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Autore: Sinkarii Luna Nera    02/12/2017    4 recensioni
Prequel di ''Reflecting Mirrors"
Una Lusan, un Hakaishin e tutto ciò che è avvenuto prima che centinaia di milioni di anni, assieme a centinaia di milioni di situazioni complesse, portassero al presente per come lo conosciamo -nel bene e nel male.
(Ignoro il motivo per cui l'amministrazione si sia divertita a cancellare un'intro che è stata qui per anni, ma non abbia ancora cambiato il mio nick. Misteri della fede.)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Champa, Lord Bills, Nuovo personaggio, Vados, Whis
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Reflecting Mirrors'
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RMI cap5
5
 
 


 
 
 
 
 
 
 
“Torta infornata. Promemoria per me: devo rifare il burro, perché è quasi finito”.
 
Anise si tolse il grembiule, lanciandolo su una delle sedie accanto al tavolo in cucina. Cosa c’era da fare, ora? Ah, sì: doveva andare a bagnare le sue piantine di spezie nella serra.
 
Ricordando i momenti trascorsi con Beerus, che era stato con lei fino a due giorni prima, sorrise. Non le era mai successo che pensare a una persona le infondesse serenità fino a tal punto -né a dire il vero la sua mente si era soffermata tanto spesso su qualcuno- eppure eccola lì, a sperare di riuscire presto a vederlo ancora.
 
Uscì fuori, riempì un secchio con dell’acqua, e a quel punto arrivò un pensiero che cancellò il sorriso: non era una buona idea affezionarsi troppo a lui. Non esistevano possibilità di poter costruire qualcosa di concreto, non tra un dio e una mortale. Lei era desinata a invecchiare e morire, Beerus invece sarebbe vissuto in eterno… ma poi, perché pensare a un futuro così lontano? Non sarebbe durata fino ad allora, perché moltissime donne sarebbero passate sotto i suoi occhi, e ne avrebbe trovata più d’una che potesse dargli qualcosa in più rispetto a lei.
 
“Non che sia troppo difficile. Io non ho proprio nulla” pensò “Ah, no, dimenticavo, qualcosa c’è: ‘ho’ alle spalle un tentativo di linciaggio. Linci lincianti una lince linciabile!”
 
Non c’era proprio nulla da ridere -né lei si sentiva allegra- ma la risata partì da sola, tanto forte che fu costretta a posare a terra il secchio, e assieme a essa arrivò anche quella familiare sensazione di malessere diffuso. Non era simile al dolore fisico, non era simile a quello dovuto alla febbre o a una qualunque malattia del corpo, non era simile a niente che fosse in grado di descrivere. Non inibiva le sue capacità di ragionamento, ma il suo umore diventava strano: se in quei frangenti qualcuno avesse provato ad ammazzarla, si sarebbe fatta una risata e lo avrebbe invitato a essere rapido. Non era una supposizione, lo sapeva per certo, perché due anni prima era successo qualcosa di simile.
 
C’erano momenti in cui, pur non avendo intenzione di cercare la morte, iniziava rimuginare sul fatto che lei, come tutti gli altri, un giorno sarebbe diventata polvere e la sua esistenza sarebbe stata dimenticata. Si chiedeva che senso avesse vivere, allora, che si trattasse di affrontare problemi, combattere guerre, o impegnarsi in lavori e passatempi come creare collane di perline. Non riusciva a trovare La ragione per farlo, a meno di non considerare tale la morte stessa: i morti non creano collane.
In altre occasioni invece quel malessere scompariva, e la vita le sembrava degna di essere vissuta. In quei momenti la sua visione cambiava, e ovunque guardasse trovava “La” ragione: la trovava in un fiore mai visto o nella soddisfazione di aver terminato un altro capo di abbigliamento, nel cielo di notte o nell’oceano di giorno, in una battuta stupida o nel calore del corpo di Beerus quando volavano insieme. Erano piccole cose, ma sufficienti… e quando c’era Beerus non faticava mai a trovarle. Le volte in cui erano riusciti a stare insieme in quei quasi due mesi, l’aveva sempre fatta stare molto più che bene.
 
“Quanto devo essere stupida per lasciarmi 'prendere' tanto da una persona che è già persa in partenza e con la quale non c’è stato neppure un bacio?” si chiese, recuperando il secchio per poi raggiungere la serra “Se Calida dovesse scoprirlo!...”
 
No, non era il momento di pensare a quello, né a tutti gli argomenti correlati. Certe cose andavano schiacciate nei più reconditi meandri del cervello e lasciate lì fino a quando loro stesse dimenticavano di esistere.
Innaffiate le piante, uscì dalla serra.
 
«Ciao! Sono nuovo della zona, e tu sei il panorama più carino che ho visto. Mi permetti di fare un tour del tuo corpo?»
 
Per un attimo Anise pensò di avere le allucinazioni, perché davanti a lei c’era un simil-Beerus sovrappeso e munito di pantaloni rossi, accompagnato da una donna con la pelle azzurrina e una palese espressione di biasimo verso il “saluto” appena ascoltato -sebbene non fosse rivolto a lei.
Poi, l’illuminazione: considerando l'aspetto, lo sconosciuto poteva essere solo Champa, il gemello di Beerus, e la donna che lo accompagnava doveva essere la maestra di questi, Vados.
 
