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Autore: _Polx_    02/12/2017    1 recensioni
La vicenda prende ispirazione dall'ottava opera, non più narrativa bensì teatrale, che ha offerto al pubblico nuovi personaggi molto promettenti, ma al contempo uno sviluppo di trama, a mio parere, mediocre. Forse raccontare quanto venne dopo renderà tutto più chiaro.
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“Cos'ha a che vedere questo con Delphi? Lei è ad Azkaban, isolata dal mondo. Non può certo essere a capo di simili azioni criminali”.
“Ho la forte sensazione che in tutto questo Delphi sia sempre stata una semplice pedina. Un mezzo, inconsapevole d'essere tale, che infine è sfuggito dal controllo di chi cercava di governarlo”.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Tom combatté e lo fece valorosamente, ma prestò attenzione a mantenere un basso profilo, perché molti alleati di Potter lo credevano ancora nemico e molti seguaci di Ursul lo credevano ancora amico. Una situazione scomoda che, però, poteva fruttare dei vantaggi.
La battaglia procedeva a gonfie vele e ormai il panico cominciava a trasparire dai volti dei Mangiamorte che con sempre più fatica cercavano di tenere alte le difese.
Stavano vincendo, ma Tom aveva altro per la testa: da quando il caos era esploso, non aveva più avuto notizie di Lydia. Sperava che si fosse unita agli alleati, ma dentro sé temeva che fosse rimasta isolata.
Vagò in lungo e in largo fino a raggiungere il grande atrio e fu così che la trovò, completamente abbandonata a sé stessa, nella più glaciale solitudine.
Per un istante le sue gambe persero sensibilità e non risposero ad alcun comando, poi una scarica di cruda e ancestrale paura lo scosse da capo a piedi e si precipitò da lei.
La ragazza respirava a stento, versava immobile in una pozza di sangue e i suoi occhi guardavano fissamente il nero che li sovrastava.
Subito Tom estrasse la propria bacchetta e cercò di applicare alcuni incantesimi di guarigione, ma la ferita non si rimarginava e il sangue continuava a sgorgare pigramente.
“Questa è magia nera” la sentì mormorare con pietosa fatica “non si può rimediare”.
Lui sussultò all'udire la sua voce, ma ne fu anche molto sollevato: “non temere, troveremo una soluzione” incespicò affannosamente. Ma non la trovò.
Finì con l'imprecare tra sé, sibilando a denti stretti e maledicendo la propria inutile magia, mentre il panico minacciava di annebbiare ogni suo giudizio e fargli perdere il controllo.
“Ascolta, bambina mia, ora ti porterò fuori da qui” assicurò ad un tratto, guardandola con occhi grevi e lucidi “e farò in modo che ti curino alla vecchia maniera, in un ospedale babbano”.
“Non puoi portarmi fuori” gorgogliò lei.
“Certo resterà un brutto segno” la ignorò “ma a chi importa? Dobbiamo solo...”.
“Papà” la mano di Lydia annaspò alla ricerca di quella di lui e infine la strinse “cosa credi che direbbe la mamma, se sapesse cosa mi è successo?”.
Tom si asciugò sbrigativamente il volto: “non c'è nulla che dovrebbe sapere perché nulla ti succederà. Hai capito? Nulla”.
“Morirò qui”.
“No, bambina mia, non morirai qui”.
La sua mano quasi stritolava quella di lei, ma Lydia aveva perso sensibilità e non se ne accorgeva.
Tom si guardava attorno spasmodicamente, alla ricerca d'un appiglio, un dono del fato che gli permettesse di aggirare le barriere che in quel covo impedivano ogni incantesimo di Materializzazione per portare Lydia lontano da quell'incubo.
“Papà... mi avevi detto di restarmene a casa”.
“Oh, te l'avevo detto. Eccome se te l'avevo detto” l'assecondò incespicante, ma il suo sguardo continuava a vagare.
“Papà...”.
Il corpo di Tom fu scosso da un brivido che per un istante gli contorse le viscere e gli appannò la vista: “no, Lydia. Non fare così. Stavi andando bene” le carezzò la fronte mentre cercava di scuotere la sua mano.
“Lydia, sono ancora qui con te. Devi fare altrettanto. Impegnati, bambina mia” ma non c'era più risposta che potesse ottenere.
“Lydia, ti prego. Non fare così. Ti prego” le sue lacrime bagnavano ormai anche il volto di lei, ma il loro caldo tocco non poté riscuoterla.
E così Tom rimase, chino al suo fianco, a singhiozzare mentre ancora le stringeva la mano.
E così Ursul lo trovò.
Non badò affatto a lei, quando la sentì avvicinare con passo lento e altero.
“Purtroppo è questo che accade, Tom, quando un cane morde la mano del proprio padrone. Non credere che uccidere la tua sciocca ragazza mi abbia arrecato soddisfazione o gioia, ma andava fatto, lo capisci?”.
Non ottenne alcuna risposta. Gli occhi di Tom erano per Lydia e così tutto il suo dolore.
“Ma non dimentico ciò che hai fatto per me, Tom. Che fosse per inganno o per orgoglio, mi hai prestato un grande servizio. Soprattutto, ti sei rivelato il più astuto tra i nemici e un combattente rispetta colui che, dimostrandosi migliore, riesce a batterlo. Dunque dimmi, c'è qualcosa che vuoi da me, prima della conclusione di tutto?”.
Finalmente le rispose, alzando lo sguardo pesante e stanco: “hai ucciso lei. Ora uccidi me”.
Letitia annuì, con rispetto e compostezza. Quindi estrasse la propria bacchetta e fece quanto le era stato chiesto.
 
