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Autore: Melanto    30/11/2017    11 recensioni
Nel bene e nel male, la vita è imprevedibile.
Capita che un minuto prima scherzi con gli amici e un minuto dopo ti ritrovi nell'incubo che non vorresti vivere; tanto vicino e tanto casuale da non credere che potrebbe capitare proprio a te.
Ma questa è una di quelle coincidenze universali che Mamoru si troverà davanti nel momento in cui la sua vita si fermerà per sempre in un convenience store.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Kumiko Sugimoto/Susie Spencer, Mamoru Izawa/Paul Diamond
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mori no Kokoro - Il Cuore della Foresta'
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Sonnet - Capitolo I

- I: Il Cavaliere e lo Scudiero -

 

«E quindi Hajime è corso fuori dallo spogliatoio, completamente nudo, con quell’asciugamano sulla testa a mo’ di turbante cantando ‘Livin’ la vida loca’ a squarciagola per tutto il corridoio.»

Mamoru tentò di raccontare l’episodio fino alla fine, ma all’ultima frase capitolò, mischiando le parole in una risata irrefrenabile che echeggiò per tutta la strada, silenziosa e deserta a quell’ora di notte. Le luci dei lampioni creavano aloni circolari che tracciavano un percorso a macchie.

Yuzo, alla sua sinistra, scuoteva il capo con le mani in fronte. Rideva anche lui.

«E mister Gamo era nella stanza accanto!» ricordò il portiere. «Oddio la sua faccia appena l’ha visto. La sua faccia!»

«Non sapeva più se mettersi a urlare o mettersi a ridere!»

«È rientrato nella stanza dicendo: ‘io non ho visto niente’

Mamoru si appoggiò alla spalla di Yuzo, ridevano come disperati, negli occhi ancora il volto dell’allenatore dal sopracciglio saettato verso l’alto e uno strano tic al labbro superiore.

Kumi si unì al coro di risa, poco importava se facevano dell’irrispettoso e sano baccano, lei era troppo impegnata ad asciugarsi le lacrime spuntate agli angoli degli occhi. Era alla destra di Mamoru, con il suo braccio a cingerle il collo e le dita che si intrecciavano all’altezza della spalla, in una presa protettiva e affettuosa insieme.

Tornavano da una serata passata con Hanji, Ryo e Yukari. Il campionato sarebbe stato in pausa per quella settimana, per permettere ad alcune squadre di affrontare il turno di AFC Champions League. Loro ne avevano approfittato per rientrare a Nankatsu nei giorni liberi che gli erano stati concessi.

«Ma quante ne avete da raccontare sul World Youth? Ogni volta ne spunta una nuova!»

Mamoru e Yuzo si scambiarono un’occhiata loquace, cui seguì un altro attacco di risa nel pensare che di aneddoti ne avrebbero avuti fino alla vecchiaia.

«Tu comunque avresti dovuto perderla quella scommessa. Hai imbrogliato!»

Ci tenne a precisare Morisaki per amor di cronaca, e Mamoru si portò una mano al petto padrone d’una teatralità da attore scafato.

«Hajime non lo saprà mai se nessuno glielo dirà. Non vorrai mica tradire il mio segreto?»

«Ho mai fatto la spia su di te?»

«Certo che no, my golden boy!» ironizzò Mamoru sbattendo le ciglia, mentre Yuzo gli mostrava il medio.

«Fanculizzati.»

«Non ti meriti qualcuno come Morisaki a coprirti le spalle.»

Kumi nascose una risatina nella manica del cappotto e Mamoru le rivolse un’occhiata offesa.

«Ehi, ma la mia ragazza non dovrebbe essere dalla mia parte?»

«Non quando imbrogli.»

«Ma Kumi! Fa parte del mio essere un vincente.»

«Ceeerto!» intonarono in coro gli amici.

«Due contro uno non vale!»

«L’unione fa la forza.»