“Mi viene spontanea una battuta sul fatto che il tour durerebbe molto poco, ma dato che è il fratello di Beerus, nonché un Hakaishin, gliela risparmio” pensò la ragazza, mantenendo la calma. «Immagino di trovarmi al cospetto del Dio della Distruzione del sesto Universo…»
 
«Il Dio della Maleducazione, sì. Io gli ho insegnato le buone maniere, ma se non si comporta come uno zotico non è contento» commentò Vados, prima che Champa potesse proferire parola «In certi momenti mi fa vergognare».
 
Tanti saluti all’entrata in scena ad effetto. Il viso del povero dio era diventato rosso come i suoi pantaloni, e non sapeva bene dove guardare. «Era proprio necessario?!» sbottò.
 
«Ad ogni modo, confermo: si trova alla presenza di Lord Champa, Hakaishin del sesto Universo. Io sono Vados, la sua maestra» proseguì l’angelo, ignorandolo «E lei dev’essere Lady Anise».
 
Com’erano venuti a saperlo? Avrebbe indagato in seguito. «Sì, sono io. È un piacere conoscervi» disse, per educazione «Volete accomodarvi in casa? Ho infornato da poco una torta salata, dovrebbe essere pronta tra circa mezz’ora».
 
Champa rimase a fissarla per qualche istante, con un’aria tanto perplessa da farlo sembrare quasi tenero. «Ma non ti fa paura che io sia qui?»
 
«Che io sia spaventata o meno non cambierebbe molto: se siete venuti qui con buone intenzioni non mi succederà niente di male, se siete venuti qui con cattive intenzioni non potrò fare assolutamente niente per oppormi. Con che intenzioni siete venuti?»
 
«Mangiare la torta» rispose Champa, quasi meccanicamente.
 
«Bene».
 
Entrati in casa, la prima cosa che notarono -come era successo anche a Beerus- fu la massiccia presenza di perline.
 
«La tana delle perline di vetro!» esclamò Champa, guardandosi attorno.
 
«“La tana delle perline di vetro”… mi piace, magari lo scriverò su un cartello da appendere fuori. Potete sedervi dove volete. Mentre la torta cuoce, volete bere qualcosa? Vi avviso, al momento ho solo acqua e vino».
 
Champa corse a occupare un divanetto, attirato da una coperta rosso scuro. «Per me va bene il vino, graz-»
 
«No che non va bene, ha troppe calorie: tu, acqua. Io sono a posto così, grazie» disse Vados, che scelse una comoda seggiola imbottita.
 
«Allora… cosa vi ha portati qui, a parte la torta?» domandò loro Anise, dopo aver servito l’acqua a Champa «Il vostro arrivo è del tutto inaspettato, mi ha sorpresa».
 
«Io sono qui anche perché volevo conoscere la ragazza per la quale quel pigro di mio fratello è disposto a farsi viaggi di tre ore e mezza di nascosto dal suo maestro» disse Champa, onesto.
 
«A tal proposito, signorina» si intromise Vados «Mi duole dirle che spingere un Hakaishin a infrangere le regole non è un modo di agire consigliabile. Non che mi riguardi, non trattandosi del mio allievo».
 
«Indipendentemente dal rapporto che può esserci tra me e Beerus, non credo di averlo spinto a infrangere le regole. Posso dire in tutta onestà di avergli fatto presente che il suo modo di agire era piuttosto imprudente» replicò Anise, con aria impassibile «Io posso ricordargli che sta tenendo un comportamento scorretto verso il suo maestro e verso le regole che gli sono imposte, ma non posso fare di più. Sono una semplice mortale, non ho poteri: sarebbe sensato per me ripetere a un Hakaishin cose che già sa, col rischio di esasperarlo? Non credo».
 
«Capisco il suo punto di vista» rispose l’angelo, senza trovare altro da aggiungere.
 
“E Vados muta! Muuuta!” pensò Champa, cercando di nascondere un sorrisetto soddisfatto. «Hai fatto bene, perché Beerus è un Hakaishin molto violento che si esaspera per un nonnulla. È permaloso, cattivo, tende a distruggere pianeti a caso… e come se non bastasse, cambia una ragazza al giorno!»
 
Certo, come no! Aveva una tale esperienza con le ragazze da aver necessitato ben due incontri per salutarla senza essere agitato. «Sì, e oltre a tutto questo ha anche dei momenti in cui si immerge nel colorante verde, si incolla del fogliame addosso e se ne va in giro nudo credendosi un cespuglio parlante».
 
Vados fece una breve risatina. Sembrava che neppure la lince lo prendesse troppo sul serio.
 
L’Hakaishin sollevò un sopracciglio inesistente. «Non credi alle parole di un dio?»
 
«Non se il dio in questione non va molto d’accordo col suo gemello».
 
«Quello però non è colpa mia! È Beerus che si crede chissà chi solo perché è molto forte, quindi se la tira tantissimo con chiunque» sbuffò Champa «Non solo con me, anche con i nostri colleghi, tutti più vecchi di noi! Con te si comporta in modo amabile, ma non è qualcosa che fa con tutti».
 
