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Autore: TheSlavicShadow    07/12/2017    2 recensioni
Sei mesi dopo essere deiventata Iron Woman, qualcosa inizia a non andare come dovrebbe.
{Earth-3490; sequel di Wherever You Will Go}
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Maggio 2006

 

Si era chiusa in officina non appena erano tornati a Malibu. La sua idea di prendersi una vacanza con Steve una volta rientrati negli Stati Uniti era andata completamente in fumo. Avrebbe voluto andare con lui a New York. Vedere la palazzina che stava per comprare a Brooklyn e visitare la Stark Expo. Poi avrebbero potuto prendere una macchina e andare fino a Washington a trovare Peggy e raccontarle tutti i progetti che avevano. Ed erano tanti. Per una persona che era con un piede nella fossa e l’altro quasi, stava facendo davvero tanti progetti con le persone a cui teneva.

Invece erano saliti sull’aereo per tornare a casa non appena lei aveva finito la sua visita di cortesia in carcere.

Ivan Vanko le aveva messo i brividi quando lo aveva incontrato nella cella. Non aveva voluto darlo a vedere, ovviamente. Ed era ancora brava a fare finta di nulla. Steve l’aveva trascinata prima in ospedale, e non appena l’avevano dimessa era andata alla prigione della città. Steve alle sue calcagna. Ma lo aveva costretto ad aspettare fuori mentre interrogava l’uomo sul reattore arc miniaturizzato che aveva indossato. Non era come il suo. Era ad uno stadio precedente, molto rozzo e primitivo, e non poteva utilizzare tutto il proprio potenziale. Come lo era stato il vecchio reattore alla fabbrica di Los Angeles.

“Palladio nel petto, morte molto dolorosa.”

Aveva sospirato mentre appoggiava la testa contro lo schienale del divano. Stava guardando la televisione da fin troppo tempo perché le facesse bene. Sembrava essere tutto un fiasco totale se lei era coinvolta in qualcosa. Per una cosa che non aveva assolutamente potuto prevedere stavano cercando di darle la colpa. Non poteva sapere che uno psicopatico l’avrebbe attaccata così, in pieno giorno e con tutti quei testimoni.

L’opinione pubblica era divisa. C’era chi per una volta non le dava la colpa dell’accaduto, anche se poteva risparmiarsi di partecipare lei alla corsa. Un ma c’era sempre. E c’era chi la riteneva completamente fuori controllo da quando era tornata dall’Afghanistan. La decisione di non produrre armi. Iron Woman. Lo scontro con Stern. La Expo. La nomina di Pepper ad amministratore delegato. E ora Monaco.

Nello scontro erano morti due piloti e altri due erano gravemente feriti. Due macchine erano esplose con i piloti bloccati dentro. Uno era in ospedale con una brutta lesione alla schiena. L’altro con un’ustione estesa a quasi tutto il corpo. Mentre lei era tornata a casa sulle sue stesse gambe. Qualche graffio e basta. In realtà si stupiva di non essere rimasta ferita quando la sua macchina si era rovesciata.

“A volte mi chiedo perché hai una casa così grande se poi passi tutto il tuo tempo qui.”

Aveva spostato lo sguardo su Steve che era appena entrato in officina. Non l’aveva messa in lockdown solo per non far arrabbiare ulteriormente quell’uomo. Non era per nulla contento di quello che era successo a Monaco. Era arrivato sulla scena correndo, giusto un attimo prima dell’arrivo di Pepper e Happy con la sua valigetta-armatura. Si era messo in mostra troppo e lei aveva avuto il terrore che qualcuno potesse scoprire la sua vera identità. Erano sempre stati tutti molto attenti a tenere Capitan America segreto e non voleva essere lei la causa del suo smascheramento. Ricordava suo padre che ripeteva in continuazione che il mondo non era pronto per il ritorno di Capitan America. E così la pensavano tutti allo S.H.I.E.L.D.. Da quello che sapeva, nessuno nell’Esercito o ai piani alti sapeva del ritorno di Steve Rogers.

“Status symbol. Dovresti saperlo ormai. Come le macchina, la piscina, il pianoforte a coda che nessuno suona da anni, i quadri fin troppi costosi.”