“Rowl” chiamò con un amaro sospiro “aggiornamenti?”.
Il suo sottoposto tentennò, incerto su come rispondere.
“Dunque?” insistette lei.
“Abbiamo perso terreno e forze, mia signora. Temo... temo che...”.
“Proclamate la resa” ordinò, dando le spalle ai propri uomini “che ognuno di voi scelga per sé come concludere questa guerra. Arrendetevi, fuggite, sacrificatevi. Il vostro destino non è in mano mia” si allontanò e alcuni cercarono di seguirla, ma lei li liquidò: “ora lasciatemi sola”.
Scese in profondità, fino a fronteggiare un'antica porta in ferro e ottone, un tempo ingresso a un nobile mausoleo che lei aveva convertito a ufficio personale.
Si sedette sul maestoso seggio e posò un piccolo oggetto sulla cattedra che lo affiancava: un anello, la cui pietra scura era spaccata a metà. Il metallo pareva opaco e il suo colorito smorto, come se da esso fosse stato prosciugato uno spirito profondo e ormai muto da tempo.
Nessuno seppe mai spiegare come Letitia Ursul avesse ritrovato l'anello di Orvoloson Gaunt, ma per molti anni lo custodì gelosamente, senza mai indossarlo o mostrarlo ad altri. Lo tenne piuttosto al sicuro, memoria d'un retaggio che lei amava e al contempo disdegnava.
“Avrei dovuto imparare la lezione” disse guardandolo intensamente “tu avevi fallito, mio signore, e io fallisco dopo di te, ma non cadrò ai loro piedi alla stregua di un manichino spoglio come hai dato loro modo di fare col tuo corpo. No, Letitia Ursul non cade per mano di nessuno. Letitia Ursul cade per mano propria”.
C'erano molte cianfrusaglie su quella cattedra e lei ne scelse due che fossero pesanti e massicce. Ad esse ancorò la propria bacchetta, perché puntasse dritta al suo petto.
“Ora, vecchia amica, ti chiederò un favore. Dovrai agire ignorando le mie mani, perché non potranno aiutarti, e ascoltando unicamente la mia voce. Mi sei sempre stata fedele e so che non verrai meno al tuo compito proprio ora”.
Sospirò profondamente e si accomodò come meglio poté.
“Avada Kadavra”.
Un lampo verde sprigionò dalla bacchetta.
Quando Harry e gli altri si precipitarono nella stanza, era ormai troppo tardi. Ursul giaceva sull'alto scranno, la sua bacchetta ancora ben salda nell'appoggio d'ottone: la battaglia si era conclusa, ma loro avevano solo pesci piccoli da raccogliere nella rete, perché il loro capo s'era già infilzato all'amo per sua stessa volontà.
 
I ragazzi non avevano partecipato allo scontro, per questo attendevano in angoscia a Grimmauld Place. Tirarono un immenso sospiro di sollievo quando Hagrid vi si precipitò, tumefatto e sfinito, ma salvo, per dir loro cosa fosse accaduto.
Purtroppo si contavano caduti anche tra le loro fila, seppur in numero limitato, e Ted Lupin ricevette molte pacche sulla spalla e accorate consolazioni, quando fu scovato a piangere per la morte di Tom.
Trovarono i Greengrass stesi l'uno accanto all'altra, le loro mani ancora strette. Furono dedicati loro grandi onori, quando si tenne una cerimonia pubblica presso il Ministero, per omaggiare coloro che erano morti in battaglia e festeggiare la distruzione d'un retaggio odioso, che per poco non aveva trascinato il mondo magico in un'epoca di terrore e odio così come Voldemort aveva fatto ormai venticinque anni prima.
Ancora stordito dall'assurda rapidità con cui gli eventi s'erano succeduti e con cui il mondo era tornato ai propri affari, come se gran parte di quanto accaduto non fosse stato che un brutto incubo, Harry si ritrovò catapultato dal campo di battaglia alla propria scrivania. Un grande caos regnava ancora sovrano e tutto il Ministero era in preda al trambusto, perché molte erano le cose che necessitavano d'esser sistemate: per una volta, si sentì in pace e al sicuro tra le infinite scartoffie che doveva ordinare.
In quelle settimane, a stento mise piede dentro casa. Contava di rimediare al più presto, ma gli risultava difficile immaginare quando gli sarebbe effettivamente stato possibile.
Era semmai Albus ad andare da lui, ormai libero dagli impegni di Hogwarts, ormai terzo uomo in carica nella famiglia e colui che più di tutti, tra loro, era stato toccato dal folle operato di Ursul.
Quella sera in particolare si fece avanti senza troppi convenevoli: non aveva molto di cui parlare. A dire il vero, non aveva alcunché di cui parlare. Voleva solo assicurarsi che suo padre non fosse caduto preda di qualche allucinazione dovuta all'astinenza da sonno.
Harry lo salutò con un lieve cenno del capo, quando lo sentì entrare in ufficio per fermarsi di fronte alla scrivania, ma non alzò lo sguardo.
“Immagino che ormai Azkaban sia affollata come di rado le è capitato d'essere in passato” commentò il ragazzo.
“È così: questa terribile faccenda sta per essere chiusa una volta per tutte, sul piano burocratico quanto su quello pratico”.
Albus lo guardò a braccia conserte: “avete vinto la guerra”.
“Sì, l'abbiamo vinta” Harry si stese sullo schienale della sedia e sospirò profondamente “e adesso, Albus?” chiese, come se il ragazzo potesse davvero dare risposta a una simile domanda.
“Aspettiamo la prossima, pa'” e, detto questo, gli diede le spalle, uscendo dall'ufficio con passo tranquillo
Harry lo seguì con lo sguardo per qualche istante, poi scosse il capo, ridacchiando tra sé, e tornò a firmare le proprie carte.
 
 
  
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