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Autore: pamina71    04/12/2017    9 recensioni
Sono passati cinque anni dalle ultime indagini di André ed Oscar, che ora vivono apparentemente tranquilli a Gravelines, in realtivo anonimato, giacchè intorno infuria il Terrore. In questa vita quasi agreste giunge una vecchia conoscenza, in cerca di aiuto, e una situazione incresciosa li porta a condurre una rapidissima indagine.
Una mini-long per chiudere la serie noir che siete state tanto gentili da seguire nei mesi scorsi.
Il titolo è parte di un aforisma: Ci sono anni che pongono domande e anni che rispondono. (Zora Neale Hurston).
Questa storia fa parte della serie "Lupi, giganti ed altre avventure"
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Lupi, Giganti ed altre avventure'
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6. David e Golia

 

Oscar non vedeva l'ora di terminare quella visita dalla vedova Suger e di tornare da Christophe, che si immaginava solo nel suo lettino.

Si accinse a bere il proprio tè nella maniera più rapida consentita dalla buona creanza. In fondo, era lì per indagare, certamente non per intessere nuove amicizie e relazioni.

La voce flebile di Olympe la sottrasse ai propri pensieri.

- Cittadina Françoise, voi non vi siete maritata con nozze combinate, non è vero?

A parte la scarsa abitudine all'appellativo, Oscar si trovò spiazzata dalla domanda così diretta, soprattutto perché posta da una ragazzina di cui quasi nessuno pareva aver udito la voce.

- E' vero. Ho avuto la fortuna di convincere mio padre a darmi in sposa all'uomo con cui desideravo vivere.

- Io non ne sono stata capace. Mi ha promessa al figlio del notaio. Io non lo amo, e lui non mi sopporta e mi disprezza. Eppure sono intrappolata in un fidanzamento non voluto. Se mio padre fosse vivo potrei forse ancora provare a convincerlo, ma così…

Oscar guardò quella figuretta contrita, stretta nelle spalle, che si rigirava tra le mani nervosamente un fazzolettino ricamato. Le venne in mente che c'era ancora una speranza per quella fanciulla.

- Le vostre nozze sono, erano, un mezzo per salire un gradino nella scala sociale. La famiglia del notaio è, perdonatemi la franchezza, più in vista della vostra. Il notaio deve aver accettato per denaro, ma non è detto che rimanga dello stesso parere dopo la morte di vostro padre. Potrebbe arrivare qui con l'intenzione di rompere il fidanzamento.

- Davvero? - chiese Olympe, con una nota di speranza della voce.

- E' solo un'ipotesi. Ma non la escluderei. Oppure vostro fratello Charles potrebbe rompere direttamente il fidanzamento.

Non disse che in città si mormorava che dovesse parecchio denaro a Suger. Non disse che, il giorno del fidanzamento, molti avevano malignato che il fabbro avesse chiesto ed ottenuto le nozze a saldo di un debito. Non disse che avrebbe scommesso sulla rottura della promessa entro il funerale.

Bevve invece il tè in silenzio, per poi accomiatarsi in fretta con la scusa di essere a casa per l'ora di pranzo.

 

Raggiunse la porta di casa nello stesso memento in cui André svoltava l'angolo. Lo attese, felice di poter entrare insieme a lui ed andare direttamente dai bambini. Per un paio d'ore si dedicarono esclusivamente a loro, con un gioco, il pranzo, e solo quando venne l'ora del riposino pomeridiano dei piccoli ripresero a parlare delle indagini.

Oscar raccontò del suo nulla di fatto, se si escludeva il sospetto che era sorto a proposito della vedova, che però le era parso troppo labile per portare a qualcosa.

André raccontò invece di aver girato con l'intendente per la città, sia alla ricerca di testimoni, in maniera più o meno diretta, sia ponendo domande sia ascoltando le conversazioni che si svolgevano in strada e nelle locande. Disse di aver avuto l'impressione che tutta la mattinata fosse stata infruttuosa, un rincorrersi inutile di voci, di pettegolezzi, alcuni colti d'improvviso, altri, gli era parso, pronunziati a bella posta per indirizzarli in qualche maniera.

- Sai una cosa? - concluse André – ad un certo punto mi è parso che l'unico davvero sincero, privo di secondi fini, fosse Bard. In uno dei suoi discorsi accusatori e sconclusionati, ha detto di aver veduto qualcuno parlare con Suger. Più alto di lui, e più magro. Ha anche usato una strana espressione. Ha parlato di David… credo si riferisse al modo in cui Suger è stato ucciso, con un sasso. Come Golia.

- Che strano modo di esprimersi… non sapevo che Bard avesse questa conoscenza dei racconti biblici.

- A modo suo, ha fatto una disamina del caso. Un violento ucciso a sassate. Ci ha detto come vede vittima e assassino.

