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Autore: tixit    30/11/2017    3 recensioni
Una ragazzina torna a casa e cerca di adeguarsi alla vita in famiglia.
Breve storia minore su personaggi minori che non è diventata originale.
Genere: Commedia, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorelle Jarjeyes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Sigyn la rossa'
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Tocca impacchettare qualche illusione

“I Vostri abiti.” disse la donna con voce tetra.

Sigyn d’istinto incrociò le braccia sul petto - non aveva fatto tutta quella strada per farsi comandare da una brutta copia dell’Asciutta. E l'Asciutta poteva metteva in campo anni di affetto reciproco, ruvido e costante.
Poi rilassò le mani lungo i fianchi - se questa fosse stata una partita a carte non le era capitata una buona mano, inutile giocarsi subito gli assi. E poi non aveva il diritto - era venuta a chiedere asilo, no?

La donna strinse le labbra pallide sotto l’ombra di rossetto ciliegia, poi aggiunse, scandendo le parole con cortesia rassegnata “Non potete indossarlo così come è.”

Alla ragazzina il non detto arrivò forte e chiaro: era giunta inaspettata, non si sapeva per quanto sarebbe rimasta, era impolverata ed il vestito non era degno di una Corte.
L’unica cosa sensata sarebbe stato regalarlo ad una femme de chambre. Solo che non si poteva.
Perché oltre che inattesa era pure - inaudito - senza bagaglio.
E senza una femme de chambre al seguito che si occupasse di lei.
E dei suoi vestiti.
Che comunque non c’erano.

E lei era proprio una stupida se tutto questo non lo capiva da sola.

E se non era una stupida allora era nel posto sbagliato.

La ragazzina abbassò lo sguardo - un buon giocatore lo vede da sé quando sta perdendo - “Vorrei spogliarmi da sola.” mormorò, con la massima cortesia. Almeno quello, pregò dentro di sé, almeno quello - nessuno in Normandia aveva mai messo in discussione il suo diritto all’intimità. Nessuno leggeva le sue lettere, nessuno commentava scortesemente i suoi romanzi che parlavano d’amore - lo zio Antoine-Benoit a volte la prendeva in giro, d’accordo, ma niente di più -  nessuno la lavava e nessuno la costringeva a svestirsi davanti a degli estranei.

Sentì lo sguardo della donna su di sé, ma leggerne il volto sotto quello spesso strato di biacca non era possibile.

In quel momento una cameriera  di circa venticinque anni, castana, vestita coi colori della Regina, entrò senza bussare, rompendo l’imbarazzo tra le due. Era seguita da una fila di giovani donne, tutte vestite allo stesso modo, e tutte cariche di oggetti: catini di porcellana decorata, secchi fumanti d’acqua bollente, altri pieni di acqua gelida, che, miracolosamente, non debordavano ad ogni passo ordinato della fila di anatroccole. Ed una profusione di teli, spugne e spugnette.

La giovane si inchinò con una grazia che tradiva una lunga abitudine e sorrise allo stesso modo, poi cominciò a dare ordini alle sue paperette, con una ricercatezza di linguaggio che avrebbe fatto invidia a Clément.
Fu a quel punto che la donna sospirò e da sotto lo spesso strato di biacca trapelò, inequivocabile, il sollievo di non dover aiutare, accudire o ascoltare la ragazzina.

Il paggio che parlava come un poeta aveva ragione, pensò Sigyn di colpo: a Versailles era difficile separare il pubblico dal privato e lei era solo un pezzetto della vita privata di Madame Marguerite, troppo impolverato per poter essere parte anche della sua vita pubblica.
La donna serviva la Regina, forse, o serviva qualcuno che serviva la Regina, porgendo una candela o lucidando orecchini. E qualcuno serviva lei, facendo cose altrettanto semplici ed altrettanto inutili, ed altri, ancora, la servivano sul serio sporcandosi davvero le mani, lavando vestiti e scrostando il fango dalla suola delle sue scarpette. Esisteva una gerarchia, insomma.
E la piramide di quelli dai gesti inutili era quella che contava davvero.

Lei era solo il sassolino nell’ingranaggio con cui non si sapeva cosa fare.

Ma non era detta l’ultima parola, rifletté battagliera: sapone e - più in là - ricami elaborati potevano fare miracoli.

