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Autore: orchidee    27/11/2017    7 recensioni
Salve a tutte! È la prima fanfiction che scrivo su questo bellissimo anime che ho amato fin da bambina. Con questa storia ho voluto dare voce ai pensieri e ai dubbi di Oscar quando si accorge che i suoi sentimenti verso Andrè sono cambiati. Mi auguro possa trasmettervi qualche emozione. Se vi va datemi la vostra opinione, anche negativa. Grazie in anticipo a chi dedicherà quel che minuto a leggere la storia.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aveva passato la giornata nella sua camera. Era stanca e non stava bene. Da qualche tempo una forte tosse non le dava tregua. A volte aveva qualche linea di febbre. Sospettava che non fosse semplicemente un'influenza. Ma non aveva proprio tempo di pensare a se stessa e alla sua salute. Parigi era un inferno. Il popolo aveva fame e orde di disperati vagavano nelle strade raggruppandosi per assalire i pochi negozi che ancora riuscivano a distribuire pane e beni di prima necessità e, com'era capitato proprio la sera prima, per assalire le carrozze che per un motivo o per l'altro erano costrette ad attraversare la città. I nobili di Versailles erano lontani, ma quelli che vivevano ancora nei dintorni di Parigi avevano cominciato a temere per la propria incolumità. Alcuni avevano lasciato i palazzi per rifugiarsi in campagna. Altri, quelli più previdenti, avevano venduto le proprie sostanze ed erano andati all'estero, in Inghilterra, in Belgio, in Austria. L'aria che si respirava era di tensione, di paura e di miseria. Presto qualcosa sarebbe successo, ne era certa. Quella situazione terribile non poteva continuare a lungo. Il popolo non poteva più essere sottomesso. I sovrani avrebbero dovuto concedere maggiori libertà e riformare nel più breve tempo possibile la costituzione. I suoi soldati, tutti uomini del popolo, ne parlavano spesso. I loro rappresentanti si sarebbero uniti per chiedere al re di diventare parte attiva del governo. La Francia era percorsa da idee di libertà e di uguaglianza. Pensò che sarebbe stato bello vivere in un paese dove il popolo e i nobili potessero condividere le stesse possibilità, dove uomini e donne potessero ambire agli stessi diritti. Sorrise, cosa avrebbe pensato di lei suo padre? Che era un'eversiva? Ma in fondo non era forse stato lui a crescerla in quel modo? Non era stato lui ad educarla come un uomo? Lei era la dimostrazione che una donna poteva ricoprire qualunque ruolo, proprio come un uomo. Quindi perché precludere queste opportunità a tutte le altre donne? Era grata a suo padre per ciò che le aveva dato. E forse proprio per questo suo modo di essere diversa vedeva quello che a tutti gli altri nobili sfuggiva. Ogni uomo, ogni donna, nascevano con le stesse possibilità. Era solo la fortuna ad assegnare il titolo che molti consideravano un volere divino. 
Andrè, come lei, era diverso da tutti. Non era nobile, ma era cresciuto tra i nobili, aveva avuto un'educazione da nobile. Aveva dimostrato una capacità di apprendere l'arte e la letteratura superiore alla sua. Lei aveva sempre preferito la musica, suonare il violino e il pianoforte, lui invece amava leggere e ammirare le opere d'arte esposte in molti palazzi nobiliari e nella stessa Versailles. E anche nell'arte della scherma e delle armi da fuoco aveva un talento fuori dal comune. A volte aveva sospettato che fingesse di essere inferiore a lei per compiacerla o per compiacere il conte. Nessuno avrebbe potuto pensare che non fosse nobile di nascita. La regina stessa lo teneva in grande considerazione. Sì, presto la Francia avrebbe subito dei grandi cambiamenti. Cambiamenti profondi, come quelli che stavano sconvolgendo il suo cuore. 
