'intera giornata in sua compagnia. 
Seokjin annuì con la testa, già progettando dove potessero andare lui e il suo ragazzo da soli. Non provò neanche a chiedere agli altri due componenti del gruppo, sapendo già che in quel momento non erano certo dell'umore per parlare e organizzarsi. 
Alla fine i sei terminarono di far colazione e ringraziarono ancora il personale di Cup's, per poi separarsi all'uscita in coppie o trii per fare le varie strade di ritorno verso casa in compagnia. 
Tutti imbacuccati nelle loro sciarpe e nelle loro giacche, l'escursione termica tra l'interno di Cup's e le strade di Seul che arrossava loro i nasi, si salutarono, augurandosi di vedersi il giorno a seguire. 
Jungkook, Taehyung e Yoongi imboccarono subito una via laterale, Seokjin ne prese una seconda, mentre Jimin e Namjoon rimasero un altro minuto fermi a parlare. 
Taehyung e Jungkook erano così presi dalIa loro discussione su un qualche nuovo videogioco che non si accorsero quando, al momento di svoltare, Yoongi si fermò per allacciarsi una scarpa. Le sue dita piegavano e stringevano le stringhe tra di loro senza neanche guardarle, la sua attenzione che correva una trentina di metri più indietro.
Jimin era ancora lì, una figura alta quanto una spanna tutta in nero. Ora che era rimasto solo con Namjoon la sua postura pareva più rilassata, ma il ragazzo non aveva più sorriso da quell'infelice scambio di battute.
Yoongi aveva la parola scusa incastrata in gola, ma si affrettò a mandarla giù.
Distolse lo sguardo quando passò per di lì un minivan nero, interrompendo il contatto visivo. Si rimise in piedi e andò dietro agli altri due.

