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Autore: piccina    28/11/2017    5 recensioni
"Non era mai stato un padre tradizionale, ma a quel figlio voleva bene e sentiva che in questo momento aveva bisogno di lui"
Brian alle prese con la difficile adolescenza di Gus fa i conti con il suo essere padre. Justin è al suo fianco.
Idealmente circa una decina di anni dopo la 5X13
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney, Gus Kinney, Justin Taylor, Lindsay 'Linz' Peterson, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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C’erano state le lacrime di Linz e l’espressione diventata di pietra di Mel e c’erano state le dita di Justin che si stringevano piano sulla sua coscia, sotto la scrivania, a dargli la forza di respirare e di condurre alla fine quella difficile chiamata.
“Domani ho appuntamento con il preside, per farmi un’idea. Pensate di riuscire a scendere a Pittsburgh nel fine settimana? Credo sarebbe meglio parlagli insieme”
Mel aveva alzato il cellulare e aveva mostrato lo schermo alla webcam. Si vedeva chiara la prenotazione del primo volo del sabato mattina.
Brian aveva annuito sollevato e aveva sorriso, anche se di un sorriso mesto.
“Forse siamo in tempo per affrontare la questione prima che esploda in faccia anche a JR. Dobbiamo parlare con Michael e Ben” aveva aggiunto Linz
Justin era intervenuto poco, si era limitato ad ascoltare e ad essere lì per il suo uomo, fino a quando aveva lanciato l’idea: “Sabato tutti a pranzo da noi. Chiediamo anche a Hunter se ha voglia di venire con Carol. I ragazzi saranno felici di rivedersi, finito di mangiare non ci fileranno neppure e noi potremmo parlare senza sembrare cospiratori ed evitiamo l’atmosfera da tragedia. Che ne dite?”
“E niente alberghi o stronzate simili” aveva aggiunto Brian, avvallando in un istante la proposta del marito “vi fermate da noi”
Justin aveva inclinato la testa per annuire, negli occhi la tipica espressione divertita “posto ce n’è e venerdì tornano pure Naty e Nando”
Le due donne avevano accettato senza neanche tentare un diniego pro forma, se c’era una cosa di cui avevano bisogno in quel momento era di essere nello stesso posto con il figlio, i giorni fino a sabato sarebbero stati lunghi.

“Gus?” aveva chiamato dal fondo delle scale.
“Che c’è?”
“Jus ed io usciamo”
Invece della risposta era arrivato il calpestio veloce di Gus che scendeva le scale. Si stava infilando il giubbotto.
“Andate in città? Me lo date un passaggio?”
“Veramente volevamo andare a fare due passi, ma… ”
“Fa niente, prendo il treno” aveva risposto Gus, superandolo e indirizzandosi a passo di marcia verso l’ingresso.
“Eih, frena!” e l’aveva acchiappato per il cappuccio.
A Gus era scappato da ridere, rendendosi conto solo in quel momento di essere stato piuttosto criptico e precipitoso. Si era voltato verso Brian. “Mi ha appena chiamato Paul, non so per quale fortunata congiuntura astrale, ma è anche lui a Pittsburgh dal padre per qualche giorno.”
“Paul Parker?” aveva chiesto Justin
“Proprio lui”
“Salutamelo. Saranno 12 anni che siete amici e considerando che ne avete 15, finirete come papà e Michael”
“Eravamo insieme all’asilo, se ne è andato con sua mamma, dopo il divorzio, più o meno quando noi ci siamo trasferiti a Toronto”
“Me lo ricordo bene – si era inserito il padre –  vi siete sempre fatti compagnia, negli anni, qui a Pittsburgh. I trasfertisti da papà – aveva detto strizzandogli l’occhio -  È un po’ che non lo inviti”
“Quest’estate non è venuto, era in Europa con sua madre. Comunque – aveva tagliato corto – è in città. Volevamo andarci a fare un giro e poi nonna ci ha invitato a cena, sempre che per voi non sia un problema”
“Quale nonna?”
“Jennifer, dice se mi fermo anche a dormire”
Di nonne biologiche Gus ne aveva due ed entrambe in vita, ma non era mai a loro che si riferiva quando diceva nonna. Le nonne erano Debbie, che tecnicamente era la mamma di Michael e Jennifer, la madre di Justin. Quelle che avevano sempre fatto le nonne, quelle che sapevano amare come nonne.  
“Mr Kenney, cambio di programma. Si va a Pittsburgh e si dorme al loft. Gus prendi le chiavi della Mercedes che andiamo”
Brian l’aveva osservato sorpreso.
“Beh, che c’è? – l’aveva apostrofato il marito – Gus è sistemato e io ti porto a cena fuori”
“Mmmh. Si può fare” aveva risposto accondiscendente, ma chiaramente divertito.  
“Anzi, prima aperitivo e poi cena. ‘Na botta di vita proprio” lo aveva preso in giro.
Gus aveva guardato suo padre sorpreso, ma era stato Justin a rispondere alla domanda sott’intesa.
“Il famoso pubblicitario, l’imprenditore affermato, il Re delle notti di Pittsburgh è diventato un orso che non si racconta.”
“Non dire cazzate”
Gus li aveva lasciati a punzecchiarsi ed era andato a recuperare le chiavi dell’auto. Non era una famiglia tradizionale la sua, ma non era niente male, in fondo.
L’aveva abbracciato, gli aveva bloccato le braccia dietro la schiena e gli aveva sibilato all’orecchio: “Ricordami un po’ con chi hai ballato al Babylon fino alle due di notte, tre giorni prima che andassi a prendere Gus”
“Non è che l’eccezione può fare la regola” aveva risposto già sghignazzando “già che ci sei e visto che abbiamo vinto la serata libera, vai a cambiarti che ti porto in un locale nuovo e molto figo. Sfoggia gli ultimi acquisti”
“Oh cazzo, quale dei stettordicimila anniversari mi sono dimenticato?” aveva chiesto, sinceramente preoccupato.
“Uno dei tanti, as usual” aveva risposto leggero il marito.
“Per forza, con tutte le volte che ci siamo mollati e ripresi e la tua contabilità, abbiamo più ricorrenze noi che il calendario della chiesa cattolica”
“Oggi, quindici anni fa, mi hai introdotto alle gioie del sesso e alle droghe sintetiche”
“Cazzate, non ti ho fatto avvicinare alle droghe per due anni, almeno”
Justin aveva riso accogliente, Brian accettava tutto, ma non l’idea di averlo corrotto e in effetti non l’aveva mai fatto.  
“Ok, solo alle gioie del sesso” aveva concesso.
“Andiamo o faccio prima a prendere il treno” li aveva interrotti Gus.
“Proprio tuo figlio” aveva commentato Justin, strappandogli le chiavi dell’auto dalle mani.

