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Autore: Sospiri_amore    27/11/2017    2 recensioni
TERZO LIBRO DI UNA TRILOGIA
Elena se ne è andata via da New Heaven appena finite le scuole superiori, da ragazza ha lasciato gli USA per l'Europa. Tutte le persone a cui ha voluto bene l'hanno tradita, umiliata e usata.
Dopo quattordici anni, ormai adulta, Elena incontrerà di nuovo le persone che più ha amato e odiato nella sua vita, si confronterà con loro rivivendo ricordi dolorosi.
Torneranno James, Jo, Nik, Adrian, Lucas, Kate, Stephanie, Rebecca più altri personaggi che complicheranno e ingarbuglieranno la vita di Elena.
Come mai Elena è tornata in America?
Chi è il padre di suo figlio?
Elena riuscirà a staccarsi dal passato?
Chi si sposerà?
Riusciranno i vecchi amici a trovare l'armonia di un tempo?
Elena riuscirà ad amare ancora?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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OGGI:
Immagini e parole






La pace ha un odore.

La pace ha odore di fiori e del sole che scalda l'aria.

La pace ha l'odore delle persone che amo.

La pace ha l'odore di Sebastian.

 

Sgranocchio delle gustose tartine insieme a mio figlio, si diverte un sacco a imboccarmi, come farebbe un papà, mentre io interpreto una bimba capricciosa. Sbatto i piedi. Mi lamento un po'. Faccio smorfie. Sebastian mi sgrida e mi riempie la bocca con tutto il cibo che gli capita a tiro. A volte vuole che faccia il robot, in quel caso devo aprire e chiudere la bocca a comando. A volte rischio di soffocare o sputacchio pezzetti di cibo, ma alla fine ci divertiamo un sacco entrambi.

 

Siamo seduti in un grande tavolo rotondo insieme a tutti gli altri. Jo e Rebecca ci osservano divertiti, mentre Stephanie e Lucas aiutano i loro bimbi a mangiare. Caroline parla con Nik scambiandogli occhiate complici, Adrian chiacchiera con Miguel. James se ne sta zitto, mangia e sorride, sembra pensieroso.

 

Kate e Jane hanno allestito una grande sala con tavoli addobbati con fiori rosa e bianchi. Le tovaglie sono molto belle hanno inserti di pizzo che donano un'aria rustica, ma elegante, a tutta la sala. L'orchestra suona musica di accompagnamento e ogni tanto qualcuno leva un calice per fare un brindisi alle spose.

Kate e Jane camminano di tavolo in tavolo salutando gli ospiti e regalando ai presenti un piccolo cestino con marmellate fatte da Jane. Non si risparmiano battute, risate e chiacchiere, l'atmosfera è molto piacevole.

 

Tutti sorridono, tutti mangiano, tutti sono felici.

 

«Mamma, adesso puoi mangiare da sola», mi dice Seb mentre il cameriere ci serve un piatto di ravioli con ortica e formaggio d'alpeggio.

«Grazie», gli dico ironica, non so come avrei potuto fare a mangiare quel piatto se Sebastian mi avesse imboccato. Avrei rischiato il soffocamento.

«Il cibo è delizioso, si capisce subito che Jane ha ottimo gusto», dice Miguel mentre osserva con attenzione il piatto fumante.

 

I figli di Stephanie e Lucas sono stanchi, sono addormentati tra le braccia dei genitori. 

 

«Questo matrimonio è perfetto. Anche il nostro è stato bello, ma qui il cibo è migliore, un altro livello», dice Stephanie mentre mangia il suo piatto e allo stesso momento culla Lucas Junior.

«Per arrivare alla perfezione ci vuole ancora molto, ci sono un paio di appunti che...». 

Rebecca viene interrotta da Adrian: «Come è ovvio aspettarsi tu avrai organizzato già il tuo».

 

Tutti guardiamo Jo, aspettiamo una sua reazione.

