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Autore: Helmyra    07/12/2017    2 recensioni
Quintus amava la fragranza di menta, l'odore pungente della cannella in un infuso di malva, lavanda e camomilla. Nurelion gliene chiedeva uno ogni sera, prima di immergersi nella lettura dell'eventuale libro da cui avrebbe ricavato l'elemento mancante per scoprire il nascondiglio della fiala.
Che aveva avuto modo di toccare, con le sue stesse mani. Peccato che fosse rotta e, con essa, fosse peggiorata pure la salute del maestro.
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Il mistero della Fiala Bianca verrà risolto, e con essa saranno confermate le sorti dei tre personaggi coinvolti nella ricerca. Quintus è deciso a curare il maestro Nurelion dalla malattia, la dunmer Dyanna a fabbricarsi almeno un ricordo felice che può illuminarle il presente... ma cambiare il destino può essere arduo, nonostante la buona volontà.
Una storia semplice con un risvolto cupo, sperimentale a modo suo, tra il vecchio e il nuovo.
Genere: Fantasy, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Gli zoccoli di Iperico affondarono nella neve, e il cavallo soffiò spazientito, niente affatto contento di fermarsi sotto le nuvole notturne annuncianti il nevischio. Haraldur lo rassicurò, battendo il palmo della mano sul collo robusto, sicuro che presto avrebbe potuto riposare sotto il tetto di una stalla con la coperta sul dorso.

“Sei convinta di non aver bisogno d'aiuto?” Domandò il Dovahkiin a Dyanna, che procedeva accanto a lui, in sella ad una giumenta, indicandogli il cammino con una fiammella sgargiante.

“Perché dovrei distoglierti dal viaggio verso Whiterun, per una faccenda che riguarda solo me?” Rispose lei, con voce ferma. “Sei stato un valido compagno d'armi, Sanguis Draconis, e da tempo non provavo il brivido dell'avventura. Mi ha fatto piacere, perché tu avevi bisogno di una chiave e io di qualcuno con cui sgominare i pericoli. Da sola non credo che ce l'avrei fatta.”

“Te la sei cavata bene.” Una risata roca ma sincera. “Ammetto, però, che mi ha sconcertato vederti rianimare i draugr per porli sotto il tuo comando. Non paura ad agire, più timore verso ciò che non conosco e comprendo. Persino i maghi del Collegio avrebbero difficoltà a praticare certi tipi di magie... Chi è che t'ha insegnato?”

“Il mio maestro.” Troncò lei, in maniera evasiva. “Era un potente evocatore. Con la dissoluzione della Gilda dei Maghi tutti i divieti sono venuti meno, ma ero restia a farlo, perché non credo sia corretto destare un morto dal sonno eterno. Il morto in questione, però, era un antico condottiero deciso ad avere il nostro scalpo. Be', lì per lì non mi sono posta più il problema.”

Haraldur rise ancora.

“Noi Nord abbiamo rispetto solo per quelli che se ne stanno chiusi nelle bare. I draugr non piacciono a nessuno, anzi, le antiche storie raccontano che siano anime maledette. Hanno creduto in dèi abietti e alla prima occasione bevono il sangue di chi osa disturbarli.”

Un sorriso amaro solcò le guance della dunmer.

“È stato un piacere visitare Ivarstead e averti come guida.” Cambiò discorso, per evitare il silenzio. “Raggiungere la Gola del Mondo sarebbe stato impossibile, se non t'avessi incontrato. Gli Otto mi hanno messa sulla strada giusta.”

“Potrei affermare lo stesso.” Concordò Haraldur, spronando Iperico.

In precedenza Haraldur aveva visitato spesso la Caverna Desolata, ma nulla nelle sue vicinanze lasciava intravedere presenze mortali. Era stato attratto lì dall'eco fievole di una voce, sepolta nelle profondità dell'antro. Sapeva di Curalmil, era stato Arngeir a raccontargli del potente mago guerriero che aspirava all'immortalità: eppure, la sua stessa creazione l'aveva condotto alla morte, generando invidia e dissidi in chi osava impadronirsene. Venne sepolto – e sigillato – all'interno di una tomba sperduta e in un luogo altrettanto remoto da un gruppo di cacciatori, disinteressati al tesoro confinato con lui ed incapaci di produrre la mistura che avrebbe aperto le porte per la camera mortuaria.

