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Autore: _armida    03/12/2017    0 recensioni
Dal capitolo XV:
“Si aspettano che io ti uccida?”, domandò lui con un filo di voce.
(...)
. “Mi… mi terrai la mano mentre… sì, insomma, dall’altra parte non sarò sola ma…”. Non riuscì ad andare avanti e si limitò a cercare aiuto nel viso che aveva di fronte.
“Lo farò per tutto il tempo che vorrai”, si affrettò a dire il Conte, mentre una lacrima sfuggita al suo controllo gli rigava una guancia.
Elettra la spazzò via con una carezza, tornando poi a sorridergli, seppur il suo tono di voce, quando parlò, fu estremamente serio. “Non per tutto il tempo che vorrò, solo il minimo indispensabile, poi correrai da Leonardo a salvargli la vita. Non voglio vedere nessuno di voi per i prossimi trenta o quarant'anni, almeno”, aggiunse in un tentativo di ironia. Si alzò sulle punte, per poter avere il suo viso all’altezza del proprio e lo baciò per l’ultima volta. “Addio, Girolamo”, disse ad un soffio dalle sue labbra.
Si guardarono negli occhi.
Una tacita domanda.
Un cenno di conferma.
Strinsero entrambi le mani intorno al pugnale e la lama si fece strada nella carne.
(seguito di "L'Altra Gemella)
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Elettra'
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Capitolo V: Acque mosse, parte II

La sensazione che provava in quel momento era strana: avrebbe detto di provare una leggerezza che da troppo tempo non sentiva, eppure, allo stesso tempo, qualcosa in lei non andava.
Aprì gli occhi a fatica, non potendo fare a meno di trattenere una smorfia di fastidio: il torace e la schiena erano come indolenziti, una sensazione non molto diversa da quella che si prova dopo aver compiuto uno sforzo fisico a cui non si è abituati.
Si guardò in giro, rendendosi conto di trovarsi nuovamente nella propria cabina.
Avvertiva un leggero calore intorno alla mano sinistra, un tocco quasi impercettibile, come se qualcuno gliela stesse appena sfiorando: voltò la testa da quel lato, trovando Girolamo osservarla con quella che avrebbe detto essere disperazione. I suoi abiti e i suoi capelli zuppi d’acqua.
Sbattè più volte le palpebre per metterlo meglio a fuoco, eppure la sua figura restò sempre sfocata, evanescente quasi.
Provò ad alzare quella stessa mano verso il suo volto, eppure fu come se essa si sdoppiasse: una parte, anch’essa evanescente, rimase immobile, mentre l’altra arrivò alla guancia dell’uomo, ma le passò attraverso, come se lui fosse nient’altro che un’ombra.
Allarmata, Elettra si mise di scatto in piedi: come poco prima, il suo corpo rimase inerte nel letto. Osservò sé stessa distesa tra le coperte, con il viso mortalmente pallido e le labbra blu leggermente dischiuse.
Avrebbe voluto urlare o piangere, ma qualsiasi suono le si gelò in gola. Portò entrambe le mani alla bocca.
Che cosa aveva fatto?
In quell’istante, sentì la maniglia della porta abbassarsi. Si voltò verso di essa.
Una figura conosciuta si fermò sulla soglia. “Elettra”, la salutò.
“Giuliano…”, riuscì a mormorare.
 

***

Girolamo si voltò non appena sentì lo scatto della maniglia, tenendo però sempre la mano stretta intorno a quella di Elettra, fredda come il ghiaccio.
Nella cabina entrò un uomo sulla sessantina, con i capelli per la maggior parte bianchi e il volto solcato da profonde rughe, rovinato da una vita passa sul ponte di una nave tra il sole cocente e la salsedine.
Doveva trattarsi del medico di bordo.
Dietro di lui, Zita portava tra le mani alcune pesanti coperte e dei vestiti.
Il cerusico si avvicinò al letto, osservando scettico la giovane distesa su di esso. Il Conte lasciò a malincuore la mano di Elettra, alzandosi per cedergli il proprio posto.
Lo guardò mentre avvicinava l’orecchio alle labbra della ragazza; rimase in quella posizione per diversi momenti, poi si sedette, tastandole il polso. Scosse la testa.
“Respirava quando l’avete riportata a bordo?”, chiese.
Nella mente di Girolamo passarono per l’ennesima volta le immagini di quella notte: aveva gridato uomo in mare ancora prima di avvertire il tonfo della caduta di Elettra in acqua, dopodichè si era tolto con gesti fulminei la propria giacca e si era tuffato a sua volta nel buio. L’aveva prima cercata in superficie, poi non appena capito che non c’era aveva osservato sotto di sé, facendo appena in tempo a scorgere un puntino bianco scomparire nell’oscurità; aveva nuotato verso di lei con la sola forza della disperazione, incurante del proprio corpo che gridava a gran voce di aver bisogno d’aria. Non sapeva nemmeno lui come avesse fatto a riportare entrambi a bordo.
Aveva stretto un suo polso tra le mani e poi il ricordo successivo era stato l’averla adagiata sulla scialuppa che nel mentre era stata calata in acqua. Aveva osservato il suo volto con la speranza che da un momento all’altro aprisse gli occhi, per accorgersi solo in un secondo momento che non si udiva il suo cuore battere.
Aveva premuto forte le mani sul suo petto più volte, ritmicamente.
In risposta alla domanda del medico scosse la testa.
“Dovreste dirle addio, Conte Riario”
Lasciò il polso della giovane, che ricadde inerte tra le lenzuola.
 