 

«Prima di tutto non è detto che Rebecca ed io ci sposeremo a breve. Secondo, anche nella mia famiglia ci sono tradizioni che voglio siano presenti. In Messico i colori sgargianti sono importanti e...», prova a dire Jo.

«Non ci pensare! Colori pastello. Tiffany o madreperla. Tuttalpiù color pesca. Non sono disposta a cedere», dice Rebecca mentre infilza un raviolo e se lo infila in bocca.

«Non puoi pretenderla di averla sempre vinta, il matrimonio è anche il mio», aggiunge stizzito Jo.

«E chi ti dice che mi sposerò con te, brutto babbeo?», gli dice Rebecca a muso duro.

 

Tempo neanche tre secondi e tutto il tavolo scoppia a ridere.

 

Kate e Jane arrivano richiamate dalle nostre risate.

 

«Vedo che vi state divertendo», ci dice Jane raggiante.

«A volte la compagnia lascia a desiderare, ma credo di poter sopportare », dice Rebecca rivolta a Jo che di risposta gli fa la linguaccia.

 

Kate e Jane ridono di cuore.

 

«Vi ho portato un regalo un po' speciale», ci dice Kate mentre armeggia dentro a una cesta che ha appoggiato sul tavolo. «Vedete, quando ho organizzato il mio matrimonio ho voluto subito che ognuno di voi fosse presente, certo non conoscevo Caroline, Sebastian e Miguel, ma sono felice che ci siano anche loro».

 

Kate estrae delle scatole basse e larghe, sembrano tutte uguali.

 

«Vi ricordate quanto avete saputo del mio matrimonio?», ci chiede.

«Durante la mostra che hai fatto in città qualche mese fa», dice Nik, «Mi ricordo che ero stupito dal fatto che tu mi avessi invitato, non sei mai stata una mia studentessa anche se sapevo bene chi fossi».

«Allora credevo che foste tutti, o quasi, delle persone orrende. L'ho pensato per anni. Avete tradito, manipolato, raccontato montagne di bugie. Molte persone hanno sofferto, in modi diversi è vero, ma tutti vi siete fatti del male in un modo e nell'altro...  vi ho invitati qui perché volevo sbattervi in faccia che ero felice, che la mia vita proseguiva e che non avevo bisogno di voi. Di nessuno».

 

Kate giocherella con le scatole ordinandole una sopra l'altra.

 

«Il mio intento era invitarvi , umiliarvi e ferirvi, fare tutto ciò che voi avevate fatto a me. Volevo farvi soffrire e me ne vergogno. Io... io...», Kate scoppia a piangere, «... io avevo dimenticato quanto mi piacesse stare con voi e cosa significasse l'amicizia».

Jane abbraccia Kate stringendola più che può.

 

Tutti i presenti al tavolo, me compresa, sono sorpresi, di certo non ci aspettavamo un'uscita del genere.

 

«Ho un regalo speciale per ognuno di voi. Non è detto che sarà bellissimo, ma per me ha molto significato». Kate consegna una scatola a ciascuno di noi.

 

La confezione è in cartone riciclato bianco, una piccola targhetta riporta il mio nome. Guardo la scatoletta di Sebastian e quella degli altri, il nome varia a seconda della persona.

 

Apro il coperchio.

 

C'è una foto incorniciata.

C'è una foto di me leggermente sfuocata, ho la bocca aperta in una smorfia e l'aria vagamente divertita. Devo aver avuto sedici o diciassette anni. 

 

Non capisco.

 

Nella scatola di Sebastian c'è una foto incorniciata del mio piccolo, deve essere stata fatta con il cellulare perché la qualità e il formato sono diversi dalla mia.

 

Sono sempre più confusa.

 

«Quelle sono le vostre prime foto che vi ho scattato. Le prime immagini che ho di ognuno voi. Sono i miei primi esperimenti per cercare di cogliere ciò che siete, il mio tentativo di raccogliere in una immagine il vostro essere. Elena, quella foto è stata la mia prima in assoluto. Miss Scarlett mi aveva dato la macchina fotografica in mano e... ti ricordi che ti scattai una foto in mensa? Era una prova, un tentativo. Tu sei stata il mio primo soggetto. So che non è bella, ma... ma...».