Steve le aveva sorriso un po’ e si era avvicinato. Con un sospiro si era seduto accanto a lei sul divano. Lei si era subito accoccolata contro di lui, infilandosi sotto il suo braccio e appoggiando la testa contro la sua spalla.

“Natalie è di sopra che sta cercando di non rispondere al telefono. E Fury sta arrivando.”

Aveva chiuso gli occhi e aveva sospirato. Non voleva vedere Fury. Voleva stargli il più lontano possibile perché era sicura che avrebbe litigato anche con lui. Lo conosceva da quando era una bambina, e spesso avevano battibeccato per i più disparati motivi. Ora poteva solo immaginare quanto avrebbe urlato. Era stata una cogliona lei e aveva quasi fatto scoprire Steve.

“Voglio fuggire come Banner. Ora lo capisco benissimo.”

“E vivere lontana da Dum-E?” Steve le aveva baciato i capelli e poi aveva sentito le sue dita che si insinuavano nel colletto della sua maglietta. “Tasha, quanto è grave questa cosa?”

“E’ sotto controllo.”

“A me non sembra essere sotto controllo. Si è espanso fino al collo in questi ultimi giorni.”

“E’ perché ho usato l’armatura a Montecarlo.”

Steve aveva sospirato. Sapeva che non era finita così facilmente questa volta.

“Il palladio è cancerogeno.”

“Nei topi. E’ dimostrato che lo è per i topi. Non mi pare che io sia un roditore, nonostante passi il mio tempo libero chiusa nella mia tana a sgranocchiare cose poco raccomandabili per una dieta equilibrata.” Si era spostata, mettendosi comoda sulle gambe di Steve e lo aveva guardato negli occhi. “Non ho il cancro, ma è il palladio. Assunto in piccole dosi non fa nulla, praticamente. Il corpo lo assorbe ed espelle. Nel mio caso è diverso e il mio corpo ne assorbe troppo e non riesce ad espellerlo, a quanto pare.”

“Ti sta avvelenando.”

Aveva solo alzato un po’ le spalle spostando lo sguardo da quello di Steve. Non riusciva a guardarlo.

“Diciamo che l’ultimo anno è stato tutto regalato. Non sarei dovuta neppure sopravvivere all’Afghanistan. Queste cazzo di schegge dovevano raggiungere il mio cuore in massimo una settimana dall’attacco, ma Yinsen mi ha salvata estraendone quante più ha potuto e costruendo un elettromagnete.” Aveva distrattamente battuto le dita contro la superficie del reattore arc. Ogni tanto le tornava questo tic anche se cercava di evitarlo.

“Parlami di Yinsen.”

Aveva stretto la mascella e si era alzata. Steve non aveva protestato e non aveva cercato di fermarla.

Non aveva mai parlato di Yinsen. Lo aveva nominato qualche volta, ma non aveva mai parlato apertamente di lui. Non aveva mai raccontato a nessuno quanto in realtà l’avesse salvata su diversi piani.

“Era un prigioniero come me. Ricordi Gulmira? La prima missione di Iron Woman? Ecco, Yinsen veniva da lì. Era un medico. Laureato a Cambridge. Successivamente ha lavorato in Europa e ho vaghi ricordi di un incontro a Berna, ma di quel periodo ho vaghi ricordi in generale.” Aveva ordinato a J.A.R.V.I.S. di aprire il file su Ho Yinsen che aveva cercato non appena era tornata a casa dalla prigionia. “Qui puoi trovare tutti i suoi saggi, se ti interessa leggerli. Io l’ho fatto non appena sono tornata a casa. Era una mente brillante. Davvero uno scienziato sublime, e lo hanno portato in quella cazzo di caverna per fargli da medico di campo e sfruttare le sue capacità di chirurgo. La sua mano ferma ha salvato me e mi ha aiutato a costruire il primo mini reattore. Ha curato tutte le mie ferite, ogni volta. Ho rischiato due volte di morire per quella che poteva trasformarsi molto tranquillamente in setticemia, ma è riuscito a prevenire ogni infezione ogni santissima volta che succedeva qualcosa.” Aveva iniziato a camminare avanti e indietro. Percepiva lo sguardo di Steve su di sé, ma non riusciva a guardarlo. “Avevamo un piano di fuga. Quando sono tornata in me e ho deciso che non potevo morire in quel buco, abbiamo fatto un piano di fuga perfetto. Ci avrebbe permesso ad entrambi di fuggire. Solo che non è andato tutto secondo i piani. Quei tizi hanno agito prima che l’armatura fosse completamente carica e Yinsen da deciso di fungere da diversivo. Non ho potuto fare nulla tranne vederlo morire davanti ai miei occhi. Mi ha detto che questo era il suo piano. Che la sua famiglia era morta e l’unico modo che avesse per rivederla era morire. Mi ha detto di non sprecare la mia vita. Queste sono state le sue ultime parole. E effettivamente ho vissuto al pieno delle mie forze questo ultimo anno. Ho fatto cose buone, non credi?”

