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Autore: Cathy Earnshaw    29/11/2017    0 recensioni
La Terra dei Tuoni è un luogo popolato da creature magiche ed immortali, e una convivenza pacifica non è facile. L'equilibrio è fragile, la pace è labile e soggetta alle brame di potere. E quando i Draghi attaccano la capitale del Regno dei nani, questi reagiscono con violenza, ponendo i presupposti di una nuova guerra.
Nota: Tecnicamente "La guerra dei Draghi" è il prequel di "La Cascata del Potere", anche se la scrivo ora, a "Cascata" conclusa. Le trame non hanno grossi punti in comune, perciò l'ordine di lettura non deve essere necessariamente quello temporale.
Buona lettura!
Cat
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di guerre e cascate - La Terra dei Tuoni'
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Capitolo 20
Cocci infranti
 
 
Oliandro non riusciva a credere ai propri occhi, eppure aveva riletto la lettera di Re Storr almeno dieci volte, per non parlare dei messaggi di suo zio, di suo padre e di Meowin. Continuava a sembrargli tutto uno scherzo.
«Signore, il popolo aspetta» lo incalzò Aster dalla porta dello studio.
Oliandro si volse e gli sorrise. Non credeva di potersi ancora sentire così euforico, non dopo tutto quello che era successo nelle ultime settimane.
«Certo, andiamo, amico! Finalmente abbiamo delle buone notizie per loro!»
Gli passò un braccio sulle spalle e si lasciò accompagnare all’Arena delle Adunanze, il cuore pulsante di Lumia, pregustando già i festeggiamenti.
 
Nonostante l’insistenza di Kirik, desideroso di rientrare subito ad Altapietra, Storr aveva convinto tutti a riunire un’ultima volta a Cyanor il Consiglio Ristretto. Nastomer capiva che volesse tornare a casa da Erina il prima possibile, ma non era così certo dell’utilità effettiva della riunione. Anche se poteva essere un buon modo di salutarsi, aveva obbligato i nani ad allontanarsi da casa, sapendo che avrebbero dovuto poi tornare indietro. La morale della vicenda era che lui e Selene si erano dovuti sobbarcare i trasferimenti. I tre eserciti, lasciati ai loro graduati, si stavano occupando di smantellare il campo e di salvare il salvabile, dopodiché ognuno sarebbe tornato a casa propria. I Grandi Re non se l’erano detto chiaro e tondo, ma Tom era certo che fosse sottinteso: a ciascuno l’onere di occuparsi delle proprie città e del proprio popolo. Già una giornata era trascorsa dalla firma dell’armistizio, e ancora sembrava impossibile che fosse tutto finito: basta guerra, basta morti, basta uomini fatti di fuoco… infiniti giorni di pace si dipanavano davanti a loro.
«Qui abbiamo finito, Tom» disse Storr facendoglisi incontro.
Sorrideva.
«Quindi possiamo andare?»
«Possiamo andare» esitò. «Grazie per quello che hai fatto. Davvero, se non fosse stato per te e per Selly non saremmo mai riusciti a portare a casa questo accordo. Considera Cyanor e il palazzo casa tua, sarei onorato se tu volessi restare con noi.»
Nastomer arrossì, incapace di metabolizzare del tutto le parole del mago. Potersi considerare di nuovo parte di qualcosa era ben più di quanto avesse mai osato desiderare. 
«Grazie, Storr. Sei un ottimo maestro e un buon amico, e sarei davvero felice di fermarvi con voi, ma… ho fatto una promessa a Selly. Le ho promesso che sarei rimasto con lei, qualunque cosa fosse accaduta, perciò la seguirò se dovesse decidere diversamente.»
Storr annuì.
«Allora cercherò di corromperla: stregone o no, sono pur sempre suo zio!»
Nastomer sorrise, preparandosi al rientro.
 
Era notte fatta quando Frunn si era lasciato convincere dal Re ad andarsene a letto. Non era ancora certo di aver fatto bene a lasciarlo solo, aveva l’aria di uno che aveva visto la morte in faccia. Era consapevole del fatto che era stato un periodo orribile per lui… la guerra, la morte di Maren, di Lantor, di Lady Ailyn, la scoperta di avere una figlia e la consapevolezza di non poterla ancora riconoscere quando il farlo avrebbe potuto essere così consolante, e tutto ciò che avrebbe comportato in futuro nel suo rapporto con Glenndois e con Oliandro. Avrebbe tanto voluto un libro capace di spiegargli come comportarsi. Probabilmente, quel libro Meowin ce l’aveva eccome: lei sapeva sempre cosa dire e cosa fare, sapeva leggere il momento e le persone, e adattarsi alle necessità, senza sbagliare un colpo. Frunn provava un misto di invidia e ammirazione per lei, ed era stato estremamente doloroso doverla salutare sulla soglia del Tempio del Fuoco senza sapere quando avrebbe potuto parlarle di nuovo. Conoscendola, avrebbe voluto verificare di persona che la situazione sugli Alti Nidi fosse stabile prima di lasciare il sud. Poi probabilmente avrebbe fatto una scappata a Lumia per vedere di persona il Re. Se fosse riuscita a incontrare anche Dodo tanto meglio, altrimenti avrebbe proseguito verso Spleen. Anche lui comunque desiderava vedere Oliandro. Sospirò e si trascinò verso la sua stanza, davanti a lui la prospettiva dell’ultima riunione del Consiglio Ristretto prima del viaggio verso casa.
