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Autore: melville    27/11/2017    0 recensioni
Ricominciare.
é una parola semplice, ma forse metterne in pratica il significato non lo è altrettanto. E Peter lo sa bene, purtroppo.
Una storia dove il passato e il presente sembra continuino a inttreciarsi senza lasciarsi andare. Tra università, turni di lavori part-time e coinquilini impiccioni, Peter cerca di andare avanti con la sua vita senza dover affrontare i fantasmi del passato... ma a volte nemmeno la più forte delle volontà può bastare. Non quando, a dirla tutta, non si è pronti a voltare per sempre pagina per primi.
Una storia dove ricominciare non vuol dire necessariamente chiudere per sempre il libro, ma iniziare semplicemente un nuovo capitolo.
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Rimaniamo tutti qualche istante in silenzio prima che la voce di Jace mormori qualcosa come: “E chi era quella fica?”
Non so se sentirmi geloso per l’apprezzamento rivolto alla ragazza o ridere per il solito modo inopportuno di Jace. Scelgo l’indifferenza, che forse mi salva più di tutto ormai.
“Nessuno d’importante Jace”, solo il mio più grande amore e immenso rimpianto.
Martyn mi guarda male e Marie Claire alza un sopracciglio scettica, perché alle donne certe cose non sfuggono.
“Allora”, sospiro “Riprendiamo il lavoro?”
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo III

martedì

 

Sono le due di pomeriggio quando entro trafelato nel bar, il viso paonazzo e i capelli imbrogliati a formare una zazzera scomposta sulla mia testa. Oggi il vento non risparmia nessuno e per strada a ogni angolo si possono scorgere londinesi in lite con le correnti d’aria troppo forti o all’inseguimento di oggetti, fogli, sacchetti con cui il vento ha deciso di giocare per un po’.

Martyn sta già impazientemente aspettando che io metta il grembiule per terminare ufficialmente il turno e ricevere da me il cambio, siccome oggi è martedì e i corsi universitari sono al mattino il turno al bar mi prende il pomeriggio. Saluto Delilah, l’altra ragazza che fa i turni pomeridiani e che chissà come faccia, è sempre in anticipo e mi fa fare la figura del ritardatario.

«Buon giorno Peter!», mi sorride allegra come sempre.

Seppur io preferisca i turni del mattino, mi fa piacere passare il tempo con Delilah perché mi trasmette sempre un piacevole senso di felicità e spensieratezza, due aggettivi che sicuramente la rappresentano al meglio. È quel tipo di persona per cui l’aspetto fisico rispecchia al meglio quello caratteriale, o viceversa. Gli occhi verdi smeraldo sono sempre accesi da una luce gioiosa, la bocca larga è sempre distesa in sorrisi rivolti a chiunque, i denti bianchissimi e perfettamente dritti sono sempre in mostra in quei dolci sorrisi che le fanno spuntare due fossette sulle guance paffute e rosee, donandole un’aria fanciullesca e d’innocenza.

Oggi indossa un vestito a stampa floreale, il che non è una gran novità: in questi mesi che la conosco ho potuto notare la sua, oserei dire, ossessione per i fiori, per cui ogni giorno nel quale ci incontriamo ormai mi diverto a trovare quel particolare che rispecchia il suo amore per essi, possono essere scarpe come collane e anelli oppure orecchini e sciarpe, fermacapelli o vestiti, magliette, pantaloni.

Martyn s’infila il cappotto pesante e fa qualche giro con la sciarpa nera intorno al collo.

«Questa mattina è passata la tua amica a cercarti, sembrava parecchio delusa quando non ti ha trovato» mi informa il mio collega con un sorriso furbo e io cerco di capire di chi stia parlando, perché davvero non ho presente. Deve notare la mia espressione confusa perché aggiunge: «Quella che era passata ieri mattina, la biondina tutta elegante a cui hai offerto il caffè.»

Stringo la mascella e perché diavolo Dianne è passata di nuovo al bar questa mattina? Non mi pare di aver dimenticato altri vestiti in giro ieri.

