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Autore: Sephirah    24/06/2009    3 recensioni
Sono passati alcuni mesi dalla scomparsa della principessa, e a Clef è stato dato il compito di aiutare i Cavalieri Magici da lei chiamati su Sephiro. E' pronto a combattere per tener fede alla promessa fatta ad Emeraude, ma a convivere con tre cavalieri adolescenti non è molto preparato...
Di ritorno con la seconda fase, ecco a voi una storiella dai toni più leggeri della precedente e con un po' di humor che non guasta mai, la mia rivisitazione della prima serie a fumetti di Rayearth.
N.B.: AGGIORNATA FINALMENTEEE!!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Clef
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Rayearth - revolution'
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Capitolo undici CAPITOLO UNDICESIMO: TRADIMENTO E CONFESSIONE ALLA NOTTE

Hikaru affondò con violenza la lama per recidere l'ultima fronda che la separava dalla radura dove sorgeva la casa di Plesea, poi si pulì la fuliggine dal viso con un sorriso trionfante.
"Sapete, onestamente, non credevo che ce l'avremo fatta"
Fu e Ferio si scambiarono un abbraccio di esultanza, trovando la forza di ridere anche se erano rimasti senza fiato.
"Vedrete" disse il ragazzo, "Umi e Clef  stanno bene: stanno sicuramente tornando qui"
Le due ragazze si sorrisero, poi assieme si diressero verso la casa dell'armaiolo, ma dopo soli pochi passi si fermarono, pietrificate.
"La porta d'ingresso è stata distrutta!"
"E le finestre sono tutte rotte"
Ferio annusò l'aria. "C'è uno strano odore. Bruciato e terra smossa"
Hikaru si girò verso il ragazzo. "Credi che abbiano fatto del male a Plesea?"
"Non lo so, ma sicuramente erano qui per lei"
Alla ragazza tanto bastava per abbandonare ogni cautela ed entrare di corsa nell'abitazione. Fu cercò di fermarla e le andò dietro, ritrovandosi anche lei nell'ingresso buio che la scarsa luce del sole al tramonto non bastava ad illuminare. I muri erano anneriti e i vetri della porta ridotta in frantumi gemevano sotto i loro piedi. Ferio esytrasse la spada e si mise di fronte alle due ragazze, procedendo guardingo.
"State attente. Chiunque sia passato di qui potrebbe non essersene ancora andato"
Hikaru estrasse la sua spada a due mani, e Fu impugnò l'arco, cercando di incoccare una freccia nonostante il fremito delle mani. Il loro respiro pesante sembrava riemipre quel silenzio strano e diventare assordante.
Ad un tratto giunse loro un mormorio. Era un rumore soffocato, proveniva da qualche stanza più avanti. Poi un rumore di passi e di cocci rotti.
Ferio fece cenno alle ragazze di fermarsi e portò avanti la grande spada. Fu riuscì finalmente a tendere l'arco a dovere, con la freccia ben ferma tra le dita. I passi erano vicinissimi. Ferio sollevo la lama.
In quel momento apparve Plesea con una piccola spada in mano, alzata sopra la sua testa pronta ad affondare sugli aggressori. Hikaru lasciò cadere l'arma e le si lanciò addosso per abbracciarla. Plesea ricambiò l'abbraccio con un gesto meccanico, ancora sorpresa di vedere i compagni.
Anche Fu si avvicinò, ma si limitò ad un sorriso radioso, seppur molto stanco.
"Pensavamo che ti avessero fatto del male, siamo liete di vedere che avevamo torto"
"Ci hanno provato, veramente" rispose la ragazza. "Ma non ci sono riusciti. Come avete fatto a tornare?"
"Abbiamo corso dannatamente veloce" disse Ferio. Plesea gli lanciò un'occhiata strana, e rimase in silenzio per alcuni istanti, come se lo stesse esaminando attentamente.
"Piuttosto" continuò infine. "Siete feriti?"
Hikaru scosse la testa. "Non è niente di grave"
"Faremo meglio ad andarcene" si intromise Fu. "Adesso non abbiamo tempo di spiegarti, ma qui non siamo al sicuro. La Foresta è in fiamme, e..."
"Lo so, ma non siamo in condizione di spostarci"
"Lo sai già?" chiese Hikaru. Pensava che l'incendio fosse troppo distante per poterlo vedere da lì, ma forse il fumo poteva aver avvertito Plesea del pericolo.
L'armaiolo sciolse l'abbraccio con la ragazza e fece loro cenno di seguirla. Svoltò l'angolo e li condusse nella cucina.
Lì, stesa su un tappeto ingrigito dai detriti, giaceva Umi, con gli abiti sporchi e rovinati e le ginocchia macchiate di sangue, i capelli in disodine e qualche benda sulle braccia e sul collo.
Hikaru e Fu si lanciarono subito sull'amica, ma Plesea le fermò prima che potessero avvicinarsi alla ragazza.