 
Horlon non riusciva a prendere sonno. Avere allontanato Frunn non aveva giovato – non che ci avesse sperato troppo. Si rannicchiò sotto alle coperte, tentando di fare ordine nei propri pensieri sconnessi. Glenndois aveva chiesto il permesso di partire subito alla volta di Spleen – permesso che nessuno si sarebbe mai sognato di negargli dopo tutto quello che aveva passato – per riprendere dalle mani di Rowena il governo della città, e non perché non avesse fiducia in lei ma piuttosto per alleggerirla delle incombenze che ne derivavano. Horlon avrebbe dato il suo braccio buono per fare cambio. Suo fratello era in strada da ore, ormai,   e presto avrebbe potuto abbracciare l’unica persona che il Re in quel momento volesse vedere, cosa che non aveva ancora potuto fare dopo aver scoperto di essere suo padre. C’era anche una parte di lui che lo ammoniva da ciò che avrebbe potuto causargli l’incontro con Rowena: avrebbe rischiato di finire schiacciato dal ricordo di Lyn, che tanto le somigliava, soffocato da quella perdita a cui era totalmente impreparato e che al pensiero gli toglieva il respiro. Un dolore che si sommava alla stanchezza che la guerra gli aveva lasciato dentro, alle immagini che gli erano rimaste impresse negli occhi di corpi senza vita, sangue, fumo e case in fiamme. C’era così tanto da fare… come poteva essere all’altezza? I problemi da risolvere erano così tanti che solo il pensiero gli faceva girare la testa. In momenti come quello, l’istinto gli diceva di chiedere aiuto a Frunn perché il suo pragmatismo, la sua dialettica, la brutale onestà e la singolare capacità che aveva di sapere sempre cosa gli passasse per la testa lo facevano sentire protetto. Era un pensiero infantile e sotto certi aspetti inquietante, e per questo si era fatto violenza e l’aveva mandato via. Non era disposto a riconoscergli un simile potere sulla sua pace interiore, e lo atterriva l’idea di dover dipendere da qualcuno come un vecchio pietoso in cerca di sostegno. E a dirla tutta non se la sentiva di sobbarcargli anche i suoi problemi. Lui era il Re. Ad ogni modo, presto sarebbe tornato a Lumia e di certo la Gilda dei Mercanti avrebbe trovato il modo di occupargli la mente.
 
Quando Impialla raggiunse la sala riunioni, trovò Mark ad attenderlo davanti all’ingresso.
«Sono passato a salutarti» disse.
«Non partiremo prima di questo pomeriggio» rispose il nano.
«Sono io a dover partire adesso. Storr mi ha chiesto di coordinare l’operazione di rimozione e smaltimento dei draghi che abbiamo abbattuto a Shiren. Cioè… non credo che puzzeranno, ma pare brutto lasciarli lì.»
«Dove li porterete?»
«Ad ovest della città. Costruiremo un cimitero, non so, ci inventeremo qualcosa che faccia contento anche Bearkin» esitò. «È stato davvero un piacere combattere con te.»
Il nano sorrise.
«L’offerta è ancora valida, ti aspetto ad Altapietra.»
Mark chinò il capo.
«E io ci verrò, e ti pentirai di avermi invitato!»
Impialla lo strinse in un breve abbraccio.
«Fino ad allora, buona fortuna, ragazzo.»
 
«E con Phia si chiude l’elenco delle città danneggiate dal conflitto» concluse Storr, riponendo la pergamena che stava leggendo.
Prese una mano di Erina, seduta accanto a lui, tra le sue.
«Vogliamo ringraziarvi. Per la vostra amicizia, per aver abbandonato le vostre case tanto a lungo, e per tutto il resto che sapete e che non ho le parole per esprimere. Sarete sempre i benvenuti a Cyanor, e non fatevi riguardi a fermarvi tutto il tempo necessario.»
«Siamo noi a dovervi dei ringraziamenti» intervenne Kirik. «Se me l’avessero raccontato avrei detto che non sarebbe stato mai possibile vedere elfi, umani e nani seduti allo stesso tavolo. Io e Impialla ripartiremo per Altapietra nel pomeriggio, e se mai vi capitasse di aggirarvi dalle nostre parti, fatevi vedere!»
«Io resto qui» disse Selene «insieme a Tom.»
Nastomer si sentì arrossire, e pregò che nessuno lo notasse troppo.