“Suzette si occuperà di tutto.” sentenziò la donna, imperiosa, prima di sparire.

La ragazzina si lasciò svestire senza discutere - la disturbava l’idea appena accennata che stava sobbollendo in qualche punto recondito della sua testolina: che, una volta che avesse avuto indosso il giusto vestito, esattamente come le paperette di Suzanne, qualcuno le avrebbe detto quale era il suo posticino - se doveva essere quieta, o porgere guanti, o trotterellare tre passi indietro dopo qualcuno.
Sarebbe stato inequivocabile per chiunque chi era e cosa era e se valeva la pena rivolgerle la parola.
Sarebbe diventata visibile.

Il rimuginare si interruppe quando le rimase indosso solo la chemise - la femme de chambre era stata rapida ed efficiente, proprio come lo era con gli inchini ed i sorrisi.
Sigyn le fece cenno di andarsene.
Fu contenta di scoprire che, quanto meno, i suoi desideri venivano presi in considerazione da una cameriera - era già un miglioramento rispetto alla strafottenza di Margot. Forse, quello non era il posto sbagliato, dopo tutto.

Una volta sola, si guardò intorno: la stanza era tetra, non somigliava affatto a quella di Palazzo Jarjayes. Sembrava il posto giusto per uno spettro.
Forse la donna in blu l’aveva portata nel posto sbagliato?

Uno può dire ciò che vuole, ma alla fine contano i fatti, decise; uno può dire che una coppia di un paio di secoli prima ha avuto un bambino come può sostenere il contrario, ma un atto di nascita in un registro parrocchiale, una annotazione nella Bibbia di famiglia, il conto del pranzo offerto ai parenti, una nota nei libri dei conti della governante della casa che dice “7 aune di nastro bianco per la veste battesimale” dicono le cose come stanno. E quello era il compito dello storico, non tutte quelle liste che le chiedevano di imparare a memoria! pensò con fastidio.

Con calma si aggirò per la stanza aprendo gli armadi: le chemise di sua madre - ne prese una pulita per sé - le calze di seta di Madame Marguerite - giusto quello che le serviva - le loro miniature appese alla testata del letto - sei constatò, quasi non credendoci, le contò e le ricontò sorridendo, sentendosi improvvisamente allegra. Sei!
Il suo banyan coi fiori azzurri.
Il suo profumo sul cuscino.

Era la stanza giusta.

Ma il posto le parve terribilmente sbagliato - quella era la stanza di un fantasma.


Seduta in terra, su un telo, con le gambe incrociate, sfiorò con un dito il bordo smerlato di un catino; Suzette era stata brava, era tutto a portata di mano ed ogni secchio aveva il suo mestolo con il monogramma della Regina. C’era anche una brocca con il decotto contro i pidocchi che le strappò un sorriso - dovevano aver pensato che veniva da un posto terribile.
Prese un catino minuscolo, e cominciò a versarvi con cura qualche mestolata d’acqua - a quanto pareva solo gli eccentrici come i Jarjayes, i Girodelle e pochi altri temerari, trovavano normale immergersi in una vasca da bagno - la faccenda sarebbe stata molto lunga, ma lei non aveva nessuna fretta e soprattutto, non doveva andare proprio da nessuna parte.  

Distrattamente ripensò agli ultimi avvenimenti della giornata.

Il paggio poeta doveva avere un buon numero di piccole amiche sbucate dalla campagna, o da chissà dove, se la Guardia del Re aveva trovato tutto così normale, perfino divertente, rifletté. Inutile illudersi. LaRoche Guilhen bla bla bla aveva troppe amiche per poter essere preso sul serio come amico.

A Joséphine avrebbe fatto piacere sapere di essere ammirata da un paggio - da uno che andava alla scuola dei paggi, insomma - soprattutto per via di quei duecento anni di nobiltà che servivano per il mestiere - Joséphine ci teneva al giusto pedigree per ammiratori e cavalli.
Non le avrebbero fatto molto piacere le piccole amiche, però: non era mai stata il tipo che amava condividere.
Nemmeno un paio di guanti di capretto - ah le urla quella volta...

