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Autore: EllaSnufkin    30/11/2017    1 recensioni
Sei una schiappa a calcio.
Sei innamorato da due anni di Simone, la star della squadra, che per te prova solo pietà. A complicare le cose c'è Claudio, il capitano bullo superfigo che ti tormenta chiudendoti negli armadietti dello spogliatoio.
Che cosa fai se all'improvviso una strega un po' stramba, con una strana fissazione per i cartoni animati, ti regala tre desideri? Ma attenzione, c'è una regola: non puoi usare i desideri per far innamorare qualcuno di te...
Genere: Commedia, Introspettivo, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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Video meliora proboque. Deteriora sequor.
Ovidio

 

La rete si gonfiò e per un lungo istante sul campo calò un silenzio irreale.

Tiziano fissò incredulo la palla mentre cadeva sul fondo della porta.

Un difensore emise un grido scomposto, e l'esultanza del pubblico investì il campetto come uno tsunami.

Il giocatore che aveva appena gridato prese Tiziano per le spalle e lo scosse, guardandolo negli occhi con incredulità mista a gioia, poi venne travolto dai compagni in un abbraccio collettivo.

La loro divisa era a strisce bianche e blu. Quella di Tiziano rosso granata, con le maniche azzurre.

Erano due anni e quattro mesi che non segnava un gol. Aveva immaginato tante volte il momento in cui sarebbe riuscito di nuovo a insaccare la palla in rete. Solo che nei suoi sogni la rete era quella avversaria.

L'arbitro fischiò tre volte.Era finita. L'A.S. Castrum aveva perso. Per colpa sua.

I tifosi avversari applaudivano, dalla gradinata e dal bordocampo. Tiziano captò uno sconsolato «...figura di merda...» alle sue spalle. Lanciò un'occhiata intorno a sé e incrociò lo sguardo di Simone.

Non c'era odio nei suoi occhi chiari, non c'era rabbia. C'era solo compassione. Una triste, insostenibile compassione.

Tiziano avvertì le guance farsi incandescenti e voltò la testa sopraffatto. Quanto sarebbe meglio, pensò, quanto sarebbe meglio se mi odiasseCome tutti gli altri.

Immobilizzato dalla vergogna perse qualche secondo a spazzolare via il terriccio dai pantaloncini. Si tolse un ciuffo d'erba appiccicato al ginocchio, pinzandolo tra pollice e indice.

I giocatori in bianco-blu si abbracciavano felici. Quelli in maglia granata si dirigevano stancamente all'uscita.

Sembrava così facile...

Voleva solo spazzarla in calcio d'angolo.

Sul 2-2, al novantatreesimo, defilato sulla destra dell'area, con lo specchio della porta ridotto a un rettangolo strettissimo e l'attaccante avversario che accorreva da sinistra. Era un intervento semplice, quasi stupido, ma importante. Era la sua occasione per riscattarsi, per farsi perdonare dai compagni tutti gli errori compiuti durante la partita.

Ma il suo piede aveva colpito quel maledetto pallone nel punto sbagliato e nel modo sbagliato, facendolo schizzare in una direzione totalmente imprevedibile. In direzione di quello stretto rettangolo che era la porta da quella posizione defilata. Il portiere fuori posizione, i difensori a marcare gli altri attaccanti.

E il pallone era finito in rete.

Due a tre.

Tiziano sospirò ripercorrendo mentalmente l'errore senza riuscire a capire cosa era andato storto nella sua coordinazione, e infine si decise ad avviarsi anche lui verso l'uscita, a testa bassa.

Aveva fatto solo pochi passi, quando per poco non cadde a terra a causa di una spallata. Qualcuno gli sibilò all'orecchio: «Grazie, merdina» e lo superò.

Vide allontanarsi davanti a sé l'inconfondibile schiena grigia con il numero 1 di Paolo. Oggi non l'avrebbe biasimato se negli spogliatoi avesse deciso di prenderlo di mira insieme al suo inseparabile gruppetto di bulli. Il trio dei beta, come li aveva soprannominati mentalmente Tiziano: Paolo, portiere, Stefano, mediano, e Federico, difensore centrale. Sottoposti e devoti al capo bullo alfa supremo, nonché capitano della squadra: Claudio, centravanti.