«Vorrei ben vedere, tuo padre ti ha affidata a me!» esclamò Erina suscitando una risata generale. «Naturalmente saremo ben lieti di tenerci anche te, Tom, lo spazio non ci manca!»
Selene gli lanciò un sorriso soddisfatto che sapeva di “te l’avevo detto” mentre lo stregone si profondeva in ringraziamenti.
«E voi, Lon? Vi fermerete un po’, non è vero?» domandò Storr volgendosi a Horlon.
L’elfo chinò il capo e sospirò.
«Noi ripartiremo nell’arco di un paio di giorni, che ne dici Frunn?»
Il segretario balbettò qualcosa che poteva suonare un consenso – Nastomer si sentì solidale con il suo imbarazzo – e il Re proseguì:
«Tuttavia ho un peso che mi opprime e ho bisogno di condividerlo con voi. Mi sento responsabile di questi mesi di dolore, del sangue innocente versato e delle città distrutte» fece scorrere lo sguardo sul Consiglio, che lo osservava congelato.
Proseguì:
«Lantor ha offerto il fianco a Bearkin, ha creato il pretesto, e tutto con il semplice scopo di nuocermi. In pratica è stato tutto a causa mia.»
«Che assurdità» sbottò Storr.
«No. No, lasciami finire. Io non sono stato abbastanza lungimirante seicento anni fa per comprendere a cosa avrebbero portato le mie azioni, e per seicento anni ho continuato a riporre fiducia incondizionata in Lantor per il semplice fatto che era mio cugino. Sono responsabile tanto quanto lui. Pertanto, se questo potrà servire a fare ammenda e se il Consiglio lo riterrà necessario… sì, se lo riterrete necessario, sono pronto ad abdicare.»
Tom trattenne il respiro, l’intero Consiglio rimase pietrificato. Per qualche secondo il tempo sembrò fermarsi. Poi improvvisamente Frunn balzò in piedi e l’incantesimo si spezzò.
«Vi prego di ignorare l’istanza di Sire Horlon» esclamò. «È più che evidente che non sa quello che dice, e che gli avvenimenti di questi ultimi giorni l’hanno sconvolto più di quanto non sia disposto ad ammettere» poi si volse a Horlon, che aveva tentato di bloccarlo, senza successo. «Perdonatemi, Maestà, ma questa è veramente un’idiozia!»
Si risedette e Horlon tentò di intervenire, ma Storr lo interruppe.
«Non so come la pensino gli altri, ma io sono d’accordo con Frunn.»
Kirik annuì.
«L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è ulteriore instabilità.»
 
Quando Horlon raggiunse le sue stanze, Frunn non aveva ancora detto una parola. Per un tratto di strada il Re si era goduto quel silenzio confidenziale, ma a un certo punto aveva iniziato a sentirsi a disagio. Le parole del suo segretario continuavano a risuonargli nella testa con lo stesso tono autoritario che Frunn aveva riesumato per l’occasione. Doveva avere qualche disturbo della personalità. Riflettendoci, non era la prima volta che succedeva. Anche quando avevano interrogato Lantor nel Salotto di Quarzo aveva reagito in quel modo, ponendosi tra il suo Re e l’altrui critica. Avrebbe dovuto razionalmente trovarlo irritante, dopotutto gli aveva appena fatto fare la figura dell’idiota, ma non gli riusciva. Riusciva solo a sentirsene gratificato.
«Perché hai fatto una cosa tanto stupida?» domandò quando non riuscì più a trattenersi.
Frunn non si scompose.
«Mi stavo giusto chiedendo perché aspettaste tanto a riprendermi.»
«Non ti sto riprendendo, ma vorrei davvero sapere cosa ti passa per la testa. Cosa ti ha spinto a reagire così?»
Frunn si sfilò gli occhiali e si strofinò il viso.
«Per il motivo che ho detto: era un’idiozia bella e buona. Capisco che vi sentiate in colpa per ciò che è accaduto. È comprensibile, ma non è giusto. Non potete e non dovete farvi carico degli errori degli altri» esitò. «Siete un buon Re. Il vostro Regno prospera, il popolo vi ama, avete intessuto ottimi rapporti diplomatici. Credete che tutte queste cose non contino niente?»
«Ailyn diceva che la Corona non era cosa per me» mormorò dando voce a quel fantasma che si portava dentro da sempre.
Non avrebbe voluto dirlo, quella storia lo faceva sentire un bambino sciocco, e per di più davanti a Frunn, che non esitava mai a prendere le sue parti nonostante la timidezza istintiva.
«Lady Ailyn si sbagliava,voi siete nato per essere Re.»
Horlon si concesse un sorriso tirato.
«Credo che tu sia parecchio parziale.»
«Di certo. Ma anche Ailyn lo era, sono pronto a scommetterci» disse guardandolo con aria di sfida.