La Guardia del Re l’aveva fatta entrare nella Cappella in silenzio. Fuori, ad un certo punto, aveva scherzato con lei - l’aveva chiamata La Rochette - e lei lo aveva lasciato fare: come Mademoiselle Sigyn Reynier l’Impolverata non era arrivata proprio da nessuna parte, inutile arruffare le penne. Mentre la piccola amica di LaRoche, con la stessa polvere sui vestiti stazzonati, era stata scortata - addirittura! - da una Guardia del Corpo della famiglia reale.

Ricordava di aver sbattuto le palpebre cercando di mettere a fuoco, ma non avrebbe saputo dire se era stato per il buio della Cappella o per un principio di lacrime. L’uomo l’aveva sospinta delicatamente nella direzione giusta. E poi le aveva sistemato il cappellino con dita gentili e lei si era messa in posa, dritta come un soldatino, aggraziata come ad una lezione di ballo, perché va bene la polvere, e i vestiti smessi delle sue sorelle, ma lei restava comunque una Jarjayes. Sua madre non si sarebbe vergognata di lei. La Guardia non si sarebbe dovuta vergognare di lei. E nemmeno un paggio incontrato per caso.

Sigyn scosse la testa mentre strofinava energicamente le gambe. Non le piacevano affatto - Oscar le aveva da merlo, ma sarebbero diventate lunghe, le sue stavano perdendo tutta la paffutezza dell'infanzia e non le sembravano proprio niente di che.
Come non le sembrava niente di che tutto il resto. Da piccola si trovava bella, era la bella del Nonno, e se indossava gli abiti di sua madre quando giocava con Cassandra - il cappellino con le rose, le scarpette coi fiocchetti bordeaux - allora lo specchio le rimandava l'immagine della persona ideale, anche coi vestiti sbilenchi. Ma era un po' che non trovava nello specchio la Sigyn ideale.
Probabilmente non era carina quanto Joséphine, ma non gliene importava: sarebbe stata carina a sufficienza per avere il giusto numero alla moda di ammiratori. Come si conveniva alla piramide di quelli dai gesti inutili.
Soprattutto, pensò timidamente, se il Nonno ad un certo punto aveva scelto una come la Nonna, con i capelli rossi dei Sisteron e che metteva paura al giardiniere, allora poteva anche essere che lei sarebbe stata amata - ma amata sul serio, con i sentimenti di Donne quando parlava di un amore eterno - e soprattutto amata da uno proprio come il Nonno. O, addirittura, da qualcuno come Monsieur Henri, il padre di Clément.
Il resto erano solo chiacchiere.

Quanto a Joséphine, ripensandoci, forse le avrebbe fatto piacere pure un dodicesimo di ammirazione incondizionata, sia pure paggesca, che tutto sommato era meglio che niente - badinage amoureux lo chiamavano, un gioco dove nessuno doveva farsi davvero male.

Niente macerie.

Non come Mère e il Generale, insomma.

Irritata svuotò il catino in uno più grande con un gesto brusco e lo riempì di nuovo di malagrazia.

La Roche comunque l’aveva vista, pensò, anche sotto la polvere. Ma va a sapere cosa accidenti aveva visto.  

Si strinse dentro un paio di teli, per asciugarsi e corse a ranicchiarsi sul letto di sua madre.

Giocherellò con le dita con le miniature - alla fine Mère l’aveva notata, pensò con tenerezza. Mère l’aveva vista e le aveva sorriso e a lei era sembrato che cuore stesse per scoppiarle nel petto. Poteva ancora sentire il dolore acuto proprio lì nello stomaco se ci ripensava. Come un languore.
Ma era stata brava, non era corsa ad abbracciarla, mettendola in imbarazzo, aveva recitato il suo ruolo di perfetta Jarjayes in miniatura. Clément sarebbe stato orgoglioso di lei.

E Mère le aveva mandato quella gelida donna in blu perché la scortasse nella sua stanza. La brutta copia dell’Asciutta.
Irritata si sciolse i capelli e cominciò a spazzolarli vigorosamente.

Finì di asciugarsi e si rivestì con la chemise di sua madre e con le sue calze prese in prestito. Le piacque sentirne il profumo su di sé.

Quando tornò Suzette, sgusciò dentro corpetto e vestito in fretta, poi, inclinata sul letto, tirò fuori Virgilio e cominciò a leggere.


 

“Piccolina… svegliati...” sentì la voce dolce di sua madre e piano aprì gli occhi.