 

Victor, stanco di rimanere nella propria stanza, scese nella sala comune dell'osteria quando il fratello, infine, si era addormentato, sfinito da quel dolore che non lo abbandonava ormai più. Il cambiamento dalla casa vivace e un poco caotica dei Grandier all'isolamento della stanza alla locanda era stato per entrambi più desolante di quanto avrebbero mai osato ammettere. Aurélien aveva trovato un poco di serenità osservando i bambini, per la prima volta dopo mesi. Victor, nonostante non avesse mai approvato quel matrimonio, si era trovato bene nella dimora che lo ospitava, un ambiente informale e meno rigido di quanto accadesse nei palazzi nobiliari.

Pertanto, si era seduto ad un tavolo della sala, appartato ma non troppo, con una caraffa di sidro accanto a sé: Dalla sua postazione stava osservando un gruppo di tre uomini parlare di pesca. Trovava molto divertente ascoltare i loro dialoghi, che pareva si ripetessero secondo uno schema collaudato. Un tipo robusto, con il volto solcato da innumerevoli rughe, pareva essere l'indiscusso capo del gruppo, e pareva quello che esprimeva le opinioni del gruppo. Un tipo più taciturno, ma altrettanto rugoso, si limitava ad assentire o a rinforzare le opinioni già espresse. Il terzo rinforzava quanto già espresso con esempi e commenti.

Victor ascoltò il ripetersi dello schema a proposito di due o tre argomenti diversi. Poi la conversazione si diresse vero l'argomento del momento: il delitto Suger. Il capo indiscusso del terzetto, che pareva chiamarsi Jaques, o Jaquot, come lo chiamavano i compagni (Girodelle pensò una volta di più a quanto fossero barbaramente arcaici quei nomi) oscillava tra due ipotesi contrastanti, alle quali i suoi amici assentivamo supinamente e alternativamente. Certo, Suger era un testone violento, e quindi il colpevole era qualcuno che lui aveva oppresso. Certo, non era mai capitato nulla prima che arrivassero i due stranieri, e quindi doveva essere colpevole colui che aveva litigato con lui alla festa. Certo, era uno strozzino, lo sapevano tutti, quindi l'assassino era uno di quelli che avevano ricevuto denaro, e magari non riusciva a restituirlo.

A parte un attimo di panico alla bocca dello stomaco nel momento in cui si sentì additare come colpevole, discorso fatto nonostante i tre lo avessero veduto benissimo seduto al tavolo, e riconosciuto, Girodelle si godette quell'ascolto che lo faceva entrare nel modo di pensare di quella comunità chiusa. Poi uno dei tre uomini gli fece un cenno, per invitarlo a bere con loro. In quel tardo pomeriggio erano gli unici avventori, e i normanni non parvero notare l'incongruità di chiamare al proprio tavolo uno che avevano appena accusato come possibile omicida. Victor si spostò, reputando meglio non dare adito ad ulteriori sospetti, e con l'intenzione di cogliere gli umori locali.

Dopo alcuni sorsi in silenzio fu quello che esprimeva i concetti, Jaquot, a dar voce alle curiosità del gruppo.

- Voi allora siete amico del Grandier dai tempi di Parigi?

Dopo aver compreso che quella doveva essere una versione da osteria di un interrogatorio, l'ex Maggiore decise di stare al gioco. In fondo, si trattava di una buona opportunità per sapere cosa si pensasse di lui e per seminare a proprio piacimento informazioni.

- Ci siamo conosciuti moltissimi anni fa, praticamente da ragazzini. - Non insistette sul termine amico.

- Credevo che lavoraste insieme.

- Non proprio insieme. Solamente nello stesso edificio. Avevamo ruoli differenti.

Decisamente un eufemismo per definire i rispettivi incarichi a Versailles.

- E la cittadina Françoise? Molto bella , ma molto...particolare.

- Aveva una certa fama. Padre abbastanza ricco, lei era affascinante e godeva di alcune libertà che non tutti i genitori avrebbero concesso.

- Ma già allora si vestiva da uomo, ogni tanto?

- Il Padre aveva a che fare col commercio di armi. Voleva che sapesse usarle. E lei ha un certo talento. Ha anche istruito dei nobiluomini all'uso della spada. Altro dettaglio che ne accresceva il fascino, almeno per alcuni.

Victor si complimentò con sé stesso per come aveva rigirato la frittata.

- Ma perché l'Intendente chiede sempre al cittadino Grandier di aiutarlo? Non è mica un militare? E farsi aiutare da lei, poi!

- Quando abitava a Parigi André aveva avuto l'occasione di aiutare nella soluzione di un delitto. E lei aveva dato una mano. Forse la voce è arrivata all'intendente...non saprei.

- Parlate di me? - chiese una voce dalla porta.

Con il viso ancora segnato, l'oggetto di tanta curiosità si affacciò alla porta.

Si sedette con gli altri quattro uomini, si servì del sidro e annunciò a Victor che, siccome Christophe stava meglio, lui e il fratello sarebbero potuti tornare a casa loro.

- Ma dovreste utilizzare l'altra camera, se non è un problema dividere il letto con Aurélien.

   
 
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