Crossover
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Autore: Registe    26/11/2017    3 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 11 - Vexen (III)





Lexaeus





Stagview non esisteva più.
Nessuno avrebbe creduto che un villaggio era sorto in quella zona soltanto ventiquattro ore prima. Le case, quasi interamente costruite in legno, erano state ridotte in cenere dalla furia dei draghi, il tempio di pietra collassato in un mucchio di sassi scuri e irriconoscibili. Per metri e metri oltre i confini del villaggio la terra era percorsa da violente striature nere, mentre dai campi devastati si sollevavano volute di fumo che erano arrivate a sommergere il cielo di una spessa cappa grigia. Ci sarebbero voluti anni perché anche il più piccolo filo d’erba potesse ritornare a crescere. La cenere ancora volteggiava nell’aria pesante e aggrediva le narici con il suo odore acre, costringendo Vexen e Lexaeus a coprirsi naso e bocca pezzi di stoffa bagnata.
A differenza degli incendi normali, la magia primordiale del fuoco di drago permeava ancora la zona colpita, anche se le fiamme vere e proprie si erano estinte da ore. L’aria tremolava come per la calura di un deserto e Vexen sentiva gli occhi lacrimare e vampe di calore risalire dal terreno lungo le gambe malgrado la suola spessa degli stivali.
Non era il clima adatto a un elementale del ghiaccio.
“N. IV, se non si sente bene possiamo tornare indietro.”
Non doveva avere una buona cera se persino Lexaeus apriva la bocca di sua spontanea volontà per farglielo notare. Il n. V era il più taciturno tra i membri dell’Organizzazione: non sprecava una parola a meno che non fosse assolutamente necessario, preferendo invece esprimersi con cenni del capo. Per molto tempo Vexen lo aveva ritenuto del tutto incapace di articolare qualsiasi forma di linguaggio.
“Posso resistere ancora per un po’” replicò seccamente.
Gli ordini del Superiore erano semplici: effettuare una breve ricognizione delle rovine di Stagview alla ricerca di indizi su cosa avesse scatenato l’intervento del Cavaliere del Drago e, se possibile, comprendere le ragioni della sua inspiegabile alleanza con i demoni.
Tutte le leggende tramandate nel loro mondo concordavano riguardo la neutralità del Cavaliere del Drago: un terzo demone, un terzo umano e un terzo drago, il Cavaliere era l’arbitro delle contese e il garante della pace tra le tre razze. Le leggende però, come Vexen sapeva bene, fin troppo spesso si rivelavano nient’altro che un mucchio di superstizioni false. L’esistenza del Cavaliere era fuor di dubbio; quanto alla sua lealtà e alla sua missione, la sorte impietosa di Stagview non parlava certo di pace e concordia tra i popoli. Tuttavia, perché il Cavaliere del Drago aveva scelto proprio quel momento per rompere il proprio isolamento? Cosa lo aveva persuaso improvvisamente a unirsi alla crociata dei demoni contro il genere umano?
Forse, dall’alto del suo potere, disprezza semplicemente gli umani di questo mondo arretrato e ignorante. Difficile dargli torto.
Tallonato dall’ombra imponente e silenziosa di Lexaeus, Vexen avanzò cautamente verso i resti del tempio, quello che fino a poche ore prima era stato il centro del villaggio. La concentrazione di corpi carbonizzati, un ammasso contorto in cui i singoli volti erano ormai irriconoscibili, aumentava esponenzialmente man mano che ci si avvicinava a quel punto. La professione di medico aveva abituato Vexen a spettacoli ben più raccapriccianti, tuttavia il solo pensiero di quella morte atroce, della pelle liquefatta dall’abbraccio del fuoco e dell’odore nauseante della carne viva in fiamme, bastò a fargli salire un brivido inquietante lungo la schiena.
Decisamente un clima non adatto a un elementale del ghiaccio. Ma quando si trattava di ricognizioni, nessuno nell’Organizzazione XIII era abile quanto Vexen. Aveva insegnato anche a Zexion la sottile arte del raccogliere dati e formulare deduzioni, ma almeno per una volta in tanti anni lo scienziato e il Superiore si erano trovati perfettamente d’accordo su un punto: portare il giovane n. VI in una missione del genere, con demoni e draghi che potevano apparire dal nulla ad ogni frazione di secondo, era un rischio troppo grande. Xemnas aveva quindi incaricato Lexaeus di partire con il n. IV, con il compito di proteggerlo e l’ordine tassativo di fare immediato ritorno al Castello al minimo segno di pericolo.
Non fu difficile rinvenire tra le macerie i resti del frigorifero di cui aveva parlato il gruppo di Xigbar. Il materiale di cui era fatto aveva resistito alle fiamme meglio di qualsiasi altra cosa all’interno di Stagview. La magia dei draghi lo aveva contorto e annerito, ma la forma e la funzione originarie erano ancora riconoscibili malgrado la devastazione subita.