***
 

“Sono morta?”. La voce di Elettra era ridotta ad un flebile sussurro.
Giuliano si staccò dalla soglia della cabina, provando ad avvicinarsi a lei, ma dovette ben presto fermarsi, non appena la vide indietreggiare spaventata.
“Non ancora. Ma potresti esserlo presto”, si limitò a dirle.
La giovane tornò a guardare sé stessa, distesa in quel letto, immobile: vide il proprio petto alzarsi e riabbassarsi debolmente.
“Allora, se non sono morta, cosa ci faccio qui con te?”, domandò, stringendosi le braccia nervosamente sotto al seno.
“Ti stiamo dando la possibilità di scegliere”, rispose lui.
Elettra lo osservò con un sopracciglio alzato, scettica per il plurale che il giovane de Medici aveva appena usato. “Chi? Tu e l’Altissimo?”. La sua espressione si fece per un attimo pensierosa. “Che poi… esiste per davvero?”
A Giuliano scappò una risata. “Chi può saperlo…”, disse, piegando le labbra in un sorriso enigmatico. “E, comunque, magari sono le persone a te care a volerti sana e salva”.
Lei lo guardò perplessa.
“Anche se, in ultima analisi, devi essere tu a decidere”. Si fece serio. “Il libero arbitrio, Elettra”
Annuì, seppur ancora confusa annuì. “Quindi… ora mi basta dirti un sì o un no?”
Lo vide ridere nuovamente. Doveva trovarla tremendamente divertente. Lei no, invece, non si stava affatto divertendo.
“Conoscendo la tua propensione a prendere decisioni affrettate… no, direi proprio di no”, le rispose. Tornò affianco alla porta, voltandosi verso di lei e porgendole la mano. “Vieni. Prima di prendere la tua decisione devo mostrarti alcune cose”
Elettra fece un passo avanti con la mano tesa verso il giovane, ma poi parve tentennare ed abbassò il braccio. C’era qualcosa in quella scena che le pareva di avere già visto… “Mi farai da guida tipo Beatrice con Dante?”, chiese ironica.
Giuliano piegò le labbra in una smorfia. “Preferisco Virgilio”, disse.
La giovane scosse la testa. “No, no, tu hai proprio la faccia da Beatrice”, ribattè divertita. Gli sorrise, prendendolo poi per mano.
 

***
 

Girolamo osservò il petto di Elettra alzarsi ed abbassarsi debolmente, la mano ancora stretta alla sua. Appena un istante prima gli era parso che lei avesse risposto a quel gesto: era stata questione di un secondo, eppure gli era parso proprio così.
Guardò speranzoso il suo viso, come se si aspettasse da un momento all’altro che i suoi occhi si aprissero, mostrando quell’azzurro così intenso che gli avevano fatto credere più di una volta che le sue iridi fossero costituite da due brillanti lapislazzuli. Avrebbe tanto voluto che esse tornassero a quelle tonalità accese; l’ultima volta che aveva incrociato il suo sguardo esso era apparso di un colore grigio opaco, ogni traccia di luminosità completamente svanita.
Quando l’aveva portata in camera sul suo volto non vi era impressa alcuna espressione, ora, invece, gli pareva che le sue labbra fossero piegate in un accenno di sorriso.
La osservò meglio: il suo viso pareva sereno. La serenità della mor… No. Scosse la testa per scacciare quel pensiero e con l’angoscia alle stelle tornò a guardare il suo petto: esso si alzava ed abbassava ancora. Forse stava sognando. Sì, si convinse che era così, che stava solo facendo un piacevole sogno. Quando quel sogno sarebbe finito, si sarebbe svegliata.
Doveva essere così.
 

