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Autore: Melanto    27/11/2017    12 recensioni
Nel bene e nel male, la vita è imprevedibile.
Capita che un minuto prima scherzi con gli amici e un minuto dopo ti ritrovi nell'incubo che non vorresti vivere; tanto vicino e tanto casuale da non credere che potrebbe capitare proprio a te.
Ma questa è una di quelle coincidenze universali che Mamoru si troverà davanti nel momento in cui la sua vita si fermerà per sempre in un convenience store.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Kumiko Sugimoto/Susie Spencer, Mamoru Izawa/Paul Diamond
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mori no Kokoro - Il Cuore della Foresta'
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Sonnet - Prologo

Nota Iniziale: Ehi, ehi, ehi! XD (cit.)

Che il Lunedì sia con voi, mi sento un po’ arrugginita nel dover scrivere questa nota iniziale perché è proprio da parecchio che non ne butto giù una.

Dall’ultima volta che ho pubblicato qualcosa è passato un sacco di tempo; tempo in cui sono stata praticamente ‘afk’ (come si diceva ai tempi XD) e come incapace di mettere giù qualcosa di costante e decente.

Le trame, ovviamente, non mi sono mai mancate e credo di averne almeno una trentina da sviluppare; mancava invece l’ispirazione. Dopo essere stata tanto tempo su un progetto lungo e complicato come “Lazarus” devo aver consumato più energie di quante preventivate.

Poi è successa anche la Real Life, nel frattempo. Combinazione letale! XD

Ma, ehi!, poi avvengono anche i miracoli e proprio come i miei lazzari sono ‘risorta dalla tomba’.

La voglia di riprovarci, di mettere mano a delle trame in pratica già pronte e che avevano solo bisogno di essere scritte, mi è stata data dal NaNoWriMo di quest’anno. :D
Ma per ogni spiegazione vi rimando alla nota finale :)

Nel frattempo non posso che augurarvi: buona lettura! :*

 

Mel is back in action.

XD è una minaccia. Come sempre.

 

 

Sonnet

- Il pruno fiorisce in inverno –

 

- Prologo: In Medias Res -

 

Takuya Haruna fa quel lavoro da circa trent’anni.

Alla parete ha la laurea incorniciata come i suoi colleghi, e alcuni attestati tra Master e Specializzazioni conseguiti negli anni successivi. È in quello studio nel centro di Shizuoka City dallo stesso tempo, lo ha comprato dopo averci pagato l’affitto per sette anni.

Per il suo divano, o a zonzo in lungo e in largo nella stanza, ci sono passati decine e decine di pazienti, alcuni più difficili, altri meno. Alcuni molto provati, altri solo bisognosi di parlare con qualcuno. Lo considerano ‘uno bravo’, glielo hanno detto più volte anche i colleghi, ma a lui non è mai piaciuto granché venire etichettato sulla pelle di chi entra ed esce da quello studio. A lui importa solo fare il suo lavoro, e farlo bene.

Ma da un paio di sedute ha iniziato a dubitare di poter essere davvero utile al suo ultimo paziente.

È giovane, un ragazzo di ventun anni compiuti da poco.

La prima volta che lo ha visto, era accompagnato dai genitori: brave persone, corrose dal dolore per l’evidente sofferenza del figlio. Hanno scambiato due parole da soli, lasciando il ragazzo seduto nella sala d’aspetto. Ciò che lo aveva sorpreso era stato ritrovarlo dopo venti minuti nella stessa identica posizione. Nessun movimento, Haruna ne era stato sicurissimo al cento per cento: seduto, occhi a terra, mani dalle dita intrecciate poggiate sulle ginocchia.

La storia del ragazzo risale a quattro mesi prima di quell’incontro, e i genitori non hanno dovuto spiegargli molto perché se ne è parlato in televisione per settimane intere, mesi addirittura. Poi, come tutti gli eventi più o meno importanti, le notizie sono andate a scemare fino a che di quell’evento non è rimasto che un ricordo amaro e doloroso.

La loro prima seduta era stata una linea di silenzio.

Il ragazzo non aveva aperto bocca e neanche lui, con la speranza che fosse proprio il giovane a fare il primo passo senza venire in qualche modo forzato.