D’istinto la abbracciò e la donna le passò le mani tra i riccioli scompigliandoli.

“Eccola qui la mia vagabonda…” disse Madame Marguerite ridendo, poi la fece alzare e la fece piroettare davanti a sé. “Ma guarda come sei cresciuta!” delicatamente le prese il volto tra le mani e le diede un bacio sulla fronte. "La mia pellegrina che viene dal mare."
Sigyn la abbracciò stretta stretta e rimasero per un pochino lì in silenzio, tutte e due.

Mentre era stata nell’ombra della Cappella, quieta come un topolino, aveva fatto tanti progetti, per lei e per Oscar. E ovviamente per André, perché André proprio non lo si poteva lasciare solo a Palazzo - a far cosa poi? A dar da mangiare ai colombi? Quelle bestiacce immonde che affollavano il cornicione? Uccelli dagli occhi malevoli...
Aveva pensato che una volta che si fosse sistemata lì per benino, avrebbe portato sua sorella a passeggio per la Reggia tutte le domeniche. C’era un centinaio di cavalli almeno, nella Scuderie Grandi, a Oscar sarebbero piaciuti moltissimo. Oppure sarebbero andate fino a Saint-Cyr, o a Jouy a comprare della tela, o a Saint-Germain...
Ma la verità era che, in quel momento, nessun posto le sembrava migliore di quella stanza tetra.

Poi Madame Marguerite la prese per mano e la condusse di nuovo verso il letto “Dobbiamo dare una sistematina a quei capelli!” disse scherzosa, afferrando una spugna e Sigyn annuì.

“Cosa fai qui piccolina? Sei tornata a casa?”

Sigyn non disse nulla - non glielo poteva dire del Nonno, che l’avevano in pratica cacciata, sarebbe stato solo doloroso e basta “Sentivo nostalgia.” mormorò - in parte era vero. Osservò sua madre e si accorse che era terribilmente dimagrita, sembrava fragile.

“Mi fa molto piacere. Sei appena arrivata? Tutta quella polvere…”

Mère era pallida e stanca, nella Cappella non lo aveva notato, e Sigyn si sentì stringere il cuore. “Più o meno.” disse - nessuno aveva avvisato Mère, quindi, nemmeno Joséphine.

Si accoccolò in terra, contro le gambe di sua madre, lasciandola libera di armeggiare coi suoi capelli. A Palazzo lo avrebbe fatto fare ad una cameriera, ma qui, lo capiva, era diverso, e le sarebbe piaciuto restare così per sempre - non c'era un altro posto in cui adesso volesse andare.

Mère,” chiese timidamente, “non Vi piacerebbe tornare a casa?”

“Piccola, servire la Regina è un onore… e potrebbe essere una buona cosa per Voi tutte, più in là, quando ci sarà un'altra Regina ed il mondo sarà tutto Vostro, che si sappia che Vostra madre ha servito a Corte... è un precedente.”

“Lo potreste fare 3 mesi l’anno, par quartier, come fanno quasi tutti, oppure tornando a Palazzo alla sera, nessuno si accorgerebbe.”

“La Regina è molto sola e ha perso suo figlio.” sentì che le mani di sua madre tremavano, “E’ un dolore enorme, tesoro, dopo si può solo sopravvivere...”

“Ci sono tante Dames e Filles e Demoiselles…”

Madame Marguerite le accarezzò il viso. “Tesoro, questa Regina è stata molto amata, ma ad un certo punto non era più adatta… fare i bambini non è per sempre e dopo… dopo, certe volte, non resta più nulla…” la voce della donna si fece molto triste, “un giorno pensi di avere una vita piena e poi arriva il momento in cui scopri di non essere niente… e le cose che pensavi fossero importanti svaniscono una dopo l’altra...” Sigyn alzò lo sguardo e si accorse che le mani di sua madre erano così pallide, come carta, con le vene azzurrine dei polsi che avrebbero fatto l’invidia di ogni dama alla moda. Si sentì stringere il cuore.