«Fa parte del nostro essere vincenti» gli fece il verso il portiere, e con Kumi si scambiarono un cinque per quella combo perfetta.

A Mamoru non rimase che borbottare qualche verso di disappunto. Con loro due finiva sempre per trovarsi in svantaggio, visto che andavano d’accordissimo e si intendevano alla perfezione quando si trattava di metterlo alle strette. A volte si diceva che meglio di così non si sarebbe potuto scegliere ragazza e migliore amico, nemmeno se ci si fosse impegnato.

Nel silenzio che seguì, il vento arrivò a sollevargli i capelli con il suo taglio freddo e insinuante, tanto che Mamoru socchiuse gli occhi e sistemò la sciarpa di cotone pesante per riparare la gola. Con la seconda fase del campionato in corso, ammalarsi era proprio l’ultimo dei suoi desideri, e anche di quelli di Yuzo, ne era sicuro, e infatti lo vide stringersi di più nelle spalle. Contro il suo fianco, invece, fu Kumi a cercare riparo.

«Certo che inizia a fare freddo la sera.»

La ragazza sollevò il viso alle fronde degli alberi che intervallavano i lampioni di quella strada di Nankatsu. Il fruscio delle foglie era un mormorio nella quiete del quartiere.

Mamoru la imitò senza accorgersene, ma i suoi occhi trovarono le luci dei lampioni a ferirlo e li abbassò subito.

«Siamo quasi a Novembre. E poi è anche tardi, sarebbe meglio tornare a casa.» Si rivolse al portiere. «A che ora hai il treno per Shimizu-ku?»

«Non rientro subito a Shimizu-ku.»

«Oh. Capisco. Un altro viaggio a Tokyo?» Mamoru assottigliò lo sguardo, un sorriso malizioso affiorò sulle labbra sensuali. «Yuzo, devi forse dirmi qualcosa?»

«Che non è quello che pensi.» Morisaki liberò al cielo un sospiro rassegnato, mentre Kumi si illuminava di curiosità.

«Morisaki-kun! Hai la ragazza?»

Mamoru non trattenne dei colpi di tosse palesemente finti ricevendo una gomitata di protesta dritta nel fianco scoperto.

«Vado per l’università.»

«Adesso si dice così.»

«È tuo il problema se non mi credi.»

«Ci stai andando un po’ troppo spesso in quest’ultimo periodo.»

«Sono indietro di un paio di esami, te lo sei dimenticato?»

«Ah, come ti capisco, Morisaki-kun!» Kumi liberò un sospiro mogio. «È difficile stare dietro a tutto e i tempi sono così stretti.»

Il portiere si sporse per riuscire a guardarla in viso.

«Come procede la scuola per infermiera?»

«Bene! Cioè, benino… Faccio del mio meglio, ma non è facile per niente.»

«Te la caverai, sei appena all’inizio.»

Yuzo era sempre stato un ragazzo pieno di fiducia nelle capacità degli altri, un atteggiamento che l’aveva messa a suo agio fin da subito e le sapeva tirare su il morale, per questo lo adorava. E poi l’atteggiamento positivo del portiere andava a nozze con il suo estremamente ottimista. Un sacco di volte Mamoru si era trovato ad arginare la loro energia.

«Lo spero. Mi ha contattata Aoba-san e mi sta dando un sacco di dritte, lei è già più avanti.»

«Visto?»

«E quindi è solo ‘università’?» Mamoru riportò la discussione in carreggiata, non voleva che Yuzo deviasse come suo solito per spostare altrove l’attenzione. «Cioè, cazzo, a me lo diresti, no? Sono io

Nello sguardo del portiere, per una volta, Mamoru colse una strana ovvietà mista a esitazione. Pensò di essersi sbagliato, la luce dei lampioni creava giochi di ombre su tutti loro.

«Certo che te lo direi.»

«Bravo.»

«Sosta al konbini?»