Avevano lasciato Gus in centro ed erano andati a parcheggiare la macchina sotto il loft. Si erano diretti verso il ristorante a piedi e per il rientro si sarebbero affidati a un taxi, così avrebbero potuto bere un po’ senza timore.
Da qualche anno avevano abbandonato il perimetro esclusivo di Liberty Avenue e si concedevano qualche sortita nel mondo degli etero, come lo chiamava Brian, anche quando non si trattava di lavoro, come quella sera.
Non era il paese della cuccagna, ma qualcosa era cambiato e in quella parte di mondo due uomini adulti, chiaramente coinvolti, con una fede al dito, potevano cenare in pubblico, senza essere infastiditi.
“Mi sembra che Gus oggi stia meglio”
“Se non altro ha sputato il rospo …” aveva risposto Brian, finendo di tagliare i filetto al sangue “sono contento che Paul sia in città, almeno si svaga un po’. Hai raccontato qualcosa a tua madre?”
“Le ho accennato. Non credo che l’invito di stasera sia casuale. Dice che le ho fatto fare una discreta esperienza di adolescenti in crisi”
“Povera Jennifer” aveva commentato sorridendo al ricordo di quegli anni e portandosi un sorso di vino alle labbra. “Mi piace ‘sto posto. Come l’hai scovato?”
“Ci avrei giurato che avresti apprezzato. Me ne ha parlato Ethan”
“Mi piace già un po’ meno”
“Avete i gusti più simili di quanto ti piaccia ammettere” lo aveva schernito il marito.
“Un bel problema, a volte, i gusti simili”  
Justin aveva allungato il braccio sul tavolo e gli aveva accarezzato la mano.
Con Ethan si erano incontrati casualmente al vernissage di un amico comune a NY, parecchi anni prima. Il tempo aveva attenuato le emozioni, entrambi avevano una vita ben indirizzata e un compagno, Justin si era addirittura sposato, si erano trovati a chiacchierare e avevano ripreso a sentirsi.
Si vedevano, qualche volta, quando Ethan capitava in città.
Non era stato facilissimo spiegare la cosa a Brian. Aveva fatto la pisciatina, rimarcato il territorio, usato scuse improbabili per qualche improvvisata di troppo per sembrare senza secondi fini, ma poi aveva accettato la faccenda.

Basta che non mi costringi a uscite a quattro, perché mi sta comunque sulle palle – era stato il verdetto finale.

Brian aveva stretto brevemente la mano del compagno e poi l’aveva lasciata. Lo sguardo era tornato limpido, anzi con un lampo divertito.
“Stavo pensando che mi devi delle scuse”
“Interessante”
“Abbiamo una miriade di ricorrenze, che dimentico, perché mi hai lasciato un sacco di volte. Mi hai sempre mandato a stendere tu Mr. Taylor e sei pure riuscito a passare per vittima. Sono sempre stato io la vittima, invece! Un genio, un fottuto genio, l’ho sempre saputo”
Justin non aveva potuto trattenere una risata contagiosa “Mi fornivi sempre ottimi motivi” aveva replicato e si era allungato sul tavolo per baciarlo velocemente sulle labbra.
“seee … seee, certo”  
“Ok, allora scusa. Scusa di averti costretto ad ammettere che mi amavi”
“Un genio. Inutile, non ce la farò mai…”
  
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