Era una rivelazione, stavolta visibilmente sincera, che la stupiva molto meno del dovuto. In quei circa due mesi riteneva di aver visto la parte migliore -e forse più “vera”- di Beerus, ma già dal loro secondo incontro, precisamente quando lui le aveva parlato di Champa, era riuscita a capire che sapeva essere ben poco gentile. Tuttavia nessuno poteva vantare di essere perfetto, e per Anise i pregi di Beerus ne compensavano i difetti. «Nulla che non avessi intuito. Ci frequentiamo, quindi penso di conoscerlo almeno un pochino. Per quanto riguarda il comportamento coi vostri colleghi, credo che essendo uno dei due Hakaishin più giovani cerchi di fare la voce grossa sperando di farsi rispettare… è abbastanza normale, soprattutto per un maschio».
 
«Io dico che se la tira perché gli piace tirarsela, e basta» borbottò Champa.
 
«Scusate un attimo, ma devo andare a controllare a che punto è la torta» disse la ragazza, allontanandosi verso la cucina «Inizio a sentirne il profumo».
 
Rimasta sola con Champa, Vados fece un sospiro. «Auguri».
 
«Per cosa?» le chiese il dio, confuso.
 
«È una strana ragazza. La sua reazione iniziale era dovuta a considerazioni sensate, ma non è da tutti restare così calmi in presenza di un Hakaishin poco più che sconosciuto, quindi “auguri” per Whis, se dovrà avere a che fare con lei».
 
«Ma non ha fatto nulla di male… a parte l’averti zittita, maestra» aggiunse poi Champa, cercando di non ridere.
 
«Appunto! E cerca almeno di non mostrare la tua soddisfazione in modo tanto sfacciato» lo rimproverò.
 
«Tra pochi minuti sarà tutto pronto!» annunciò Anise, di ritorno dalla cucina «Il forno a legna sta facendo il matto, quest’oggi».
 
«Buono a sapersi» commentò Vados «Sa, trovo curioso che una ragazza così giovane e senza poteri particolari viva qui da sola in mezzo alla foresta».
 
«Ho varie ragioni per farlo, tra le quali il mio apprezzare una sana solitudine e il non avere gran stima dei miei ex concittadini superstiziosi e guerrafondai… i quali a loro volta non hanno troppa stima della sottoscritta, devo dirlo» ammise la ragazza «Immagino siano cose che succedono, se si frequenta spesso e volentieri un villaggio abbandonato pseudo maledetto. In ogni caso, per quanto la gente di Ulthmeer non sia nulla di speciale devo riconoscere che sa come si cucina. Mi è stato riferito che Beerus e il suo maestro hanno apprezzato molto i piatti tipici».
 
«Se è così, più tardi dovremmo farci un salto» disse l’angelo. Per composta che fosse, la sua curiosità verso nuove pietanze e la sua golosità erano pari a quelle del fratello minore.
 
Nella mezz’ora che seguì, la torta salata di Anise venne apprezzata al punto che non ne rimase una briciola. La ragazza l’aveva fatta grandicella, prevedendo di mangiarla a pranzo e cena per almeno tre giorni, ma conoscendo l’appetito di un Hakaishin aveva capito che non sarebbe stato così appena aveva invitato a pranzo Champa e la sua maestra.
 
«Era buonissima! Superba! Meravigliosa!» esclamò Champa, applaudendo perfino «Un capolavoro di torta!»
 
«Riconosco che era deliziosa» si complimentò Vados.
 
«Non come le tue: le tue sono torte senza burro, senza zucchero o sale, senza uova! In breve, torte senza torta. Sentissi che schifo» aggiunse il dio, rivolto ad Anise… appena prima di buscare uno scappellotto sulla nuca da parte di Vados, tanto forte da lasciare il segno. «Ahiahiahiaaaa!»
 
«Smetti di dire sciocchezze! Non sono io che cucino male, sei tu che non hai gusto. La vede, signorina Anise? La vede, l’ingratitudine? Io mi prodigo ogni giorno per preparargli pasti che non attentino ulteriormente alla sua linea già disastrosa, e lui è sempre a dire questo: “Schifo, schifo, schifo”!» si lamentò l’angelo, con aria da povera vittima «Ogni giorno!»
 
«Io dico “schifo-schifo”, tu “grasso-grasso”, pari siamo» borbottò Champa.
 
«In ogni caso, direi sia tempo di andare a visitare le città» disse Vados, alzandosi dalla seggiola «Mi raccomando di non strafogarti come tuo solito, e di non fare ulteriori paragoni tra la cucina locale e la mia».
 
«Sì, però Champa dovrebbe ancora smaltire le calorie della torta» osservò Anise «E giustappunto io dovrei recarmi al villaggio pseudo maledetto del quale parlavo prima: muovendosi a piedi è piuttosto lontano da qui, e la strada è abbastanza impervia. Se lasciasse che Champa mi accompagni mentre lei si gode il tour delle cittadin-»
 
«Lo farebbe davvero? Sarebbe disposta a far fare attività fisica al mio allievo, e io avrei delle ore libere tutte per me?» si mise una mano sul cuore «Solo Re Zeno sa quanto ne avrei bisogno! A volte il mio lavoro è davvero snervante, mi creda, soprattutto quando si ha a che fare con soggetti recalcitranti. La sua proposta è stata talmente carina che ho deciso di accettarla!»
 