Quando si era voltata per guardarlo, Steve era seduto con i gomiti appoggiati sulle ginocchia, sporto in avanti e la guardava. Non le aveva tolto gli occhi di dosso neppure per un secondo.

“Stai combattendo il crimine e aiuti i bisognosi. Batman sarebbe orgoglioso di te.”

Non era riuscita a trattenere una risata, e subito dopo si era passata una mano tra i capelli. Steve era comprensivo con lei. Fin troppo a volte. Questo non voleva dire che non litigassero in continuazione anche per le più piccole stupidaggini, ma era comprensivo e la ascoltava sempre quando lei decideva di sfogarsi.

“Tasha, davvero. Hai deciso di distruggere le armi che sono state vendute al mercato nero e hai finanziato fin troppi progetti per bambini e ragazzi.”

“Lo faceva la mamma. Non poteva avere figli e allora finanziava orfanotrofi e associazioni che si occupavano di ragazze madri e questo tipo di cose. Ero il suo piccolo miracolo, mi diceva spesso quando ero bambina. Mi è sembrato naturale continuare il suo progetto. Ora più che mai.” Sapeva che avrebbe dovuto dirglielo. Essere onesti uno verso l’altro era alla base di ogni rapporto. Ma non ci riusciva. C’era qualcosa che la bloccava ogni volta che aveva voluto dirgli quello che era successo in Afghanistan e quanto la sua vita fosse cambiata non soltanto a causa del reattore arc. “Davvero non hai mai letto la mia cartella medica?”

“No. Non ho mai cercato il tuo nome tra i file dello S.H.I.E.L.D.. All’inizio perché mi bastava guardare il telegiornale per sapere quali stronzate stavi facendo, poi perché mi hai chiesto tu di non leggerlo.”

“Non te l’ho chiesto.”

“Non direttamente, ma so che non vuoi che lo legga, e mi va bene.”

“Io spio in continuazione i tuoi file allo S.H.I.E.L.D.. Non guardarmi così. E’ per la scienza.” Steve aveva scosso la testa mentre lei si avvicinava di qualche passo. “E poi tu non mi dici mai se torni ferito da qualche missione.”

“Perché le mie ferite si rimarginano molto velocemente. A volte ancora prima di tornare a casa. Le tue sono un’altra cosa, ma per ora sei sempre tornata a casa tutta intera.”

“Signorina Stark, il direttore Fury è arrivato e la sta aspettando al piano di sopra.”

“Che tempismo di merda.” Aveva sbuffato e aveva guardato Steve. “J, fa vedere a Steve il referto medico dell’Afghanistan, e anche tutti quelli dopo.”

Steve aveva aggrottato le sopracciglia e l’aveva guardata. Sapeva che alle sue spalle J.A.R.V.I.S. aveva aperto tutti i file salvati nel suo database. L’uomo le aveva stretto una mano.

“Non ti piacerà quello che c’è scritto, ti avverto. Capirò se vorrai uscire di corsa e andare a sbronzarti da qualche parte, o almeno a cercare di sbronzarti. Capirò se avrai bisogno di tempo per digerire il tutto. Io non ho ancora digerito tutto e forse non te ne ho mai parlato proprio per questo. E ora vado a vedere cosa esattamente vuole Fury da me.”

Si era allontanata senza aggiungere altro. Steve aveva sospirato e poi aveva ordinato a J.A.R.V.I.S. di fargli vedere il primo referto. Era corsa al piano di sopra senza guardare Steve. Sapeva che se si fosse girata avrebbe ordinato all’intelligenza artificiale di cancellare tutti i file.