Yuzo si fermò davanti al solito convenience store dove spesso, negli anni della scuola in particolare, facevano tappa quando andavano e tornavano dagli allenamenti o dalle serate in compagnia. Con Miura-san, il proprietario, si era creata una certa confidenza.

Mamoru lo guardò come avrebbe fatto con un bambino capriccioso.

«Non temporeggiare.»

«Due minuti, volevo prendere una bibita. Sbaglio o quella okonomiyaki era troppo salata?»

«Sì, non era un granché» ammise Izawa, e dopotutto un po’ di sete era venuta anche a lui. «Va bene. Due minuti. Poi accompagniamo la piccoletta a casa, d’accordo?»

«Signorsì.» Yuzo si portò il taglio della mano alla fronte, battendo i tacchi.

«No, ma non c’è problema, ragazzi!»

«Ti riporteremo a casa sana e salva, Kumi-chan, non temere.» Il tono solenne di Morisaki sovrastò ogni protesta.

«Hai ben due campioni come scorta: il cavaliere e il suo scudiero.»

«Fanculizzati again» cantilenò Yuzo nell’aprire la porta dello store, alle sue spalle Mamoru ridacchiava.

«Detesta quando lo dico.»

Sulle loro teste tintinnarono le campanelle del negozio.

 

Verso la mezzanotte di un giorno infrasettimanale qualunque il konbini era deserto. I ragazzi non se ne stupirono quando varcarono la soglia e trovarono Miura-san che se ne stava seduto dietro al bancone della cassa a leggere il giornale.

«Ci si prepara alla nottata, Miura-san?» Mamoru gli passò davanti.

L’uomo sollevò gli occhi dalla carta stampata per guardarlo da sopra le lenti. Un sorriso si affacciò sul viso rugoso; la calvizie gli aveva ormai mangiato tutti i capelli lasciando solo una corona ingrigita alla base della testa.

«Ehi, ehi. I miei ragazzi d’oro!» esclamò, ripiegando il giornale sulle gambe. «Ah, ma allora la strada di casa non la dimenticate mai.»

«No, Miura-san! E poi come farebbe senza di noi, i suoi clienti preferiti» cinguettò Izawa agitando in maniera infantile le braccia avanti e indietro.

«Morisaki-kun, tienilo d’occhio quello lì. Non è cambiato di una virgola e non credo che lo farà nei prossimi mille anni, e-… ehi! Mica è un campo da calcio questo, sai?»

Miura sgridò Mamoru che aveva appena corso in scivolata per arrivare al banco frigo dove erano conservate le bevande.

«Ichikawa-kun ha appena passato lo straccio, lì! Non sai più leggere il cartello? Se scivoli e ti fai male, poi chi lo dice a quelli dei Marinos

«L’ho visto il cartello, Miura-san! Era quello il bello di fare la scivolata!»

L’uomo agitò una mano sdegnato.

«Aaah! Sei testardo come pochi, e quella testa dura prima o poi te la spaccherai da qualche parte! Sugimoto-chan, ma davvero ti accompagni a quel mascalzone lì? Ma chi te lo fa fare! Meno male che almeno c’è Morisaki-kun, via!»

Kumi nascose nelle dita una risata imbarazzata.

«Miura-san, non parli male di me o non le faccio avere i biglietti per la partita.»

«Senti, senti! Non ricatterai un vecchio amico come il sottoscritto, spero! Mascalzone zazzerone!»

«Lasci stare, Miura-san,» intervenne Yuzo, mimando, con le dita, l’eloquente gesto del verso della papera. «Lui parla e parla, ma è solo chiacchiere e distintivo

«Tu che fai il citazionista facile, muovi quelle chiappe da portiere e vieni a sceglierti da bere. Non avevi sete?» Lo rimbeccò Mamoru. «Tu vuoi niente, piccoletta?»

«Arriviamo, arriviamo.» Yuzo si portò le braccia dietro la testa, intrecciando le dita all’altezza della nuca. «Ci scusi, Miura-san.»