«Ma-»
 
«Niente “ma”, Champa! Comportati bene con la signorina, e soprattutto cammina. Ne hai molto bisogno».
 
Dell’ultima parola si riuscì a distinguere solo una vaga eco, perché Vados l’aveva detta scomparendo in fretta e furia.
 
«La tua maestra con me è stata abbastanza educata ma, detto in modo molto schietto, mi ero rotta le scatole di sentirla fare commenti sulla tua forma fisica. Tra l’altro non sei veramente grasso, sei solo morbido» fu la prima cosa che disse Anise «Mi spiace aver tirato in ballo la storia delle calorie da consumare, ma è la sola maniera che mi sia venuta in mente per tentare di farla andare altrove».
 
Champa si stupì non poco nell’apprendere che era stata una mossa calcolata, e anche perché non era abituato ad avere qualcuno che lo “difendesse”, tanto più dalla sua maestra. «Fare favori a me non ti farà guadagnare punti con Beerus».
 
«L’ho fatto perché certi atteggiamenti della tua maestra mi ricordano quelli di mia sorella maggiore, la quale trova spesso di che criticare. A volte è un po’pesante».
 
Anise lo aveva fatto anche perché trovava somiglianze in svariati aspetti tra Beerus e Champa, ma non lo disse, immaginando che questi non avrebbe gradito il paragone.
 
«È per questo che vivi da sola anche se hai una sorella maggiore?» le chiese il dio, rassicurato dalla risposta e sinceramente interessato. Per lui come per Beerus vivere da solo era inconcepibile, perché non sarebbe stato neppure in grado di lavare le stoviglie.
 
«No, il carattere di Callie non c’entra granché. Ma parliamo di cose serie: come sei venuto a sapere della mia esistenza? Sinceramente non credo sia stato Beerus a dirtelo, visti i vostri rapporti sarebbe stata una mossa poco saggia. Devo presumere che tu e/o la tua maestra siate in grado di osservare da grande distanza ciò che fanno le persone?»
 
«Eeeh… in effetti è così» ammise Champa «Ma lo abbiamo fatto solo una volta, dopo aver visto Beerus volare nelle vicinanze del pianeta. Ho sentito il tuo nome quando vi siete salutati… lì per lì non credevo neppure che quello fosse il vero Beerus, non guarda in quel modo adorante nemmeno i suoi cibi preferiti. Non so come tu ci sia riuscita, ma è completamente andato».
 
«Specifica “andato”».
 
«Andato, cotto, abbrustolito. Innammmorato perso!» disse Champa sbattendo le ciglia con una smorfia stupida, per poi ridere «Quando ieri sono andato a casa sua l’ho preso in giro tantissimo! Non per te, ma perché è la prima volta che lo vedo così, e non avrei mai pensato che potesse succedere. Beerus che ama qualcuno oltre se stesso e il cibo!...»
 
«Forse parlare di amore è prematuro. È vero, io mi rendo conto che quando Beerus è qui mi sento bene» ammise la ragazza «Penso di poter dire che proviamo affetto l’uno per l’altra, ma ci conosciamo da poco, io non ho molto da offrire, non sono immortale come lui, e… a dirla tutta non capisco perché lo sto dicendo a te, che con tuo fratello non vai neppure d’accordo» fece facepalm «Forse è perché questi pensieri mi ronzavano in testa da prima».
 
«La tua torta era buona e sei la prima persona che mi abbia descritto in modo carino da quando sono ingrassato. Quel “morbido” mi si confà di più! Quindi ti dico questo: conosco abbastanza Beerus da sapere che se pensasse che hai poco da offrire non si farebbe mezzo Universo in volo per vederti» le fece notare Champa «E se tu dovessi riuscire a sopportarlo al punto di creare un rapporto “serio”, potresti diventare immortale. Non so come di preciso, ma so che il modo c’è, perché noi Hakaishin abbiamo la possibilità di scegliere una compagna per l’eternità, chiamata “Neiē”».
 
«Grazie per avermelo detto» sorrise la Lusan «Anche se in realtà non cambia molto le cose. È giovane, ha l’eternità davanti: da parte sua sarebbe folle da parte sua scegliere una compagna per l’eternità adesso -o tra due anni, o tra venti- e da parte mia sarebbe folle pensare che possa accadere con me, nonché egoista. Lo priverei di possibili esperienze…»
 
«Seh! Esperienze!» Champa alzò gli occhi al soffitto «La figura della Neiē sarà pure prevista, ma i nostri maestri non fanno che ripeterci che gli Hakaishin stanno meglio da soli, tant’è che la nostra esperienza con le donne si riduce a quelle del bordello. Sai cos’è un bordello? Sì?... ecco, quindi non priveresti nessuno di alcunché. Poi non vedo come Beerus potrebbe trovare un’altra persona disposta ad avere a che fare con lui senza essere minacciata di morte, è uno scassapalle che cammina» aggiunse “gentilmente” «È più probabile che ti stufi tu di lui, che lui di te».
 