Per un secondo Horlon si domandò chi fosse la persona che gli stava davanti. Frunn era sempre stato così rassicurante o qualche demone si era impossessato del suo corpo?
«Sei saggio per essere così giovane» disse, faticando a tenere il filo dei propri pensieri.
«Apprezzo che abbiate l’abitudine di dedicarmi una parte del vostro istinto paterno represso, ma vi ricordo che ho settecentodue anni» rispose Frunn.
«Di già?»
Il segretario annuì e la sua coda perennemente precaria lasciò sfuggire qualche ciuffo. Horlon provò l’irrazionale istinto di sfilargli definitivamente quel nastro dai capelli. Scosse il capo, allontanando l’idea. Provava una sensazione strana, una sorta di imbarazzo che non aveva mai provato in compagnia di Frunn. Dov’era il trucco? Che cosa stava sbagliando? Si era preso troppa libertà e a furia di pensarci era diventato una specie di ossessivo? Forse, ma che colpa ne aveva lui se il suo segretario era una persona interessante? Prese un respiro profondo e richiamò alla mente la figura di Alecno, che aveva cercato invano di impedirgli di assumere suo figlio. Si focalizzò su di lui, per rimettere al loro posto tutti i pezzi della sua personale scacchiera.
«Forse così è più semplice» disse tra sé.
«Cosa è più semplice?» domandò Frunn.
«È più semplice guardare le cose da lontano.»
Frunn sgranò gli occhi e Horlon si riscosse.
«Scusa, era solo un pensiero a voce alta» si sforzò di sorridergli, anche se si sentiva la nausea. «Grazie di avermi accompagnato, e anche di tutto il resto. Credo che mi prenderò un po’ di tempo per fare i bagagli con la dovuta calma.»
Frunn lo guardò serio per un momento e Horlon si ritrovò a domandarsi se avesse detto qualcosa di strano. Doveva chiederglielo? Prima che potesse farlo, il segretario si riscosse e si spinse gli occhiali sul naso.
«Io andrei in biblioteca per aggiornare le Cronache e per scrivere ad Oliandro, Sire.»
«Certo, vai pure.»
«Se avete bisogno di me, non esitate a chiamarmi.»
«Grazie, Frunn.»
Lo vide fare dietrofront e abbandonarlo in mezzo al corridoio. Lo seguì con lo sguardo fino a quando non ebbe svoltato l’angolo, e solo allora si decise ad entrare in camera. Provava uno spiacevole senso di vuoto allo stomaco, un fastidio drammaticamente simile alla gelosia, e si augurava che il lavoro manuale potesse aiutarlo ad allontanarlo e a fare ordine tra tutte quelle cose che non capiva.
 
Una bella avventura che si era conclusa, ecco di cosa si era trattato. “Dei, bella… non esageriamo” si disse Frunn intingendo la penna nel calamaio per firmare l’ultimo verbale del Consiglio Ristretto. Chissà se sarebbe capitato mai più nella storia di vedere seduti tre Re allo stesso tavolo, a dichiararsi amicizia e stima reciproca. Si riteneva un privilegiato. Uno studioso come lui, uno storico, un topo da biblioteca per usare la definizione di Dodo, aveva potuto prendere parte ad un evento così incredibile, unico, irripetibile. Solo al pensiero gli veniva da piangere per l’emozione. Non vedeva l’ora di poterlo mettere nero su bianco, ma ora che le sue Cronache fungevano da archivio per il Re doveva iniziare ad appuntare i suoi pensieri personali altrove. Un diario segreto, come le ragazzine… che pena. Durante quelle ultime settimane aveva dovuto adottare una soluzione estrema, i problemi contingenti non gli avevano permesso niente di meglio: tutto ciò che aveva bisogno di strapparsi dalla testa l’aveva scritto, come aveva sempre fatto, perché non conosceva altro modo di scaricare i nervi, ma aveva poi bruciato tutto quanto. Non ne era stato felice, ma non aveva trovato una soluzione più pratica, e di certo non poteva permettersi di rischiare che qualcuno entrasse in possesso della versione cartacea della sua psiche, e d’altra parte se non avesse scritto ne sarebbe impazzito.
Chiuse la boccetta di inchiostro e ripose tutto in un astuccio. Il sole si stava inclinando sull’orizzonte. Gli restava giusto un po’ di tempo prima del quotidiano appuntamento con il Re, lo avrebbe occupato con una tisana rilassante. Se l’era meritata.