 

Kate non finisce la frase le vado incontro avvolgendola e fregandomene se piango come una fontana. Non mi importa se è fuori luogo o esagerato. Io e Kate manifestiamo così il nostro amore, in modo impulsivo e un po' melodrammatico.

 

«Qui dove eravamo?», chiede Jo con gli occhi lucidi.

«Siamo nel parco del Trinity, mi stai spiegando come scattare. Ti sei offerto di farmi da modello», spiega Kate. «Nella tua, Stephanie, è quando cantavi. Eravamo in camera di Elena». Nella foto si vede Stephanie con la bocca aperta seduta sul letto di quella che era la mia cameretta. «Lucas sei nel corridoio del Trinity, mi ha beccato mentre ti fotografavo. Guarda che sguardo duro».

 

Tutti scoppiamo a ridere tra una lacrima e l'altra.

 

«Adrian era al teatro della scuola, quelle che spuntano sono le mani di Miss Scarlett», dice Kate con una certa commozione, «Lo stesso vale per te, Rebecca. Stavi provando la parte di Giulietta. Invece tu, Nik, stavi camminando per i corridoi con la testa china su un libro. Per quanto riguarda Miguel, Caroline e Sebastian ho usato i primi scatti che vi ho fatto, non è passato molto tempo, non sono belli, ma spero vi piacciano».

«Bello! Sto giocando con le costruzioni di Geltry», dice Sebastian con entusiasmo guardando la sua foto rubando un sorriso a tutti noi.

«E James? Qual'è la prima foto di James?», chiede Jo cercando di curiosare nella scatola dell'amico.

 

James gira la scatola e mostra il contenuto.

 

Siamo io e lui nel parcheggio della scuola vicini alla macchina che James aveva da ragazzo. 

Io me ne sto con le braccia alzate verso il volto di James.

James mi cinge la vita.

James ed io ci stiamo baciando.

 

«Avrei potuto metterne un'altra, ma quella è la prima foto che ti ho fatto. Non mi sembrava giusto barare e...».

 

James interrompe Kate.

 

«No, scherzi. Va benissimo. Sé questa è la tua prima foto non ci sono problemi», le risponde James che a testa china richiude la scatola di cartone per poi riporla sul tavolo.

 

Sono questi i momenti in cui avrei dato il peggio di me.

Sarei crollata.

Avrei avuto paura.

Adesso invece non sento più le mie fondamenta farsi fragili, non sento più il vuoto. È come se il dolore del passato avesse un senso, un ruolo, come se fosse un insegnamento per ciò che vivo e vivrò d'ora in avanti.

Ciò che ho provato con James era vero e sincero. Da quel rapporto devo tenere quello che mi ha fatto star bene e provare a insegnarlo a mio figlio. 

Ma per farlo devo togliermi l'ultimo sassolino dalla scarpa.

Togliere l'ultimo peso.

Devo liberarmi di una cosa che non appartiene solo a me, ma che devo condividere con qualcun altro.

 

«Devo scambiare due parole con James. Posso lasciare Sebastian a te?», chiedo a Miguel.

«Certo», mi dice prima di prendere in braccio nostro figlio e riempirlo di baci.

 

Mi avvicino a James, gli sfioro la spalla.

James mi guarda, i suoi occhi verdi sono umidi.

 

«Andiamo a fare due chiacchiere?», gli dico con un filo di voce.

James annuisce.

 

Con molta calma usciamo dalla sala del ricevimento per ritrovarci in un ampio atrio con delle scale che portano al piano superiore. Mi avvicino ai gradini e mi siedo. Con la mano faccio cenno a James di raggiungermi.

 

Siamo uno di fianco all'altro.

Adesso non posso più tirarmi indietro.