In salotto Nicholas Fury stava parlando con la sua assistente personale. Natalie non sembrava minimamente spaventata dall’uomo che le sedeva di fronte. C’era del caffè sul tavolo e questo le piaceva. Riusciva a renderle più sopportabile la presenza di Fury in casa.

“Signorina Stark, ti trovo bene tutto sommato.”

“Saltiamo i convenevoli e parlami di Vanko.” Lo aveva guardato negli occhi e Fury aveva sorriso. “Come faceva ad avere un reattore arc? Sono abbastanza sicura che i progetti sono ben custoditi da qualche parte perché papà credeva nel reattore e non avrebbe permesso a nessuno di rubare quel progetto.”

Se si distraeva e parlava di altro poteva non pensare a Steve al piano di sotto e a quello che stava leggendo in quel momento. Si era seduta sulla poltrona e aveva subito preso in mano una tazza di caffè.

“Mai sentito nominare Anton Vanko?”

“No, decisamente no. Ma questo Ivan Vanko ha accusato Howard di essere un ladro e che doveva farcela pagare. Devo presumere che lavorassero insieme? O che Howard abbia davvero rubato qualcosa dalla Grande Madre Russia? Anche perché ho passato una notte intera a cercare qualcosa su questi Vanko e non ho trovato nulla di rilevante.”

“Sia noi che il KGB abbiamo dei segreti che sono ben nascosti anche alle tue tecniche di hackeraggio.” Fury si era sporto verso di lei. “Natasha, so benissimo che di frequente entri nei nostri file per avere informazioni, e finché non sarai una minaccia all’ordine pubblico non farò nulla per impedirti queste tue visite turistiche. Hai risolto anche un paio di nostri problemi con Iron Woman.”

“Mi fa impressione ricevere dei complimenti da te.” Aveva guardato la giovane donna che le sedeva accanto. Non si fidava ancora abbastanza di lei per parlare in tutta tranquillità di queste cose davanti a lei. Non era Pepper. Con Pepper era tutto diverso. “Natalie, potresti lasciarci da soli?”

“Ma certamente, signorina Stark.”

Aveva osservato Fury che seguiva con lo sguardo Natalie e aveva sorriso.

“Piace anche a te? Steve non le toglie gli occhi di dosso a volte e potrei quasi esserne gelosa.” Aveva inarcato un sopracciglio, ma vedendo quanto era serio Fury aveva solo sospirato. “Vanko ha detto che siamo dei ladri, che pagheremo per tutte le vite che gli Stark hanno distrutto, e ha aggiunto che tutto quello che lui ha dovuto patire in 40 anni me lo avrebbe fatto pagare. Che stronzata, neppure so chi sia questo tizio.” Le erano tornate in mente anche le altre parole che Ivan Vanko le aveva rivolto. Che il mondo l’avrebbe distrutta e lui avrebbe guardato la sua fine.

“Anton Vanko lavorava con tuo padre dal 1946. Insieme hanno creato il primo progetto per il reattore arc, solo che Vanko era una spia russa. E’ stato rispedito in Russia e tuo padre si è preso tutta la paternità del reattore. Quando i russi hanno capito che Vanko senza Howard non poteva finire il reattore lo hanno deportato in Siberia, dove ha passato vent’anni in compagnia di alcool e odio. E dove ha cresciuto suo figlio. Non l’ambiente ideale per un ragazzo, non trovi?” Fury aveva sospirato e le aveva passato una cartella. Vedeva sopra il logo dello S.H.I.E.L.D. e la scritta “Confidential” stampata sopra. “Non ti piacerà questa informazione.”

“Oggi è la giornata delle brutte notizie, mi pare di capire.” Aveva subito preso la cartella e l’aveva aperta. No, non le piaceva assolutamente. “Quando?”

“Ieri pomeriggio. Nessun notiziario ne ha parlato per non scattenare il panico.”

“Ma non avete idea di dove sia? Questo vi evade sotto il naso e non sapete dove sia?”

Fury aveva alzato le spalle.

“E’ solo questione di tempo e lo ritroveremo. Non è stato avvistato in nessun aeroporto, quindi crediamo sia ancora in Europa.”