"Deve riposare" disse. "E' stanca"
In quel momento Ferio si accorse di Clef, appoggiato ad uno dei mobili della cucina con un braccio attorno al torace, che guardava la scena con un sorriso storto e affaticato. I loro sguardi si incrociarono e il Monaco Guida cercò di tirar fuori un'espressione beffarda, che divenne una smorfia di dolore.
"Ci avete messo parecchio"

Umi aprì gli occhi, lentamente. Sentiva le palpebre pesanti come se fossero di piombo, e quando li aprì continuò a vedere buio, così capì che doveva essere notte fonda. C'era un solo raggio di luna che passava da dietro il  vetro miracolosamente intatto di una finestra ornata con due tende leggere che fluttuavano come fantasmi, e il raggio cadeva a terra sul pavimento freddo e si rifletteva sui capelli d'argento di Clef. Umi provò ad osservare meglio. Il ragazzo stava seduto contro un mobile della cucina, con una gamba stesa e l'altra piegata vicino al torace, e con una mano premeva su una ferita ad un fianco che gli aveva inzuppato i vestiti di sangue nero. La testa era piegata in avanti e la chioma bianca gli nascondeva il viso. Nel silenzio, Umi poteva sentirlo respirare piano.
La ragazza distolse lo sguardo. Per qualche motivo sentiva che non era giusto fissarlo mentre dormiva, e comunque la stanzchezza che provava non le impediva di avvertire un profondo senso di colpa per pensare ai ragazzi in una situazione del genere, persino dopo un combattimento pazzesco. Nell'oscurità, Umi storse il naso. Aveva una fame terribile, e se ne era accorta solo allora.
Provò ad alzarsi con cautela, e si accorse che, nonostante il suo corpo le sembrasse così pesante, riusciva a mantenere il controllo. Guardandosi un attimo intorno si rese conto di essere nella cucina di Plesea. Non ricordava di esserci arrivata. Per la verità non ricordava granché. Anche Plesea dormiva accucciata in un angolo, tenendosi la testa con una mano, quindi qualunque cosa fosse successa durante la sua incoscenza, dovevano essersela cavata.
C'era un cesto, su una mensola. Umi non riusciva a distinguere cosa ci fosse dentro, ma cercò di avvicinarsi, stando attenta a non svegliare i compagni.
Insomma, a guardarla sotto una certa ottica non c'era niente di male a provare una certa attrazione per un ragazzo del genere, ma non era sicura che andasse bene preoccuparsi più di una cosa del genere che di come tornare a casa, o anche solo di come evitare di finire ammazzata.
Afferrò il contenuto del cesto. Era un oggetto tondo, vagamente irregolare, ruvido e freddo. Tastandolo con le dita si accorse che l'oggetto era munito di un picciolo, e ne dedusse allora che doveva trattarsi di un frutto. Non ci pensò due volte, ormai il suo stomaco agiva da sé. Lo morse e fu invasa da un succo acido e dal sapore fortissimo, aspro come un limone ma decisamente più amaro. Il primo istinto fu quello di sputare il boccone, ma si rese conto che non sarebbe stato educato, a casa d'altri. Così mandò giù, maledicendo il suo inutilissimo bon ton.Una volta finito di lacrimare si mise in cerca d'altro.
Forse era solo un modo per ridimensionare quanto le era accaduto negli ultimi giorni. In fondo era stata catapultata in una dimensione parallela, chi avrebbe potuto mai biasimarla se cercava un appoggio, un segno di normalità? Non che Clef avesse nulla di normale, cominciando dai capelli per finire con le magie e i grifoni, però forse le permetteva di non pensare al guaio in cui era finita.
Trovò qualcos'altro. Al tocco sembrava pane. Ne staccò un pezzo e se lo mise in bocca, ma con più cautela di prima. Era morbido e dolce, e sicuramente era la variante sephiriana del pane. Ne prese ancora e si riavviò verso il suo posto sul tappeto, ma appena fece per scavalcare la gamba tesa di Clef  il ragazzo si animò e le sfiorò la caviglia con gentilezza, per non spaventarla. Umi, ancora persa nelle sue riflessioni, arrossì di colpo, ma era troppo buio perché lui potesse accorgersene.
"Fai dare un morso... anche a me?" chiese il ragazzo con la voce impastata dal sonno.
Umi gli si accucciò vicino e gli offrì un tozzo di pane.
"Come mai... sei sveglia?"
"Avevo fame, credo"
"Stai bene?"
"Mi sento stanca e ho dolori dappertutto, ma sto abbastanza bene. Te come stai?"
"Potrei stare meglio"
"Che è successo?"
"Alcione non è riuscita nei suoi malvagi propositi e noi abbiamo deciso di passare la notte qui. Ah, e Ferio e le ragazze sono tornati"
"Cosa?! Stanno bene?"
"Ssssh! Sì che stanno bene, non urlare!"
"Dove sono?"
"Dormono nella stanza a fianco. Non c'entravamo tutti qui in cucina"
Umi sospirò. "Che sollievo. Ero preoccupata da morire"
"Finisci di mangiare. Ti porto nella stanza di Plesea"
"Perché?"