“Non resistente come il vexenio o l’olihargon, ma una buona lega sicuramente… “ Vexen girò attorno alla carcassa del frigorifero, squadrandola con occhio critico. Il congegno risaliva a prima della catastrofe, a quell’epoca inghiottita dalla sabbia dei millenni in cui il loro mondo era stato qualcosa di più di un nugolo di villaggi di legno dominati da miseria e superstizione. Vexen aveva già esaminato altri artefatti risalenti a quel tempo, ma mai di dimensioni simili. Più sorprendente ancora, Xigbar e Axel sostenevano che al momento del loro arrivo a Stagview il congegno era addirittura funzionante.
“Deve esserci una fonte di energia da qualche parte… “
La maggior parte dei frigoriferi che aveva visto in altri mondi funzionava grazie all’elettricità, ma non poteva essere questo il caso. Il concetto di corrente elettrica era sconosciuto da almeno tremila anni nel loro mondo, e nessuno sarebbe stato in grado di costruire un circuito capace di alimentare un macchinario del genere, meno che mai di comprenderlo.
Vexen avvolse i palmi delle proprie mani con un sottilissimo strato di ghiaccio. Esercitandosi aveva imparato a controllare la magia elementale in modo da mantenere il ghiaccio appena al di sotto della temperatura di scioglimento: la patina semiliquida così creata gli consentiva di muovere agilmente le dita e allo stesso tempo di manipolare oggetti troppo caldi senza danneggiarsi le mani. Mantenere la concentrazione necessaria a lungo andare era faticoso, ma la sua mente da alchimista era ben allenata.
Raggiunse quello che sembrava un pannello apribile alla base del congegno. Il fatto che le fiamme non lo avessero fuso saldamente al resto dell’oggetto era un ulteriore indizio della buona qualità di quella lega sconosciuta. Vexen tirò, le mani protette dal ghiaccio, e il pannello venne via con appena un po’ di sforzo. Avrebbe potuto chiedere a Lexaeus di faticare al suo posto, ma non si fidava di lasciare compiti troppo delicati a un combattente. Il n. V a sua volta non disse nulla, limitandosi a stargli vicino e a squadrare i dintorni con l’aria del veterano che valuta la conformazione del campo di battaglia. Probabilmente si stava accertando dell’assenza di molesti Occhi di Zaboera. A ciascuno il proprio compito.
L’interno del pannello rivelò un ulteriore congegno, abbastanza piccolo da stare in una mano e di forma sferica, che Vexen non aveva mai visto. Una sorta di batteria, probabilmente, della stessa lega di cui era fatto il frigorifero. Plasticacciaio? Avrebbe dovuto analizzarla con le apparecchiature del laboratorio per scoprirlo.
“Quale batteria riesce ad alimentare un congegno per tremila anni?”
Né a Xigbar, né ad Axel, né tantomeno ai nuovi arrivati era venuto in mente di porsi quella domanda. Facevano parte di quel gregge di persone che dà per scontato il funzionamento delle cose: premi un bottone, si accende una luce. La luce si accende perché premi il bottone. Fine della spiegazione. Menti come le loro non riuscivano a immaginare il percorso delle cariche elettriche lungo il conduttore, o l’interruzione nel circuito che porta allo spegnimento della lampadina. Non ne sospettavano neanche l’esistenza, e non se ne curavano.
Eppure quella era l’unica domanda che contava.
Se non avesse già avuto altre prove, questa da sola sarebbe bastata: il popolo scomparso tremila anni prima, i loro lontani antenati, erano una civiltà avanzatissima. Possedevano conoscenze e tecnologie all’avanguardia, erano esperti di tecnica e di scienza. A differenza dei loro discendenti avevano vissuto vite comode, longeve e ricche di opportunità, e i frutti delle loro conquiste sopravvivevano ancora dopo tremila anni. Che cosa poteva aver spazzato via un popolo così pieno di risorse?
Forse la comparsa del Cavaliere del Drago proprio in questo momento non è casuale. Forse è semplicemente tornato a finire il lavoro iniziato tre millenni fa. A cancellare ogni traccia rimasta.
Stagview non era diverso dagli altri villaggi del mondo, e Vexen ne aveva visitati centinaia nei suoi anni da medico girovago. Non possedeva nulla di significativo, niente per cui valesse la pena scomodare un’armata di draghi… niente a parte l’unico congegno perfettamente funzionante del mondo antico mai ritrovato fino a quel momento. Non un banale frigorifero, ma una batteria in grado di immagazzinare energia per millenni. Una batteria che avrebbe potuto alimentare case, veicoli, scudi difensivi… armi. Un retaggio del passato con il potere di ricordare agli umani abbrutiti chi erano veramente, e guidarli verso una comprensione maggiore delle loro reali capacità. Spronarli a porsi domande, a indagare.
Il Cavaliere del Drago aveva temuto che quegli umani troppo intelligenti diventassero più potenti di lui? Per quello li aveva sterminati e aveva fatto precipitare la loro civiltà nell’oblio?
Non possedeva dati sufficienti per poterlo affermare con sicurezza. Ma l’ipotesi era dannatamente valida.
“Potremmo essere i prossimi.”
Le sopracciglia folte del n. V si congiunsero in una linea interrogativa.