 
Horlon camminava avanti e indietro da così tanto tempo che iniziavano a fargli male le gambe. Non riusciva a trovare nulla che distraesse la sua mente dagli strani pensieri che quella mattina vi si erano insediati. Improvvisamente tutte le accuse e le frecciatine mossegli da Glenndois in quei mesi gli apparivano tanto verosimili quanto imbarazzanti. Per mesi si era appoggiato a Frunn per qualunque consiglio o decisione, anche solo per sentirsi meno alienato dal mondo, e aveva finito per diventare una specie di drogato. Doveva essere andata così. Aveva caricato il suo segretario di tutti i suoi problemi, veri o presunti, e ora che la guerra era finita, ora che poteva tornare a Lumia, che cosa sarebbe successo? Va bene, Frunn era comunque il suo segretario personale, e a meno che non decidesse di lasciare l’incarico lo sarebbe stato anche in tempo di pace. Perché una simile angoscia all’idea di non potersi più stampellare a lui? Di non averne motivo? Era diventato un vecchio insicuro. Come aveva potuto permettersi un simile comportamento nei confronti di un sottoposto? La parola sottoposto gli sembrava troppo ruvida riferita a Frunn. Frunn, che aveva condiviso le sue gioie e i suoi dolori, le sue angosce e i suoi piani, e che aveva intuito i suoi pensieri prima dello stesso Horlon, non poteva considerarsi un semplice sottoposto. Era stato un confidente discreto e affidabile, un amico irriducibile, una presenza rassicurante. Frunn aveva abbandonato tutto per rispondere alla sua chiamata, quando questa era giunta. Non era normale provare gelosia nei confronti di una persona simile? C’era qualcosa di sbagliato nel modo in cui Horlon si era preso e si stava tuttora prendendo cura di lui? Forse sì, dal momento che aveva finito per trattarlo come pari, proprio come Glenndois aveva predetto. Ma c’era davvero del male in questo? Se desiderava la compagnia di Frunn, e questi desiderava la sua, perché negarsela? Era ancora così vivido il ricordo di come gli avesse pazientemente asciugato le lacrime, di come gli fosse rimasto accanto, di come avesse custodito il segreto di Ailyn. Se Ailyn si era fidata a tal punto di lui, l’aveva fatto perché era certa che non avrebbe mai tradito. Qual era il reale motivo della fedeltà di Frunn? Horlon arrossì al ricordo di quanto si fosse esposto, scagliandosi in sua difesa davanti a Lantor, nel Salotto di Quarzo, e anche quella mattina davanti al Consiglio, proprio lui che se avesse potuto sarebbe andato in giro rasente i muri per non essere notato. Quello che Frunn aveva mostrato di provare nei suoi confronti andava ben oltre i limiti della normale devozione di un suddito per il proprio Re. Perché lo notava solo ora? Era stato il desiderio di tenerselo accanto ad impedirgli di comprendere?
«Sono un idiota» mormorò posando la fronte sul vetro freddo della finestra.
Il sole stava calando, presto Frunn si sarebbe presentato alla porta per fare rapporto. Forse avrebbe dovuto mandarlo via, in attesa di ritrovare l’autocontrollo. Anche se di solito era proprio Frunn a rendergli la lucidità quando vacillava. E poi, lui non voleva affatto mandarlo via! Perché era tutto così difficile?! Il vetro della finestra rifletteva lievemente la sua immagine, e per qualche motivo Horlon si sentiva osservato da uno sconosciuto. Se per tutto quel tempo non aveva compreso i sentimenti di Frunn nei suoi confronti, era possibile che avesse frainteso anche i propri? Che cosa avrebbe dovuto fare?
Sul legno della porta risuonarono due colpi. Horlon prese un respiro profondo. Forse, guardare Frunn negli occhi sarebbe stato utile per capirlo.
 
Frunn entrò, esitante. La voce del Re era suonata strana.
«Sire?» domandò. «È un brutto momento? Posso tornare più tardi.»
«Entra, Frunn.»
L’elfo raggelò. Passò mentalmente in rassegna tutto ciò che aveva detto e fatto nel corso della giornata, senza trovare nulla che potesse aver fatto infuriare il Re. O meglio, sì, c’era quel simpatico momento in cui gli aveva dato dell’idiota davanti al Consiglio Ristretto, quella mattina, ma ne avevano già parlato e sembrava tutto a posto. Eppure…
«Qualcosa non va?» balbettò, sentendosi arrossire.
Quando aveva iniziato a lavorare per lui l’aveva imbarazzato tremendamente arrossire in continuazione, ma il suo capo non l’aveva mai preso in giro per questo, e ormai non ci faceva nemmeno più caso.
Horlon esitò, e Frunn si sentì mancare.
«Hai provvidenzialmente interrotto una riflessione impegnativa. Vieni, sediamoci» disse, accomodandosi in una delle due poltrone.
Frunn prese un breve respiro per farsi coraggio, poi eseguì. Il Re non era il solito, e lui si sentiva come una gazzella braccata da un leone.
«Da dove volete che inizi?» domandò aprendo il diario e sfogliando le pagine fino a trovare quella del giorno.
«Dal Consiglio di questa mattina.»
Il segretario deglutì a vuoto e iniziò la sua relazione, cercando di concentrarsi unicamente su quello che leggeva. Ma presto fu più che evidente che il Re non lo stava ascoltando affatto. Lo fissava senza battere ciglio, con lo sguardo perso e il labbro tra i denti – quell’abitudine autolesionista doveva proprio cercare di perderla. Frunn si interruppe e Horlon si riscosse.