Quando aveva pensato a Versailles, alle cose che sarebbero piaciute a lei, la prima cosa che le era venuta a mente erano le feste nella Galleria degli Specchi. Le piacevano pazzamente! Peccato che si era potuta intrufolare solo pochissime di volte al seguito di Mère e del Generale, vestito senza la sua uniforme come si conveniva a Versailles - solo le Guardie dovevano e potevano, per tutti gli altri era considerato di pessimo gusto. Allora sua madre le era sembrata bellissima e il Generale pure e aveva pensato che avrebbe fatto di tutto per diventare il suo orgoglio.
Sistemavano una orchestra nel Salone della Pace ed una nel Salone della Guerra, ai due capi della Galleria e metà dei ballerini seguiva una musica e l’altra metà un’altra.
Le finestre erano sul lato ovest e da lì, appollaiate su uno sgabello nell’ombra di una tenda, si poteva scegliere se osservare il ballo o se dedicarsi alla solenne prospettiva del giardino, illuminato dai bracieri. Alo una volta l’aveva beccata e le aveva portato un enorme dolce alla crema - ma si era rifiutato di farla ballare.

Che stupidina pensò, che stupida che era stata solo qualche momento prima. Aveva pensato ai balli, rimuginò dentro di sé irritata, e non aveva previsto, non aveva capito... sentì che il cuoricino le si stringeva

“Ma non badare a cosa dice tua Madre, piccolina, stare qui mi fa bene, alla sera faccio compagnia alla Regina e lei in qualche modo fa compagnia a me.”

“La vostra stanza è almeno il doppio di questa,” insistette la ragazzina, “e c’è molta più luce. E poi c’è il salottino e l’anticamera...”

“Tesoro, una stanza serve solo per dormire, in fondo, quanto spazio occorrerà mai? E la luce per vedere cosa? Le rughe di un volto invecchiato a sorpresa?” la voce della donna si era fatta amara “Alla mia età è giusto mettere da parte la frivolezza, non credi? E riconoscere che si è diventate solo inutili… anzi dannose, che si farebbe solo del male a quelli intorno a noi... ammesso che si sia mai state in grado di fare qualcosa di bene...”

Sigyn strinse gli occhi, sentendo un dolore acuto proprio nella gola.

“Con Joséphine come va?” chiese Madame Marguerite tentando di cambiare discorso.

Sigyn stette in silenzio poi mormorò “E’ molto brava, si occupa di Oscar e di me.”

“Mi fa piacere, piccola. E’ sempre stata una donnina, Joséphine, molto responsabile, attenta ai dettagli…”

“Ci chiede sempre come è andata la nostra giornata...” Sigyn sentì un groppo alla gola, ma non poteva, non poteva proprio dire la verità a Mère, non per come stava adesso, lo capiva da sé. Come faceva a dirle che Joséphine era semplicemente odiosa e con una scopa ficcata in un posto che non si poteva nominare?

“Oh che brava! Ha finalmente imparato che bisogna anche ascoltare, non solo pretendere di comandare a bacchetta!” Mère sembrava così felice.

“Si, le interessa sapere come ce la caviamo con lo studio, si informa sempre con il Precettore, ed è gentile con noi. Anche con André.” di più non poteva. E poi era vero che sua sorella parlava con il Precettore, quei due erano uniti nella loro missione di evidenziare quanto fosse mal riuscita la più piccola delle sorelle Jarjayes, fingendo tutti e due che Oscar non fosse pure lei una femmina, in ossequio al Generale.

“E’ cresciuta quindi...”, Mère cominciò ad asciugarle i capelli, “e con la casa come va?”

“Si fa aiutare da Margot...” Era inutile raccontare che nessuno si ricordava di controllare il tiraggio del camino, come se non sapessero tutti i guai che potevano capitare. Senza Mère nessuno sapeva davvero occuparsi del Palazzo, come di una cosa viva.

“Margot?” La donna corrugò la fronte e quardò Sigyn sconcertata.

“Si, le da ordini e Margot obbedisce con entusiasmo…” ribatté Sigyn scontrosa ripensando alle frustate, “Quasi quasi direi che Margot ci mette pure del suo.”

“Ma che bella cosa! E Oscar?”

“Oscar è bravissima, studia molto e mi dà sempre una mano con i compiti...” quello era vero, pensò la ragazzina con sollievo, "mi vuole molto bene, e io lo so" anche questo era vero, peccato che Oscar non lo sapesse. Forse era il caso di dirglielo?