“Se invece è qui e mi uccide, il mio fantasma ti perseguiterà a vita.”

“Non costringermi a chiamare i Ghostbusters.”

“Oddio, sai essere divertente.” Lo aveva guardato e poi aveva continuato a leggere. Non era evaso da solo. Qualcuno lo aveva aiutato dall’esterno. “Ehi, perché qui c’è scritto che sono tra i sospettati?”

“Sei l’ultima persona esterna alla prigione che lo ha visto.”

“Oh, ti prego! Quello ha tentato di ammazzarmi in diretta mondiale!” Aveva sbattuto i fogli sul tavolo e aveva guardato Fury. “Questa cosa è ridicola.”

“Lo credo anch’io, ma mi è sembrato corretto informarti nel caso qualcuno venisse a bussare alla tua porta. La tua armatura fa gola a molti, S.H.I.E.L.D. compreso, e chiunque abbia aiutato Vanko a evadere probabilmente mira a questo.”

“Non riesco mai a capire se sei dalla mia parte o no. Soprattutto dopo la storia dei glitter.”

“La donna delle pulizie ha detto che ne sta trovando ancora.” Natasha aveva sorriso e Fury si era messo un po’ più comodo sul divano. “Rogers dov’è a proposito?”

“Di sotto. Piuttosto, come mai non hai mandato Coulson? Di solito è lui il mio babysitter.” Aveva cambiato discorso, ma Fury l’aveva guardata a lungo prima di rispondere. Sapeva che aveva capito il suo bluff. Aveva la sensazione che Fury fosse una delle poche persone che non riusciva mai ad ingannare.

“Si sta occupando di altro al momento.”

 

✭✮✭

 

Steve non si era fatto vedere per tutto il resto della giornata. Aveva chiesto a J.A.R.V.I.S. di tenerla informata sugli spostamenti del Capitano, ma questi si era solo spostato dall’officina alla palestra. Stando a J.A.R.V.I.S. aveva già rotto dieci dei nuovi sacchi da boxe costruiti appositamente per riuscire a resistere alla sua forza. Aveva chiesto alla sua intelligenza artificiale di farle vedere cosa stesse succedendo in palestra, nonostante questa le avesse fatto presente che fosse un’invasione della privacy. E forse sarebbe stato meglio non vedere Steve colpire quella sacca con così tanta forza. Ne era rimasta spaventata e affascinata allo stesso tempo.

Quanto in realtà Steve si tratteneva quando era con lei? Quando la abbracciava o quando la allennava? Lo aveva guardato per diversi minuti mentre colpiva con molta, moltissima forza quelle sacche. Era arrabbiato e turbato. Questo era facilmente intuibile anche dall’espressione del suo viso. Ed erano passate diverse ore da quando lo aveva lasciato da solo in officina.

Lei aveva passato un paio d’ore con Fury. L’uomo aveva di nuovo consigliato di fare almeno una seduta con uno dei loro psicologi, visto quanto era accaduto in Afghanistan, ma lei aveva come sempre declinato l’offerta. Gli aveva detto che avrebbe dovuto mandare Steve a parlare con qualcuno e il direttore dello S.H.I.E.L.D. aveva sospirato. Sapeva che prima o poi Steve lo avrebbe saputo e non ne sembrava affatto contento. Le aveva confidato che Steve a volte reagiva in modo troppo impulsivo quando si trattava di lei. Era sempre un ottimo soldato, che raramente discuteva gli ordini che gli venivano dati, e poi perdeva la testa quando succedeva qualcosa a lei.

Era ormai notte quando Steve era entrato nella loro camera da letto. Aveva i capelli umidi e solo i pantaloni della tuta addosso. Doveva essersi fatto una doccia di sotto, appena aveva finito di spaccare i sacchi da boxe. J.A.R.V.I.S. l’aveva informata che aveva mangiato qualcosa, ed era sicura che Steve si era informato costantemente dei suoi movimenti a sua volta. Erano bravi a lasciarsi gli spazi necessari a sbollire o a digerire le notizie poco piacevoli.

Era rimasto un attimo sulla porta, visibilmente indeciso se entrare o meno. L’aveva guardata e poi aveva sospirato.