«Che c’è?» domandò il Re.
«C’è che non mi state ascoltando. Non ci sono problemi se volete rimandare, Sire, non mi fate certo un torto.»
«Devi scusarmi » mormorò il Re.
In attesa che aggiungesse qualcosa, il segretario ricambiò il suo sguardo. Ma il silenzio si fece pesante, e Frunn iniziò a sentirsi davvero a disagio.
«Siete proprio sicuro che sia tutto a posto?»
Horlon prese un respiro profondo, con l’aria di uno che sta per tentare il suicidio.
«Credo di non averti ancora ringraziato per tutto ciò che hai fatto per me in questi ultimi tempi, Frunn.»
«È il mio lavoro.»
La voce gli tremò, facendolo irritare. Gli occhi del Re erano sempre stati così cupi?
«No che non lo è. Il tuo lavoro è assistermi nei miei impegni di stato, non consolarmi quando sono giù di corda.»
Frunn arrossì ancora di più.
«Se ho fatto cosa sgradita o inappropriata, mi scuso» disse con un filo di voce.
«Tutt’altro» Horlon esitò. «Per una serie di circostanze, oggi mi sono trovato a riflettere su di te e sul nostro rapporto. Non ne sono uscito proprio indenne» aggiunse abbassando lo sguardo.
Sul viso gli si era disegnato un mezzo sorriso che Frunn non riuscì ad interpretare, forse perché il cervello si era improvvisamente spento. Morto.
«Capisco» rispose meccanicamente.
Era per via di quello che aveva quell’aria mortalmente seria? Aveva riflettuto su Frunn, e ovviamente aveva capito. Prima o poi sarebbe dovuto succedere.
«Davvero?» domandò, passandosi le mani sul viso. «Quello che ho compreso oggi per la prima volta ha praticamente stravolto la mia visione del mondo. Ero così turbato che fino a pochi minuti fa ero deciso a rimandare il nostro incontro. Non sapevo se avrei avuto il coraggio di starti davanti come sempre.»
«Ma non l’avete fatto» osservò Frunn, faticando a tenere il filo del discorso.
«No, infatti. Ti avrei fatto un torto, e l’avrei fatto anche a me stesso» Horlon si accomodò meglio nella poltrona e socchiuse gli occhi. «Va bene così. Come speravo, la tua presenza si è rivelata balsamica ancora una volta. Devo confessarti che mio fratello ha passato settimane a mettermi poco velatamente in guardia dall’accordarti una così spiccata preferenza, ma io non ci vedevo niente di rischioso. Non capivo quale fosse il suo problema. Glenn è sempre stato più equilibrato di me, d’altra parte. Soltanto stamattina ho compreso che cosa vedesse così chiaramente, che io non riuscivo a vedere affatto.»
Frunn avrebbe voluto chiedergli di che cosa cavolo stesse parlando, perché tutta quella flemma lo stava uccidendo, ma aveva la gola troppo secca per parlare.
«Stamattina, quando ti ho sentito parlare in quel modo davanti al Consiglio, ho improvvisamente capito perché avessi odiato così tanto l’idea di inviarti in missione a Lenada. Non era perché ci fosse bisogno qui, oppure perché io fossi così imbranato da non sapermi organizzare le giornate. Semplicemente non riuscivo a concepire l’idea di allontanarti. Ed è… incredibile quanto mi sia sentito perso! Capisci? La tua presenza nella mia vita non è più semplicemente la presenza di un aiutante, o di un segretario!» si interruppe. «Non dici niente?»
Frunn si concesse un mezzo sorriso. Si sentiva lo stomaco ingarbugliato. Avrebbe voluto baciarlo in quel preciso momento, oh, quanto l’avrebbe voluto!
«Sono troppo impegnato a cercare di capire se mi state licenziando oppure… oppure no.»
«Non mi stai prendendo sul serio» disse il Re con un’occhiata affranta.
«Vi sbagliate. Ma questa conversazione è piuttosto imbarazzante, sia per voi che per me, ne converrete. Tutto ciò che desidero precisare è che ho fatto del mio meglio perché i sentimenti che provo nei vostri confronti non influissero negativamente sul mio lavoro, e senza false modestie credo di esserci riuscito.»
«Su questo non ci sono dubbi. È strano, oggi per la prima volta non riesci a soccorrermi intuendo ciò che sto cercando faticosamente di dirti.»
Frunn si lasciò scappare una risatina nervosa.
«A mia discolpa, posso dire che voi oggi siete parecchio strano.»
«Hai ragione. D’altra parte le mie riflessioni mi hanno portato a scoprire cose su me stesso che non avrei mai immaginato.»
«Ovvero?»