Con la seconda seduta aveva tentato un approccio, posto delle domande, ma c’era stato ancora silenzio nelle risposte. La terza una mera fotocopia della seconda.

Alla quarta, il ragazzo si era alzato dal divano e aveva camminato per alcuni passi, raggiunto la finestra, guardato fuori. Haruna aveva chiesto, caparbio, se se la sentiva di spezzare il proprio silenzio, ma non c’era stato nulla da fare.

Quella è la quinta seduta e quando la situazione diviene così simile a un vicolo cieco, Haruna è il primo a fermarsi e a capire che, probabilmente, non è lui la persona più adatta ad aiutare il proprio paziente.

«Signor Izawa. Mamoru,» esordisce, d’un tratto, dopo aver guardato il ragazzo fare la spola tra la pianta che ha in uno degli angoli dello studio, e il divano.

«Non mi hai mai detto se va bene che io ti chiami per nome. Ma dato che sei così giovane, possiamo essere un po’ informali tra di noi. Mamoru, tu lo sai perché sei qui, ma se non inizi a parlare con me non andremo da nessuna parte. Né tu né io. E questo è quasi sicuro che sarà il nostro ultimo incontro. Sei proprio certo di non voler cominciare da un punto qualsiasi? Anche dalla prima cosa che ti viene in mente.»

Haruna ha una voce molto pacata, rassicurante. Si rilassa sulla poltroncina posta lateralmente al divano, creano come una L se si segue il percorso di entrambi. Al centro, tra le sedute, c’è un tavolino basso dal ripiano in vetro. Haruna ha lasciato lì l'orologio da polso, lo toglie sempre quando inizia un appuntamento affinché il paziente non percepisca l’incombere del tempo, la fretta.

Mamoru è fermo presso la solita pianta e gli dà le spalle. Come le altre volte, non sembra intenzionato a parlare, ma guarda l’arbusto dal tronco ritorto, non troppo spesso, ne tocca le foglie lisce ai bordi, le solleva.

Haruna si porta una mano al mento, massaggiandolo con fare meditabondo. Le ha provate tutte, tentare anche quella non sarà una perdita di tempo, si dice.

«Ti piace? La pianta, intendo.»

«E’ un ficus.»

Haruna ha come un guizzo, raddrizza la schiena. Non si è davvero aspettato di ricevere una risposta, non dopo il continuo parlare a vuoto e invece, ecco la voce del suo paziente. La sente per la prima volta.

«Sì. Sì, è un ficus.»

«Lo ha annaffiato troppo.» Mamoru è conciso. Non gira intorno alle parole, le dice così come sono. «Le foglie stanno ingiallendo, vede? Troppa acqua. Così marcirà e morirà.»

Haruna cambia posizione sul divano, accavalla le gambe in ordine inverso.

«Sembri uno che ne capisce. Io sono negato.»

«Non io», precisa Izawa. «Ma lui lo ripeteva sempre. Io sto cercando di ricordare cosa diceva.»

Haruna osserva la malinconia nel suo profilo, nel modo in cui tocca la foglia morente del ficus, quasi fosse una persona e la sua una carezza affettuosa.

«La mancanza non si misura in termini di tempo, non c’è un limite oltre il quale non la si proverà più.»

Mamoru si gira e per la prima volta, dopo avergli fatto sentire che suono abbia la sua voce, gli mostra anche lo sguardo, il viso è bloccato in un’espressione dolente di apatia. Potrebbe sembrare assente, ma è proprio lì in quel momento, con la mente non solo con il corpo.

«Io non credo di sentirne la mancanza. Lui è ancora…»

Si guarda intorno, quasi a cercare quel ‘lui’ con gli occhi, nemmeno sia destinato a spuntare, prima o poi, come a nascondino, da dietro una tenda, il divano, sotto la scrivania.

Sapere, invece, quale sia la verità gli smuove i tratti piegandoli con durezza. Adesso Mamoru è vigile più di prima, si potrebbe dire che sia ‘in sé’.

Raggiunge il divano con passo sbrigativo e si siede, intrecciando le dita sulle ginocchia, nella posizione assunta più di sovente durante le loro sedute. Haruna vede che vuole distaccarsi dagli eventi e dalla realtà, mettere sé stesso su un piano diverso, distante. Mettersi al sicuro.

«Io so perché sono qui, ma non voglio. Sono stati i miei a insistere.»