Per puro caso aveva notato una tenda, a pochi passi dall'apertura del tunnel. Un semplice campo, braci ancora calde sovrastate da una pentola appesa ad uno spiedo, più uno sgabello di legno e tela quasi sepolto dalla neve.

Era certo che non si trattasse di un bandito, lo intuì dal modo in cui erano disposti i vari elementi. Temé di trovarsi di fronte l'ennesimo ragazzo focoso, esiliato dal Collegio di Winterhold per comportamento poco consono, ma fu sorpreso quando dal riparo di tela incerata venne fuori una dunmer con l'aspetto di una matrona.

Disposta ad entrare nella grotta e a collaborare.

“Io e Meli avremmo voluto trattenerci di più e ammirare meglio la montagna. Non dimenticherò ciò che hai fatto, Quintus e Nurelion sarebbero d'accordo.”

“Quindi, le nostre strade si dividono.” Haraldur aveva colto una nota di tristezza nella frase. In effetti, non gli era dispiaciuto avere un mago ad assisterlo, specialmente un'evocatrice versatile come lei, inaspettatamente abile in battaglia. “Ti verrò a trovare quando passo per Winterhold.”

Credeva di renderle il favore, ma Dyanna si ritrasse, quasi avesse osato pugnalarla a parole.

“È una piccola baita sperduta, la casa in cui vivo. Dubito che riuscirai a trovarla.” Gli occhi rossi – fissi sul selciato – divennero spenti e umidi. “E non vivo da sola. Con me c'è... il maestro.”

“Non sembri contenta... non è che hai bisogno d'aiuto? Conosco il locandiere a Winterhold, da lui alloggia un elfo alto che vende pergamene incantate. Se magari lo convincessi ad assumerti come assistente...”

Non fu quella proposta a farla trasalire, ma il fatto che avesse osato strapparle una mano dalle briglie, per stringerla nella destra. Il contatto fu fugace, il guerriero non tenne la presa perché non volle prolungare il suo imbarazzo... si meravigliò, comunque, dell'estrema freddezza di quegli arti, di una rigidità pari a un fantoccio d'allenamento.

Non trattenne lo stupore e lei se ne accorse, inclinando il capo in un movimento signorile.

“Devo sbrigarmi.” La voce di Dyanna tremolò, come quella di un ladro colto sul luogo del crimine. “Abbi cura di te, Haraldur. Spero che gli dèi siano generosi... meriti tutta la fortuna del Nirn.”

“Aspetta...”

Andata. Un passo falso era stato, bastevole a farla fuggire via per lasciarlo lì, col dubbio. Un pizzicore gelido, sotto la cotta di maglia, fu l'avvisaglia della tempesta d'acqua e ghiaccio che si sarebbe scatenata di lì a poco. Rimpianse che fosse partita via, al galoppo, perché nella sua ingenuità da montanaro non aveva saputo tenere la lingua a freno.

Era tentato di rincorrerla, sebbene temesse di spaventarla ulteriormente. Alla fine, si risolse a scuotere la testa e ad agire proprio come lei aveva predetto: prese la strada opposta e si diresse verso ovest, offuscando gli occhi grigi col cappuccio calato sulla fronte.

“Sei tu ad aver bisogno di fortuna, amica mia. Mi considero benedetto, ogni giorno...” Bisbigliò al vento freddo, mentre ripartiva ancora.

 

Scivolò tra le rocce scoscese e le cime frastagliate degli abeti, mantenendosi sulla strada battuta ed evitando le pozze ghiacciate. Albeggiava, e la pesante coltre di nubi parve schiarirsi appena, mentre riguadagnava terreno e incitava Meli al galoppo.

Distolse lo sguardo dal cielo, per puntarlo sulla strada: la brina ricopriva gli steccati e aveva bloccato i fiori in pose contorte, dolorose.

Arrivò a Windelm in tarda mattinata, e Dyanna pregò che Nurelion non avesse ancora lasciato il Nirn. Una volta superato il bivio, si ritrovò di fronte il ponte che collegava la città alla sponda opposta del fiume.

“Verrò a prenderla più tardi, Ulundill.” Lo stalliere non ebbe tempo per risponderle, poiché già correva sulla passerella di pietra, verso il gigantesco portone principale.