«Ti ha detto qualcosa?», chiedo secco a Martyn e si vede che si sta scocciando perché vorrebbe andare ma le mie domande lo trattengono.

«No, ha preso un té al limone e se n’è andata.»

«E allora come fai a sapere che cercava me?»

Infastidito il mio collega rotea gli occhi al cielo per poi rispondere spazientito: «Perché appena ha visto che al mio fianco non c’eri tu ma quel ciccione di Andrew ha fatto una faccia che dire delusa è un eufemismo!»

Ammetto con un po’ di vergogna che la prima cosa a venirmi in mente è lo stupore che provo nello scoprire che Martyn conosce il significato della parola eufemismo; la seconda cosa a stupirmi è che davvero sia stato in grado di cogliere un’espressione diversa dall’eccitazione sulla faccia di una ragazza. Infine mi meraviglio, e non riesco a capire se positivamente o negativamente, della delusione di Dianne quando non mi ha trovato. Passerà di nuovo? Era davvero venuta per me? Se sì, perché?

E se l’avesse mandata Charlie dopo ieri sera?

Sono ancora piuttosto arrabbiato con lui perché ha sbagliato anche se non vuole accettarlo e finché non lo ammetterà, ripetutamente, non credo lo perdonerò. E poi devo ancora capire come mai non mi ha mai detto di essere rimasto in contatto con lei, perché me lo ha dovuto tenere nascosto.

E diavolo!, è un anno che non la vedo, che cerco di non pensarla e adesso in tre giorni la vedo due volte e il suo nome salta fuori più in questi giorni nelle mie conversazione che in tutto l’anno. Cosa sta succedendo?

«Peter va tutto bene?», mi chiede gentilmente Delilah, gli occhi leggermente preoccupati e le labbra chiuse in un sorriso incerto.

«Certo, tranquilla!» rispondo mettendo in mostra il mio miglior sorriso e accantonando in un angolo oscuro del mio cervello i pensieri che mi stanno tormentando.

 

Chiudo il bar alle sette di sera, con Delilah che è andata via cinque minuti fa perché se no perdeva l’autobus. Solitamente il martedì Charlie viene a prendermi con la macchina dopo essere andato in palestra e spero che nonostante la mia scenata di ieri sera oggi non sia da meno perché a essere sincero non ho la minima idea di dove si trovi la fermata dell’autobus o l’orario in cui passa. Anzi non sono nemmeno del tutto certo del numero che passa sotto la nostra via, azzarderei sul 179 ma non ne sono affatto sicuro e mi toccherebbe farmela a piedi. Rimpiango di aver lasciato la bici in garage, ma per andare all’Università stamattina sarebbe stata solo una scomodità.

Impreco quando comincia a piovere e cerco riparo sotto la tettoia del bar. Oggi non ho neppure la giacca!

Sono le 7.15 di sera e Charlie ancora non è passato e solitamente non ci mette mai così tanto. Sbuffo e tirato il cappuccio sopra la testa m’incammino verso casa. La pioggia fine ma forte mi prende in pieno e nonostante cerchi di ripararmi al meglio sento che ogni centimetro del mio corpo si sta bagnando sempre di più, aumento il passo e giuro che appena arrivo a casa Charlie mi sente, altro che se mi sente quel ragazzino!

Dico, ok può essere arrabbiato con me quanto vuole e fare l’offeso per ragioni che ancora non riconosco come valide, però diamine poteva anche venire a prendermi ed evitarmi tutta questa sofferenza e il raffreddore che sono sicuro mi ritroverò domani mattina. Ho le Vans pure bucate in punta, sento il piede destro sprofondare nella suola bagnata della scarpa e i calzini fastidiosamente incollati ai piedi. Le mani sono riparate, nascoste dentro le maniche della felpa e infilate nelle tasche. Starnutisco fermandomi proprio in mezzo al marciapiede e per un momento mi sembra davvero che abbia improvvisamente smesso di piovere. Alzo lo sguardo da terra e mi accorgo di essere riparato da un ombrello giallo canarino, tenuto saldo dalla mano di Dianne.