“Sai che mi ha telefonato Fury? Vuole che domani vada a parlare con uno dei loro psicologi.” Si era lentamente avvicinato ad uno dei mobili per prendere una maglietta e infilarsela. “Dice che dovresti venire anche tu con me, ma che hai rifiutato un’altra volta.”

“Non andrò mai da uno psicologo, Steve.” Aveva sposato lo StarkPad su cui stava lavorando e non aveva spostato gli occhi da Steve da quando era entrato nella stanza. Le era mancato durante la giornata. “Natalie mi ha aiutato a finire di organizzare la festa di compleanno. Catering e dj ci sono. E anche una statua di ghiaccio a forma di Iron Woman.”

“Davvero vuoi parlare della tua festa di compleanno?”

“Di che altro dovrei parlare? Di Vanko che è evaso e non sanno dove si sia cacciato?”

“Perché non me ne hai mai parlato? In tutti questi mesi mai neanche una parola?” Steve si era voltato verso di lei. Era ferito. Arrabbiato. Deluso. “Ne hai parlato con qualcuno?”

Aveva scosso la testa. Fury sapeva. Rhodes aveva intuito qualcosa. Ma non ne aveva mai parlato apertamente con qualcuno.

“Hai fatto una guerra. Sai cosa succede senza bisogno che io te lo illustri, no? Quindi perché parlarne?”

Si era passato una mano sul viso. Era una cosa che faceva quando stava per scoppiare e cercava di trattenersi. Si copriva il viso con una mano, prima gli occhi e poi lasciava scendere la mano fino alle labbra e restava così per qualche tempo. A volte dieci secondi. Altre molto di più.

Questo era il caso del molto di più e temeva di sapere perché.

“Eri incinta, Tasha.”

“Complimenti, Sherlock.” Si era alzata dal letto e gli si era avvicinata con molta cautela. Non aveva paura di Steve. Non aveva mai avuto paura di Steve. Ma l’uomo che aveva di fronte era davvero molto scosso. Molto più di quello che si sarebbe immaginata.

“Sapevo… Sospettavo che… Sospettavo che loro ti avessero…” Si era morso un labbro e l’aveva guardata negli occhi.

“Violentata, Steve. E’ questa la parola che cercavi, no?” Aveva fatto una smorfia e aveva spostato lo sguardo dal suo. Ma Natasha continuava a guardarlo. “Le condizioni igieniche in cui eravamo rinchiusi non erano delle migliori. Ho rischiato una brutta infezione già alla prima operazione. Se non fossi stata vaccinata probabilmente mi sarei beccata anche il tetano. Con l’aborto non sono stata altrettanto fortunata. Il mio corpo era troppo debole per sopportare la gravidanza, e ancora più debole per una sua interruzione. Yinsen mi ha salvata anche in quel caso, ma il mio utero e le mie ovaie non ne sono usciti indenni.” Questa volta aveva spostato lo sguardo anche lei. “Stando ai dottori non potrò più avere figli e avrei dovuto dirtelo prima, ma avevo paura te ne saresti andato.”

“Cristo, Tasha, non puoi essere seria.” Sentiva tutta la sua frustrazione nella sua voce. “Credi davvero che sia qui per avere dei figli da te?”

“Hai detto più volte che volevi avere una famiglia, come lo avrei dovuto interpretare?”

“E tu hai sempre detto che non avresti voluto avere dei figli, eppure sono qui.”

Natasha aveva abbassato lo sguardo e Steve le aveva preso una mano con delicatezza nella sua.

“Non volevo pensarci. Non volevo dirlo a voce alta perché dirlo fa sembrare tutto più reale. Non voglio avere figli perché non credo sarei capace di essere madre, di dargli tutto quello di cui avrebbero bisogno. Però in quella grotta, per un istante ho pensato a come sarebbe stato se quel bambino fosse stato figlio tuo. Ho pensato molto anche a te mentre ero lì, ad essere onesta. Ma ora non ha importanza neppure questo. Hai letto tutti i miei dati medici?” Steve aveva annuito e lei aveva continuato a parlare. “Il livello stamattina era al 72%, a causa dell’utilizzo dell’armatura a Montecarlo. Utilizzare l’armatura velocizza il propagarsi del palladio nel sangue. E davvero volevo smettere con Iron Woman fino a quando non avessi trovato una soluzione. Ma non ho più idee.”