«Daje, su, bella partita rega'. Non buttiamoci giù, era solo un'amichevole!» disse Valerio sorridendo bonariamente ai giocatori che uscivano.

«Sì, contro le peggio pippe del girone» ribatté Michele (centrocampista di fascia), alle spalle di Tiziano.

Valerio era l'allenatore dell'Under 18, un ex impiegato bancario appassionato di calcio che dopo essere andato in pensione aveva deciso di prendere il patentino per la categoria dilettanti. Aveva una spiccata simpatia per Tiziano, nonostante fosse il giocatore più scarso della squadra. Valerio insisteva a dire che la sua disastrosa incapacità a gestire la palla coi piedi era solo un blocco psicologico. Tiziano era d'accordo con la diagnosi, perché un tempo era stato bravo, molto bravo. Ma iniziava ormai a temere che fosse un blocco insormontabile.

Arrivato alla recinzione, Tiziano affrettò il passo per evitare che Valerio gli parlasse, lo consolasse ad alta voce, davanti a tutti, con una delle sue tipiche frasi enfatiche e imbarazzanti. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era fare l'ennesima figura da cocco del mister.

Per fortuna il mister fu distratto da Paolo, che si fermò a parlare con lui. «Perché l'hai fatto entrare? Vincevamo due a zero, cazzo! E adesso per colpa sua ho preso tre gol da cojone...» la voce di Paolo si perse alle spalle di Tiziano, mentre camminava rapidamente verso gli spogliatoi.

Entrò nel basso cubicolo di cemento, percorse il breve corridoio e varcò la porta dello spogliatoio ospiti, aspettandosi di venire accolto da un coro di fischi, sfottò, lamentele.

Perché ho accettato di entrare in campo? pensò. 
Anche lo psicologo mi ha detto di ricominciare gradualmente, dai fondamentali.

Sorprendentemente i compagni lo ignorarono. Tutti. Persino i beta, che raramente si lasciavano sfuggire occasione per tormentarlo.

Nessuno parlava. Si udivano solo lo scalpiccio dei tacchetti sul pavimento, le zip che si aprivano, i borsoni che venivano sbattuti a terra.

Tiziano non aveva alcuna voglia di guardare in faccia i propri compagni, ma poteva immaginare i musi lunghi e le espressioni sprezzanti. Pensò al fatto che due giorni dopo sarebbero partiti per il ritiro in montagna e gli si annodò lo stomaco all'idea di doverci trascorrere una settimana insieme, ventiquattr'ore su ventiquattro.

Con un'occhiata lampo, Tiziano identificò i capelli rossi di Simone in un angolo dello spogliatoio. Dava le spalle all'ingresso e si apprestava a sfilarsi la maglietta.

Senza soffermarsi oltre con lo sguardo, in due passi Tiziano raggiunse il suo armadietto. Non avrebbe fatto la doccia con gli altri: non voleva innervosirli e provocarli con la sua presenza. Non si sarebbe nemmeno cambiato. Sarebbe montato in bici così, sporco e sudato, parastinchi e divisa da calcio. Ma doveva recuperare il borsone con le sue cose: il cellulare, le Converse nuove di zecca, la maglietta del Galles di Bale, dell'europeo appena terminato.

Vincevamo due a zero, cazzo! Le parole di Paolo riecheggiarono nella sua testa.

Poi Valerio aveva deciso di farlo entrare all'ottantesimo e in tredici minuti avevano preso tre gol. Tutti e tre, in un modo o nell'altro, per colpa sua.

Le Converse erano a terra, sotto la panchina. Aprì la zip del borsone, poggiato sulla panca, e afferrò le scarpe, pensando alla bicicletta che lo aspettava incatenata alle rastrelliere fuori dal campo sportivo. Non poteva pedalare coi tacchetti ma si sarebbe cambiato le scarpe fuori. L'unica cosa importante era fare in fretta e uscire subito da lì.

