Lo
sbadiglio
“Era indispensabile
sbadigliare in quel momento, suppongo.”
La voce di Temari ha la
vibrazione sinistra del terremoto imminente, è secca e tagliente come un
kunai molato di fresco.
“Non crederai che l’abbia
fatto apposta, adesso,” si difende mollemente Shikamaru, mani in tasca e
smorfia esasperata. Ma non troppo, ché pesa fatica.
“Non so, dimmelo tu cosa
dovrei credere,” replica lei sostenuta, con una sciabolata glaciale degli
occhi boschivi.
“Assolutamente nulla. Era
semplicemente uno sbadiglio, è una reazione fisica incontrollata,”
ribatte pacatamente lui, sistemandosi meglio il kimono intorno al collo. Comincia
a fare un certo freddo, con quegli occhi gelidi puntati addosso.
“In quel momento?”
soffia Temari, sempre più infuriata.
“Si,” ammette
Shikamaru con un certo fatalismo, distogliendo lievemente lo sguardo. L’unica
è minimizzare e comportarsi come se non si trattasse di nulla più
che una banalità. Cosa che, a suo avviso, effettivamente è.
“Ti stavi annoiando,
è questo che vuoi dire?” l’aggredisce Temari irata,
piantandosi minacciosamente le mani sui fianchi. Così bella, e così
pericolosa.
“No, Temari. Voglio dire
che ho sbadigliato,” osserva lui scuotendo piano la testa.
“In quel momento,”
ripete Temari ostile.
“In quel momento,”
conferma Shikamaru blando, gli occhi che continuano a fuggire discretamente da
tutte le parti.
Temari serra le labbra, ha
come uno slancio in avanti e lui avverte la sicurezza assoluta che lo
colpirà o scatenerà un tornado con quel suo maledetto ventaglio. Invece
lei si trattiene all’ultimo, gli scaglia un’occhiata ferita, delusa
ed indignata e gli volta le spalle, scattando via.
“Temari!” la
richiama Shikamaru, invano.
Sospira tra sé,
prendendo mentalmente nota: sbadigliare mentre la propria ragazza annuncia l’intenzione
di accettare la proposta di matrimonio non
è, decisamente, un’azione saggia.
Che seccatura, le donne.
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“Analizziamo un istante
la questione, vuoi?”
Temari si volta rabbiosamente
indietro nell’udire quella voce piana e strascicata. Stringe i pugni
aggressivamente, lo sguardo che dardeggia.
“Non ho intenzione di
discutere assolutamente nulla,” risponde altera.
Shikamaru annuisce
blandamente, sospirando tra sé.
“Ascolta, invece,”
bofonchia, sguardo basso. “Qual è la cosa che mi piace più
fare?”
“Niente, larva.”
Lui incassa senza battere
ciglio e Temari incrocia le braccia al petto con sdegno, superiore.
“Esatto,” conferma
il jonin di Konoha. “E per questo sbadigliare è buon segno, per me,
vuol dire che sono molto contento. Ecco perché ho sbadigliato. Se mi
fossi messo a correre, allora sì che ti saresti dovuta arrabbiare.”
Temari segue quella bislacca
scusa con incredulità e poi lo squadra sprezzante.
“E tu dovresti essere
intelligente? E’ la spiegazione più cretina che ho mai sentito,”
lo castiga, impietosa. Lui si stringe distrattamente nelle spalle ed alla fine
la guarda dritta in faccia.
“Non del tutto, Temari.”
“Ah no?”
“No. Perché stai
sorridendo.”
E’ la kunoichi di Suna a
distogliere lo sguardo, adesso, colta in fallo. Perché, suo malgrado, le
sue labbra sono vagamente arcuate in qualcosa come un sorrisetto di
sufficienza, che pur sempre sorriso è.
“Sei un idiota, Nara,”
sentenzia superiore.
“Stai sorridendo ancora.”
“E con questo?”
“...Sai, quando sorridi
mi viene da sbadigliare.”
Temari torna a guardarlo di
scatto, pronta ad indignarsi nuovamente. Shikamaru, nonostante la
dissimulazione sonnolenta, sta a sua volta sorridendo di sghimbescio, sornione.
Lei aggrotta la fronte
severamente.
“Immagino che se ci
sposassimo davvero dormiresti per tutta la giornata cruciale,” osserva
sarcastica.
“E’ altamente
probabile. Sarei troppo contento per restare sveglio a lungo,” conferma
lui, svagato.
E il viso di Temari è a
un paio di centimetri dal suo, teso e vagamente truce.
“Provaci e ti frantumo, Nara,” sussurra, ma gli
occhi le brillano di divertimento.
“Tenterò di
controllarmi, principessa,” concede stancamente lui, prima di sporgere il
collo e baciarla di slancio, senza che lei si ritragga. Le allaccia le braccia
ai fianchi, intimamente compiaciuto.
Manovra diversiva: riuscita.