«Beh, non credevo di poter prendere in considerazione un altro elfo sotto certi aspetti, per esempio. Vengo al punto, Frunn, perché questa conversazione sta diventando alienante…»
«Lieto che non lo sia solo per me!»
«Credo di ricambiare, in una certa misura, i tuoi sentimenti.»
Frunn arrossì di nuovo, ma poco male, il Re era sicuramente più in difficoltà di lui.
«È troppo sfacciato chiedere in quale misura?» farfugliò.
Horlon gli dedicò un sorriso enigmatico.
«Mi sembra una richiesta legittima. Direi in buona misura.»       
Frunn sentì il cuore mancare un colpo. Stava sognando. Era tutto un sogno e prima o poi si sarebbe svegliato e sarebbe caduto in depressione.
«Frunn?»
«Sì, Sire?»
«Continuerai comunque a lavorare per me?»
«Perché me lo chiedete? Se ho potuto farlo fino a questo momento, a meno che non costituisca un problema per voi, per me non lo sarà di certo.»
«Magari sapere che sono interessato a te ti metterà in imbarazzo.»
Frunn rise, sempre più colpito dalla capacità di adattamento del suo interlocutore: l’elfo che gli stava davanti era un concentrato di carisma e autocontrollo, e aveva piena consapevolezza della soggezione che il suo Ego poteva incutere anche senza diadema sulla testa. Non che prima non se ne fosse accorto, ma continuava a sorprendersene.
«Facendo un rapido calcolo, credo di aver passato tre quarti della mia vita imbarazzato davanti a voi. Ci ho fatto l’abitudine, ormai» esitò. «Immagino che a questo punto dei fatti dovrei dire qualcosa di incredibilmente teatrale, o fare qualche gesto eclatante. Purtroppo, temo che i geni dell’improvvisazione se li sia beccati tutti Mei.»
«Ti ho mai detto quanto trovi la tua dialettica squisitamente confortante?»
«Conforta molto anche me, Sire.»
Il Re scoppiò a ridere.
«D’accordo, sono convinto!»
«Convinto di cosa?» domandò Frunn.
«Di poter rischiare di affrontare il giudizio della collettività, cominciando da quello di quel bacchettone di Glenndois. Ma sì, in fondo il Re sono io, no? Se non posso fare io quello che mi pare, chi può?! E poi sono già sopravvissuto al mio, di giudizio, la strada può solo essere in discesa…»
Frunn sorrise.
«Siete certo di non aver preso una botta in testa? Credo che non mi riprenderei dalla delusione.»
«Non vorrei sembrarti brutale, ma per quanto ami lo stridio delle tue unghie sugli specchi, a questo punto dei fatti, se non hai nulla in contrario, vorrei davvero tanto che riponessi il formalismo e mi dimostrassi che ci ho messo una vita a capirlo, ma che ne valeva la pena!»
Frunn arrossì fino alla punta delle orecchie. Ciò che restava della sua razionalità tentò inutilmente di fermarlo, mentre posava il diario sul tavolino, si alzava meccanicamente e si avvicinava al Re.
Horlon lo guardò con quella sua peculiare espressione che stava a metà tra il divertito e il preoccupato, e che Frunn aveva sempre trovato irresistibile.
Improvvisamente, decise di rinunciare al contegno. L’elfo che gli stava di fronte aveva riposto ogni armatura, si meritava che lui facesse altrettanto. Si chinò su di lui e prese un respiro profondo.
«Sono davvero un elfo fortunato» mormorò assaporando quel momento di dolorosa sospensione prima di baciarlo.
 
Colpito dall’insospettabile intraprendenza di Frunn, Horlon non ci pensò nemmeno ad opporsi. C’era veramente qualcosa di male nel desiderare la reciproca compagnia? Si era fatto mille paranoie, chiedendosi come potesse già sentirsi libero di tentare di essere felice dopo che Ailyn, che aveva occupato il suo cuore per millenni, era scomparsa da così poco tempo. Si era sentito in colpa, si era sentito un mostro. Aveva passato momenti orribili, ma quando si era trovato di fronte all’oggetto delle sue preoccupazioni aveva realizzato che stava complicando una cosa anche troppo semplice. Avevano passato talmente tanto tempo insieme negli ultimi tempi che quell’evoluzione era logica, oltre che naturale. Non si era mai soffermato a pensare a Frunn in quel modo prima di quel pomeriggio. La sua costante presenza era stata rassicurante negli ultimi mesi, discreta, schietta e onesta. E fino a quel giorno il pensiero che quella devozione potesse significare di più non l’aveva sfiorato. Ma ora che erano lì, incollati in quel bacio che di professionale non aveva proprio nulla, non ci vedeva niente di strano. In fondo, non erano altro che un mucchio di cocci infranti che cercavano solo di ritrovare un assetto. Quando gli sfilò il nastrino dai capelli, assecondando quel desiderio infantile che si portava dietro dalla mattina, Frunn si staccò e lo fissò diritto negli occhi. Aveva le guance arrossate – strano! – e Horlon rise tra sé domandandosi cosa stesse pensando di lui. Chissà se era cambiato qualcosa anche nel suo viso, oltre a tutto il resto! Era certo di avere le pupille dilatate per l’eccitazione di essere riuscito così all’improvviso a superare l’inquietante stasi in cui si sentiva invischiato.