***
 

Elettra si guardò in giro. “Dove siamo?”, chiese confusa.
Non si trovavano più nel buio corridoio di legno della nave, stretto e dal soffitto basso, ma in uno più ampio, dalle alte pareti di pietra grigia; sembrava più di stare nell’androne una caverna che in un vero e proprio corridoio. Da entrambi i lati, si aprivano porte dalle svariate forme e dimensioni.
Giuliano non disse nulla, limitandosi a lasciare la sua mano e a dirigersi verso una di esse; si appoggiò allo stipite, attendendo che l’amica lo raggiungesse. Elettra invece si avvicinò incerta alla porta a lei più vicina e con non poca titubanza abbassò la maniglia.
“Io non lo farei se fossi in te….”, tentó di dissuaderla, seppur con poca convinzione nella voce.
Come previsto, la ragazza l’aprì comunque, mettendoci poi dentro il naso.
La porta non dava, come Elettra aveva pensato, in un’altra stanza, ma su di un paesaggio di campagna: c’era una carrozza trainata da un paio di cavalli che si dirigeva a ritmo sostenuto su di una strada sterrata. Poco più in là, su quella stessa strada, dei cavalieri dalle pesanti armature color pece galoppavano veloci; i loro cavalli ad ogni passo alzavano grandi zolle d’erba e di terra. Pareva che inseguissero la carrozza.
Elettra si paralizzò all’istante, riconoscendo il luogo e l’evento che velocemente si stava consumando sotto ai suoi occhi. Nemmeno si accorse che Giuliano le aveva arpionato un braccio e tirata nuovamente nel corridoio. Solo quando la porta fu nuovamente chiusa riuscì finalmente a riprendere a respirare.
Osservò il giovane de Medici negli occhi, lasciandosi guidare da lui nel prendere lunghi respiri.
“Ti avevo detto di non farlo”, commentò l’amico cercando di utilizzare un tono di voce che assomigliasse ad un rimprovero, ma non potè fare altro che addolcirsi alla vista della faccia sconvolta di lei. “Va tutto bene, Elettra, tutto bene”, disse, accarezzandole i capelli e cercando di confortarla come aveva fatto decine e decine di volte in vita.
“Era…”, mormorò lei, non riuscendo però a proseguire. Sapeva cosa stava avvenendo dall’altra parte della porta e sapeva chi c’era a bordo di quella carrozza: sé stessa, Lucrezia e la loro madre. E sapeva che i cavalieri a cavallo erano i loro rapitori. “Come è possibile?”, chiese con ancora un filo di voce.
Giuliano prese un respiro e poggiò le proprie mani sulle sue spalle. “Oltre ogni porta c’è un avvenimento: passato, presente e futuro. Possibilità che si sono avverate, possibilità che non sono avvenute e possibilità che potrebbero avverarsi”
Elettra lo guardò confusa.
“Forse con un esempio pratico potresti capire meglio”, commentò tra sé e sé il de Medici. Sorpassò diverse porte, fermandosi infine davanti ad una dipinta di bianco, con i battenti decorati da sottili disegni floreali. Una porta che entrambi conoscevano molto bene. L’aprì, invitando la ragazza ad entrare.
Era la camera da letto di quando era bambina, nel palazzo di proprietà di suo zio.
Le tende erano stranamente completamente tirate e nella penombra della camera vi erano tre persone: riconobbe all’istante suo zio, in piedi accanto al letto. Di fianco a lui, un prete si stava facendo il segno della croce, mentre una terza persona dalla maschera terminante con un lungo becco, stava coprendo con un lenzuolo bianco qualcosa sul letto. Doveva trattarsi del medico.
Il cerusico si spostò, lasciando così libera la vista ai due amici: sotto alla coperta si poteva chiaramente notare la sagoma di un gracile corpicino, come quello di una bambina.
“Questa possibilità non si è fortunatamente avverata”, sussurrò Giuliano all’orecchio della bionda.
Lei annuì debolmente: si ricordava di quella brutta epidemia di febbre che aveva colpito Firenze nell’estate del 1471; l’aveva presa anche lei e per diversi giorni le sue condizioni avevano tenuto tutti con il fiato sospeso, ma poi era guarita.
Si lasciò prendere per mano da Giuliano e guidare nuovamente nel corridoio di pietra.
“Ora ti è un po’ più chiaro?”, le chiese.
“Io… credo di sì”, rispose, stringendo nervosamente la presa. Sospirò. “Fa uno strano effetto vedersi… morti”, aggiunse con un filo di voce.
l giovane de Medici piegò le labbra in sorriso sarcastico. “Non dirlo a me”, commentò ironico.
Elettra lo guardò per alcuni secondi negli occhi, per poi abbracciarlo di getto.
L’amico, colto completamente alla sprovvista, barcollò all’indietro, per poi ricambiare il gesto una volta riacquistato l’equilibrio.
“Mi sei mancato”, disse lei, con la voce un pochettino tremolante.
Giuliano avrebbe tanto voluto dirle che era lo stesso per lui, ma sapeva che il tutto sarebbe stato controproducente per il compito che doveva svolgere. Si limitò a lasciarle lente carezze sulla schiena.
“C’è una persona che vorrebbe incontrarti, ti andrebbe di rivederla?”  
La sentì annuire contro al proprio petto.
 

***
 

Girolamo avvertì chiaramente il suo corpo irrigidirsi, la sua mano fredda contrarsi in un lieve spasmo. Cercò immediatamente il suo viso, che in un istante si era fatto più teso, la sua espressione più inquieta.
Spostò lo sguardo sul suo petto: esso era completamente immobile.
Uno…
Due…
Stava per scattare come una molla nel disperato tentativo di rianimarla nuovamente, quando questo si alzò, per poi riabbassarsi nuovamente, seguendo il debole ritmo che aveva avuto fino a poco prima.
Girolamo potè tornare a riempire nuovamente i propri polmoni d’aria. Anche i muscoli di Elettra tornarono ad essere rilassati e l’espressione sul suo volto farsi meno tesa.
Il Conte non distolse lo sguardo quando avvertì il cigolio prodotto dall’apertura della porta della cabina: sapeva che si trattava di Zita.
Sospirò: la sua fedele serva abissina pensava sempre a tutto, prendendosi cura di lui al meglio.
L’avvertì fermarsi alle sue spalle, in attesa del permesso del proprio signore per parlare.
Girolamo sapeva che si sarebbe dovuto voltare verso di lei ma se lo avesse fatto, se solo si fosse distratto un attimo per prestare attenzione a Zita, era certo che quel gracile corpo disteso sul letto avrebbe smesso di lottare per la vita. Non poteva distogliere lo sguardo.
 