Ripensò al terrore della sera prima. Aveva cercato di proteggerla, poi lo avevano trascinato fuori dalla carrozza e lo aveva perso di vista. Anche il popolo lo aveva confuso per un nobile. In quanti erano a trattenerlo? Non poteva dirlo, ma erano in tanti. Anche lei ne fu sopraffatta. Per qualche istante aveva perso la cognizione del tempo e dello spazio per poi ritrovarsi tra le braccia di Fersen. Ma lei aveva pensato solo a lui. Al suo Andrè. Avrebbe voluto correre da lui, trovarlo e portarlo lontano da quella gente che lo voleva uccidere. Ma era stata picchiata e le faceva male ovunque. Fersen l'aveva trattenuta e le aveva promesso che ci avrebbe pensato lui. Si era accasciata in quel vicolo dove l'uomo che aveva amato per tanti anni, l'aveva portata. Fersen si era allontanato e aveva fatto sgombrare la folla. Si era fatto seguire gridando il suo nome e il suo titolo. E il popolo sapeva bene chi fosse quell'uomo. L'amante della loro odiata regina. Avevano lasciato Andrè legato e svenuto. Poi alcuni soldati li avevano ricondotti a palazzo e il medico li aveva curati. Fu distratta dai suoi pensieri da qualcuno che bussava alla porta. La nonna le aveva portato della cioccolata e le aveva detto che Andrè aveva riportato solo alcune contusioni, poi la lasciò nuovamente sola. Fu sollevata nel sapere che il suo Andrè stesse bene. Il suo Andrè. Annusò la tazza. Il profumo della bevanda la fece stare bene. Era un profumo di casa, le ricordava quei pomeriggi passati in casa, quando da bambini lei e il suo Andrè, non potevano uscire perché nevicava o pioveva. Si accorse che era di fronte a lei, quasi non si era accorta che fosse entrato. Aveva qualche fasciatura e qualche livido. Ma lei riuscì solo a vedere l'uomo che da qualche tempo animava i suoi sogni. Sogni strani, che non ricordava, ma che la facevano sorridere e stare bene. Le disse semplicemente che Fersen era tornato a Versailles sano e salvo e che lui, entro un paio di giorni, sarebbe tornato a Parigi, insieme ai suoi compagni. Lo lasciò andare senza insistere perché si fermasse con lei a tenerle compagnia. Le era sembrato strano, quasi triste. Cercò di capire cosa potesse averlo reso tanto distante. Forse credeva che per lei sapere che Fersen stava bene era più importante di tutto il resto. Come poteva biasimarlo? Andrè sapeva da sempre che era stata innamorata di quell'uomo. Per lui aveva rinunciato all'amicizia con la regina. Aveva pianto e aveva addirittura cercato di attrarlo vestendosi da donna. Quanto era stata stupida? Andrè non aveva mai avuto bisogno di vederla vestita o pettinata in modo diverso, per vederla come una donna. L'aveva amata sempre, nonostante indossasse una divisa. L'aveva vista sempre per quello che era, una donna. Pensò che sarebbe stato giusto dirglielo, che non le importava più nulla di Fersen. Che quella notte si era accorta che quello che provava per lui, da molto tempo si era trasformato. Ma in cosa? Non lo sapeva. Per lei amare significava ammirare. Era questo che provava per Fersen, ammirazione. Da quando, davanti a Luigi XV, aveva offerto la sua vita in cambio della sua. Lo ammirava per la dedizione con cui aveva protetto il suo amore per la regina. Per il sacrificio fatto in America. Lo vedeva come un cavaliere senza macchia, un uomo capace di dedicare completamente la sua vita ad una donna che mai avrebbe potuto avere. Era questo l'amore? Per il suo Andrè non provava le stesse cose. Aveva sempre dato per scontato che lui avrebbe dato la vita per lei. Era il suo attendente. Qualunque attendente avrebbe dato la vita per il proprio signore. E quando lui le aveva confessato il suo amore, una sera in cui il loro rapporto d'amicizia