 

«Quello che sto per darti è la stessa cosa che volevo consegnarti la sera della festa di fine anno al Trinity. Come puoi ben immaginare sono successe parecchie cose allora, molte cose sono cambiate, ma io ho questa cosa che mi frulla in testa da più di quattordici anni», dico a James allungando la lettera di Demetra che tengo nella mia borsetta.

 

James la prende tra le mani rigirandola parecchie volte.

«Ma...», sta sfiorando la ceralacca con impresso lo stemma della sua famiglia. «... cosa significa?».

«Tua madre me l'ha consegnata durante la festa degli ex studenti del terzo anno, prima... prima... prima che morisse», gli dico con un groppo in gola.

 

James si alza di scatto.

Si sta torturando il mento con la mano mentre cammina avanti e indietro davanti a me. 

È nervoso e turbato.

 

«Tu... tu... mi hai mentito? Non capisco, perché tu non me l'abbia data prima?», mi chiede James cercando di controllare la rabbia che prova.

«Tua madre mi ha detto che quella lettera era per noi due. Avremmo dovuto aprirla solo dopo che avessimo confessato il nostro amore l'uno per l'altra». Ho le lacrime che scivolano sulle guance, sto torturando l'orlo del mio abito.

«Ma noi stavamo insieme, eravamo una coppia. Perché non me l'hai data allora?», mi chiede arrabbiato sventolando la lettera davanti al mio naso.

«Perché? Noi non abbiamo avuto il tempo di capire i nostri sentimenti. È sempre stato tutto così confuso. Noi eravamo confusi. Quello che sentivo era vero, ma non sapevo dirlo e lo stesso valeva per te. Guarda cosa mi hai combinato? Hai mentito...»,

«Anche tu mi hai mentito, a quanto vedo», dice James camminando irrequieto davanti a me.

«Uno a uno. Palla al centro. Vuoi recriminarmi questa busta? Se vuoi lo faccio anche io con tutto quello che mi hai fatto. Ti assicuro che non è una cosa molto piacevole». Sono in piedi davanti a lui, sembriamo due cani che stanno litigando, nessuno fa un passo indietro.

«Sì, ma si tratta di mia madre. Tu non avresti voluto avere una lettera dalla tua?», mi chiede James a mascella tesa con gli occhi che si riempiono di lacrime. 

 

Mi irrigidisco.

Ripenso al volto sorridente di mia madre.

Ripenso a quanto ho sofferto.

 

«Sì. Ed è per questo che sono qui, per leggere con te questa lettera e liberarmi dei fantasmi del mio passato. Sono esausta di litigi, drammi e bugie. Sono sfinita. Voglio solo vivere con tranquillità». Prendo per mano James, lo costringo a stare vicino a me. «Non hai voglia di rifarti una vita senza ossessioni e drammi? Non vuoi essere libero?».

 

Il mio cuore è sincero.

Le mie parole sono oneste.

Voglio sono trovare la pace

 

James trema leggermente, continua a fissare la lettera che stringe tra le mani, non credo neanche ascolti quello che gli sto dicendo.

 

«Perché l'ha data a te?», mi chiede con un filo di voce.

«Sapeva che non avresti avuto pazienza e che l'avresti aperta subito. Credo fosse per questo mi ha chiamato prima di morire, voleva che mantenessi la promessa, cioè che venisse aperta solo dopo che tu ed io avessimo capito di amarci», gli spiego con calma.

«Ma... noi... adesso...», mi balbetta confuso.

«L'ho capito tardi, ma credo che l'amore abbia varie sfumature. Non siamo amanti, ma possiamo diventare amici. Non siamo una coppia, ma possiamo diventare un supporto l'una per l'altro. Se questo non è amore non saprei come definirlo», dico io.

 

James è sudato.

Pare sempre più confuso.

 

«Come hai fatto a reggere tutto questo tempo? Come sei riuscita a controllare il desiderio di aprirla?», mi chiede mentre si mette seduto sui gradini delle scale.

Alzo le spalle: «Le avevo fatto una promessa. Non mi è parso così difficile».

 

James asciuga le mani sudate sui pantaloni.