Non so se prenderla come una benedizione del cielo e solo come l’ennesima svolta negativa della giornata, rimango diffidente a metà tra queste due emozioni e le rivolgo un sorriso di ringraziamento.

«Sembri un pulcino bagnato» mi informa cercando di trattenere le risate di scherno, ma viene fregata dalle piccole rughe che le si formano ai lati degli occhi, che smascherano il suo divertimento.

«Ho dimenticato l’ombrello a casa» le rispondo con un’alzata di spalle, sfregandomi le mani tra loro per riscaldarle. Bugia per non sembrare un idiota: odio li ombrelli e credo di non averne nemmeno uno.

Lei guarda velocemente la strada, «Sei a piedi?», chiede.

Annuisco, anche se la cosa mi pare abbastanza ovvia.

Mi porge il suo ombrello velocemente e io lo afferro stranito. Non faccio nemmeno in tempo a formulare una domanda che mi interrompe sventolando una mano e allontanandosi sotto l’acqua che subito le bagna i capelli biondi lasciati sciolti.

«Tienilo tu, ne hai più bisogno. Io prendo l’autobus!»

La rincorro, «Dianne figurati non mi serve. Stai tranquilla e riprenditi l’ombrello.»

Mi sorride e vorrei davvero darle quel dannato ombrello ma non riesco più a muovere un muscolo, perché quel sorriso mi blocca i piedi al suolo e ogni arto si rifiuta di muoversi. Lei sale sull’autobus e se ne va davanti ai miei occhi. Rimango fermo sul marciapiede a guardare dritto davanti a me, riparato sotto l’ombrello giallo canarino.

Dio quel sorriso era più di un anno che non lo vedevo e mi era mancato, tanto.

Dianne faceva quel sorriso quando discutevamo ma sapeva di aver già vinto e che io avrei lasciato perdere. È sempre stato un sorriso furbo, che le formava qualche rughetta ai lati delle labbra e le faceva arricciare leggermente il naso, formando un’increspatura sulla fronte, in mezzo alle sopracciglia. Ho sempre detto di non sopportare quel sorriso di vittoria, ma in realtà mi accorgo ora di quanto lo trovassi confortante: come una garanzia a dire che anche se discutevamo nessuno dei due era arrabbiato davvero e tutto sarebbe tornato a posto.

Non vedevo quel sorriso da prima di partire per l’Irlanda, non l’ha fatto quando abbiamo litigato l’ultima volta. Quando me ne sono andato. Non c’era nessuna garanzia che sarebbe andato tutto bene perché nulla sarebbe tornato a posto quella volta. Io sicuramente non ne avevo la forza e lei era troppo persa nella sua disperazione per provare a lottare.

E forse ha ragione Charlie, forse dovremmo parlarne di quella sera e di quelle precedenti. Degli ultimi mesi passati insieme: di quando le cose hanno cominciato a girare per il verso sbagliato ma noi non volevamo rendercene conto, fino a quando lei ha ceduto facendo molto più male a entrambi di quanto mai avrebbe potuto prevedere.

«Peter!» giro velocemente la testa verso la strada e vedo Charlie agitare una mano dal finestrino per farsi notare. Sorrido, alla fine è venuto a prendermi.

Aspetto che la strada si liberi dalle macchine e lo raggiungo dall’altra parte della strada. Faccio il giro dell’auto velocemente ed entro dalla parte del passeggero. Getto lo zaino sui sedili posteriori e tengo l’ombrello giallo chiuso vicino ai piedi.

«Da quando hai un ombrello giallo?», mi domanda Charlie stupito mentre si immette in strada.

«Ma figurati se è mio idiota!»

Non che abbia qualcosa contro gli ombrelli o il colore giallo canarino ma entrambi non sono sicuramente nel repertorio delle mie cose preferite e Charlie mi conosce da abbastanza tempo per saperlo.

«Ah ecco. Mi sembrava strano.»

Ride leggermente, buttando fuori qualche sospiro leggero dalle labbra e magari è la volta buona che si è accorto di aver detto una cavolata.