era finito per sempre, aveva quasi provato pena per lui. Aveva pensato fosse sciocco amare qualcuno senza essere ricambiati. Sì, era sciocco e lei lo sapeva bene, anche se lo aveva capito tardi. Ma lui le era rimasto accanto, nonostante tutto. In silenzio, con discrezione. Ma non era quello che le aveva fatto capire che i suoi sentimenti erano mutati. Si era accorta che gli mancava. La sera, quando tornava a palazzo, sentiva che le mancava qualcosa di importante. Aveva cominciato a passare molte notti a Parigi, per non dover rimanere sola. Li, al comando, poteva stargli vicino. E poi... Poi aveva cominciato a provare delle strane sensazioni quando lo guardava. Aveva cominciato ad immaginarlo non come il suo servo o come un suo soldato. Non sapeva nemmeno lei come definire quelle strane fantasie. Ma a volte, sentiva un brivido percorrerle la schiena quando la sfiorava, anche solo per errore. In quei momenti avrebbe solo voluto rimanere sola con lui. Avrebbe voluto... Scosse la testa. Lei non era solita fantasticare su nessuno. Ma anche in quel momento avrebbe voluto che lui la toccasse. Arrossì e si sentì avvampare. Aprì la finestra e si appoggiò al balcone. Lui era fuori, con il suo cavallo. Lo osservò. Era così diverso da Fersen. Il conte aveva lineamenti fini, colori chiari, era alto e prestante. I capelli sempre ben acconciati e racconti sotto una parrucca. Andrè invece aveva i capelli scuri, i lineamenti marcati ma dolci, le labbra rosse e morbide. Le ricordava quelle labbra sulle sue. E gli occhi verdi. Era proporzionato e slanciato. La pelle era bianca e... Distolse lo sguardo. A cosa diavolo stava pensando? Si allontanò dalla finestra e finì di gustare la sua cioccolata, che nel frattempo si era raffreddata. Ma era inquieta. Sentiva la voglia di vederlo e parlargli. Ma lui non si avvicinava più alla sua camera. Non come una volta. Non senza invito. Si stava facendo buio. Uscì dalla stanza e si diresse verso quella di lui. Avrebbe trovato una scusa qualsiasi per giustificarsi, se lui le avessi chiesto spiegazioni. Esitò prima di entrare. Aveva bussato, ma solo lievemente. Forse per paura che lui la invitasse ad entrare. Scostò leggermente la porta. Lui non si accorse che era entrata. Era seduto sulla sua scrivania a leggere qualcosa, appoggiato alla poltrona con le gambe allungate. Rimase qualche istante ad osservarlo. Si accorse che le sue mani erano lunghe e affusolate e il suo profilo le ricordava quello di un dipinto che aveva visto a Versailles. La camicia che indossava era slacciata fino al petto e si soffermò sull'ombra che il cotone aveva formato. Proseguì l'osservazione studiandogli le gambe, muscolose e ben avvolte nei pantaloni che indossava. Si sentiva stranamente incuriosita da quell'uomo che conosceva da sempre. Si appoggiò a qualcosa e fece cadere un vaso. Lui si voltò di scatto e la vide imbarazzata, mentre cercava di raccogliere i cocci. Si avvicinò a lei e inginocchiatosi, le prese un polso delicatamente e la fece alzare.
"Non preoccuparti, ci penso io!"
Lei non gli rispose e aspettò che avesse finito di raccogliere i pezzi del vaso.
"Come mai sei qui? Avevi bisogno di me?"
Sì, aveva bisogno di lui. Aveva voglia di abbracciarlo per scaricare la tensione di quanto era successo la sera prima, voleva stringerlo a se per assicurarsi che il suo Andrè stesse davvero bene e avrebbe voluto che lui la baciasse. Che le confermasse quello che gli aveva quasi gridato quella notte. Deglutì e si limitò a dirgli
"Niente in particolare. Volevo solo chiederti quando intendi tornare in servizio."
"Un paio di giorni... Ma se preferisci posso tornare a Parigi domani."
"No... No! Un paio di giorni! A dopo!"