(12) November 1st, 2015 - Sunday

Sotto la luce artificiale che vigeva dall'alto le lunghe strisciate di evidenziatore giallo apparivano lucide. Jungkook ne tirava una dopo l'altra, probabilmente sottolineando dati meno fondamentali di quel che credeva. 
Era seduto a gambe incrociate sul proprio letto da quelle che parevano ore, i libri di scuola aperti sulle ginocchia e tutt'intorno a lui. Sua madre avrebbe dato di matto nel vedere tra le coperte, oltre a fogli volanti e penne, anche trucioli di gomma. Quando succedeva il ragazzo si giustificava dicendo che quello scempio era il risultato del suo profondo impegno nello studio, ma la madre si limitava a sorridere alla battuta e a portargli l'aspirapolvere.
Le dita di Jungkook tamburellavano in modo assente sulla copertina rigida di un dizionario d'inglese pericolosamente vicino all'orlo del materasso. Da lì a poco avrebbe dovuto affrontare per la seconda volta nella sua vita un test di lingue straniere. Non riteneva di averne bisogno, ma senza il certificato che avrebbe ottenuto non sarebbe nemmeno stato preso in considerazione per lo scambio culturale a cui voleva partecipare.
Quell'anno di studi all'estero era il meglio che potesse desiderare. Sognava di farlo da quando era in prima, incantato dagli aneddoti che il fratello maggiore gli raccontava sempre riguardo quell'esperienza che, come gli ripeteva in continuazione, gli avrebbe aperto la mente
Da programma, Jungkook sarebbe dovuto volare in Europa l'anno precedente ma, nonostante avesse già fatto richiesta e si fosse iscritto al test, alla fine si era ritirato. Aveva detto a tutti di sentirsi impreparato per  affrontare una situazione del genere così giovane e che avrebbe riprovato l'anno dopo. 
Adesso il ragazzo era in terza e la quarta sarebbe stata la sua ultima occasione per aderire al progetto: alla fine del quinto anno tutti gli studenti erano sottoposti all'esame e non avrebbe potuto sostenerlo senza frequentare regolarmente. 
Perciò era o quell'anno o mai più. Mostrarsi insicuri una seconda volta avrebbe significato perdere l'opportunità. 
Jungkook controllò l'orario sul cellulare. Sospirò di stanchezza, vedendo che era arrivato il momento di mettere da parte i libri. Impilò tutti i tomi uno sopra l'altro e li appoggiò a terra, la scrivania già occupata dal computer e da altre cose. Si infilò il pigiama e sgombrò definitivamente il letto prendendo le coperte e scuotendole vigorosamente, promettendosi che avrebbe spazzato il pavimento l'indomani. 
Finalmente poté sdraiarsi, il corpo appesantito dalla giornata passata con i parenti. Alla fine si era ritrovato così stanco che lo studio serale, il motivo per cui aveva dato buca ai suoi amici, non era stato particolarmente fruttuoso. Jungkook ormai si riteneva pronto per affrontare e superare quell'esame, ma quella stupida inerzia da parte sua lo infastidì lo stesso. 
Il castano rispose agli ultimi messaggi e impostò la sveglia per la mattina dopo. L'interruttore della abat jour sul comodino gli sembrò troppo lontano quando le palpebre pesanti di sonno lo pregarono di chiudere baracca e burattini. 
Il tentativo di Jungkook di accumulare forza mentale per compiere quell'ultimo gesto prima dell'agognato riposo divenne vano dopo che il ragazzo si girò su un fianco. Il tepore delle coperte lo invitava a non muoversi più, a non cacciare un braccio fuori al freddo. 
Alla fine si costrinse ad allungarne uno alla cieca, ma urtò una cornice che cadde all'indietro, appiattendosi sul comodino. 
Spaventato dal rumore neanche troppo forte ma improvviso, Jungkook strabuzzò gli occhi. Afferrò un lato della cornice e la rimise in piedi, assicurandosi che il sostegno nel retro non si fosse rotto. Fu sollevato di dedurre che, come si era aspettato dal suono sordo che aveva fatto cadendo, il vetro che proteggeva la fotografia non si fosse neanche scheggiato. 