“Questo è molto importante, piccolina. Lo studio. Le donne della mia generazione, spesso, venivano mantenute nell’ignoranza perché ne venisse preservata l’innocenza, ma l’innocenza è una cosa per ragazzine nel fiore della giovinezza. Per una moglie, una madre… per una donna, servono altre armi per combattere con la vita, altrimenti si diventa solo delle povere vecchie, frivole e capricciose...” la voce di Madame si era fatta distante, “Io ho combattuto tanto perché almeno tu studiassi come Oscar, sai? Perché non finissi educata in un convento...”

Sigyn annuì senza sapere cosa dire.

“Tu vuoi studiare, vero Sigyn?”

“Si, certo…” Mère sembrava così ansiosa e Sigyn si vergognò per essersi addormentata su Virgilio.

“Non è per stupire la società, è per te, tesoro. E guarda che non è necessario essere ignoranti per essere virtuose, non credere a chi dice queste sciocchezze, non crederci mai! Io so che tuo Nonno e tuo zio hanno cercato di darti una educazione utile a gestire gli affari di una Signoria, almeno un pochino, sei così piccola… ma non si può vivere non sapendo, non avendo idea, sempre in balia degli altri... non è vivere, credimi.”

Sigyn annuì: il Nonno aveva trascurato davvero tanto Virgilio e l’elenco dei Re di Roma, e lei sapeva pochissimo di araldica e di leoni rampanti o leoni illeoparditi, secondo il Precettore era un pozzo d'ignoranza... e le lingue moderne che aveva studiato con lo zio Jean-Claude al precettore non interessavano affatto... ma il Nonno aveva preteso che lei sapesse sparare con un fucile, filarsela su una barca, montare una tenda, viaggiare senza lamentarsi, e che conoscesse tutto su cosa fosse un testamento, una donazione, un ammortamento, una indennità - tutte cose volgari secondo il Generale - cosa fossero dei beni immobili, chi ha diritto a cosa e, soprattutto, che sapesse a chi chiedere consiglio nei vari ambiti. Se le era portata appresso ovunque e l’aveva presentata a tutta una schiera di vecchietti ed ai loro figli perché la conoscessero non solo di nome.
Leggeva tutte le sue lettere, scriveva in bella tutte le sue risposte.
Il Nonno aveva voluto che le fosse chiaro di cosa loro vivevano e quanto potevano spendere. Educazione da noblesse campagnarde diceva Joséphine con disprezzo. Buona per una che al massimo avrebbe spennato dei polli in una cucina di pietra di un nobile decaduto.

Forse era vero, sempre meglio di non sapersi nemmeno cucinare una zuppa in caso di emergenza - Joséphine comandava tutti, ma dipendeva da tutti. Solo che, a quanto pare, il modo giusto era quello per una Jarjayes.

Non aveva mai pensato che Mère trovasse importanti, invece, le cose che piacevano al Nonno.

Mère le accarezzò distrattamente i capelli “Quando io avevo la tua età pensavo che diventare adulte, sposarsi, volesse dire solo poter andare ad una festa senza dover chiedere il permesso a nessuno, e restare fino all’ora che avrei voluto, senza che nessuno mi potesse rimproverare...”

Sigyn chiuse gli occhi - e così c'era qualcosa di sua madre dentro di lei, a quanto pareva... intuì che Madame Marguerite si stava perdendo e con decisione le strinse la mano “Mi piace molto studiare,” disse, “non tutte le materie, ma mi applico.” poi fece un largo sorriso “E mi piacciono tanto i fiori, e a questo proposito, possiamo parlare un pochino delle clematidi?”

 

Quando sua madre si alzò per accompagnarla fino al cortile interno, si accorse che il giardiniere le aveva raggiunte ed era rimasto in silenzio ad ascoltarla in un angolo della stanza.

Irritata pensò a tutte le bugie orribili che aveva detto e lo guardò con aria di sfida. Il vecchietto la osservò imperscrutabile “Non intendo far preoccupare quella santa donna di Vostra madre” sussurrò lamentoso, “e non le dirò come Vi siete approfittata di un povero vecchio.”

“Ve ne sono grata” rispose la ragazzina meccanicamente. Ormai aveva finito tutte le carte, non c'erano più mani da giocare e si sentiva anche stupida. Con che faccia si sarebbe presentata dai Girodelle?

   
 
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