Uscì dalla sua stanza correndo. Si chiuse nella sua e si sdraiò sul letto. Affannata e sudata. Aveva provato un desiderio sconosciuto mentre lo guardava, che era cresciuto quando le aveva preso il polso per aiutarla ad rialzarsi. Forse era quello l'amore. Il desiderio di toccare un uomo e di abbracciarlo, stringerlo a se e sentire la propria pelle su quella di lui. Accarezzare il suo collo e posare le labbra sulle sue. Lei non sapeva nulla dell'amore. Era un soldato, al quale anche l'amore era precluso. Nessuno la vedeva come una donna. Solo lui l'aveva fatta sentire tale, quella notte in cui si era scoperta fragile e indifesa tra le sue braccia. E ogni volta che lui la guardava. Che le parlava. Lui la faceva sentire una donna, solo lui. Si sbottonò la camicia e se la tolse e fece la stessa cosa con i pantaloni. Rimase nuda e ferma per qualche istante. Poi si avvicinò allo specchio e si guardò. Erano fatte tutte così le donne? Le dame a Versailles indossavano abiti che mettevano in evidenza il loro seno. Accentuavano i lineamenti con molto trucco e portavano assurde parrucche. Lei era come loro? Si sentiva così diversa. Era alta, il suo seno era piccolo, le gambe muscolose e i capelli sempre in disordine. Ma come faceva a tenerli pettinati se cavalcava per tutto il giorno? Si sfiorò appena il collo e una spalla. Il suo corpo doveva assomigliare molto di più a quello di un uomo che a quello delle donne. Come poteva un uomo provare qualcosa per lei che non era nemmeno una donna come le altre? Forse anche Andrè non la vedeva più come prima. Forse si era stancato e aveva smesso di amarla. Forse, insieme ai soldati della guardia metropolitana, aveva imparato a vivere senza amarla. Forse ora riservava gli sguardi che prima erano destinati a lei, ad un'altra donna, più bella, femminile. Socchiuse gli occhi. Sperò che lui la raggiungesse e la sorprendesse così, nuda. Immaginò che lui la guardasse e le dicesse che i suoi dubbi erano solo sciocchezze. Che era lei la donna più bella del mondo. Che nessuna era come lei. Immaginò che si avvicinasse e la sfiorasse. Che le desse un bacio. A quel bacio lei non si sarebbe sottratta. L'avrebbe ricambiato. E avrebbe cercato sotto la camicia la sua pelle per scoprire se anche lui sentiva un fremito avendola vicina. Lei non sapeva cosa fosse l'amore, ma se lui fosse stato con lei in quel momento, gli avrebbe chiesto di insegnarglielo. Si sentiva una bambina, curiosa e spaventata di fronte a quelle sensazioni mai provate e che per la prima volta la sconvolgevano e la sorprendevano. Forse c'erano tanti tipi di amore e quello che aveva provato per Fersen era solo uno dei tanti. Ma per lui sentiva che avrebbe potuto perdere la testa. Si rimise la camicia e i pantaloni e si buttò sul letto, coprendosi la testa con un cuscino, nascondendo anche a se stessa quello che provava. Bisogno. Aveva bisogno di lui. Lui sapeva capirla, sapeva tenerle testa. Sapeva che non aveva mai avuto paura a contraddirla. La sfidava ogni volta che non era d'accordo. La faceva ridere. Da quanto tempo non rideva? E desiderava dirgli che lui era importante. Che era la persona più importante. Che ogni mattina era a lui che pensava e la sera si addormentava immaginandolo al suo fianco. Era lui che sognava. Sogni strani che il mattino dimenticava. Se in quel momento lui fosse stato con lei, avrebbe fatto qualunque cose le avesse chiesto. Si sarebbe data a lui, anche se nemmeno sapeva cosa volesse dire. Ma sentiva che era quello che voleva e che desiderava. Per lui, in quel momento, avrebbe lasciato ogni cosa, la sua casa, il comando dei suoi soldati, il titolo... Ogni cosa. Se solo lui fosse entrato da quella porta sarebbe andata via con lui. Lontano.
Era stanca e le faceva male dappertutto. Forse era stata la paura a farle pensare certe cose. La paura di non riuscire a farcela, la paura di perderlo. Forse era solo un po' confusa. Lui avrebbe ripreso servizio entro un paio di giorni. 
La mattina successiva si fece sellare il cavallo di buon ora. Spronò l'animale a galoppare il più veloce possibile verso Parigi. Non poteva rimanere un altro giorno nella stessa casa. Il suo ruolo l'avrebbe riportata alla realtà, chiudendo in un cassetto quelle speranze e quelle fantasie che non si addicevano ad un nobile comandante come lei.
   
 
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