L’uomo se la rise, dandogli una bonaria pacca sulla schiena, mentre loro andavano a spulciare le bibite. Yuzo puntò una semplice minerale perché, diceva, era l’unica cosa che riusciva a dissetarlo; Kumi prese un tè alla pesca nel piccolo brick in tetrapack e Mamoru optò per un succo di frutta al mango. Gironzolarono per curiosità tra i banchi di snack, ma alla fine erano ancora pieni per la cena e si diressero in cassa.

Dal retro venne fuori un ragazzo con il grembiule del negozio. Quando scorse le impronte sul pavimento appena lavato e non ancora asciutto sbottò seccato.

«Ma che! Ci avevo appena passato lo straccio e ora guarda lì che strisciata! Ma chi è stato quel cretino che non poteva aspettare due minuti? Adesso mi ci tocca rilavare!»

Mamoru affossò la testa tra le spalle, digrignando i denti in una tirata colpevolezza.

«Ehm… scusa. Non ho resistito.»

Il ragazzo sobbalzò, dopo essersi reso conto di aver parlato davvero e non di averlo solo pensato. Gli capitava spesso con la conseguenza di non fare sempre una gran bella figura. Quando poi vide che c’era Mamoru Izawa dei Marinos di Yokohama con la mano alzata in segno di ammissione desiderò sprofondare. Dietro di lui, Yuzo Morisaki degli S-Pulse di Shimizu-ku se la ridacchiava con gusto.

«Perdonalo, dice di avere vent’anni, ma in realtà ne ha dieci.»

«Ichikawa-kun, ma ti pare il modo di parlare a un cliente? Ma che figura mi fai fare! Dai, muoviti! Vieni qui e scusati per bene.»

«No, no. Lasci stare, Miura-san. Quel ragazzo ha ragione, sono stato maleducato.»

Mamoru tentò di non arrecare altro danno, ma il giovane raggiunse svelto il proprietario dietro al banco della cassa. Si profuse in un inchino in cui per poco non si baciò le ginocchia.

«Mi dispiace, Izawa-san. Non pensavo di averlo detto sul serio…»

Miura gli mollò uno scappellotto. «E questa è già la quarta volta che fai una cosa del genere; sarai mica scemo, figliolo?»

Ichikawa arrossì per l’imbarazzo e aveva proprio l’aria di volersi andare a nascondere.

«Sei nuovo, Ichikawa-kun? Quanti anni hai?»

«Sedici, Morisaki-san.»

«È nuovo di pacco, nel senso che sua madre affidandomelo mi ha tirato un bidone clamoroso.» Miura scuoteva il capo con le braccia conserte. «Gli sto insegnando un po’ il mestiere, visto che non ha voluto continuare la scuola.»

«Miura-san, non ci si metta anche lei. La scuola non fa proprio per me.»

«Dovresti prendere esempio da Morisaki, piuttosto. Lo sai che oltre a giocare è iscritto all’università? E tu non sai nemmeno servire come si deve un cliente, ma che devo fare con te?» Miura si girò a guardare i ragazzi, rassegnato. «È impulsivo come pochi, fa un sacco di danni e parla a vanvera.»

«Grazie tante per la pessima figura che mi sta facendo fare, Miura-san.»

«Che ti sta bene, magari ti insegna qualcosa.» L’uomo guardò poi Yuzo con un sorriso. «E come vanno gli studi, Morisaki-kun? Sempre immerso nelle piante?»

«Sempre, Miura-san. Non si dimentichi di portarmi il famoso cactus di sua moglie.»

«Sì, sì! Ogni volta mi scordo di lasciarlo a tua madre, sono troppo vecchio ormai, non ho più la memoria di un tempo.» Sospirò il direttore del konbini. «Riesci a occuparti anche delle tue, con il calcio?»

«Sì, anche se magari non dedico loro tutto il tempo che vorrei. Il calcio viene prima.»

Mamoru allargò le braccia, disperato.