Anise gradiva il tentativo di confortarla, tanto più perché pur venendo da qualcuno appena conosciuto era sincero, ma continuava ad avere forti dubbi. «Tu sarai anche convinto di quello che dici, però col tempo le persone cambiano, i bisogni cambiano, e-»
 
«Non quando tutti i giorni sono e sempre saranno uno uguale all’altro» la interruppe l’Hakaishin, facendo spallucce «Quindi se anche tu apprezzi Beerus più del profiterole di Swetts non farti problemi, ok? Hm… non prenderlo come un insulto, ma sei un pochino strana» disse poi «Perché pensi troppo. A me al posto di Beerus non verrebbe in mente niente di quello che hai detto».
 
«Appunto, qualcuno che pensi a certe cose ci deve essere» replicò lei «Ci conosciamo da neppure due mesi. In questo breve lasso di tempo non può essere nato chissà cosa, non avrebbe senso, ti pare? Non avrebbe senso» ripeté «Nemmeno un po’».
 
Stava cercando di convincere più se stessa che Champa, ma al momento i fatti sembravano darle contro in tutto e per tutto. Era davvero possibile che in così poco tempo fosse nato qualcosa più di un’infatuazione da parte di Beerus? 
Più che altro però Anise iniziava a domandarsi che cosa volesse lei, perché non era più sicura di nulla: la mortalità non era più un vero ostacolo, e se le cose stavano come diceva Champa poteva esserci la possibilità di costruire per davvero qualcosa, ma…
 
“Champa chiacchiera, ma io ho soltanto una casa nella foresta, un paio di ricette che Beerus apprezza, un villaggio ‘maledetto’, perline di vetro e tanta ignoranza. Non sapevo nemmeno che l’oceano si chiamasse in quella maniera! Poi c’è anche tutto il resto… io non vado bene per costruire alcunché con nessuno” si disse “Non col bagaglio che mi porto dietro. Se c’è qualcosa più di un’infatuazione, è tempo che io parli a Beerus di un paio di cose prima che lui perda altro tempo con una persona sbagliata” concluse.
 
«Se non ha senso mi sa che devi spiegarlo a Beerus, perché ho ragioni materiali di credere che lui invece un senso lo veda!» ribatté Champa, il cui collo era ancora indolenzito.
 
«Di certo parlerò con lui appena riusciremo a vederci ancora. Ora però direi di andare» disse la ragazza «Per raggiungere Vynumeer a piedi ci vuole un po’».
 
«Aspetta, ma allora vuoi andarci sul serio?» gemette il dio «Io credevo fosse una bugia a beneficio di Vados!»
 
«Ho idea che prenderei uno scappellotto anche io, se non ti facessi fare attività fisica come le ho detto. Non voglio avere problemi anche con lei, ha già detto “Auguri per Whis”, mi basta e avanza» commentò.
 
«… L’avevi sentita?»
 
«Non parlava a voce alta, ma non sussurrava neppure. Andiamo, su!»
 
 

 
 
 
***
 
 

 
 
 
“Champa con me non è stato il rompiscatole descritto da Beerus… a parte per l’entrata in scena un po’infelice. Del resto non si può pretendere che sappia parlare con una donna, se nel novantotto per cento dei casi lui e Beerus hanno a che fare con delle prostitute”.
 
Aveva passato l’intero pomeriggio insieme all’Hakaishin del sesto Universo, e doveva ammettere che era stato in grado di migliorare una giornata altrimenti tendente al “pessima”. Sì, era terribilmente lento nel camminare -tanto che per arrivare a Vynumeer avevano impiegato il triplo del tempo necessario- ma a parte questo era una persona divertente,  e vedendolo incuriosito lo aveva persino convinto ad aiutarla a fare il sapone. Champa era pigro, ma curioso verso le attività che non richiedevano fatica, e veloce a imparare. Sembrava che Vados, tornata dal suo tour mangereccio, avesse apprezzato la saponetta che il suo allievo aveva fatto per lei.
 
“Credo che potrebbe essere davvero un tipo gradevole, se lo facessero sentire utile e apprezzato. Prendere in giro e punzecchiare di continuo una persona sui suoi difetti, fisici e non, è inutile e dannoso”.
 
Ormai era quasi mezzanotte e mezza, quindi era il momento di andare a dormire. Il mattino dopo intendeva svegliarsi presto per andare a Vynumeer e tentare seriamente di rimettere in funzione la vetreria: Callie le aveva portato un sacchetto di perline qualche settimana prima, ma erano finite tutte su un vestito.
A tal proposito, bisognava dire che Beerus era sempre stato bravissimo a “scomparire” quando arrivava Calida, e Anise non aveva neppure dovuto chiedergli di farlo: ci aveva pensato da solo, forse facendo qualche paragone alla propria situazione col suo maestro. Sarebbe stato abbastanza azzeccato, in effetti. Per quanto indipendente fosse, e per quanto Calida non avesse mai alzato le mani su di lei, al momento la giovane non riusciva neppure a immaginare di parlarle di Beerus.
 
