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Autore: LorasWeasley    03/12/2017    3 recensioni
SEQUEL di "Mission" e "Ombra"
AU [Solangelo|Caleo|Percabeth|Frazel|Jasper]
"-Ho avvertito tutti, domani saranno qui.
Si rivolse alla ragazza.
-Le consiglio di iniziare a prepararsi, penso che vogliano sapere la verità, tutta la verità. Potrà allenarsi con il ragazzo al suo fianco, magari può iniziare dal raccontargli come mai gli ha sempre tenuto segreta l’esistenza di un fratello. Un fratello che ha giurato di uccidere tutti i suoi amici."
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Frank/Hazel, Jason/Piper, Leo/Calipso, Nico/Will, Percy/Annabeth
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'CIA'
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8.Passato - Annabeth


Per Annabeth era una perdita di tempo andare all’asilo.
Aveva quattro anni, ma era consapevole di essere diversa da tutti gli altri.
All’asilo le maestre li facevano colorare, li facevano unire i puntini e ritagliare figure che avrebbero successivamente appiccicato in un cartellone.
La bambina credeva che fosse un’enorme perdita di tempo.
L’unica cosa che stuzzicava la sua fantasia era giocare con le costruzioni. Le piaceva costruire case e castelli.
Ma era circondata da altri bambini della sua età, bambini stupidi che si divertivano a rubarle i pezzi che le servivano o a distruggere quello che costruiva.
Annabeth li odiava. Ma era anche troppo intelligente per iniziare a litigare con loro.
Gli unici che incoraggiavano questa sua intelligenza e voglia di imparare erano i suoi genitori. Loro vedevano che questo rendeva felice, davvero felice, la loro bambina. Così le insegnarono a leggere e a scrivere, le compravano tutti i libri che alla bambina interessavano dopo aver letto la trama. Ovviamente non erano libri complicatissimi, ma comunque avevano un indice di lettura che andava dagli undici anni in su, o simili.
Molti li criticavano, dicevano che stavano rovinando la vita a quella povera bambina. Ma loro non li ascoltavano. Ci avevano davvero provato a comprarle tutti i giochi che i bambini della sua età amavano, ma se a lei non interessavano… Perché costringerla a fare qualcosa che non la rendeva felice?
Annabeth stessa sapeva che tutti gli adulti che la circondavano la criticavano, parlandole alle spalle. I bambini invece glielo dicevano in faccia che era noiosa, ma a lei non interessava.
I suoi genitori le volevano bene così, quindi non era sbagliata, non poteva essere sbagliata.
 
Quel giorno l’asilo era chiuso.
C’era stato un guasto nell’impianto idraulico la sera prima e si era allagato tutto il bagno. Per due giorni la scuola era stata dichiarata inagibile.
Così i suoi genitori, che lavoravano all’università, se la dovettero portare a lavoro.
Non si fecero troppi problemi, Annabeth era brava e non aveva mai fatto nessuna monelleria in vita sua, sapevano che si sarebbe comportata bene.
La bambina si era anche portata un libro dietro, era il secondo di una saga fantasy chiamata “Ragazze dell’Olimpo” e che l’aveva presa parecchio.
Erano in una stanza, i suoi genitori e i suoi colleghi intorno a un tavolo a correggere i test d’ingresso di quell’anno dei nuovi studenti.
Lei seduta tranquilla in una delle sedie a muro, il libro aperto in grembo.
Neanche sentiva i mormorii e le frasi delle persone che la circondavano, era completamente chiusa nel suo mondo.
Poi a un certo punto i suoi bisogni primari la distrassero: necessitava di andare in bagno.
Chiuse il libro e saltò giù dalla sedia troppo alta per qualcuno della sua età, posò il libro su di essa e si avvicinò a sua mamma.
Aspettò che finisse di scrivere prima di chiamarla –Devo fare pipì- le disse semplicemente.
La madre annuì –Finisco di correggere qui e andiamo, un secondo.
Ma Annabeth la precedette –Vado da sola, ce la faccio.
Sua madre si girò a fissarla, indecisa, ma alla fine annuì nuovamente –Okay vai, è la stanza accanto a questa. Se hai bisogno di aiuto urla che ti sento, i muri sono sottili.
-Va bene- e la bambina si avviò.
Alla fine non le risultò difficile, riuscì a fare tutto quello che doveva fare senza problemi. L’unica cosa fu lavarsi le mani.
Dovette mettersi in punta di piedi e arrampicarsi leggermente sul bancone in marmo per arrivarci, ma alla fine ci riuscì. Anche se era più che certa di essersi procurata qualche livido sparso nelle gambe e nei gomiti.
Si stava asciugando le mani nei vestiti che indossava, perché non arrivava a premere quell’oggetto dal quale usciva aria calda, quando vide nel corridoio una collega di sua mamma che correva veloce, sicuramente in ritardo per una qualche riunione o qualcosa di simile.
La donna aveva un sacco di fogli in mano e nella fretta non vide che uno di questo gli scivolò dalle mani svolazzando pigramente prima di toccare il suolo.
Annabeth, oltre che intelligente, era una bambina molto curiosa.
Non ci pensò due volte prima di percorrere quei pochi metri e afferrare il foglio, se lo strinse al petto come se fosse uno dei suoi più grandi tesori e tornò nella stanza dove stavano i suoi genitori.
Aprì la porta e tornò a sedersi nella sua sedia. Nessuno la guardò direttamente, come se non esistesse, quindi nessuno si accorse di quello che aveva in mano.
Solo sua madre chiese –Hai fatto tutto?- Ma neanche lei alzò lo sguardo dal foglio che aveva davanti.
La bambina si limitò a rispondere con un “mh-mh”.
Aprì il foglio e iniziò a leggerlo voracemente.
All’interno stava un solo problema che occupava mezza pagina. Era complicatissimo, ma Annabeth non si fece scoraggiare.
Gli luccicarono gli occhi, amava quelle cose e sapeva che, anche se ci avrebbe messo l’intera giornata, l’avrebbe risolto.
 