***
 

La porta davanti a cui ora si trovavano Elettra la conosceva molto bene. Appena intuì che sarebbe stata quella la loro prossima meta, si voltò di scatto verso Giuliano con un sorriso come da tempo non se ne vedevano sul suo volto. Un istante, il tempo che lui le desse il permesso di entrare con un cenno del capo, e si rigirò verso lo stipite con un saltello. Con un gesto velocissimo abbassò la maniglia, correndo poi all’interno.
Una volta attraversata la soglia, però, si bloccò come improvvisamente intimorita.
G
iuliano la osservò per un istante perplesso, ma nonostante questo la superò, proseguendo lungo uno stretto corridoio che correva tra due scaffali ricolmi di libri: la biblioteca del nonno Cosimo de Medici era da sempre stato uno dei suoi luoghi prediletti, seppur lui possedesse ben poca affinità con lo studio e la lettura.
Si fermò dopo pochi passi, facendo cenno ad Elettra di avvicinarsi in silenzio: dove gli scaffali finivano si apriva un piccolo salotto, formato da una vecchia poltrona, un semplice tavolino e un antico tappeto persiano; il fuoco nel camino scoppiettava, rilasciando riflessi rossastri sul resto del mobilio.
Si avvertiva una voce autoritaria parlare: un uomo anziano si trovava seduto sulla poltrona mentre, ai suoi piedi, un bambino e una bambina lo ascoltavano completamente rapiti. Dovette accorgersi dei due nuovi arrivati, dal momento che si rimise in piedi, seguito a ruota dai due piccoli.
“Bene, bambini, per oggi è tutto”, disse l’anziano Cosimo, allungando le mani per accarezzare i capelli di entrambi.
La bambina, dai lunghi capelli biondi, fece un passo avanti, abbracciando l’uomo, dopodichè si voltò, mettendosi a correre verso l’uscita. Imboccò il corridoio in cui Elettra e Giuliano si trovavano e si bloccò davanti alla ragazza.
“Elettra, muoviti!”, urlò il bambino, ormai sullo stipite della porta.
Alla giovane parve che la piccola le sorridesse, ma in un istante più tardi le era già passata attraverso, come se si trattasse di nient’altro che un’ombra, e scomparve insieme al piccolo Giuliano oltre la soglia.
Le ci vollero alcuni istanti per riprendersi dalla strana sensazione di essere entrata in contatto con sé stessa da bambina, ma quando rialzò lo sguardo dal punto in cui era scomparsa, trovò Cosimo de Medici osservarla a meno di un passo da lei. Teneva una mano poggiata allo scaffale più vicino e la guardava con un sorriso dolce, da nonno, proprio come quelli dei suoi ricordi.
Non potè fare a meno che sorridergli a sua volta.
“Sei diventata una splendida donna, Elettra”, lo sentì dire.
La piccola Elettra probabilmente gli avrebbe sorriso e poi, con le guance più rosse delle vesti del Magnifico, sarebbe scoppiata a ridere. Ma di anni tra lei e quella bambina ne erano passati almeno una decina: era cresciuta. E non poteva più comportarsi in modo così infantile.
“Grazie, Vostra Grazia”, mormorò, facendo poi un inchino.
Giuliano, al suo fianco, sbuffò, come se considerasse quei gesti troppo formali.
Cosimo lanciò un’occhiata di ammonimento al nipote, prima di prendere la mano della giovane per aiutarla a rialzarsi. “Seguitemi, ragazzi”, disse, voltandosi in direzione del piccolo salotto.
Si sedettero in automatico ognuno al proprio posto, come se tutti gli anni che dividevano l’ultima volta che avevano compiuto quei gesti non fossero mai passati.
Una volta che Cosimo si fu accomodato sulla propria poltrona e i due giovani a gambe incrociate ai suoi piedi, l’espressione fino ad un istante prima solare dell’uomo si incupì improvvisamente. Osservò Elettra negli occhi. “Bambina mia, cosa hai fatto?”
Lei abbassò immediatamente il proprio sguardo sul tappeto sotto di lei nel timore di scorgere delusione nei suoi occhi: non lo avrebbe mai sopportato. Prese a torturare il cuore d’argento che portava al collo.
“Io…”, mormorò prima di essere costretta a prendere un lungo respiro. Chiuse gli occhi e le immagini di quello che aveva fatto quella stessa notte passarono nuovamente nella sua testa. “Non aveva senso continuare con…”. Scosse la testa. “Quella non era vita, non più”, aggiunse con un filo di voce. Lanciò un timido sguardo a Giuliano.
“Dannazione, Elettra!”, imprecò quest’ultimo balzando in piedi. “Si può sapere che cos’hai in quella testa?!”
Cosimo gli fece cenno di calmarsi, per permettere alla giovane di continuare.
Elettra osservò l’amico smarrita. I grandi occhi azzurri umidi di lacrime tanto simili a quelli di un cucciolo che aveva perso il suo padrone, la persona per lui più importante. Il suo punto di riferimento. Prese un lungo respiro, cercando di controllare la propria voce per non farla apparire tremolante. “Tu sei… morto tra le mie braccia”, disse in un timido sussurro. “E lui… è stata tutta colpa sua”. Questa volta non riuscì a trattenere un singhiozzo. “Non avevo più nessuno da cui tornare”
“E Becchi? E Da Vinci? Loro non contano nulla per te?!”, ribattè il giovane.
Scosse nuovamente il capo. “Leonardo sa cavarsela perfettamente anche da solo e zio Gentile… l’ho deluso. Ho deluso tutti voi e ho tradito Firenze”. Sì, compromettendosi per Riario aveva tradito tutte le persone a lei più care. E la sua amata Firenze. Non meritava più di essere considerata una figlia di quella città.  
Giuliano stava per dire nuovamente qualcosa, ma un gesto brusco di Cosimo lo zittì immediatamente.
“Il fato tuo e del Conte Riario erano destinati ad intrecciarsi da ancora prima che tu nascessi”, disse in tono rassicurante. “Non avresti potuto fare nulla per impedirlo. Così come non avresti potuto nulla per impedire la morte di Giuliano o…”.
Ad Elettra parve che stesse per dire qualcos’altro e lo osservò perplessa mentre scuoteva la testa e cambiava il discorso.
“Giuliano aveva esaurito il proprio compito sulla terra, non c’era più nulla che lo trattenesse lì”
“Ma Vanessa? E il bambino? Loro hanno bisogno di lui”, ribattè lei.
Giuliano, a sentirli nominare si incupì un istante.
“Loro se la sapranno cavare”, disse Cosimo, osservando però con apprensione il nipote.
“Veglierò io, non permetterò che li accada qualcosa, anche se non sarò al loro fianco fisicamente”, aggiunse il giovane de Medici, piegando però le labbra in sorriso stentato.
Giuliano doveva ancora stare elaborando quello che gli era accaduto, pensò Elettra. Nemmeno per lui doveva essere stato facile.
Osservò Cosimo guardare il nipote con un’aria da cui traspariva fierezza e non potè fare a meno di tentare un sorriso sulle labbra.
“Tu hai ancora tanto, tanto da fare, ragazza mia. Verranno momenti difficili, forse anche più difficili di ora, ma non dovrai lasciarti abbattere di nuovo”. Si mise in piedi, tendendole la mano per fare lo stesso e, una volta che fu anche lei in posizione eretta, le prese il viso tra le mani. “Ci sarà anche tanta felicità nel tuo futuro”. Si voltò nuovamente verso il nipote. “Giuliano, dovresti mostrarle quella cosa su cui avevamo concordato”
Sul volto del giovane comparve del disappunto, ma, seppur controvoglia, annuì.
Cosimo tornò ad osservare lei. “Credo sia arrivato il momento di salutarci”, disse, allargando le braccia per reclamare un abbraccio dai due giovani. Gesto che loro compirono subito.
“Vorrei poter restare qui con voi per sempre”, mormorò Elettra.
“Ma non puoi farlo”, ribattè prontamente l’anziano signore di Firenze.
Tentennò per alcuni istanti prima di annuire timidamente.
“Brava ragazza”. Le sorrise, accarezzandole una guancia.
L’abbraccio si sciolse e Giuliano prese Elettra per mano per condurla all’uscita.
Avevano mosso qualche passo in quella direzione quando Cosimo parlò nuovamente. “Un’ultima cosa”, disse, avvicinandosi a grandi passi ad uno degli scaffali che correvano lungo il perimetro della biblioteca. Fece cenno ai due giovani di seguirlo.
Elettra lo osservò premere una delle decorazioni che ne ornavano il legno e poi udì il suono di una serratura che scattava.
L’anziano signore della città spinse appena la parte di mobile, mostrando ciò che si celava nascosto dietro ad esso: un buio cunicolo con una stretta scala che correva tra le due intercapedini dell’edificio.
La giovane non era a conoscenza dell’esistenza di quel passaggio segreto e, a vedere l’espressione perplessa sul viso di Giuliano, neppure lui.
“Porta alle cantine di Messer Strozzi. Lo utilizzavo quando facevo parte dei Figli di Mitra. Nessuno  ne era a conoscenza e il segreto è morto con me”, si spiegò Cosimo. “Potrebbe esserti utile”, aggiunse con un sorriso enigmatico.      
 