“Penso che l’obiettivo del Cavaliere del Drago siano le tecnologie e le conoscenze di tremila anni fa” spiegò Vexen. “La maggior parte delle quali è custodita… nel Castello dell’Oblio.”
Il viso di Lexaeus sembrava una maschera scolpita nella roccia viva. Vexen ricordava poche occasioni in cui aveva visto il n. V sorridere, ma stavolta la serietà della sua espressione non fece che accentuare i timori che andavano crescendo dentro di lui.
Grazie a quell’idiota del n. VIII, un Occhio di Zaboera era penetrato nel Castello. I demoni non potevano conoscere l’ubicazione esatta del rifugio dell’Organizzazione, ma adesso sapevano della sua esistenza.
Da parte sua il Superiore non aveva perso tempo. Il Castello aveva i suoi modi di celarsi e proteggersi, e subito dopo il rapporto del n. II Xemnas aveva attivato tutte le contromisure necessarie per difendere la propria Organizzazione. Tuttavia, se le deduzioni di Vexen erano corrette, avevano a che fare con un avversario il cui rancore non si era raffreddato neppure dopo millenni. Avrebbe indagato. Prima o poi avrebbe scoperto cosa conteneva il Castello. E se aveva destinato cinque draghi al frigorifero di Stagview, cosa poteva tenere in serbo per l’ultimo santuario della conoscenza antica sulla faccia della terra?
Vexen si passò una mano sulla fronte, trovando i capelli appiccicati per il sudore. Iniziava a sentirsi debole, e la colpa non era solo del caldo infernale che avvolgeva quel posto.
“Il Superiore è stato saggio a voler nascondere la conoscenza.”
Il n. V era troppo rispettoso e ligio alle regole per contraddire apertamente un suo diretto superiore. Aveva parlato in tono neutro, come se stesse semplicemente esponendo un dato di fatto. Eppure il rimprovero c’era. Vexen lo lesse nei tratti spigolosi del suo volto, nella severità implacabile degli occhi azzurri che lo inchiodavano al suolo annerito dalle fiamme.
Neanche con un pugno Lexaeus lo avrebbe colpito così forte.
“Stammi bene a sentire, n. V. Se pensi che… “
Un rumore improvviso si mangiò il resto della sua invettiva. Vexen sobbalzò e trattenne a stento un grido, mentre con una velocità impensabile per la sua mole Lexaeus si piantava tra lui e il pericolo sconosciuto, già in posizione da combattimento. Spire di oscurità serpeggiarono lungo il braccio del n. V, condensandosi nella forma imponente del suo tomahawk rosso e nero.
Qualcosa si muoveva tra le rovine di una casa, a pochi passi dal tempio distrutto.
Vexen era sul punto di evocare un portale e darsela a gambe quando udì qualcos’altro. Un gemito sommesso. Durò qualche secondo, poi si interruppe, riprese di nuovo. Quando si fermò per la seconda volta, il silenzio tornò a regnare ancora più profondo di prima.
Scambiò uno sguardo silenzioso con Lexaeus. Il n. V avanzò per primo, cautamente, tutti i muscoli all’erta. Vexen lo seguì a qualche passo di distanza.
Le macerie della casa avevano smesso di muoversi.
Le ampie spalle di Lexaeus si chinarono mentre il gigante frugava nell’ammasso di travi annerite dal fuoco. Quando il n. V si voltò nuovamente verso di lui, Vexen vide che teneva tra le braccia una ragazza svenuta.
Si precipitò al suo fianco. Era incredibile che qualcuno fosse sopravvissuto alla distruzione sistematica e meticolosa che i draghi avevano fatto piovere sullo sfortunato villaggio. La ragazzina, un’adolescente che non doveva avere più dell’età di Zexion, era ricoperta di cenere e presentava diversi tagli e contusioni su tutto il corpo, ma miracolosamente nemmeno un centimetro di pelle era stato intaccato dalla minima traccia di ustioni.
Peccato che la parola miracolosamente non avesse diritto di cittadinanza nel vocabolario di Vexen.
“È strano. Tutto quello che aveva intorno è bruciato, eppure… “
Impossibile che una ragazza così giovane fosse un elementale del fuoco. Persino i suoi capelli rossi e i vestiti si erano salvati dalla furia delle fiamme. Certo, poteva avere genitori o antenati elementali del fuoco e aver ereditato la capacità attraverso una mutazione genetica…
… oppure poteva essere una trappola dei demoni.
Lexaeus lo interrogò con lo sguardo. Vexen capì che avrebbe lasciato la decisione a lui, il suo diretto superiore. L’istinto di conservazione gli gridava di afferrare la batteria del frigorifero e tuffarsi nella sicurezza di un portale prima che qualche altro drago decidesse di rifare una capatina sul luogo del delitto. Sarebbe stata di gran lunga la decisione più saggia.
“Portiamola al Castello” borbottò infine, quasi controvoglia. “Ma non perderla di vista nemmeno per un secondo.”
Mentre gli strati di oscurità li sottraevano al calore insopportabile della carcassa di Stagview, Vexen poté giurare di aver visto un sorriso fugace increspare per un attimo le labbra del n. V.
  
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