«No, la prego, Miura-san! Non gli faccia attaccare il sermone da pollice verde-Snorky! E il pruno bonsai, e la kalankosa-ke-fa-kose e il manicomium Schwarzenegger

Yuzo appoggiò una mano sul bancone e l’altra al fianco.

«Aeonium Schwartzkopf

«Sai che cambia!»

«Che uno di sicuro non è stato Governatore della California?!»

Mamoru gli sventolò una mano davanti. «Basta! Paghiamo e andiamo! Già so che ti dovrò sentire per tutta la strada di casa. Povero me! Kumi, salvami!»

«Vorrai scherzare? A me interessa un sacco!» Kumi guardò Yuzo con espressione entusiasta. «Ho visto le ultime foto che hai messo su facebook, quelle della fioritura del pruno di quest’anno! Era meraviglioso, tutto bianco!»

«E devo girartene alcune che ho scattato mentre ero a zonzo per Shimizu-ku! I cosmos arancioni hanno fatto esplodere i balconi della città!»

Mamoru si spiaccicò una mano sulla faccia. Quando partivano a parlare di fiorellini era sicuro che non li avrebbe recuperati più fino a che non avessero lasciato Kumi a casa. Sospirò e, tra le dita ancora sul viso, rimpallò lo sguardo dall’uno all’altra, così presi e sorridenti. Non poté fare a meno di sorridere con loro, pensando che, nonostante non ci capisse niente, avrebbe volentieri continuato ad ascoltarli per ore e ore, senza stancarsi. Guardò Miura, che camuffava anch’egli un sorrisetto divertito, e scrollò le spalle.

«Pago io» disse con semplicità.

Mentre Ichikawa strisciava i prodotti sul lettore di codice a barre e Yuzo e Kumi erano passati dai cosmos ai ranuncoli senza capire come, il campanello della porta del locale tintinnò nell’aprirsi e poi richiudersi.

Mamoru, spalle all’ingresso, era poggiato con il gomito sul bancone e il viso affondato nella mano. Sollevò lo sguardo sullo specchio circolare che permetteva di avere una visione del locale anche quando gli si dava le spalle. Aveva ancora un rimasuglio di sorriso incastrato tra le labbra quando i suoi occhi trovarono due figure un po’ trasandate. Quella più avanti aveva un cappello di lana nero e un impermeabile lungo, verde militare, guanti senza dita e jeans scoloriti. L’altro, più indietro, e che guardava la porta, indossava un bomber appena strappato sotto al gomito e un cappello da baseball.

Senza che se ne rendesse conto, il sorriso finì di perdere mordente e lo sguardo si fece attento con la certezza di stare osservando qualcosa che non fu subito chiara. Lo divenne solo nel momento in cui l’uomo col cappello di lana aprì di poco l’impermeabile e il calcio della pistola guizzò abbastanza a lungo per essere riconosciuto: lo coprì con la mano e la giacca richiusa.

Mamoru drizzò la schiena.

«Sono 790 yen» stava dicendo Ichikawa, ma lui non lo ascoltava più.

«Miura-san, ha il tasto dell’allarme?»

«Come?»

«Il tasto dell’allarme! Quello per la polizia, ce l’ha?»

«Sì, sotto al bancone. Nei negozi di questa catena è obbligatorio, lo abbiamo tutti.»

«Allora lo prema.»

«Cosa?»

Mamoru, gli occhi fissi sullo sconosciuto e sulla mano.

«Lo prema! Adesso!»

Un colpo d’occhi, l’esperienza di anni dietro a un bancone e la comprensione che il giovane Izawa stesse guardando attraverso lo specchio che aveva sopra la cassa furono sufficienti a permettere a Miura di individuare l’uomo in impermeabile l’attimo prima che il neon espandesse la propria luce sul metallo di una canna di pistola.

L’anziano gestore di konbini riuscì a raggiungere il bottone e a premerlo; la propria figura coperta da Yuzo e Kumi non gli permisero di venire individuato. Subito dopo, la frase che in tanti anni di lavoro aveva sempre avuto il timore di sentire arrivò che di anni ne aveva sessantasette e stava per andare in pensione.