 

«La apro. Adesso la apro», mi dice mentre tentenna.

«Vuoi che ti aiuti?», gli chiedo.

«No. Faccio io», mi dice.

 

Con un gesto rapido James rompe la ceralacca.

Piccole briciole rosse di cera saltano da tutte le parti.

 

La busta è aperta.

 

Con calma estrae un foglio iniziando a leggere a bassa voce. Ben presto si interrompe, le lacrime gli rigano le guance. «N-non riesco. Leggi tu», mi dice.

Prendo il foglio che James mi porge.

Prendo un profondo respiro.

 

Leggo.

 

 

Carissimi James ed Elena,

Se state leggendo questa lettera è perché avete capito cos'è l'amore. Non importa che età abbiate, non importa chi amiate, l'importante è sentire questo sentimento e viverlo fino in fondo.

Immagino che James sarà infastidito dal fatto che abbia voluto dare questa lettera ad Elena, ma tu, caro figlio, sei identico a tuo padre, vuoi tutto e subito. Non avresti aspettato il momento giusto.

 

Vi chiederete il perché di questa lettera e del perché ve la consegni a voi due. Non perché desideri programmare la vostra vita o perché voglia che stiate insieme per sempre, ma perché credo che quando una persona impari ad amare debba ripetere questo tremendo, faticoso, complicato sbaglio ogni volta che può.

 

Elena, tu hai perso tua madre per questo mi permetto di parlarti come fossi mia figlia, con lo stesso sentimento che riservo alle persone che ho più care. 

Ti ho osservata in questi mesi e sembri sempre in cerca di qualcuno a cui aggrapparti, non per reggerti con le tue gambe, ma per lasciarti andare e farti trasportare. Non permettere mai a nessuno di dirti come devi essere, non permettere mai a nessuno di umiliarti. Non c'è un modo giusto, una via facile, l'amore per se stessi è la cosa più dura da coltivare. Sii una ribelle, una guerriera. Trova persone che ti stimano e non buttarti giù. 

Sii te stessa, amati, osserva come sei con James e continua su quella strada, con o senza di lui. La gioia che provi quando lui ti prende per mano deve essere l'esempio da seguire. Circondati di persone che ti facciano star bene, stare male non è la soluzione. Tenersi tutto dentro non farà altro che distruggerti e affondarti, vivi lottando. Sempre.

 

Per quanto riguarda te, figlio mio, non posso far altro che sperare che ciò che Elena ti ha dato sia la base su cui costruirai la tua vita. 

Sei cresciuto troppo in fretta, in un ambiente a volte duro. Regole. Imposizioni. Io stessa ci sono cascata, a volte ho dimenticato chi fossi, come è successo molte volte a tuo padre. Crescere significa sottostare a regole che però non devono ingabbiarti. 

Tu non sei il college che frequenti. 

Tu non sei il tuo cognome. 

Tu non sei quello che la gente pensa di te. 

Tu sei James, qualsiasi cosa significhi essere te stesso.

Vivi con entusiasmo le tue scelte e non avere paura di quello che provi, ricorda ogni giorno l'amore che hai provato per Elena e vivi non avendo paura. La paura affonda i combattenti più valorosi, la paura va superata e trasformandosi poi in coraggio. Il coraggio di non farti intrappolare in ciò che il nostro mondo vuole da te.

 

Non so perché vi scriva questa lettera, forse sento il tempo scivolare via. Il tempo passa rapido e osservare, giorno dopo giorno, due giovani innamorati mi ha messo un po' di nostalgia per quello che sono stata con George. 

Qualsiasi cosa la vita vi riserverà non dimenticate la parte migliore di voi.

Amate tutto.

Amate sempre.

Lottate per l'amore, qualsiasi forma esso abbia.

 

Ricordate entrambi il mio infinito amore per voi.

Demetra.

 

 

La lettera di Demetra è finita.