-Mamma- la chiamò la bambina tirandole il braccio per una manica.
-Cosa c’è Annie?- Domandò la donna sospirando.
Annabeth si mise in punta di piedi e si sporse sul tavolo dove poggiò il foglio di carte con il problema.
-La risposta è che non si può trovare una risposta perché nella domanda manca una nozione importante senza la quale non si può trovare la soluzione?
Intorno al tavolo scese il silenzio.
Sua madre stava fissando con occhi sbarrati il foglio che aveva davanti.
Il primo a prendere parola fu suo padre –Dove hai preso questo, Annabeth?
La bambina un po’ arrossì –Era caduto a una signora quando sono uscita in corridoio per andare in bagno… Ero curiosa…- sussurrò infine.
Anche le altre persone intorno al tavolo si erano sporse per leggere e capire di cosa si stesse parlando.
-Ma quanti anni ha?- Sbottò un uomo incredulo.
Né sua madre né suo padre risposero, così lo fece Annabeth, perché le avevano sempre insegnato ad essere educata e rispettosa con chi era più grande di lei.
-Ho quattro anni, signore.
-Ma è un problema universitario… come ha fatto…
E quel commento da parte di una donna fu il primo di una lunga serie.
Da quel giorno tutta la vita di quella bambina fu completamente stravolta.
Anche se Annabeth non seppe mai dire con certezza se aver raccolto quel semplice foglio da terra quel giorno fosse un bene o un male.
 
Ricordava che nei giorni successivi a quelli molte persone vennero a casa sua, tutte queste si chiudevano in cucina a parlare con i suoi genitori.
Poi sua mamma li accompagnava nella sua cameretta e li lasciava soli.
Gli uomini e le donne che lentamente si susseguivano semplicemente le facevano delle domande.
Passavano da quelle semplici a quelle più complesse.
Ed Annabeth rispondeva a tutte con sincerità, perché quelli erano entrati nella sua camera solo grazie al permesso di sua madre. Quindi ciò stava a significare che sua madre era d’accordo e lei si fidava ciecamente di suo padre e sua madre.
Le prime domande erano sempre le stesse “Come ti chiami?” “Quanti anni hai?” poi quelle successive erano sempre diverse, ma erano quelle che ad Annabeth piacevano di più “4, 8, 16… Sai continuare la sequenza?”
Poi arrivò l’estate e, da quel momento, le cose si fecero più serie.
Mancava solo un mese ai suoi 5 anni ed era già molto più sveglia e intelligente di alcuni ragazzi con il doppio della sua età presenti li dentro.
Ma le piaceva stare li, non era più esclusa o definita strana e noiosa, ogni ragazzo presente li dentro era li per un motivo, ognuno aveva la sua capacità speciale. Quella che lo rendeva speciale.
Annabeth sapeva che li stavano addestrando, non riusciva a capire per quale scopo, ma lo sapeva.
Il suo intuito le diceva anche che lo faceva per qualcosa di buono, qualcosa che in futuro avrebbe salvato le persone.
Come facevano tutti quegli eroi che aveva letto nei suoi libri.
Tutto quello che faceva serviva a qualcosa, lo sapeva, sarebbe stata utile prima o poi e avrebbe aiutato delle persone.
Come gli eroi.
Anche quando divenne più grande e le insegnarono le mosse per il corpo a corpo, a sparare e a riconoscere i punti vitali di una persona, lei continuò sempre a ripeterselo.
Era giusto, lo faceva per un fine più grande.
Uccidere una persona per salvarne molte altre era giusto, le insegnarono sempre e solo questo.
Lei non ne fu molto convinta all’inizio, ma le fecero  un vero e proprio lavaggio del cervello.
Inoltre, il suo intuito le aveva sempre detto che era giusto stare in quel campo e imparare quelle cose, per poi andare in missione in futuro.
La sua prima missione la fece a 8 anni e a 10 sparò a una persona.
Non la uccise, ma si sentì sporca e non volle più toccare un’arma per un’intera settimana.
La gente all’interno della CIA si stufò di questo suo comportamento, non potevano permettersi di avere in squadra qualcuno che si comportasse in quel mondo.
Doveva diventare una ragazza decisa e doveva fare la sua scelta. Dentro o fuori.
Ma se avesse deciso di rimanere li con loro, avrebbe dovuto imparare a farsi scivolare tutto addosso, perché questo era il mondo: crudele e spietato.
E Annabeth decise di continuare a far parte della CIA, perché, alla fin fine facevano qualcosa di buono per il mondo. Forse si poteva discutere sui metodi che utilizzavano, ma era il fine quello che contava.
Il suo intuito le aveva sempre detto che era giusto quello che faceva, rimanere li e combattere con loro.
E lei si sarebbe sempre fidata del suo intuito.
  
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