«State fermi, cazzo! Questa è una rapina!»

 

I primi tre secondi furono di sorpresa.

Yuzo non realizzò nell’attimo dell’esclamazione, il cervello elaborò ciò che vide in una sequenza fatta di: ‘rapina’, ‘uomo’ e ‘pistola’, in quest’ordine. La parola arrivò per prima, ma il senso lo capì solo dopo aver visto l’arma. Al quarto secondo la paura diede il via a una reazione fatta di mani alzate e ben in vista.

Kumi strozzò un grido spaventato, arretrando di un passo; le dita a coprire la bocca e il braccio di Yuzo nella sua direzione. Davanti alla sua direzione.

«Vai da Mamoru!» Fu più un ordine che un consiglio; Kumi non se lo fece ripetere e il giocatore dei Marinos la nascose subito dietro di sé.

«Ho detto di stare fermi, kami del cazzo! Siete sordi? Fermi vuol dire fanculo state fermi

«Fermi! Siamo fermi. Vede? E abbiamo le mani alzate. Le mani alzate.»

Yuzo accondiscese a quelle richieste sputate con rabbia e saliva parlando adagio e scandendo ogni sillaba, nello stesso tempo indietreggiava, poco alla volta. Si fermò solo quando sentì il solido del bancone a urtargli la schiena. La spalla toccò quella di Mamoru, si scambiarono un’occhiata che parlava per entrambi: erano spaventati, tutti e due.

Alle spalle del primo rapinatore, l’altro si affacciò con tono intimorito.

«Te l’avevo detto! Dovevamo aspettare che andassero via!»

«Chiudi quel cesso, idiota! Che cambia? Anzi, adesso vediamo di alzare il gruzzolo.»

Negli occhi piccoli – perché non aveva alcun timore di farsi vedere in faccia – c’era un lampo cupido e pazzo abbastanza da non temere di usare l’arma che stava impugnando.

Mamoru e Yuzo potevano vedere dentro il buio della canna, puntava ora sull’uno e ora sull’altro.

«Andatevene. La polizia è già stata allertata, se restate ancora non farete un passo fuori da questo negozio.»

Il signor Miura cercò di dirlo con il tono più fermo di cui era capace. Si sentiva responsabile per i ragazzi, senza contare che da gestore del punto vendita era suo compito fronteggiare, e magari risolvere, situazioni come quelle.

Sul secondo rapinatore, che era più basso e tarchiato dell’altro – e a prima vista anche più giovane – il monito fece subito presa.

«Hai sentito, Tate? Andiamocene, è troppo rischioso!»

«Idiota, ti avevo detto di non chiamarmi per intero, ma solo T! Quanto sei deficiente?»

«Lascia perdere come ti chiamo! È stata un’idiozia fin dall’inizio.» Il ragazzo si passò le mani sulla testa, sistemando avanti e indietro il berretto da baseball. Era impaurito tanto quanto Yuzo e Mamoru.

«Piantala di cagarti nelle mutande, abbiamo tutto il tempo del cazzo.» Tate agitò la pistola in direzione di Miura. «Sempre se questo vecchio muove il culo e apre la cassa. Allora? Ti dai una mossa o vuoi che ti spari così ci pensa qualcun altro?»

«Per favore, non c’è bisogno di arrivare a tanto.»

«Yuzo, non ti immischiare!» sibilò Mamoru.

«Sì, Yuzo, non t’immischiare.» Gli fece il verso Tate, con un ghigno. «Dai retta al tuo amico.»

Ma il portiere non ascoltò nessuno dei due.

«Se sono i soldi che volete, ok: ve li daremo, così ve ne potrete andare.»

Tate piegò la testa a sinistra, sorrideva di più.

«Aspetta, aspetta. Tu sì che sei ragionevole. Mi piaci, cazzo. Allora stai zitto tu, capellone.»