«Ti ho fatto soffrire per tutto questo tempo?» disse, stringendolo a sé e affondando il viso tra i suoi capelli. «Comportandomi da rimbecillito mentre tu mi restavi accanto in silenzio?»
«Non poi completamente in silenzio» rispose Frunn soffocando una risata.
Horlon inspirò a fondo il suo profumo. Quand’è che aveva smesso di considerarlo un ragazzino? Lo ricordava bene. Era stato lo stesso giorno in cui aveva deciso di introdurre Tom al Consiglio, lo stesso giorno in cui Frunn si era presentato alla sua convocazione con l’aria cupa di chi sta combattendo una guerra interiore. Evitò di soffermarsi troppo a pensare che quella guerra potesse anche riguardare lui.
«Per qualche arcana ragione, tutto questo non mi sembra strano» sussurrò.
«Ne sono lieto» Horlon sentì le mani di Frunn scivolargli addosso. «Anche perché, seriamente, non ci avevo mai sperato troppo…»
«Da un po’ di tempo a questa parte mi sono convinto che tu abbia una doppia personalità, lo sai?»
«Può darsi che sia vero. È un problema?»
«Per me no di certo» disse Horlon incapace di smettere di sorridere.
 
Frunn si strofinò il viso. I capelli sciolti gli facevano il solletico, ma non aveva idea di che fine avesse fatto il suo nastro, come molte altre cose.
Nelle prime luci dell’alba non poteva fare a meno di fissare il profilo addormentato del Re. Da quando si era svegliato non aveva smesso un momento di chiedersi come fosse potuto accadere, cosa avesse fatto per meritarselo, e che cosa avrebbe comportato. Sarebbe cambiato qualcosa fra loro? Che cosa provava Horlon per lui, veramente? “In buona misura”. Sapeva bene che genere di sentimento lo legasse a lui, anche se forse ci aveva messo un po’ per capirlo, ma non osava sperare di essere a tal punto ricambiato. Non poteva trascurare l’ipotesi di essere stato un semplice mezzo per sfogare la tensione e il dolore. Se così fosse stato… Che cosa ne sarebbe stato di lui se il Re l’avesse allontanato? Il solo pensiero lo gettava nell’angoscia.
«Se resterai alla finestra a rimuginare ancora un po’ finirai per prenderti un accidente» mormorò Horlon, facendolo sobbalzare.
«Da quando sei… siete sveglio?» balbettò.
«Da un po’, e siccome ieri sera mi davi del tu, vorrei che continuassi a farlo.»
Frunn chinò il capo e sorrise ai propri piedi. Che idiota.
«A che cosa stavi pensando?» domandò Horlon facendogli segno di avvicinarsi.
Frunn si sedette sul letto e lo guardò. Con quel capelli arruffati era decisamente molto poco regale.
«Devo davvero rispondere?!»
Horlon rise.
«Cero che no!»
Lo attirò a sé e posò la fronte contro la sua.
«Resterai?» domandò Horlon in un sussurro a fior di labbra.
«Fino a quando mi vorrai accanto» rispose Frunn, pregando di non svenire.
Sarebbe stato un bel problema cadergli addosso, stecchito, e mollargli una bella testata in faccia. E comunque il cuore gli batteva troppo forte, non era normale. Forse avrebbe fatto un infarto. Horlon sorrise e lo lasciò andare. Rivolse gli occhi al soffitto, dove un raggio di sole illuminava una nuvola di finissimi granelli di polvere. Alzò il braccio per muovere quelle particelle dorate, con un sorriso beato sul viso.
«Frunn?»
«Sì?»
«Io non avevo mai… insomma, prima di oggi non… non avevo neanche considerato l’ipotesi.»
Frunn arrossì fino alla punta delle orecchie.
«Io da ragazzino avevo una cotta per Nana» disse, cercando di metterlo a proprio agio.
Horlon rise.
«Lo so! Me lo ricordo!» esitò. «Il fatto è che fino a questo momento il pensiero non mi aveva proprio mai sfiorato. Poi in una frazione di secondo ho realizzato che potevi essere solo tu, e non c’erano altre opzioni. Età, genere, posizione sociale, sono solo parole! Sembro pazzo?» aggiunse volgendosi verso di lui.
«Qualche volta sembri pazzo, ma ora no» mormorò Frunn.
Horlon chiuse gli occhi, e Frunn trattenne a stento un sospiro. Non aveva idea di dove l’avrebbe portato tutta quella storia, ma nella sua testa in quel momento non c’era spazio sufficiente per domande e pensieri ulteriori.
   
 
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