Annebbiato da tutta quella stanchezza e con ancora i capelli rizzati dallo spavento, un pallido sorriso spuntò sulle labbra di Jungkook. Per quanto quella foto fosse rimasta sul suo comodino non lo avrebbe stancato mai.
Era stata scattata proprio da Cup's, l'anno prima, il giorno stesso in cui Taehyung era stato dimesso dall'ospedale locale. Il biondo (che al tempo non era biondo) aveva il braccio destro ingessato, già pieno di firme e scarabocchi a dir poco osceni che i suoi amici gli avevano lasciato. Teneva la bocca goffamente aperta mentre Jungkook alla sua destra lo stava imboccando con un cucchiaio, la zuppa calda che tremolava e gocciolava sui suoi pantaloni ogni volta che Jungkook non riusciva a trattenersi e scoppiava a ridere. 
Ricordava quella sera fin troppo nitidamente, come se qualcuno avesse aumentato la luminosità di tutti quei colori, il profumo delle spezie nei cibi e il volume delle voci, divertendosi anche a strascicare momenti, risate e sguardi.
Jungkook ricordava bene anche il giorno precedente e successivo a quello. 
Se ci pensava gli saliva ancora l'ansia al petto. 
Il giorno precedente: la telefonata da parte della madre di Taehyung, la notizia che quest'ultimo aveva fatto un incidente con lo skateboard ma che non era nulla di grave. La corsa per andare a svegliare la propria madre che era andata a letto presto per farsi portare all'ospedale seduta stante. Il percorso dell'ascensore che andava su, su, su, ma non arrivava mai. Taehyung cosciente in una stanza antisettica, sdraiato su un letto dall'aria troppo dura. Oltre al braccio già immobilizzato, un macchinario teneva ferma anche una caviglia a sua volta fasciata. Le abrasioni sul quel viso spaesato che si fece subito sorridente non appena Jungkook entrò. Una sedia comoda su cui sedersi, l'unica mano sana di Taehyung tra le sue. I piccoli movimenti circolari dell'altro sul dorso della sua, come se fosse lui quello da consolare. La realizzazione di star piangendo per lo spavento e il sollievo insieme. Le pessime battute di Taehyung, quel suo elenco di tutte le canzoni più drammatiche che sarebbero state perfette come colonna sonora del filmino che la polizia stradale aveva trovato. 
E quel pensiero, quel pensiero che si era esplicitato così chiaramente nella sua testa. Sono fregato. 
Il giorno successivo: l'email per annullare la sua domanda di iscrizione allo scambio culturale. 
Con un piccolo sforzo, Jungkook riuscì ad arrivare all'interruttore dell'abat jour. La stanza calò in un buio che sarebbe stato totale se il ragazzo non avesse avuto impressa nelle retine una macchia di luce verdognola. 
Si perse a guardare quelle forme insensate, i colori che oscillavano verso delle tinte più grigiognole, l'immagine che formicolava. 
Era ormai sul punto di addormentarsi quando un granello di quella suddetta macchia di luce vorticò nell'aria e gli atterrò sulla fronte. 
Nel giro di pochi secondi lo stesso malessere che lo aveva colpito quella mattina parve sprigionarsi esattamente da quel punto. Si espandeva a macchia d'olio per tutta la testa di Jungkook, facendolo gemere di dolore. Voltò il capo nel cuscino con uno scatto, come per scacciarlo via. Alla seconda fitta piantò le unghie tra le coperte, le mani che farneticavano alla ricerca di qualcosa di più solido della stoffa su cui sfogarsi, i denti digrignati. 
Poi il dolore venne risucchiato dallo stesso punto di origine sulla sua fronte, svanendo. 
Le pupille di Jungkook erano di un scintillante giallo quando socchiuse le palpebre, il respiro affannato. 
La sua caduta nell'ombra della mela coincidette con la sua caduta nel mondo dei sogni. 