***  
 

Tutto era fermo, immobile da troppo tempo. Persino sulla nave, solitamente animata dai rumori della ciurma, era sceso un surreale silenzio.
Girolamo pregava muovendo appena le labbra, ma non producendo alcun suono. Le mani erano congiunte, strette intorno al proprio rosario d’argento, i gomiti poggiati sul letto e le ginocchia premute contro il ruvido pavimento della cabina. Teneva gli occhi serrati, l’espressione concentrata, tesa nello sforzo di farsi udire da quel Dio che fino a quel momento era rimasto cieco e sordo alle sue invocazioni: non poteva reclamare l’anima di Elettra così presto, lei era ancora troppo giovane, si stava appena affacciando alla vita. No, era troppo presto per lei. Troppo presto per lui per dirle addio.
Aprì gli occhi ed osservò il suo viso: in quell’istante una lacrima rigò la guancia pallida della giovane. Girolamo la raccolse con il proprio indice, osservandola assorto mentre procedeva la propria inesorabile corsa sulla sua mano. Alla fine, all’altezza del polso, fu assorbita dalla stoffa della sua camicia scura.
Osservò stupito la sua serva abissina, in piedi vicino al fondo del letto, sul cui volto era impressa la medesima espressione sorpresa. Stava anche lei studiando il volto di Elettra.
“Sembra… rilassata”, disse incerta.
Il Conte annuì: poteva trattarsi di una lacrima di commozione? Se così fosse stato, significava che il sogno che stava facendo era un sogno felice. Ma, nonostante questo, lui la rivoleva indietro. La rivoleva indietro al più presto.
 