Accendo la radio che è già impostata sul canale di Virgin Radio, ‘Teenager’ dei My Chemical Romance spara dalle casse dell’auto e Charlie abbassa prontamente il volume, non è mai stato un fan del rock moderno.

Sbuffo.

«Sembri un bambino, Pete.»

«Sono solo stanco. Come sono andati oggi i tuoi studi da ragazzo intelligente?»

Alza gli occhi al cielo, come se stessi dicendo qualche cavolata tanto per, ma sappiamo entrambi che le mie parole rispecchiano semplicemente la verità. Sin dai tempi della scuola di primo grado Charlie si è distinto per la sua intelligenza spiccata, che lo ha sempre portato ad avere ottimi voti a scuola e la simpatia dei professori. L’unico professore a cui io sono mai stato simpatico è stato il supplente di educazione fisica che al terzo anno ha sostituito la mia prof., che doveva partorire o forse era stata mollata dal marito. Non ricordo. E l’unico motivo per cui gli stavo simpatico era perché ero forte a calcio, e lui amava il calcio tanto da farci fare solo quello per quattro mesi di fila. Inutile dire che la maggior parte degli studenti lo odiava. Per il resto il contatto più amichevole che io abbia mai avuto con un professore è stata la stretta di mano ricevuta dopo essermi diplomato e finalmente aver raggiunto la libertà. E loro si erano finalmente tolti un altro ragazzino idiota dalle loro classi.

Charlie intanto sono ben sei minuti che racconta della lezione di biochimica e io mi sono perso già quando ha detto il nome dell’argomento che hanno studiato quel giorno. Ammetto che a volte non mi impegno proprio nell’ascoltarlo, ma la mia era una domanda di cortesia più che d’altro: non volevo che cominciasse a descrivere minuto per minuto le due ore di lezione del suo pomeriggio.

Ma infondo lo apprezzo anche per questo suo lato da bravo ragazzo. Che poi è l’unico motivo per cui mia madre è stata entusiasta di sapere che avremmo condiviso l’appartamento, sperava mi avrebbe messo la testa a posto dopo che Dianne non ci era riuscita. Inizialmente aveva riposto molta fiducia in lei, per poi rendersi conto che per quanto Dianne avesse un’influenza particolare su di me, altrettanta io ne avevo su di lei e ben presto l’avevo corrotta ai pub periferici e alla birra alla spina.

«Peter non farmi le domande se non te ne frega nulla della risposta.»

Parcheggia davanti a casa.

«Guarda che ti stavo ascoltando», mi difendo con uno sguardo fintamente offeso, mi ha beccato troppe volte ad appisolarmi durante i suoi racconti non posso mica lasciargliela vinta anche questa volta.

Si gira con un sorriso entusiasta, «Menomale Pete, ero sicuro che mi avresti ammazzato! Allora le mando subito il messaggio di conferma.»

Esce dalla macchina e si avvia verso la porta di casa.

Conferma? Cosa?

Lo raggiungo correndo per le scale e arrivo al pianerottolo mentre apre la porta, ho il fiatone e lui è lì tranquillissimo, da quand’è che mi sono rammollito così tanto?

«Ok, lo ammetto non ho sentito nulla di quello che hai detto. Devi confermare cosa a chi?»

Sospira, probabilmente rassegnato dal mio essere così… così, e con un ultimo giro di chiave apre la porta ed entra in casa.

«Oggi in facoltà ho incontrato una ragazza, si è seduta accanto a me durante anatomia.»

Mi sono sempre chiesto quale colpo forte e doloroso abbiamo reso Charlie così fuori di testa da voler diventare psichiatra. Non tanto perché quella è una professione che io non farei mai –non sono abbastanza paziente, altruista, con i nervi fermi, e tutte quelle componenti fondamentali che servono per essere un buono psichiatra-, quanto per la quantità di anni di studio che si trova ancora da dover compiere: chi vorrebbe studiare medicina e poi dover fare ancora la specializzazione in psichiatria? Povero ragazzo intelligente.