------------------

Era accompagnato da un cigolio persistente. Mai più distante un secondo prima, mai più vicino un secondo dopo.
Era ben scandito, ferroso, come se qualsiasi cosa lo stesse producendo non fosse stato oliato da un bel po' di tempo. Le rare volte in cui perdeva il suo ritmo per sospendersi un secondo soltanto erano sempre seguite da uno scossone, poi riprendeva uguale a prima.  
Fu proprio una scossa più violenta delle altre a destare Jungkook. 
Quel cigolare, la colonna sonora di tutti i suoi sogni, parve emergere dal buio dopo aver perso quella patina che lo soffocava. 
La seconda cosa che il ragazzo percepì fu il materasso sotto di sé, con esso il tepore del suo stesso corpo sotto le coperte. 
Jungkook avrebbe semplicemente ripreso a dormire se non si fosse reso conto che tutto il letto, compresa la testata e la rete, stava tremando. Come se fosse poggiato su un vulcano assopito per cui era arrivata la fine dell'ora del pisolino. Ci pensarono l'aria che gli soffiava in faccia e gli scossoni adesso più numerosi a suggerirgli che era il letto stesso ad essere in movimento, spinto da una forza invisibile che faceva correre quelle rotelle arrugginite alla base dei piedi giù per un corridoio. 
Era buio, ma dalle fessure di luce poste a intervalli regolari che dovevano provenire da delle finestre era chiaro che all'esterno di quell'edificio sconosciuto fosse pieno giorno. 
Jungkook si alzò a sedere per guardarsi intorno. La sua sagoma era un tutt'uno con quella del letto e insieme sfrecciavano alla stessa velocità di un'auto in corsa, oscurando una per una tutte le finestre. Il corridoio continuava e continuava, le ombre grigie delle tende e dei pochi mobili che si intravedevano una volta che gli occhi si erano abituati al buio. 
Solo in un secondo momento Jungkook si accorse che, più che essere spinto da dietro, il letto pareva tirato in avanti dalla forza di gravità. La pavimentazione del corridoio era una distesa di piastrelle lucidissime e pareva inclinarsi sempre di più; il soffitto e i suoi candelabri si facevano un centimetro dopo l'altro sempre più alti. Almeno il castano era riuscito ad associare gli scossoni ai punti in cui le piastrelle erano irregolari o mancanti.  
Jungkook si cavò di dosso le coperte; subito l'aria veloce gliele rubò di mano, lasciando che quella massa di un candido bianco volasse verso la direzione da cui era arrivato. Diventarono presto una macchia pallida, una comparsa sullo sfondo.
Jungkook si mise sulle ginocchia e si aggrappò forte alle sbarre della testata del letto, così gelide contro le sue mani sudaticce. I suoi occhi guardavano oltre di esse, alla disperata ricerca di una parete, un bivio, una grande sala, qualsiasi cosa che avrebbe segnato la fine di quel corridoio maledetto. Eppure continuava a percepire che non stava semplicemente andando dritto, stava proprio andando in discesa. 
Continuando a tenersi ben stretto, si voltò all'indietro, i capelli castani che gli frustavano il viso: nel momento in cui si lasciava alle spalle un tratto di corridoio quello diventava magicamente visibile, limpido, come se qualcuno avesse aperto le imposte delle finestre un altro pochino. Poteva vedere grandi cornici vuote, mozziconi di candela, strati su strati di polvere che ingrigivano quel poco che c'era di colorato, i punti dove arrivavano gli orli delle tende che ancora dondolavano dopo essere state mosse dall'aria meno opachi del resto. 
Davanti a lui il niente. Pochi passi di piastrelle e poi il nero. 
Una sensazione di perdita parve venire a galla nel petto di Jungkook. No, non esattamente venire a galla. Era più come se il suo petto fosse una spugna asciutta che si imbeveva inesorabilmente di nostalgia. 
Nei confronti di cosa, Jungkook non lo sapeva. 
Sapeva solo che più guardava indietro, dove tutto era chiaro, dove tutto era semplice, più gli veniva paura di quello che sarebbe stato davanti a lui. 
Neanche paura era il termine giusto. Jungkook non ne aveva solo paura. La sua era una frustrazione incondizionata, un voler sapere disperatamente cosa ci fosse oltre il buio. 
Una terrificante consapevolezza affondò le proprie grinfie nello stomaco del ragazzo. 
Si sarebbe schiantato. Andava troppo veloce. Anche se ci fosse stata una fine a quel corridoio, la storia si sarebbe sempre conclusa con il suo cranio sfracellato contro una parete. 
Doveva saltare giù, doveva buttarsi e ruzzolare sul pavimento per non farsi troppo male. Avrebbe pensato dopo a cosa avrebbe effettivamente fatto una volta sceso dal letto, se sarebbe rimasto seduto ad abbracciarsi le gambe nell'attesa di essere svegliato, se sarebbe andato in esplorazione o se avrebbe provato a uscire dalle finestre. 
Il tempo di formulare questo pensiero e sporgersi con la testa verso un lato del letto che i polsi e le caviglie di Jungkook vennero stretti in una morsa, ovunque essi si trovassero. Il ragazzo urlò e provò a scalciare e a divincolarsi, ma non c'era davvero niente di visibile a inchiodarlo al materasso. 
Lui prese a contorcersi tutto, a gridare, a conficcarsi le unghie nei palmi della mano nella speranza che il dolore lo destasse, ma non ci fu verso. 
Non poteva far altro che guardare il soffitto affrescato scorrere sopra di lui, una sfilata di candelabri spenti.
A Jungkook non rimase che aspettare il grande schianto. 
Si disse che avrebbe colpito il fondo immediatamente con la testa, che sarebbe stata una morte veloce, il rumore del cranio che si incrinava verso l'interno e basta. 
Parve passare così tanto tempo che Jungkook si chiese se non potesse riaddormentarsi di nuovo. Era solo un incubo, poteva far quel che voleva. Poteva andarsene l'attimo prima della collisione. Poteva fare in modo che il corridoio non avesse mai fine. 
Poteva fare tante cose, ma non previse mai che le ruote anteriori avrebbero inchiodato e la parte posteriore del letto si sarebbe impennata. 
Qualsiasi cosa legasse Jungkook per le caviglie e i polsi scivolò giù, aprendo squarci per buona parte del materasso con uno strappo orripilante. 
Il ragazzo volò in avanti, ritrovandosi in men che non si dica rovesciato su quelle piastrelle gelate. Il contatto era così solido, duro e statico dopo tutta quella sfilata da essere un sollievo. Jungkook quasi baciò il pavimento, grato di essere stato liberato da quella tortura. 
Non guardò la struttura metallica del letto pericolosamente in bilico sopra di lui. Non notò il modo in cui quell'ombra lo sovrastava, non sentì le rotelle impazzite cigolare ancora a vuoto. 
Non vide come decine di  piume nere uscirono dall'imbottitura del materasso e piovvero leggere e delicate intorno a lui, sui suoi capelli, sulla sua schiena. 
Un clangore secco vibrò tra le pareti di quel corridoio. Le piume nere si imbrattarono di sangue. 