"Lì c'è il letto, dormirai più comoda"
"Ah. Perché non mi ci hai messo prima?"
"Hai notato lo squarcio che ho qui? Magari ero un po' stanco anch'io"
"Ah. Ok"
"Dai vieni"
Clef si alzò lentamente, agrappandosi allo spigolo di un mobile, poi le porse la mano sporca di sangue secco e terra. Umi la prese, e lo seguì nel buio, camminando a tentoni mentre lui procedeva spedito. Entrarono nella camera alla fine del corridoio e Clef la lasciò andare.
"Tu non vieni?" chiese Umi di impulso, rendendosi conto un istante dopo di aver detto una cosa allucinante.
Clef si accorse dell'ingenuità nella voce della ragazza e fece una risata sottovoce. "Mi fai delle avances?"
"Scusa, non intendevo quello, volevo dire se..."
"Non importa. Se ti fa piacere resto un po'"
Umi divenne scarlatta. Mentre lo faceva entrare si disse che si stava rammolendo. Prima d'allora non era mai arrossita così tante volte.
Clef non si sdraiò. Appoggiò la schiena al muro in un angolo e rimase lì, avvolgendo il torace con un braccio.
Umi si sedette sul materasso, e all'improvviso si accorse di essere davvero stanca. Si tolse le scarpe, le poggiò a terra con delicatezza per non fare rumore. Clef, vicino a lei, rimaneva immobile.
Sentiva le palpebre pesantissime, non riusciva a tenere gli occhi aperti. Nonostante si sentisse imbarazzata si sdraiò sul letto.
Clef parlò con una voce bassa che non sembrava sua. "Non hai paura?"
"Di che?"
"Di questo. Di quello che ti sta succedendo. Hanno provato ad ucciderti, ci proveranno ancora"
"Sì, credo di sì. Credo di essere spaventata"
"Non si direbbe"
"No? Io pensavo di essere ridicola, invece... credo che sia perché ci siete voi. Hikaru, Fu, credo che diventeremo ottime amiche. E poi ci sei anche tu, sei uno che ha l'aria... di sapere quello che fa" Umi cominciava ad addormentarsi. "Credo che se fossi... stata da sola... avrei avuto molta più paura, ma... se ci siete voi potrebbe persino diventare" sbadigliò "Divertente"
"Ti fidi di me?" chiese Clef.
"Direi... di sì"
Il ragazzo rimase a fissare il buio con gli occhi di cristallo, in silenzio.
Emeraude aveva chiesto di essere salvata. Meritava di avere ciò che aveva chiesto. Lui aveva giurato a lei e a sé stesso che avrebbe fatto qualunque cosa perché la sua principessa potesse trovare pace, finalmente. Era giusto che Emeraude fosse padrona del suo destino, e che potesse scegliere almeno come morire e che pace desiderare.
Ma quelle tre ragazzine erano così allegre e piene di vita, erano buone e gentili. Cosa avrebbero provato una volta scoperto il vero significato della leggenda che le accompagnava? Avrebbero sofferto nel commettere un omicidio? Lo avrebbero odiato per quello che le aveva indotte a fare con l'inganno? E lei, così dolce, che gli diceva di fidarsi di lui. Fiducia mal riposta.
Questo non poteva essere giusto in nessun modo.
Improvvisamente tutte le ragioni che lo avevano spinto a schierarsi contro Zagart crollarono come un castello di carte. Quella maledetta storia non riguardava quelle ragazze venute dal cielo, non spettava a loro risolvere questo male. Così non era giusto.
"Umi, ascolta..." disse. Il battito impazzito del suo cuore gli rimbombava nella testa. "Io non sono stato del tutto sincero con voi"
Umi rispose con un verso assonnato.
"La verità è che... che Zagart non ha affatto rapito la principessa. In realtà loro sono innamorati l'uno dell'altra e questo impedisce ad Emeraude di Pregare per Sephiro, così lei ha deciso di suicidarsi. Il compito dei Cavalieri Magici è quello di salvare la Colonna uccidendola, un incantesimo di autodistruzione. Io ho giurato di aiutarla, ma non posso fare questo a voi. Pensavo di farcela, invece no"
Nel buio della stanza c'era solo silenzio.
"Umi?"
Gli rispose solo il respiro pesante della ragazza, lento e regolare. Dormiva.
Clef rimase impalato qualche istante, poi scoppiò a ridere, crecando di trattenersi per non fare rumore. Non poteva crederci, aveva appena tradito la sua Principessa e Umi dormiva! Non aveva sentito una sola parola della sua confessione! Aveva infranto una promessa importante in nome di ciò che riteneva giusto, e nessuno lo aveva ascoltato. Continuò a ridere a bassa voce, strofinandosi gli occhi con una mano. Li sentiva pizzicare di lacrime. Aveva una gran voglia di piangere, ma sapeva che non se lo sarebbe permesso.


  
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