“Significa che…?”

“Che sto morendo? Sì. Sto morendo. E mi resta davvero poco se continua a propagarsi con questa velocità. Per Giove, non so neanche se davvero arriverò al mio compleanno. Ma in fondo tutti dobbiamo morire prima o poi, no? Questo ultimo anno è davvero tutto regalato.”

“Ma deve esistere una soluzione. Sei Natasha Stark, devi avere una soluzione per questo!”

“Per quanto sia lusingata dalla fiducia che riponi nel mio cervello, non ho più soluzioni, Steve. Davvero. Le ho provate tutte. J.A.R.V.I.S. ti ha informato di tutti gli esperimenti che abbiamo provato in questi ultimi mesi?”

Steve aveva annuito di nuovo e aveva lasciato la sua mano per appoggiarsi poi al mobile. Aveva incrociato le braccia e si era portato una mano alla bocca. Sembrava assorto in troppi pensieri e aveva paura di chiedergli quali fossero.

“Per questo hai nominato Pepper amministratore delegato e a me hai regalato la tua collezione d’arte. E anche il modo in cui hai organizzato la Stark Expo. Ora tutto torna.”

“Per la cronaca, nel testamento ho lasciato scritto che una delle mie armature dovrà andare a Rhodes. Il resto distrutto. J.A.R.V.I.S. è programmato a distruggere tutti i miei progetti nel momento in cui il mio cuore smetterà di battere.”

“Non puoi morire.”

Lo aveva pronunciato con un filo di voce e il suo cuore si era spezzato. Era sicura che anche quello di Steve fosse in quel momento un grumo dolorante di fibre muscolari. Steve stava crollando di fronte a lei ed era strano. Steve era sempre stato la colonna a cui aveva potuto appoggiarsi e ora era lei che lo faceva crollare.

“Non sono io a deciderlo, purtroppo. Pensi che mi renda felice sapere che non ci sarò più a darti fastidio lasciando in disordine la cucina e il resto della casa?” Aveva cercato di sorridere, ma quando Steve l’aveva guardata si era spezzato qualcosa in lei. Le parole le erano morte in gola ed era sicura che se avesse aperto bocca ancora un volta avrebbe iniziato a piangere. E non lo voleva. Era tutto abbastanza penoso anche senza che lei si mettesse a piangere. Era forte. Era una Stark. E gli Stark non piangono. Avrebbe affrontato la morte a testa alta e non piangendo spaventata. “Credi che io ti voglia lasciare proprio ora? Guardaci, stiamo funzionando discretamente, e tu sei qui, e io non sono ancora scappata da nessuna parte. In così pochi mesi qualcosa che era solo mio è diventato nostro. E io non voglio lasciarti, Steve.”

Stava per piangere. Sentiva gli occhi che bruciavano ma si ostinava a non voler piangere. Le dita di Steve erano sulle guance e aveva alzato una mano per appoggiarla sul suo braccio.

“Come fai a sopportare tutte le mie stronzate?”

Lo aveva visto fare un leggero sorriso, ma sembrava sull’orlo delle lacrime anche lui. Era così bello mentre era così vulnerabile. Avrebbe voluto abbracciarlo. Stringerlo con forza a sé. Dirgli che sarebbe andato tutto bene.

“Perché ti amo, cretina.”

“Ehi, sono la mente più brillante di questo secolo.”

Steve aveva sorriso ancora un po’ prima di sporgersi e baciarla. E lei non aveva fatto altro che incontrarlo a metà strada e passare le braccia attorno al suo collo. Sapeva che non era finita lì. Sapeva benissimo che Steve avrebbe ripreso il discorso non appena si fosse calmato un po’. Ma ora ne aveva bisogno. Forse ne avevano bisogno entrambi.

Non voleva per qualche momento pensare a nulla di quello che stava succedendo. Non voleva pensare a Vanko. All’Expo. Al reattore e al palladio. Non voleva pensare a Fury o a Iron Woman.

Voleva solo pensare a Steve. Alle sue labbra sulle proprie. Alle sue mani che avevano abbandonato il suo viso e lentamente le sfioravano i fianchi e la schiena. Voleva godersi quel momento senza pensare a quello che sarebbe successo in futuro. E quanto ancora le rimanesse del futuro.