------------------

Uno spasmo violento del corpo di Jungkook fece tremare l'intero letto. 
Gli occhi gli si spalancarono all'inverosimile, catarifrangenti nel buio della sua stanza. 

(13) November 1st, 2015 - Sunday

"Okay, alla prossima volti a destra. Sì. Dopo la rotonda." 
La voce giovanile della madre di Taehyung era l'unico suono forte a riempire la via in cui vivevano. Tutti i rumori che le facevano da sottofondo, tutti quei bisbigli delle foglie, il serpeggiare dell'elettricità tra i lampioni accesi e le televisioni all'interno degli appartamenti più vicini parevano intimarle di fare silenzio. 
La donna neanche li considerava. Saranno state le dieci di sera, c'era un buio pesto e faceva così freddo che pure i denti avevano smesso di battere pur di starsene vicini vicini. Lei se ne stava in piedi sul marciapiede che portava all'ingresso del suo condominio, stretta nel giaccone più ingombrante che ci potesse essere, cellulare all'orecchio e primogenito alla sua destra. 
Primogenito che, a differenza sua, indossava solo una felpa. L'unica spiegazione che la donna aveva trovato a quella prova di insofferenza termica era data dal fatto che Taehyung non faceva altro che saltellare sul posto dall'entusiasmo, lo sguardo vispo puntato sulla strada. 
"Da lì in poi sempre dritto, fino al cartello. No. No. Dall'altra parte. Tornate indietro." dettò ancora la signora Kim, alzando gli occhi al cielo. 
Allontanò il ricevitore dalla bocca, probabilmente dando il tempo a chiunque fosse dall'altra parte della linea di far manovra. 
"Sono anni che ci vengono a trovare e ancora non sanno la strada." borbottò all'indirizzo di nessuno. Poi, rivolta a Taehyung: "Va in casa e dì a quei due che se non vanno a letto immediatamente domani niente televisione." 
Perplesso, Taehyung guardò sua madre. Gli bastò seguire la traiettoria di quegli occhi accigliati per capire a che cosa si stesse referendo. 
Scorrendo con lo sguardo i diversi piani del loro condominio, l'edificio in netto contrasto con il cielo nero, si poteva vedere anche da quella distanza che una delle finestre del loro appartamento era illuminata. Due ombre minute ci si muovevano dietro, velate dalle tende. 
Eonjin e Jeonggyu dovevano essere sgattaiolati fuori dalla loro cameretta.
A Taehyung venne prima da sorridere, poi da lamentarsi. 
Era divertente vedere i suoi fratellini trasgredire il coprifuoco perché troppo eccitati dall'arrivo dei loro ospiti, ma non se poi toccava a lui andare a rimproverarli. Oltre al fatto che non ne aveva voglia, per nulla al mondo si sarebbe fatto tutta la rampa di scale per andare da quei due marmocchi, lottare per metterli nei loro letti, lottare per quando avrebbero finto di mettersi buoni per poi rialzarsi nel momento in cui lui avesse finto di andarsene e rifare la rampa di scale; non quando l'attesa rendeva intrepido anche lui. 
Voleva essere presente quando il camion dei trasporti sarebbe arrivato.
Vedendolo esitare, la signora Kim gli lanciò un'occhiataccia, intimandolo con le pupille di andare verso la porta. 
Anche lei era piuttosto divertente quella sera, pensò Taehyung. 
Era la prima ad essere contenta dell'arrivo di sua sorella, un evento che pianificavano tutte eccitate da tempo, degne di due sedicenni alla ricerca dell'abito per il ballo, ma era evidentemente nervosa. Di sicuro si sarebbe sciolta in chiacchiere e risate non appena l'altra fosse arrivata. 
A malavoglia, Taehyung percorse il tratto di marciapiede che lo separava dal portone d'ingresso. Aveva già le chiavi infilate nella toppa quando sentì la madre esultare un: "Vi vedo!" 
La bocca del biondo venne squarciata all'istante da un sorriso, la testa girata di scatto per guardarsi alle spalle. 
Un camion relativamente piccolo aveva appena svoltato nella loro via, un bianco mostro di latta che si aggirava solitario nella notte. E lui sarebbe dovuto andare ora dai suoi fratellini. 
Ma neanche per sogno.
Taehyung pestò con l'indice il campanello del proprio appartamento, il suono così irruento in tutto quel silenzio che lo si sentì addirittura da lì, quattro piani più in basso. Sua madre chiamò il suo nome con tono di rimprovero, ma a lui non gliene poteva fregar di meno. 
Almeno la donna non poteva dire che non fosse stato efficace: la finestra divenne subito buia, segno che i bambini avevano capito il messaggio forte e chiaro. 
Taehyung oltrepassò la madre, veloce come una scheggia. La donna poteva solo vederne la silhouette  mentre quest'ultimo correva giù per la via, i fanali del camion che gli si stagliavano contro.
Il veicolo frenò, una manovra che non gli sarebbe stata concessa con il traffico del giorno, seppur limitato. 
La portiera del passeggero si spalancò. Ne uscì una figura allungata, le gambe sottili che dovettero saltare a terra per scendere dal camion. 
La donna si sentì rincuorata quando sentì gli schiamazzi del figlio in lontananza. Stette a guardare con un sorriso quando quest'ultimo si lanciò letteralmente sul nuovo arrivato, aggrappandoglisi con le gambe al busto in una presa ferrea.


SPAZIO AUTORE:
... li avete trovati?

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS) / Vai alla pagina dell'autore: silbysilby_