***
 

L’ampio portale attraverso cui Giuliano fece passare Elettra appariva austero e cupo per via del pesante legno scuro di cui era fatto. Qualcuno aveva tentato di mitigarne l’aria severa facendo aggiungere dei sottili intagli a motivi vegetali di legno smaltato, ma essi non smorzavano abbastanza quella sensazione.
Camminarono in quello che pareva essere un grande salone, forse l’anticamera dell’appartamento di qualche persona importante, ma Elettra di questo non poteva esserne certa dal momento che il tutto era immerso nella semi oscurità. Solo tra uno spesso tendaggio e l’altro passava qualche timido raggio di luce, troppo poca per poter distinguere con chiarezza ciò che circondava loro.
Raggiunsero un secondo portale, che Giuliano aprì giusto lo spazio indispensabile per passare. Fece cenno alla giovane di entrare per prima, guidandola poi a camminare lungo il perimetro della stanza fino a raggiungere il punto in cui si trovavano le finestre, anch’esse oscurate da delle spesse tende che al tatto parevano fatte di velluto scuro.
Si guardò in giro, riuscendo appena a scorgere un grande letto a baldacchino, anch’esso di un colore molto scuro, blu notte forse: doveva trattarsi di una camera da letto.
Osservò Giuliano mentre con un gesto secco della mano scostò le tende, rischiarando l’ambiente a giorno.
Elettra si voltò verso le finestre, studiando uno scorcio del paesaggio sottostante: si trovavano al secondo o al terzo piano di quella che aveva tutta l’aria di essere una solida fortezza, con tanto di mura difensive e fossato. Il ponte levatoio era però abbassato e vi era un intenso via vai di persone e carri.
Sopra al portale d’accesso svettavano due massicce torri di guardia e sopra di esse tre bandiere sventolavano nell’aria.
Per la giovane non fu difficile riconoscere la prima di esse: una rosa dorata su campo azzurro, il simbolo della famiglia Riario. Di fianco ad essa un’altra dallo sfondo rosso, con impresso uno scudo giallo con un’aquila nera, il tutto incorniciato da una corona d’alloro, lo stemma di Forlì.
La terza, invece, non appena Elettra la mise a fuoco si staccò di scatto dal davanzale, pallida: tre caproni neri su campo oro. L’araldo di famiglia.
Perché il simbolo della sua famiglia svettava sulle mura di quella che si era convinta essere la Rocca di Ravaldino?
Dei mugoli di protesta la portarono a rigirarsi verso il letto, dove una figura ancora non completamente sveglia si muoveva tra le lenzuola sfatte: doveva essere stata disturbata dalla troppa luce e da un raggio di sole che le era finito intenzionalmente proprio sul viso.
Si trattava di una donna i cui lunghi boccoli dorati parevano riflettere la luce solare. Si stropicciò gli occhi e si stiracchiò le braccia prima di decidere di alzare le palpebre. Le sue iridi azzurre vagarono seppur assonnate per tutta la stanza, fermandosi infine proprio su di loro, o almeno così pareva ad Elettra.
“Non può vederci”, le sussurrò ad un orecchio Giuliano.
La giovane annuì a fatica, mantenendo lo sguardo fisso su quella donna… su sé stessa.
Doveva trattarsi senz’altro di lei, anche se nel suo sguardo, nell’espressione del suo viso, vi era qualcosa di diverso: quella che aveva davanti era una donna adulta a tutti gli effetti e questo lo si poteva vedere anche nei suoi occhi, più saggi, che parevano parlare di avventure che lei non aveva ancora vissuto. Ma c’era anche una sfumatura anomala in quello sguardo che scrutava curioso l’esterno: tristezza, forse? O la rinuncia a qualcosa.
Elettra si chiese perché fosse andata a Forlì e non fosse rimasta a Firenze. Stava per chiederlo a  Giuliano, ma l’abbassarsi della maniglia della porta d’entrata la distrasse. Entrò un uomo dalle vesti scure che Elettra non esitò nemmeno un istante a riconoscere: per Girolamo gli anni -“Ma quanti anni con esattezza?”, si chiese- parevano non essere passati; il suo fisico appariva ancora muscoloso e in forma. Solo alcuni fili grigi tra i folti capelli corvini lo tradivano.
“Buongiorno”, disse sé stessa con voce impastata, voltando appena il capo alla propria sinistra. Sulle sue labbra si formò un sorriso radioso che ben presto contagiò anche il Conte.
“Buongiorno a te”, rispose lui. “Speravo che stessi ancora dormendo, ma vedo che non è così”
“La troppa luce mi ha svegliata, ieri notte devo essermi scordata di tirare bene le tende”, rivelò lei.
Girolamo si voltò ad osservare le finestre con aria pensierosa, come se qualcosa non gli tornasse ed Elettra temette che avrebbe potuto vederli dal momento che avvertiva i suoi occhi trapassarla come se fossero uno spillo, ma poi l’uomo tornò ad osservare la sua copia più adulta. Il suo sguardo fisso sull’addome della donna.
Anche Elettra lo seguì: inizialmente aveva pensato che il rigonfiamento intorno al suo ventre  fosse dovuto ad un ammasso di lenzuola, ma ora si rese conto che non era così. Si osservò scostare le coperte, scoprendo una rotondità dal significato inequivocabile.
Il Conte si chinò su di essa, lasciando un bacio all’altezza dell’ombelico.
Elettra potè chiaramente avvertire il calore emanato dalle labbra dell’uomo e l’indugiare di esse sulla pancia della sua versione più adulta. Ma non fu questo a turbarla maggiormente, non quanto l’avvertire qualcosa muoversi dentro di lei… o forse si era mosso nella sua omonima?
“Ovviamente al piccolo conte sono riservate più attenzioni che a me”, commentò la donna con ironia.
“E a modo suo mi sta augurando buongiorno”, ribattè Girolamo in riferimento ai calci che il bambino tirava all’interno della pancia. Accarezzò con sguardo perso il ventre rotondo di lei.
Anche una delle mani della donna finì a lasciare lente carezze poco sotto l’ombelico. Sorrise, reclamando poi con la propria espressione un bacio che non tardò molto ad arrivare.
Elettra li osservò pallida, improvvisamente senza parole. Avrebbe creduto che le rivelazioni traumatizzanti fossero finite per quel giorno, ma dovette ben presto rimangiarsi la parola: un servitore anziano, elegante nella propria livrea blu notte, si affacciò alla porta, facendo sussultare i due amanti, che si staccarono all’istante. Dal suo distogliere lo sguardo dai due si poteva chiaramente intuire il disagio e l’imbarazzo per averli interrotti.
“Le contessine desiderano darvi il buon giorno”, farfugliò.
“C-contessine?”, balbettò Elettra, voltandosi di scatto verso verso Giuliano.
L’amico restò in silenzio, soffocando una risata nel pugno chiuso. Lo sguardo fisso sul servitore che si faceva improvvisamente da parte appiattendosi contro lo stipite della porta, mentre un rumore di passi sempre più concitati si faceva più vicino. Due bambine entrarono nella stanza e, sempre correndo, si diressero ad abbracciare la donna, dopodichè, una dalla parte libera del letto e l’altra seduta sulle ginocchia di Girolamo, le poggiarono l’orecchio sulla pancia.
“Mamma, il nostro fratellino si muove!”, disse quest’ultima.