«Anise!...»
 
La Lusan sobbalzò e aggrottò la fronte, pensando di avere le traveggole. Le era sembrato di sentire la voce di Beerus fuori dalla porta, ma era impossibile.
 
« ANISE!...»
 
"No, mi sa che invece non ho le traveggole!" pensò la ragazza, correndo ad aprire.
 
L’istante dopo si trovò stretta da un paio di braccia viola che ormai aveva imparato a conoscere bene, e a percepire un battito cardiaco forte quanto il suo.
 
«Stai bene? Dimmi che stai bene! » esclamò l’Hakaishin, staccandosi dall’abbraccio soltanto per esaminare attentamente le condizioni di Anise «Se quel deficiente di Champa ha fatto qualcosa che non doveva, giuro che io-»
 
«Beerus, io sto bene» lo rassicurò, stringendogli entrambe le mani «Tuo fratello non mi ha minacciata, non mi ha toccata, né si è comportato in modo sconveniente con me. A dirla tutta è stato molto gentile e carino, ma non in modo da lasciar pensare male».
 
«Allora quell’idiota ha recepito il messaggio» sospirò «Ho passato la giornata intera col pensiero fisso di lui qui, tu tra le sue grinfie, io bloccato sul mio pianeta, non potevo farcela ad aspettare neppure altri tre giorni, se ti fosse successo qualcosa!...»
 
«Guarda che io sono una ragazza forte: so allacciarmi le scarpe e tutto il resto» scherzò lei, nel tentativo di calmarlo «È tutto a posto. Entra in casa, dai» lo invitò «Spiegami come sei riuscito a sfuggire al tuo maestro così presto… e magari anche il cambio d’abito!»
 
«Cos- ah, questo» comprese il dio, guardandosi e ricordando di essere in pigiama «Sono scappato poco dopo che Whis mi ha mandato a letto. Vuole che dorma dieci ore, quindi ho fatto un conto: sette ore se ne vanno tra andata e ritorno, se resto qui per massimo un’ora riesco anche a farne due di sonno. Bastano e avanzano. Dovevo vederti» disse, accarezzandole una guancia «Dovevo».
 
Beerus non fu in grado di decifrare l’espressione che fece Anise sentendogli dire quelle parole: sembrava un po’felice, ma anche triste, e una persona non poteva sentirsi in entrambi i modi contemporaneamente. Non gli piacque, tanto che ricominciò a sentirsi inquieto.
 
«Fai tutta questa fatica per la persona sbagliata» disse lei «Io non vado bene per un dio, né per nessuno».
 
Dopo quella frase, l’inquietudine divenne la sensazione di chi non ha più la terra sotto i piedi e non è in grado di volare. «Cosa vuoi dire?! Chi ti ha messo in testa… ah, che domande! Quel bastardo di Champa, ovvio! Lo strangolo, giuro che stavolta lo strangolo sul serio, io-»
 
«Lui non c’entra, e dire il vero mi ha tolto dalla mente un paio di dubbi. Se dico che sono la persona sbagliata è perché io ho un certo… bagaglio. Credo sia tempo di parlarti di un paio di cose» continuò «Se non l’ho già fatto è perché sono faccende che non mi piace rievocare, e perché conoscendoci da poco credevo fosse prematuro. Oggi però Champa ha parlato di innamoramento. Tuo nei miei confronti» specificò, decidendo di essere diretta «Io non posso essere del tutto sicura del fatto che abbia o meno ragione, ma nel dubbio voglio dirti quel che c’è da dire. Beerus, ti sei mai chiesto perché io non ho mai manifestato il desiderio di andare a Ulthmeer? O perché sia Calida a venire qui ogni settimana, e non io a scendere giù da lei?»
 
Al momento Beerus aveva le guance rosse come il fuoco e nutriva il forte desiderio di massacrare Champa per la sua mancanza di discrezione, ma si rendeva conto che era il caso di mettere tutto in secondo piano. Durante le volte in cui si erano visti, non aveva pensato di indagare ulteriormente sulle ragioni della vita solitaria di Anise; non essendo sciocco aveva capito che c’era sotto qualcosa di strano, ma piuttosto che riempirla di domande aveva preferito portarla da una parte all’altra del pianeta, farla sorridere e godere della sua compagnia. «A volte, ma non volevo farti pressione. Abbiamo tutti cose di cui non abbiamo voglia di parlare».
 
«Ti ringrazio per la delicatezza» disse la ragazza, con un piccolo sorriso «È una storia abbastanza lunga ma abbiamo poco tempo, quindi tenterò di essere sintetica, anche se
con le sintesi non me la cavo molto bene. Tanto capirai alla svelta perché ti dico che sono sbagliata».
 
«Quello è un giudizio che eventualmente spetta a me» ribatté Beerus, serio.
 
La lince fece una risata amara, gemella di quella a ora di pranzo. «Certo, è vero. Mettiti a sedere, intanto».
 