«Perché pensi lo abbiano fatto?»

«Perché vogliono che ne parli. Mi farà bene, dicono.»

Le labbra trovano il modo di esprimere ironia increspandosi da un solo lato, poi tornano serie.

«E davvero non capisco come sia possibile una cosa simile. Parlarne non cambierà la cose, non le farà tornare indietro, non le cancellerà.»

«E` vero, ma non è questo il significato delle parole. Non devono cancellare.»

«E allora che se ne parla a fare?»

La fase di disprezzo è successiva in una sequenza di cui Haruna conosce già i passi, e sa come affrontarli. Gli sorride confortante, ma non vuole porsi su un piano ancora differente e superiore, non vuole che Mamoru pensi di doverlo raggiungere da qualche parte: devono rimanere esattamente lì dove sono. Se si sposteranno, lo faranno insieme.

«Per provare ad accettare.»

«Allora è fiato sprecato.»

«Non vuoi nemmeno tentare?»

«Tentare?»

Mamoru ora mette sul piatto la propria confusione, il motivo per cui dopo quattro sedute non è stato in grado di parlare. Scrolla le spalle in un gesto di frustrazione.

«Io non saprei neppure da dove cominciare.»

«Non deve essere per forza dall’inizio. Puoi partire dal centro, dalla fine. Da dove vuoi. Da dove senti che debba essere scritto il primo kanji.»

Gli occhi di Mamoru si arenano in un punto fisso del tavolo. Non c’è niente lì, se non il vetro spesso. Haruna sa che quelle iridi scure non stanno vedendo né il tavolo né il vetro, né il tappeto sotto di essi. Cercano un punto, un appiglio cui aggrapparsi e farlo divenire il bandolo dell’intera matassa. Iniziare non è mai il momento più facile, ma una volta afferrato il capo dopo lo si deve solo seguire.

Mamoru prende fiato che gli gonfia i polmoni e lascia andare il proprio inizio come un palloncino sfuggito di mano.

«La nostra vita si è fermata in un convenience store

 

“My friend and me
Looking through her red box of memories…”

 

Sonnet – The Verve

 

 

 

Nota finale: ok, prima di tutto parliamo del NaNoWriMo. :)

Non so quanti di voi sappiano cosa sia, ma si può riassumere come una challenge mondiale di scrittura che viene svolta nell’arco del mese di Novembre; in 30 giorni si devono scrivere 50mila parole e visto che avevo bisogno di uno sprone serio per rimettere mano alla tastiera, mi sono decisa a provare.

La storia cui sto ancora lavorando e che mi ero prefissa di portare per il NaNo è il sequel di ‘Sonnet’. :D al momento sono a circa un terzo della trama, ma nel frattempo, proprio perché sento di aver ritrovato il mio ritmo abituale, ho scelto di sobbarcarmi anche ‘Sonnet’, così sto effettuando stesura congiunta di entrambe.

Per chi mi conosce, sa bene che non lascio cose a metà e che una volta preso il via, le storie ve le servo con regolarità da orologio svizzero. In questo caso non c’è differenza :D

 

La storia che avete appena aperto è di sicuro più breve del suo sequel e anche per questo ho scelto di iniziare a scrivere (XD e a dire il vero, anche a quasi finire lol) contemporaneamente all’altra. È un po’ come è successo per ‘Lazarus’, in cui scrivevo sia ‘Lazarus’ che la raccolta ‘Make me bad’.

‘Sonnet’ sarà composta da un prologo e un epilogo scritti nel tempo presente (poiché riguardano il presente narrativo in cui l’intera storia è ambientata) e quattro capitoli centrali scritti al passato (perché sono il ‘ricordo’ narrato attraverso Mamoru).

Bonus Info: per le mie slashare folli, non fatevi intimorire dalla dicitura 'Het'; davvero, è l'ultima cosa in questa storia. XD

Per questa settimana ci saranno DUE aggiornamenti, solo perché il prologo è piuttosto breve. Ma dalla prossima settimana ci vedremo ogni giovedì/venerdì :D

 

E per il momento vi lascio qui, ma per qualsiasi altra informazione aggiuntiva o anche semplice curiosità vi rimando al mio profilo su Facebook. :)

Follow the forest… Melanto 森 Mori

 

 

 

   
 
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