Elettra dovette appoggiarsi al davanzale dietro di lei a quella rivelazione, le gambe che si erano fatte improvvisamente molli. Cercò di mettere insieme quello che fino ad allora aveva scoperto: in quel futuro lei e Girolamo avevano dei figli, forse era per quello che lei si era trasferita a Forlì. Il Conte doveva averli riconosciuti, visto il titolo con cui il servitore aveva chiamato le bambine. Riguardo a sé stessa, probabilmente era rimasta ad essere la sua amante… ma allora perché l’araldo di famiglia svettava sopra le mura difensive?
“Contessa, il vescovo sarà qui tra mezz’ora per discutere dei nuovi affreschi per la cattedrale”, disse il servo.
Ed Elettra dovette impegnarsi per non cascare a terra: lo aveva sposato, l’altra sé stessa lo aveva sposato… e ora era contessa.
“Ora mi preparo”, rispose la diretta interessata, mettendosi goffamente e a fatica a sedere.
Il servitore fece un inchino ed uscì.
Girolamo le scoccò un’occhiataccia.“Dovresti riposare, non metterti a litigare di nuovo con il vescovo”.
La donna rise, attirando in un abbraccio le figlie. “Prometto che questa volta non volerà alcun libro per il mio studio”
Giuliano prese la mano di Elettra e lei sussultò a quel contatto. “Sarà meglio uscire”, le sussurrò ad un orecchio.
La giovane annuì impercettibilmente e mentre si lasciava docilmente trasportare fuori, il suo sguardo era fisso su quella donna che in quel momento rideva spensierata mentre le sue figlie facevano il solletico al loro padre. Le pareva così lontana nel tempo da lei.
Passarono nuovamente nell’anticamera dell’appartamento padronale, ora immersa nella calda luce del mattino. Di fronte a quelle sconvolgenti rivelazioni, riusciva a vedere quell’ambiente in modo differente, a dare ad esso una diversa interpretazione: quei motivi vegetali, che prima le erano parsi stonare con l’austerità del portale su cui erano stati applicati , le apparivano più dolci. Sapeva come arredare un ambiente, renderlo gradevole all’estetica e alla moda di quegli anni e, senz’altro, la sé stessa di quel futuro aveva più esperienza di lei alle spalle. Ma nella Rocca di Ravaldino non era stato fatto appieno.
Sapeva anche Girolamo aveva un rapporto molto molto stretto con le città che governava; a Firenze le aveva parlato spesso di Imola e Forlì con uno sguardo sognante, un’espressione che vedeva impressa sul suo volto solo in quei momenti. Dalle tante volte che lo aveva udito descriverle quei posti, le pareva di esserci stata anche lei. Senz’altro la sua versione dai capelli che cominciavano ad ingrigirsi doveva avere un rapporto più stretto con i suoi possedimenti.
Come Elettra avrebbe potuto stravolgere la Rocca con affreschi, motivi vegetali e tinte dai colori pastello, il Conte avrebbe potuto costringerla a vivere in un fortino militare dall’aria austera, le tinte scure e privo di ogni singolo decoro. Invece in quel luogo c’era un perfetto connubio di entrambi, un segno di rispetto reciproco, di fiducia e, forse, di sentimenti molto più forti.
Si ritrovarono quasi senza accorgersene nuovamente nel corridoio di pietra.
Mentre Giuliano richiudeva alle proprie spalle il pesante portale ligneo, Elettra gli diede le spalle, allontanandosi di alcuni passi. Si strinse le braccia intorno al corpo, immaginando che a toccarla non fossero le sue mani scheletriche, ma quelle calde e rassicuranti del giovane de Medici.       
“Quello è solo uno dei molteplici futuri a cui potresti andare incontro”, le disse lui avvicinandosi con cautela.
Lei sospirò e, dopo alcuni istanti di indugio, si mise a camminare al suo fianco. “In quel futuro ho lasciato Firenze, l’ho sposato e ci ho fatto dei figli”, ragionò con voce flebile. “Tutte cose che io non voglio assolutamente fare. E poi con…”. Serrò gli occhi e la sua espressione si fece sofferente. “…con il tuo assassino”
Sapeva che non era stata la lama di Girolamo ad ucciderlo, eppure non poteva pensare di passare sopra al fatto che anche lui era tra gli ideatori della congiura.
“Elettra…”, tentò di dire Giuliano, con cautela. Proseguì solo quando ebbe la sua completa attenzione. “Il futuro è un insieme di infinite variabili che non dipendono solo da te, ma è un concatenarsi di scelte ed azioni di differenti persone. Persino l’incontrare per strada uno sconosciuto può causare enormi mutamenti, perciò te lo ripeto: ciò che hai visto non è detto che accadrà”
“E se dovesse accadere?”
“Tu e la donna che hai visto siete la stessa persona, ciò che prova una lo avverte anche l’altra quindi dimmi: che cosa hai sentito?”
“Il feto si è mosso”, fu la sua pronta risposta, l’espressione contrita.
Giuliano non potè fare a meno di ridere, ma tornò presto serio. “Ero certo che l’avresti detto, ma io mi riferivo alle sue sensazioni: come ti sembrava?”
Elettra si fece pensierosa, l’aria assorta di chi è in cerca di una risposta il più completa possibile. “Felice”, disse dopo alcuni istanti. “Felice che… lui… fosse lì con lei. Direi che si sentisse a casa, non vi era nulla che mi faccia pensare che lei si sentisse un’estranea a Forlì”. Il giovane de Medici annuì, il chè la portò a continuare a descrivere le sensazioni che aveva ricavato. “Non ha fatto niente perché costretta, ognuna di quelle scelte era solamente sua. Non ha mai pensato a Firenze, quindi deduco che l’abbia lasciata a cuor leggero, più o meno”
Non c’era bisogno che Giuliano aggiungesse altro, lei aveva già intuito tutto. Il sorriso sulle  labbra del giovane de Medici era un sorriso pieno quando si voltò ad indicarle un’altra porta.
Così presa dai propri ragionamenti, Elettra nemmeno si era accorta di essere ritornati davanti alla porta che conduceva alla cabina della nave.
“Combattere e vivere oppure arrendersi e morire?”, le chiese.
Lo sguardo della giovane si spostò più volte dalla porta a lui.
“Conosco una ragazzina fiorentina dalla lingua lunga e con il vizio di puntare armi alla gola che non avrebbe esitato a rispondermi”, aggiunse ironico.
Lei sospirò. “Vorrei sapere dove è finita”, ribattè azzardando un tentativo di sorriso.
Giuliano le si avvicinò, poggiandole una mano sul cuore. “È sempre qui, solo che ora si nasconde. Chissà, se prendessi la decisione giusta magari potrebbe riemergere”
“Lo vorrei così tanto”
“Quindi?”
Elettra guardò nuovamente la porta e poi lui, annuendo con il capo. La sua espressione però si fece improvvisamente cupa. “È un addio questo?”
“Elettra, io non ti lascerò mai. Magari non sarà al tuo fianco fisicamente, ma sarò sempre qui”. Le indicò nuovamente il cuore. “A tentare di mitigare l’impulsività di una certa ragazzina di mia conoscenza”, aggiunse, facendola ridere. “E a cercare di tenerla fuori dai guai”
“Quella sarebbe un’impresa impossibile”, ribattè lei ironica.
Questa volta la risata che si udì fu quella di Giuliano, ma un istante dopo tornò ad essere serio. “Scegli la vita, per favore”, la implorò.
Elettra a quel punto lo abbracciò, stringendolo a sé con tutte le proprie forze. “Lo farò”, rispose.
 