Beerus obbedì. Quella situazione gli piaceva sempre meno. Per l'Hakaishin era brutto nel vedere Anise così “strana” quando, se fosse stato per lui, avrebbe meritato soltanto di poter essere sempre felice e serena. Non sapeva cos’avesse da raccontargli, ma di certo non era bello, e gli dispiaceva pensare che avesse passato
pessimi momenti.
 
«Sai già che non ho mai amato molto la compagnia dei miei concittadini. Anche da piccola mi interessava osservare attentamente i tipi d’interazioni tra le persone, ma non di farne parte. Somma questo al fatto che io fossi una trovatella che frequentava moltissimo il villaggio maledetto, e puoi capire perché la mia reputazione non fosse il massimo. Vivevo comunque abbastanza tranquilla, perché Calida invece era -ed è- estremamente rispettata. Andava a Vynumeer solo quando nessuno poteva vederla, e soprattutto ha dei meriti di guerra» spiegò «L’ultima è finita quando lei aveva sette anni. Callie è famosa per aver attirato una piccola armata di Moriameer in una grotta e aver fatto franare l’ingresso, lasciandoli morire lì dentro… ma sto divagando. Dicevo, vivevo con Calida ed entrambe credevamo che le cose non sarebbero cambiate: lei aveva la sua carriera militare e una posizione seconda solo a quella del capo della cittadina, quindi poteva evitare di sposarsi, e io ero “quella strana”».
 
Beerus non riusciva ancora a capire dove volesse andare a parare, ma non prometteva nulla di buono. «Immagino che invece vi sbagliaste».
 
«Prima di Callie, l’Ulthmeer a-ghekavary era un Lusan di nome Meskal. La sua famiglia era a capo della cittadina da diverse generazioni, ma l’ultima guerra l’ha decimata, lasciando in vita solo lui» continuò Anise «Era un partito alquanto ambito, ma non si era mai sposato. Calida diceva sempre che pensava soltanto a battagliare e divertirsi. Tuttavia, a trentasei anni ha ritenuto che fosse ora di metter su famiglia» disse Lusan, mentre il suo volto diventava inespressivo «Poteva scegliere qualunque donna, perché la maggior parte di esse lo considerava bello, Calida inclusa. Invece ha preferito una ragazzina di quindici anni» si indicò «Le nostre leggi lo consentono».
 
Se ci furono cambiamenti nell’espressione del dio, Anise non li vide. Si stava limitando ad ascoltare e osservare in silenzio, e lei non sapeva cosa pensare: di solito Beerus era così espressivo!
L’unica cosa che potesse fare, a quel punto, era proseguire.
 
«Non avrei voluto cambiare vita, avrei voluto continuare a starmene in giro per la città, la foresta e Vynumeer: avrei potuto sostentarmi come faccio adesso. Non mi volevo sposare, tantomeno con lui, perché Meskal non mi piaceva affatto» disse dunque «Ma con mia grande sorpresa, Calida ha iniziato a insistere perché accettassi. “Tu non combatti, quindi devi sposarti, è un’occasione unica, soprattutto per te che hai la fama di strana”, diceva, e alla fine ho ceduto. Mi sono detta che lei, essendo più grande, forse sapeva meglio di me qual era il mio bene».
 
Ci sarebbe stato altro da dire di quella giornata, di quella sera, di Calida, ma decise di tacere. Era una cosa tra loro due, e lei cercava sempre di pensarci il meno possibile, quindi non c’era ragione di dirla a Beerus.
 
«Ho sposato Meskal. Non posso dire che mi maltrattasse, perché durante il giorno lo vedevo giusto all’ora dei pasti, e di notte tentava di mettermi incinta, come qui ogni marito fa con la moglie. Non ho mai desiderato che mi toccasse, ma eravamo sposati, e dargli figli era il mio dovere. Per fortuna non ci sono riuscita, e il giorno in cui ho compiuto sedici anni mi ha ripudiata pubblicamente. “Non sei buona né per combattere né per figliare”, ha detto poi» ricordò la ragazza «Non aveva torto, perché il mio ciclo non si fa vedere quasi mai, ma io gli ho risposto “Quello è perché tu a letto sei un disastro,
le poche volte che riesci a metterlo dove devi non duri un minuto”. Credo si sia sentito più umiliato di me, anche perché non se lo aspettava. Lì gli ho voltato le spalle e me ne sono andata, diretta a Vynumeer. Volevo stare da sola. La mia reputazione già poco bella era peggiorata: se una Lusan non combatte, né sforna nuova carne da macello per le guerre che verranno, è inutile. È sbagliata. Questo è il pensiero comune».
 
Neppure allora Beerus parlò, ma Anise poté notare che aveva stretto i pugni, e tremavano leggermente. Forse era arrabbiato per aver perso tempo dietro una ragazza che per l’appunto era sbagliata, pensò.
Tuttavia non era ancora finita e, credendo di aver già rovinato tutto, la Lusan continuò a parlare.
 