Ma proprio mentre infilava le Converse nel borsone Valerio entrò nello spogliatoio battendo energicamente le mani: «Non demoralizziamoci, su!»

Tiziano fece un sospiro sconsolato. Adesso sarebbe stato costretto a rimanere.

«Mi siete piaciuti, oggi. Ottimo atteggiamento, anche nel finale. Non ho niente da rimproverarvi, la colpa è stata solo della sfortuna.»

«Tizio ha cambiato nome? Si chiama Sfortuna adesso?» disse Claudio entrando nella stanza.

Tutto lo spogliatoio rise alla battuta di Claudio e Tiziano (Tizio, come lo chiamavano tutti da quando andava alle elementari) sentì di nuovo il viso in fiamme.

Claudio, il capitano Claudio, il maschio alfa definitivo, era un bizzarro incrocio tra uno spaventapasseri e un dio norreno: biondo, occhi chiari, profilo da statua greca e lineamenti da attore, alto un metro e novanta per ottanta chili di muscoli, testosterone e stronzaggine. Era talmente alto da risultare un po' sproporzionato, gli arti lunghi e i movimenti dinoccolati davano al quadro d'insieme un tocco di imperfezione che, se possibile, rendevano la sua figura ancora più interessante. Aveva 17 anni ma ne dimostrava almeno una ventina.

Subito dopo essere entrato nello spogliatoio tirò un calcio a una panchina, facendo scattare in piedi i due giocatori che ci stavano seduti. Non perché fosse arrabbiato con loro (o con chicchessia). Per il semplice, puerile gusto di spaventarli.

«Rega', sapete chi me ricorda Tizio?» disse con un sorrisetto sarcastico.

Valerio incrociò le braccia e lo guardò con aria vagamente infastidita.

«Lionel Messi» disse solennemente Claudio. Poi, dopo una pausa di qualche secondo: «quanno sta seduto ar cesso.» Tutto lo spogliatoio scoppiò a ridere.

«Semo popo 'na squadra de disgraziati» commentò qualcuno ridacchiando.

Solitamente rispondeva a tono alle battutacce di Claudio, ma oggi aveva il morale sotto le scarpe. Era la prima amichevole della stagione dopo la pausa estiva. Aveva meditato tutta l'estate se mollare definitivamente il calcio o ricominciare gli allenamenti, ma alla fine la sua passione per il gioco aveva vinto. Dopo aver persino chiesto aiuto a uno psicologo per superare i suoi blocchi mentali, aveva studiato una strategia di riapproccio graduale al gioco.

Claudio e i beta erano un problema, certo, ma ormai aveva preso le loro misure e sapeva tenerli sotto controllo. I beta, in particolare. Tutti e tre insieme non facevano il QI di un paguro ed era quindi facilissimo ribattere alle loro prese in giro offendendoli a morte. Per questo motivo aveva deciso di non cambiare: anche ammettendo che qualche altra squadra dei castelli romani avesse accettato - scarso com'era - di farlo allenare col gruppo, non sapeva chi avrebbe trovato ad accoglierlo, forse dei bulli persino peggiori.

Ma c'era un secondo motivo per cui Tiziano voleva rimanere lì. Un motivo forse ancora più importante.

Simone.

Il giocatore più bravo della squadra, trequartista.

Si parlava di prima squadra, per lui. Si parlava di provini per la serie A. Ma per ora era ancora lì con loro, con l'under 18 dell'A.C. Castrum.

Ed era il più buono, gentile, sensibile ragazzo che Tiziano avesse mai conosciuto. L'opposto del branco di coatti che popolavano lo spogliatoio.

Un sorriso di Simone valeva cento prese in giro di Claudio. Era una perla rara, un cavaliere in armatura scintillante, un...