Mi sento strana come se le parole appena lette fossero un riassunto perfetto della mia vita. In poche righe Demetra mi ha psicanalizzata, capita e mi ha dato la chiave con cui leggere la mia vita. Io ci ho messo una marea di anni ad arrivare alla stessa conclusione, lei pochi mesi.

 

Non mi viene da piangere.

Mi sento confusa.

Credo.

Non so.

 

James è immobile. Osserva le piastrelle del pavimento senza dire nulla. Stringe la busta tra le mani come se volesse aggrapparsi ad essa. Resta fermo per qualche minuto come fosse una statua.

 

«Se me lo avesse detto a voce forse non sarei stato lo stupido idiota che sono stato», dice.

«Già, credo che forse molte cose sarebbero cambiate», gli rispondo.

«E adesso. Adesso cosa faccio, non so cosa fare», mi dice mentre lancia per terra stizzito la busta in cui era contenuta la lettera.

 

Un tintinnio.

Un tintinnio.

Un oggetto sporge dalla busta.

Ne io e nemmeno James l'avevamo notato prima.

 

James si accuccia: «Che diavolo è?».

«Sembra una chiave», gli dico mentre sfilo una piccola e vecchia chiave dalla busta, ha attaccato una lunga placca verde smeraldo di legno molto sottile. Rigiro un paio di volte l'oggetto tra le mani prima di passarlo a James.

«Cosa apre?», mi chiede mentre sfiora ogni singola parte della chiave.

«Non lo so, la lettera non dice niente a riguardo», dico io mentre rileggo il foglio.

«Eppure mi ricorda qualcosa... la serratura piccola, questo pezzo di legno verde smeraldo mi pare... mi pare...», James si guarda intorno come se cercasse di ricordare.

Lo stesso faccio io.

 

Poi.

 

Verde.

Verde smeraldo.

Chiavi.

Demetra.

Le cose a cui Demetra teneva di più. 

Lo sgabuzzino.

Gli oggetti sistemati.

Una scatola verde.

Una scatola verde smeraldo che non si riusciva ad aprire.

La stessa scatola che Kate ha fotografato per la mostra che tra poco inaugurerà.

 

«Merda», dice James. «Mia nonna ha quella scatola a casa sua. Kate non l'ha voluta tenere per la mostra proprio perché non si apriva».

 

Basta un secondo, forse meno.

James ed io ci ritroviamo a correre per l'atrio verso l'ingresso. James cerca la sua automobile nel parcheggio mentre io lo seguo cercando di fare il più veloce possibile. 

Mi tolgo i tacchi e sollevo il vestito. 

Sto correndo come un fulmine.

 

Raggiungiamo la macchina di James.

Al volo mi siedo sul sedile passeggero allacciandomi la cintura.

 

Ho il fiato corto, lo stesso James.

 

Macchina accesa.

Sgommata.

Uscire dal parcheggio.

Immettersi sulla strada e andare.

Andare verso la casa di Geltrude.

Andare senza fermarsi.

 

Il cuore mi batte forte.

 

Arriviamo a villa McArthur.

Vialetto.

Frenare di colpo.

Michael ci accoglie sorpresi.

 

Non abbiamo tempo di spiegare.

Corriamo verso l'ingresso.

Percorriamo le scale che portano al piano superiore.

Ci buttiamo nello studio di Geltrude.

E...

 

... e prendiamo fiato.

James ed io stiamo boccheggiando. Non credo di aver mai corso tanto velocemente in vita mia.

 

«Eccola», mi dice James indicandomi la scatola placcata di verde che se ne sta su una mensola. James accosta la chiave trovata nella busta, il portachiavi è dello stesso colore della scatola: verde smeraldo.

«Apriamo?», gli chiedo, anche se conosco già la sua risposta.

James annuisce.

Infila la piccola chiave nella serratura e gira.

 

Click.

 

La scatola è aperta.

 

C'è un piccolo sacchetto di velluto blu con attaccato un foglietto con scritto il nome di James. Di fianco c'è un sacchetto più grande con scritto il mio nome. Sono così pressati dentro il vano della scatola che sembrano un corpo solo.