“Un giorno mi dovrai spiegare questa tua fissazione per il mio fondoschiena.” Gli aveva morso un labbro quando le mani di Steve avevano stretto le sue natiche. “Il tuo è molto più sodo. E anche quello di Natalie lo sembra.”

“La smetti di essere gelosa di qualcosa che è solo nella tua testa?” L’aveva guardata e lei aveva sorriso. Era gelosa. Lo era moltissimo. Ma lo era sempre stata di tutte le persone che si avvicinavano a Steve. Solo qualche mese prima era stata gelosa nel vedere Steve parlare con Pepper. E allo stesso tempo era sempre sicura che Steve avesse in realtà occhi solo per lei.

“E’ più forte di me.” Aveva sorriso, ma in realtà era quasi felice che Steve riuscisse a guardare anche altre persone. Forse un giorno si sarebbe ricostruito una vita. Forse un giorno sarebbe stato felice di nuovo.

L’aveva baciata ancora una volta. L’aveva presa in braccio e l’aveva portata a letto senza mai smettere di baciarla. E lei non poteva desiderare nulla di diverso in quel momento. Aveva avuto molti uomini. Forse fin troppi. Ma nessuno era Steve. Steve era sempre attento ai suoi bisogno. Steve sapeva sempre quali punti toccare per farla sciogliere completamente tra le sue mani. E lei si lasciava andare senza alcuna riserva.

Con Steve non era solo sesso. Era qualcosa di molto più complesso che aveva quasi dimenticato potesse esistere. Il sesso era sempre stato solo un passatempo. Qualcosa che la divertiva ma che poi non le lasciava molto. Non a livello emotivo.

Steve invece.

Sentiva il cuore scoppiare da tanto forte batteva. Sentiva ogni muscolo del proprio corpo fremere agognando l’apice del piacere. Ed era solo Steve che la faceva sentire così. Aveva condiviso il sesso con uomini bellissimi, ma era tutto vuoto. Solo corpi che si univano per un paio di ore di piacere. Questo invece era un altro livello. Questo era essere amati.

Non doveva fingere nulla. Poteva lasciarsi andare completamente e Steve non le avrebbe mai rinfacciato nulla di quello che gli chiedeva a letto. Sembrava anzi felice di soddisfare ogni suo desiderio.

E la cosa più importante, la faceva sentire davvero amata anche senza dire una sola parola.

“Però possiamo andare a Las Vegas.”

Natasha aveva alzato la testa dal suo petto quando Steve aveva pronunciato quelle parole. Lo aveva guardato, ma Steve guardava il soffitto. Forse aveva sentito male. Forse la sua mente era ancora completamente annebbiata dall’orgasmo. O forse il palladio nel sangue portava alle allucinazioni.

“Steve?”

L’aveva guardata dopo qualche istante. Era sicuramente grottesca con i capelli scompigliati, disegni bluastri su collo e petto, e la luce azzurra del reattore che la illuminava. Ma Steve aveva sorriso dolcemente nonostante questo.

“Se non sappiamo quanto tempo ti rimane esattamente, non ho neppure tempo di trovarti un anello di fidanzamento degno di questo nome.”

“Non lo voglio un anello.” Lo aveva interrotto, ma Steve sembrava non averla affatto sentita.

“Non ti voglio costringere ad una cerimonia in chiesa o ad un ricevimento lunghissimo, ma possiamo andare a Las Vegas. A te quel posto piace, no?”

“Non è che mi piace, ma ho fatto ottimo affari lì. E l’alcool scorre in ogni angolo. E se mi annoio ci sono i casinò.”

Steve sorrideva ancora. Si stava sforzando. Era piuttosto palese che lo facesse per alleggerire quella giornata, e quelle a venire. Dovevano solo non pensarci.

“Non ti chiedo neppure di indossare un abito bianco.” Aveva passato le dita tra i suoi capelli e lei si era spostata come un gatto per farsi accarezzare di più i capelli. “Però voglio sposarti.”

“Steven, credevo me lo avresti chiesto in modo più romantico la seconda volta.”

“E farti piangere dall’emozione? Non me lo avresti mai perdonato.”

Non sapeva come rispondergli, e si era soltanto sporta per baciarlo.

 
   
 
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