«A' Tizio, sei utile come i titoli di coda nei film porno!» La battutaccia di Claudio, con conseguente scroscio di risa dell'intero spogliatoio, risvegliò Tiziano dalle sue fantasticherie su Simone e gli fece capire che era arrivato il momento di andarsene. I beta stavano ridendo in maniera scomposta, col respiro affannato e un accompagnamento di piedi battuti a terra. Erano in quello stato di esaltazione bullistica che confinava con il desiderio di molestia fisica, Tiziano ormai aveva sviluppato una perfetta sensibilità per situazioni come quella.

Si apprestò a chiudere la zip del borsone, ma nella concitazione un laccio delle scarpe che ci aveva appena messo dentro si incastrò tra i denti della chiusura lampo.

«Finitela!» disse Valerio, ma nessuno lo ascoltò.

«Oh, rega', che ne dite se l'anno prossimo mannamo Tizio alle paralimpiadi?» disse beta Stefano, tutto scosso da risate col risucchio.

Tiziano cercò freneticamente di muovere la zip avanti e indietro per disincastrarla, senza riuscire a combinare alcunché.

«Ragazzi basta!» disse Valerio alzando la voce «Siete una squadra, e dovete supportarvi a vicenda, quando siete in difficoltà.»

Tiziano stramaledisse il momento in cui aveva deciso di ficcare le scarpe nel borsone: avrebbe potuto benissimo portarle a mano, tanto si sarebbe dovuto cambiare subito, per pedalare.

«Avete sentito?» disse beta Federico «Ce dovemo supportà a vicenda. Mo' finisce che je dovemo pure comprà una carrozzella cor fonno cassa, all'handicappato!»

Tiziano si stupiva di come i beta fossero capaci di esprimere mille variazioni possibili della stessa battuta di cattivo gusto, e di come i suoi compagni di squadra trovassero ogni nuova variazione più divertente delle precedenti.

Non ebbe il coraggio di guardare l'angolo di Simone. Non voleva vedere se anche lui si era unito alle risate. Gli avrebbe fatto troppo male.

Tiziano prese finalmente la decisione di lanciarsi il borsone semiaperto in spalla, per andarsene, ma fu congelato dallo sguardo compassionevole di Valerio, che si trovava proprio tra lui e la porta d'ingresso.

Ti prego, non dire niente, pensò.

La bocca di Valerio si aprì. Stava per dire qualcosa.

Ti prego non nominarmi, tipregotipregotiprego, lasciami andare.

«Tiziano» disse Valerio.

Boom!

«So a cosa stai pensando.»

Le risate si spensero e tutti si voltarono a guardarli.

No, non lo sai, altrimenti non ti saresti rivolto a me.

«Ti senti responsabile per questa sconfitta. Ma non devi.»

Voglio teletrasportarmi a casa mia. Adesso. Energia.

«Può capitare a tutti di perdere una palla a centrocampo.» Si stava riferendo all'azione che aveva portato al primo gol degli avversari, un'azione iniziata dopo la prima palla toccata da Tiziano, appena entrato. Palla toccata, palla persa, contropiede avversario, gol. «Anche Gianluca nel primo tempo aveva perso quella brutta palla, e in una zona più pericolosa della tua, vicino all'area.»

«Ma cazzo, mister!» sbottò Gianluca (terzino destro). «Non puoi paragonare la mia palla persa alla sua!» disse gesticolando con astio in direzione di Tiziano «Io poi ho fatto un tackle e l'ho recuperata, la palla. Quel rinco è inciampato cercando di correre dietro al centrocampista!»

Tiziano si morse la lingua per non commentare. Era tipico di Gianluca: giocare distrattamente e rimediare ai suoi errori con azioni a rischio di fallo. Spesso ci riusciva ma si era preso parecchi cartellini, a causa di questo difetto. Aveva cercato di farglielo capire diverse volte, spiegandogli concetti elementari quali "l'anticipo" e "la diagonale", ma i suoi compagni erano troppo presuntuosi per accettare consigli dallo scarso del gruppo.

Scarso, sì. Ma in quanto a conoscenza tecnico-tattica era superiore a chiunque lì dentro, anche a Valerio.

«Non ti permetto di parlare così di un tuo compagno di squadra!» disse Valerio, rivolgendosi a Gianluca.