 

Con le mani tremanti prendo il mio, lo stesso fa James con il suo sacchetto.

 

Sfilo i cordini che lo tengono chiuso.

Apro il palmo della mano.

Un foglietto ripiegato cade subito dopo una chiave.

Sul portachiavi della chiave c'è scritto Hotel Hilton.

 

Leggo ad alta voce.

 

Cara Elena,

Se sei arrivata qui è perché hai voluto essere qui. Se sei arrivata qui è perché probabilmente non ci sono più, il mio cuore ha cessato di battere e questa scatola salterà fuori dopo la mia morte. 

Credo tu abbia sempre saputo che fossi ammalata, ma non volessi vederlo. Lo capivo da come ti sei sempre occupata di me. Grazie. Grazie di cuore. Il mio viaggio sarà più sereno adesso che hai insegnato l'amore a mio figlio.

Ti lascio come regalo la prima chiave che ho preso, il mio primo piccolo trofeo, la mia guerra contro le aspettative altrui. Credo che possa diventare un tuo portafortuna, un piccolo incentivo a non farti mai mettere i piedi in testa da nessuno.

Sii te stessa, sempre.

Demetra.

 

«Io... io...», sono sopraffatta dalle emozioni. Vorrei ridere, piangere, urlare. Non so se essere felice o triste. Di certo non mi sarei mai immaginata una cosa del genere.

 

James fissa il suo sacchetto.

Lo prende.

Tira i cordini.

Un foglietto cade per primo.

Lo legge.

 

Carissimo e amato figlio mio,

Per prima cosa ti chiedo scusa. Scusa perché non sono riuscita a spiegarti cosa mi turbasse, scusa perché ho preferito tenere nascosto il mio stato di salute. Sono una vigliacca, una persona fragile, sono umana. 

Ti ho visto crescere, cambiare e farti uomo. Ti ho visto ridere, arrabbiarti e diventare triste. La cosa che però mi ha reso più felice è vederti capace di amare.

Non ti chiedo di perdonarmi, non so se ne sarai mai capace, ma ti chiedo di capirmi. Ho amato così tanto è così intensamente in vita mia che non posso che essere felice.

Felice perché sei mio figlio, felice perché ciò che ho cercato di insegnarti darà buoni frutti. 

Ti lascio la cosa più preziosa che io possegga, l'anello di fidanzamento che tuo padre mi ha regalato dopo pochi giorni che ci siamo conosciuti. Ha sempre saputo di amarmi come l'ho sempre saputo anche io.

Non si può fuggire o scappare dall'amore, si deve sempre tornare indietro e accoglierlo, bisogna tornare indietro e lottare per chi o cosa si ama.

La vita e la morte sono piccoli ostacoli a questo sentimento, niente lo può fermare.

Non ascoltare nessuno, segui il tuo cuore e ricorda che l'amore è la chiave di tutto.

 

Tua madre per sempre,

Demetra.

 

Dal piccolo sacchetto blu cade un anello in oro con diversi diamanti applicati. È un anello antico, di fattura pregiata, è un anello così bello che non ne avevo mai visto uno simile in vita mia.

 

Le emozioni sono vibranti.

L'atmosfera è surreale.

Non sento più ciò che sono.

Non sento più ciò che dovrei essere.

Chiudo gli occhi stringendo la chiave.

Cerco di capire cosa provo.

Non sono triste.

Non sono delusa.

Non sono arrabbiata.

Sono serena, in pace.

In pace proprio come quando abbraccio mio figlio.

 

James singhiozza.

Piange, forse.

D'istinto mi avvicino a lui per consolarlo, ma non sta male.

Sta ridendo.

Ride, ride con il cuore.

Ride sollevato.

Ride come raramente l'ho sentita ridere.

 

«Che succede?», gli chiedo cercando di capire come si senta.

«Non mi sono mai sentito più libero in vita mia», dice mentre si allenta la cravatta e slaccia i bottoni della camicia. Con un gesto rapido si scompiglia i capelli facendo ricadere alcune ciocche sulla fronte.