«T, cazzo, lasciamo stare. Non voglio finire in galera, sono dei ragazzi quanto pensi che ci possiamo fare? Non ne vale la pena»

E, a dirla tutta, lui nemmeno avrebbe voluto farlo, ma era T ad avere la pistola, lui era disarmato e stupido. L’idea di un guadagno facile era stata ghiotta, ma ora se ne pentiva.

«Tu vai alla cazzo di porta, J! E vedi se arrivano i fottuti sbirri!» Poi tornò a guardare davanti a sé, sorridendo malevolo. «Qui vedremo di fare presto. Non è così, Yuzo? Posso chiamarti Yuzo, vero?» Tate strinse gli occhi e sporse le labbra in fuori. «Ma lo sai che mi sembra di averti già visto da qualche parte? Hai una faccia familiare.»

Mamoru iniziò a sudare freddo, schiuse le labbra e passò lo sguardo dal portiere al rapinatore. Pregò con tutte le sue forze più nascoste che quest’ultimo non lo riconoscesse, perché allora sarebbe stato un problema, uno grosso.

Yuzo abbozzò un sorriso tremante.

«I-io non credo…»

«Com’è che ti chiami? Yuzo e poi?»

«Ecco… io…»

Gli occhi di Tate erano divenuti due linee strette strette. Esclamò prima che Yuzo potesse inventare qualcosa.

«Morisaki! Sei Yuzo Morisaki della S-Pulse! Cazzo!» poi spostò lo sguardo su Mamoru e a quest’ultimo bastò poco per capire che erano entrambi fregati. «Izawa! Ma certo! L’avevo letto che eravate pappa e ciccia, voi due. Ehi, J! Cazzo, qui abbiamo fatto tombola!»

«Quanto siamo fottuti da uno a dieci?» Yuzo si sporse verso il compagno, mentre Tate era troppo impegnato a gongolare della scoperta.

«Direi undici.»

«Grande.»

Mamoru lo guardò con espressione accorata. «Ma stiamo calmi, ok? Se staremo calmi, ne usciremo tutti.»

Yuzo annuì e prese un respiro profondo.

«Bene, bene. Che ne dite di svuotare le tasche, adesso? E anche la cassa, vecchio.»

Tenendo sempre le mani bene in vista, Yuzo ne portò una ai pantaloni.

«Con calma, Yuzo. Con calma.»

Tate si affrettò a riprenderlo e il portiere rallentò ancora i movimenti già misurati.

Sfilò il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans e lo mise sul bancone, accanto a quello che Mamoru aveva precedentemente estratto per pagare.

«Ecco qui… visto? Stiamo collaborando, potrebbe abbassare la pistola?»

Tate gli rise in faccia. «Oh, cazzo. Mi starai pure simpatico, ma non fino a questo punto.»

Guardò verso Kumi, che restava nascosta dietro Mamoru, paralizzata dalla paura. Il rapinatore si rabbuiò.

«E tu, carina? La tua cazzo di borsa, svelta.»

Kumi si tirò più indietro, e Mamoru indurì lo sguardo, mutando il piglio spaventato in uno aggressivo.

«Non ci provare nemmeno» gli sfuggì, tra i denti.

«Che hai detto, stronzetto? Cos’è che non dovrei fare?»

Tate si avvicinò di un passo, la pistola nella direzione di Izawa, ma Morisaki si frappose tra loro.

«No! Non c’è bisogno di scaldarsi. Nessuno minaccia nessuno. Vero, Mamoru?»

Con la coda dell’occhio inquadrò l’amico di una vita facendogli intendere chiaro e tondo di non perdere le staffe. L’aveva detto lui stesso per primo, no? Mantenere la calma. Poi allungò la mano verso Kumi.

«Dammi la borsa, Kumi-chan. Va tutto bene, dammi la borsa. Piano piano.»

Cercando di non farsi dominare dalla paura, la ragazza sfilò la sacca dalla spalla; con mano tremante la allungò verso Morisaki.