Si ritrovò ancora immersa tra i soliti odori del mercato: carni fresche ed essiccate, gli aromi di salvia e rosmarino della selvaggina cotta allo spiedo. Dall'altro versante del mercato, il sibilo di una lama immersa da Oengul nell'olio da tempra. Era una giornata come tutte le altre, ma per lei avrebbe fatto la differenza. Non si curò dell'assistente forgiatore, Hermir, del suo sguardo circospetto: forzò la porta traballante e fece in modo di chiuderla in fretta, bloccandola col proprio peso.

Boccheggiò. Aveva avuto ben altro a cui pensare, perciò solo in quell'istante parve notare quanto fosse fredda l'aria di Windhelm, reduce dalla tempesta notturna che l'aveva

colta sulla strada. Dyanna chiuse gli occhi, trattenne un sospiro ansioso e decise di affrontare le speranze, le paure e i lamenti di chi doveva trovarsi dietro il bancone.

Quintus, però, non era lì.

L'alchimista imperiale si sorreggeva alla balaustra delle scale, troppo abbattuto per azzardare persino un saluto.

“Spero di non essere in ritardo, ho accorciato le distanze quanto potevo, ma ho ciò che serve!” Sembrò afflosciarsi su se stessa, col mantello sulle spalle. Mormorò delle semplici scuse.

“Pregare gli Otto è servito, se finalmente sei tornata, Dyanna.”

Non badò al proprio aspetto, al mantello che gocciolava sulle assi fuori posto. Tirò fuori dalla borsa di velluto ciò per cui era lì, e mentre rovistava sotto il bancone per cercare delle ciotole vuote, Quintus recuperò la fiala. Che strano vederla comparire dietro un esercito di ampolle vuote e di poco valore. Così nascosta, nessuno avrebbe immaginato quale fosse il suo reale potere.

Le dita di Quintus, leste nel miscelare la polvere di mammut con la neve perenne, esitarono sul cuore di rovo. Orrore, disgusto, reticenza... conosceva quei sentimenti, comuni negli alchimisti che non si erano mai addentrati oltre il mistero degli elementi, per sconfinare nella magia oscura.

Dyanna decise di risparmiargli l'onta e afferrò, a mani nude, il muscolo cavo e grondante.

“Il cuore è il nesso.” Pronunciò, per stemperare l'imbarazzo di fronte a fenomeni che superavano la sua comprensione. “Serve solo il sangue”.

No, non sarebbe disceso con lei verso quel tormento che è parte di chi sfida i propri limiti, per poi minacciare la sostanza dei divini. Divise a metà l'organo e lasciò che liberasse tutta la sua linfa. Quintus la osservò, ipnotizzato, mentre scuoteva la ciotola con ambo le mani. Chissà, forse in quel momento gli sembrava la strega che aveva ficcato quel pezzo di carne nel petto dello sciamano.

Quando versò il sangue, denso e caldo, sulla poltiglia, Dyanna sperò che Quintus non indagasse oltre. Lasciò che fosse lui ad usare il reagente sulla fiala, a constatare che il potere celato negli ingredienti fosse reale: un urlo di gioia, al quale lo sottrasse per calibrare un incantesimo che avrebbe ridonato a Nurelion la vita.

Dyanna gli perdonò l'esaltazione, lo slancio trionfante che lo condusse direttamente al capezzale del maestro. Lei lo seguiva, marcando uno ad uno i passi sulle scale.

Sono contenta che sia finita così. C'è un riscatto temporaneo per tutti, dalla morte, dalla malattia... Nurelion e Quintus potranno vivere insieme ancora per molti anni. Potranno farlo con calma, e se il peggio sarà, verrà accettato come un'eventualità naturale.

Ma ora Quintus ha bisogno di lui. Ha bisogno di lui, come io m'aggrappavo anni or sono a Sinderion, per iniziare una nuova esistenza a Skyrim...

“Maestro!”

Quell'urlo la fece sussultare.

Coprì la distanza tra l'ultimo gradino e il letto in un lampo.

“No!” Stavolta fu lei ad impugnare la fiala, a imporre al vecchio di bere. Il liquido colava sulle sue labbra secche, scivolandogli sul collo, sulle lenzuola di lana. Lo obbligò a spalancare la bocca e, in un gesto disperato, forzò il collo del recipiente tra i denti.

“Dyanna...”

“No, c'è ancora un modo, c'è ancora una possibilità!” Rifiutava la morte, specie se si presentava in quel modo: beffarda, cieca, indisponente.