«Peter ma mi stai ascoltando?»

«Sì sì, parlavi di lezioni di anatomia!»

Deglutisce e mi guarda negli occhi serio, aspettandosi probabilmente che io mi tolga dalla bocca il ghigno che vi è comparso dopo la parola anatomia, ma non è colpa mia se io riesco a pensare solo a corsi di anatomia pratici. Cerco di ricompormi e tornare serio.

«Questa ragazza mi piace davvero Pete, si chiama Elizabeth e dopo quattro mesi mi ha finalmente notato e oggi si è seduta proprio affianco a me e ha cominciato a parlare proprio con me.»

«Wow, il piccolo Charlie cresce. Sono felice per te amico, ma non vedo come questa cosa possa comprendermi», ancora non capisco cosa c’entri io in tutta questa situazione. Se vuole fare il sottone per una ragazza ben venga, ma onestamente non ho la voglia, o la forza, di stare a sentire delle sue imprese amorose.

«È un’amica di famiglia di Dianne e sta da lei fino a che non trova una sistemazione migliore…», mi guarda e quello sguardo non promette niente di buono, così come il tono di voce che ha pronunciare il nome ‘Dianne’: si è improvvisamente reso più insicuro e fine. «Mi ha invitato a cena. A me e al mio coinquilino.»

Per quanto il divano su cui sono seduto sia comodo mi alzo repentino e prendo svelto la via della cucina.

«Te lo puoi scordare Charles. Vai pure, non m’importa di quello che fai con la tua nuova amichetta ma non trascinarmi con te.»

M’insegue svelto e: «Dai Peter, cosa ti costa venire con me per una sera?»

Stappo la Ceres che ho appena preso dal frigo e prendo un lungo sorso, forse per bloccare il fiume d’insulti che stavano per uscirmi di bocca.

«Capiscimi Charlie, non ne ho voglia. Puoi benissimo andarci da solo e portarti dietro qualcun altro. Io non sono disponibile.»

Charlie adesso è arrabbiato, lo si può notare dalle narici dilatate e dalla mascella contratta.

«Ma sì, tanto è sempre tutto il Peter Hudson Show, o sbaglio? Se tu non vuoi fare una cosa allora devono rimetterci tutti, no? Ho fatto tutto per te in questi mesi, ti sono stato vicino e ti ho consolato per quanto mi fosse possibile, ho rinunciato a un sacco di cose e mi sono fatto in quattro per renderti felice. E tu non puoi per una volta mettere da parte il tuo ingombrantissimo ego?»

Faccio uno o due passi verso di lui e non m’importa se sono più basso e lui mi sovrasta con la testa, lo afferro per la maglia e lo scuoto arrabbiato, il tessuto leggere della t-shirt bianca incastrato tra le mie dita.

«Non è una questione di ego Charlie, ok? Vaffanculo!, non venirmi a dare dell’egoista perché non sei tu quello che dovrebbe andare nel suo vecchio appartamento, quello che condivideva che la ragazza che amava e lo ha tradito. L’appartamento dove ha vissuto per anni, quello che ha dovuto lasciare e che contiene due anni della sua vita. Tu non ti sogni la notte di poterci tornare e far finta che niente sia successo e che tutto va bene!»

Charlie mi afferra calmo la mano e la stacca dalla sua maglia. Mi guarda negli occhi dal suo metro e ottantatré.

«È sempre la stessa storia Pete: non puoi vivere così per sempre. È ora che tu vada avanti.»

Ma Charlie come posso andare avanti se il passato continua a perseguitarmi?

~


 

 
 
 
 
 
 
 
Image and video hosting by TinyPic Peter a sinistra e Martin a destra, sull'account di Peter :)



Spero il terzo capitolo vi sia piaciuto!!!
Fatemi sapere cosa ne pensate, quali personaggi vi stanno simpatici? 
vi piace il personaggio di Dianne?, io personalmente adoro Charlie :)
Voi, al posto di Peter, come vi comportereste?
alla prossima settimana!!
 
 
  
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