«Bravissima, è tutto a posto.»

Guardò Tate, l’oggetto tra le mani sempre ben in vista, tutto ben in vista affinché il rapinatore non si allarmasse.

«Visto? Ecco la borsa. Nessuno minaccia nessuno.»

Con la stessa lentezza appoggiò la sacca accanto ai portafogli.

«Cazzo, ma hai fatto? Dio, non è una buona idea, non lo è!»

J, alla porta, era in fibrillazione.

«La vuoi piantare?» Lo rimproverò Tate, poi guardò alle spalle di Yuzo, intimidatorio. «E tu, moccioso? Ti muovi ad aprire la fottuta cassa, non ho mica tutto il tempo!»

«Troiaputtana, T! Le sirene! Sento le sirene!» J arrivò di corsa dal compare, lo prese per le spalle, strattonandolo. «Sta arrivando la polizia, andiamo!»

Dall’altra parte del bancone, Ichikawa aveva appena aperto la cassa, il ka-ching dello scatto aveva un suono assordante. Il ragazzino fece per prendere i soldi, ma l’occhio gli cadde più sotto, nel cassetto inferiore che aveva l’abitudine di aprirsi per rimpallo all’apertura della cassa. La pistola che il vecchio Miura aveva lì da anni gli fece balenare nella mente la possibilità di ribaltare la situazione.

Un calcio lo raggiunse alla scarpa, prima che tentasse di afferrarla. Spostò lo sguardo al suo fianco e incrociò quello spalancato di Miura, scuoteva il capo.

Pessima idea, pessima.

Non lo fare.

Non ci pensare neanche.

Ichikawa non si stupì che non avesse fiducia in lui, ma non era un tipo che restava a guardare quando subiva un simile sopruso. Scrutò in avanti, il rapinatore era impegnato a discutere con il compare. Quello era il momento di agire, quello e nessun altro.

Ichikawa mise mano alla pistola e le parole si susseguirono nell’unico istante in cui non stava guardando.

«Che cazzo credi di fare, piccolo bastardo?»

«No, aspetti!»

Il rombo dello sparo rimbalzò per tutte le pareti del locale come pallina di un flipper di cui avevano ormai perso la partita.

 

 

“Why can't you see?
That nature has its way of warning me.”

 

Sonnet – The Verve

 

 


Nota finale: prima di tutto… GRAZIE. **

Davvero, grazie a tutte. Siete state calorose e bellissime e non so come ringraziarvi per una simile accoglienza dopo parecchi mesi che non pubblicavo. <3

Non me l’aspettavo, e adesso sono in ansia da prestazione XDDD PAZZE!

Fatemi ciarlare di altro ché se no vado in panico!

 

La trama di ‘Sonnet’, così come quella del suo seguito, sono nate molti anni fa, verso la fine del 2013 addirittura (pensate che ne ho ritrovato pezzetti scritti a inizio 2014!!! °°). Erano idee un po’ slegate. ‘Sonnet’, ad esempio, sarebbe dovuta essere a sé stante e una oneshot, poi, come sempre mi accade, ho visto ‘al futuro’ dei personaggi in questa trama e l’ho unita alle idee per un’altra storia, si sposavano bene erano fattibili e via.

Nel mentre che sto scrivendo entrambe, ho pensato anche all’eventualità di una terza storia, che farebbe da prequel a tutte e due… ma non so se deciderò di affrontarla, anche se mi piacerebbe moltissimo. Il fatto è che vorrei dedicarmi a delle cose più importanti che sono fuori dal contesto fanwriteristico… e io come sempre penso in trilogia. XD che palle!

 

Ad ogni modo, stiamo entrando nel vivo degli eventi.

Una serata tra amici, quattro chiacchiere, una sosta in un convenience store… e poi l’imprevisto, quello che non avresti mai considerato potesse capitare proprio a te.

Eccola qui.

‘Sonnet’ è servita. ;)

   
 
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