 

Mi ricorda terribilmente quando, alla festa di Rebecca, James se ne stava lontano da tutti con la divisa mezza slacciata. Quando ci stavamo per baciare per la prima volta.

 

«Mia madre è sempre stata originale, solo lei poteva fare una cosa del genere. Una caccia al tesoro. Ha sempre voluto mantenere segreta parte della sua vita, quello che ha fatto alle persone, tutte le cose buone, le ha tenute nascoste per puro divertimento, per gioco, perché era fatta così», dice mentre si sdraia per terra su uno dei tappeti persiani dello studio di sua nonna.

 

Mi metto di fianco a lui abbandonando le mie scarpe poco lontano.

 

«Ed io sono uguale a lei, lo sai? Sono talmente uguale a lei che ho cercato per anni di non farlo vedere perché... perché... perché è più divertente rimanere nell'ombra e fare del bene piuttosto che urlare al mondo chi si è veramente», mi dice mentre mette le mani dietro la testa come se si trovasse in campagna a fare un pisolino sotto un albero. 

«Questa lettera e questi regali sono la riprova di quanto fosse speciale e unica», gli dico mentre ripenso a tutti i momenti passati con Demetra.

«Unica come un fiocco di neve in estate, come mi diceva sempre lei», dice James.

«Unica come un imprevisto che non ti aspetti», dico guardandolo negli occhi.

 

James si alza di scatto.

Mi prende per mano.

Pare euforico.

 

«Te lo devo dire, non posso più trattenerlo. Basta bugie. Basta menzogne», mi dice mentre mi stringe le mani.

«Cosa?», gli chiedo contagiata dal suo improvviso buonumore.

«L'associazione W.o.n.s. E quella SUN erano gestite in segreto da mia mamma e nonna. Con la morte di mamma siamo subentrati io e mio padre. La mia famiglia ha sempre supportato l'arte e l'istruzione dei bambini», mi dice prendendomi per le spalle.

«Ma... quindi i finanziatori eravate voi? Ma con chi parlavo in quella stanza?», gli chiedo stupita.

«Con me, mio padre o mia nonna... cioè con Michael. Lei dettava e lui scriveva. Abbiamo sempre fatto così per mantenere l'anonimato. Un modo un po' contorto ideato da mia madre anni fa», dice scoppiando a ridere.

«E tu me lo dici così? Come fosse la cosa più normale del mondo? Ma sei impazzito?». 

 

Non posso fare che sorridere, tutto quello che sta dicendo James è un piccolo choc. Dovrei arrabbiarmi, insultarlo o prenderlo a sberle, ma l'unica cosa che mi viene da fare è abbracciarlo per tutto il bene che ha fatto a Maggie e per l'aiuto a Kate e alle centinaia di persone e bambini della comunità.

 

Rifletto un attimo.

W.o.n.s. letto al contrario è snow, cioè neve.

SUN è sole.

Neve e sole.

 

Come un fiocco di neve in estate.

 

Non posso far altro che sorridere.

 

«E adesso che facciamo? Hai altro da confessare? Sei un alieno? Hai superpoteri?», dico ridendo mentre incrocio le gambe sollevando il vestito per non rovinarlo.

James mi guarda con attenzione sfoderando il suo tipico sorriso sghembo: «Lo sai che l'Italia Cream è ancora aperto? Ci lavora il figlio di Karl, il tuo vecchio capo. Che ne dici se andiamo a mangiarci un gelato? Io e te. Nessun altro».

 

James mi fissa.

Aspetta una mia risposta.

Ci penso un attimo.

 

Mi sento libera.

Voglio essere libera.

Non voglio più drammi.

Non voglio più star male.

Devo essere me stessa senza i fantasmi del passato.

 

Chiudo gli occhi e gli rispondo.

Chiudo gli occhi e dico l'unica cosa che potrei dire.

...

 

---------

 

Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo.

 

Ciao!

❤️

   
 
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