«Ma...» accennò Gianluca.

«Silenzio!»

Tiziano si passò una mano sul volto, disperato. Valerio non capiva che più lo difendeva, più aumentava l'astio dei compagni nei suoi confronti.

«E per quanto riguarda il secondo gol subito,» proseguì Valerio, imperterrito nelle sue buone intenzioni «non importa se il difensore avversario ti ha rubato la palla, il tuo tentativo di tiro in porta è stato ammirevole.»

«Sì, lo stanno ammirando tutti,» commentò Claudio, «er liscio con piroetta e sfragnata finale è già virale su Youtube.»

Tutti scoppiarono per l'ennesima volta a ridere. Tiziano sentì il cuore fare un tuffo carpiato, perforare il diaframma e precipitare nello stomaco.

«Centomila visualizzazioni in un'ora!»

«Vi prego, ditemi che qualcuno l'ha filmato veramente...»

«Basta, ragazzi!» protestò timidamente Valerio allargando le braccia.

«Su Calciatori Brutti, subito!»

«No, va be', se Tizio va su Calciatori Brutti dobbiamo farlo capitano!»

«Finitela!» gridò Valerio sbattendo un piede a terra.

«Anche l'autogol non era male...»

«Esiste il premio Puskas per gli autogol?»

Valerio capì, finalmente, di aver perso la sfida "Ideali sportivi decoubertiniani VS caciara bovina da spogliatoio". Scosse la testa amareggiato e si incamminò verso l'uscita borbottando frasi incomprensibili, ignorato da tutta la squadra.

«Giuro, l'ho vista curvare.»

«Tipo maledetta di Pirlo!»

«Un autogol di gran classe, non c'è che dire...»

Tiziano cercò di approfittare della caciara e seguì Valerio a passo svelto per defilarsi insieme a lui, ma una mano gli afferrò la spalla.

«E tu dove credi de annà?» disse beta Federico. Un metro e ottantacinque, collo da tricheco e occhi spioventi che gli davano un'aria perennemente addormentata.

«A casa» rispose laconico Tiziano, guardando tristemente la schiena di Valerio che si allontanava.

«Ma secondo te noi ce credemo?» disse Claudio avvicinandosi. Poi lanciò un'occhiata carica di aspettativa a tutto lo spogliatoio, occhiata che significava: "battuta in arrivo". Tutti lo osservavano già pronti a ridere. Claudio aprì la bocca e pronunciò la sua sentenza: «Amo capito tutti che sei frocio!»

La battuta era incomprensibile, e apparentemente priva di un collegamento razionale con la premessa. Tiziano sentì un fiotto di adrenalina partire dal centro del petto. Claudio aveva pronunciato quelle parole cambiando espressione facciale e tono di voce. L'aveva detto seriamente. Non con la sua solita espressione da buffone. Non era una presa in giro. Non sembrava una presa in giro.

Il segreto di Tiziano era di dominio pubblico.

***

Le utili note dell'autrice che non legge mai nessuno 
Buongiorno a tutti e benvenuti!
Pubblico questa storia in parallelo su EFP e wattpad (se volete mi trovate lì con lo stesso identico nickname, e la storia potete trovarla cliccando qui). Su wattpad, al momento in cui scrivo questo, sono già arrivata al capitolo 11, pubblicherò qui un capitolo al giorno finché non vado in pari con l'altro sito, poi la pubblicazione rallenterà due volte a settimana. La storia è già tutta scritta, quindi non ci saranno buchi :-)
Piccole note sulla storia: è ambientata nel 2016 (come si evince da "l'europeo appena terminato") e l'A.C. Castrum è una squadra inventata di un paese non precisato dei castelli romani. Il rating per ora è arancione, ma diventerà rosso.
Il warning "tematiche delicate" l'ho messo per le scene di bullismo un po' spinte che già si iniziano a vedere in questo capitolo. Per il resto, null'altro da segnalare. Sono ben accetti: consigli, critiche, insulti, complimenti, inviti a cena, commenti e domande di ogni genere.

A presto!

   
 
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