«Il momento in cui tutto è crollato davvero però è stato il mattino seguente. Meskal è stato trovato morto in riva al fiume» rivelò «Attorno a lui c’erano segni di lotta, e chi l’ha ucciso lo ha fatto prendendogli la testa e sbattendola contro una roccia fino a spappolare il cranio. Serve una certa forza, una ragazzina magrolina di sedici anni non può riuscire ad ammazzare così un combattente esperto e ben più grosso di lei, eppure per gli abitanti di Ulthmeer ero io la colpevole. Sono andata via dalla città» disse, risparmiando a Beerus il racconto del tentativo di linciaggio «Da allora vivo qui, in questa casa che io e Calida avevamo rimesso a posto anni prima di tutto questo disastro. Potrei entrare in visita a Ulthmeer, perché Callie ne è diventata il capo in quanto vice del defunto Meskal, ma non lo faccio volentieri. Ecco, ho finito» concluse «Vedi? Sono sbagliata. Dovevo dirtelo subito, anche se così facendo non avrei ancora idea di cosa significhi conoscere una persona che mi piace davvero, e mi fa stare bene al punto di sorridere anche solo pensandola. È quel che mi succede con te» confessò «Per quel che può valere, ormai».
 
Ancora una volta Beerus non disse nulla, ma le si avvicinò a grandi passi e la strinse in un forte abbraccio. Incredula, sul momento Anise non riuscì a muovere un muscolo.
 
«Mai più. Non voglio più sentirti dire che sei sbagliata, che non vai bene, e tutto quel che ti hanno messo in testa quei maledetti. Tu non sei sbagliata, tu sei… sei una meraviglia, Anise!» esclamò, allontanandosi per guardarla negli occhi «L’ho pensato quando ti ho vista sull’altalena quella notte e ho continuato a pensarlo, arrivando al punto di fare complete follie per poterti vedere ancora, e non mi pento di niente: le vali tutte! Anzi, vali di più» si corresse «Ne ero convinto prima, a maggior ragione lo sono adesso».
 
Più Beerus continuava a parlare, più Anise si sentiva liberata da un peso sulle spalle che sì, era stata conscia di portare, ma del quale non aveva riconosciuto l’entità. Tale sollievo si mescolò all’incredulità più completa, a una gioia autentica ancor più grande della prima volta in cui Beerus l’aveva fatta volare, e a una sensazione che Anise non aveva mai conosciuto prima: la speranza. Una timida speranza che quello che lei aveva vissuto come un bel sogno, purtroppo destinato a finire, potesse essere qualcosa di più. Qualcosa di reale. Se non pianse fu solo perché riuscì miracolosamente a imporsi sufficiente autocontrollo. «S -sei sicuro di quello che dici?»
 
«Totalmente».
 
Non fu uno di loro in particolare a prendere l’iniziativa: si avvicinarono l’uno all’altra contemporaneamente, desiderosi soltanto di scambiarsi il loro primo bacio… e finendo col darsi una testata allucinante.
Mai che le cose andassero come previsto!
 
«So che hai la testa dura, ma solo adesso ho capito quanto» scherzò la ragazza, massaggiandosi la fronte.
 
«La tua è più dura della mia!» ribatté Beerus, con lo stesso tono «Ora però vieni qui».
 
C’erano voluti quasi due mesi, ma finalmente il loro primo bacio era arrivato.
Poi un altro.
Poi altri cento.
In quel momento nelle loro menti non c’era spazio per nient’altro che non fossero loro due e il loro piccolo mondo, tutto racchiuso in quella stanza: erano insieme, giovani, belli e innamorati. Non c’era nulla meglio di così.
 
Solo diverso tempo dopo, nessuno dei due sapeva precisamente quanto, gli occhi di Anise caddero sull’orologio. «Beerus!»
 
«Sì?»
 
«È ora! È passat- un’or- apprezzo i baci, ma fammi parlare!» sorrise la Lusan «Due ore di sonno sono già troppo poche. Devi andare».
 
«Devo proprio?» sospirò il dio, con una smorfia.
 
«Se non vuoi ricevere gli scappellotti del tuo maestro, temo di sì. Non preoccuparti, in futuro avremo tutto il tempo che vogliamo».
 
Raggiunsero assieme la porta d’ingresso, poi Beerus prese una mano di Anise tra le proprie e la baciò, come faceva sempre sia quando arrivava, sia quando era costretto ad andare via.
«Tutto il tempo che vogliamo, letteralmente. Tornerò presto, Anise».

«Lo so».

Un ultimo bacio, poi Lord Beerus volò via.
Tutte le carte erano in tavola, si erano finalmente “trovati” per davvero; adesso era sua, e non l’avrebbe mai lasciata andare. L’avrebbe trattata come una dea, o più precisamente come la compagna di un dio, e non avrebbe lasciato che niente e nessuno si mettesse tra loro due: non quello che Anise aveva definito “bagaglio”, non la mortalità, e neppure Whis. Al suo compleanno mancavano meno di tre mesi, dopotutto.
Sentiva che il giorno dopo avrebbe fatto faville durante l’allenamento, anche con due sole ore di sonno.



 
 
 
 
 
Capitolo 5: eccolo.
La coppietta: anche!
A voi i commenti, se ne avete (:
Piccola nota di cui non importerà un accidenti a nessuno: il nome Meskal si pronuncia "Meskàl".

Il disegno qui sotto non necessita spiegazioni (:


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