Concentrò il proprio spirito in una sfera che emanava luce bianca e un piacevole tepore: infuse la sua energia sul petto scoperto dell'alchimista, ma egli rimaneva quieto, immobile. Con un placido sorriso a rigargli i lineamenti spigolosi.

“Dyanna... Nurelion è andato via. Ormai non possiamo fare più nulla per lui.”

Pianse. Aveva visto morire magister e apprendisti, alcuni suoi amici, non era nuova allo spettacolo. E l'aveva messo in conto, come una probabilità negativa dell'intero processo.

Già, non era estranea alla morte, piuttosto a turbarla era il legame inconscio che la sua mente aveva creato tra l'altmer di fronte a lei e Sinderion.

Non gli era stata accanto a dissuaderlo, per evitare che il pericolo lo colpisse nel profondo di una rovina dwemer. Riposava giorno e notte – in un sonno ininterrotto – dentro una caverna nei pressi di un fiumiciattolo senza nome, prima che una presenza inattesa la risvegliasse; prima che lui...

Era il passato, ma non l'accettava. Non sarebbe accaduto, mai.

“Ti ringrazio.” Quintus s'aggrappò alla sua spalla tesa, legnosa, ma allontanò subito la mano, come se avesse percepito qualcosa di diverso... di sbagliato. “Dirò a Helgird di far costruire una bara e preparare tutto per il funerale, domani... mi farebbe piacere se ci fossi.”

“Non ho intenzione di partire, no. Resterò... finché starai bene.”

“Ci ho creduto,” ammise l'imperiale, pulendosi le palpebre con l'indice. “Il destino ha voluto così. Riparare una piccola fiala, per poi vedere le proprie aspettative infrangersi, proprio come il cristallo di cui è composta. Eppure, lui è sereno. Sono contento di averlo visto sorridere, prima di addormentarsi per sempre.”

Nurelion gli aveva regalato un futuro. Magari, dopo un po', si sarebbe deciso a trasformare quella sistemazione provvisoria in una vera casa. Chissà, avrebbe potuto conoscere qualcuno e rendere il soppalco una camera abitabile.

Opportunità che un destino infame le aveva sottratto.

“Vorrei che tenessi la fiala... che ti desse parte della felicità che gli ha illuminato il trapasso.”

Allora, ha capito. Era così evidente?

“Preferisco sia tu a tenerla... ho paura di ciò che ha fatto al maestro.” Continuò Quintus. “Sono stato fortunato... perché era la sua ossessione ad ucciderlo lentamente, giorno dopo giorno.”

Essere bloccati in un desiderio, quasi quanto sperare di vincere in un gioco d'azzardo. O cercare qualcosa, all'infinito, perché si è incapaci di dare un valore a ciò che già si possiede.

Dyanna accettò a malincuore. Non perché si sentisse in colpa: la fiala catalizzava ogni sua angoscia, ingigantendola; lasciandole credere che mai se ne sarebbe liberata.

“Ti ringrazio.” Abbozzò, abbassando lievemente il mento. La veglia avrebbe portato con sé altre domande, rendendole le ore intollerabili.
 


 

Alla fine, il testo è venuto fuori più lungo di quanto immaginassi (cosa che ormai devo sempre tenere in conto...). Haraldur fa una breve comparsa, perché è diventato un personaggio fisso. Lo troverete un po' ovunque, perché ho pensato... anziché scrivere delle storie in cui lui è il protagonista, proviamo a creare delle trame diverse in cui lui è l'ospite d'onore. Non nego che mi piacerebbe molto scrivere solo di lui (e già ho in mente come dovrei fare), ma sono ancora in una fase in cui mi va di sperimentare. Non faccio piani perché mi risulta difficile prevedere quanto riesco a scrivere, in base al tempo e a quello che mi accade nella vita reale.

Il capitolo riprende in parte le vicende del primo, dal punto di vista di Dyanna. Non sono scesa molto nei dettagli riguardo il suo passato, però è nata nella Città Imperiale, da emigranti dunmer. Lei dovrebbe già appartenere alla terza generazione, quindi ha meno legami con Morrowind degli altri elfi oscuri che ho creato.

Ho accennato alla mia vecchia storia, All about second chances, che mi toccherà revisionare per renderla più adatta all'idea che ho adesso dei personaggi.

Quindi, non vi occorre leggere o andare a recuperare qualcosa. Prendete quello che racconto così com'è... aggiornerò tutto in un secondo momento, e se avete delle domande, sono qui a rispondervi.

:) A presto!

  
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