***
 

Erano passate ormai diverse ore e l’alba era ormai alle porte. Girolamo non aveva mai lasciato il suo posto accanto al letto e se ne stava lì, immobile, in attesa di un qualsiasi mutamento: era da parecchio che tutto era fermo, senza miglioramenti o -questo sperava proprio di no- peggioramenti.
Le teneva sempre la mano, ma la stanchezza e la tensione lo avevano indotto a poggiare il viso sul materasso e a chiudere gli occhi.
Immerso in una sorta di dormiveglia, di primo acchito nemmeno si accorse di un lieve movimento delle dita di lei. Si accorse in un secondo momento che esse si erano appena sollevate tra le lenzuola e per poi ricadere su di esse.
Aprì di scatto gli occhi e il suo sguardo corse immediatamente al suo viso: sotto alle palpebre abbassate, gli pareva di vedere le pupille muoversi. Anch’esse gli sembrarono quasi sollevarsi, ma, pensò, doveva essere solo frutto della sua malevola immaginazione, che lo portava a vedere ciò che era impossibile che accadesse.
Rimase pietrificato quando esse si spalancarono per davvero. Trattenne persino il respiro mentre osservava quegli occhi color cielo in cui si era perso decine e decine di volte.
Elettra osservò per diversi secondi il soffitto ligneo della cabina poi, lentamente e a fatica, voltò il capo alla sua sinistra.
“Girolamo…”, sussurrò con voce rauca, tipica di non emette alcun suono da troppo tempo.
Lui rimase immobile ancora per alcuni istanti, dopodichè si chinò su di lei, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo.
“Grazie al cielo”, mormorò commosso.  


Nda 
Con così tanto anticipo? Eh già, questa volta voglio proprio far venire a nevicare (e dico sul serio, non è possibile che nevichi dovunque tranne che da me!). 
Siete sollevati di sapere Elettra salva (sana non saprei dirlo con esattezza)? A me è venuto un po' di magone a pensare che forse questa è stata l'ultima volta che ho scritto di Elettra e Giuliano insieme. Come coppia mi mancheranno.
Come sempre: buona lettura e fatemi sapere i vostri pareri.

PS. appuntamento il prossimo mese su "
Se io potessi raccontare tutto, farei stupire il mondo"

   
 
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