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Autore: alga francoise14    07/12/2017    19 recensioni
Perché ogni anima, anche la più nobile, nasconde un lato oscuro...
Genere: Avventura, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La Prigione dei Sogni
 
 
Sempre al suo fianco, ma mai accanto a lei. Un passo indietro, quello era il suo posto. Compito, attento, discreto, sempre pronto ad obbedire agli ordini di colei che accompagnava, così da poterla sollevare, in ogni momento della sua impegnativa giornata, da tutte quelle minute incombenze che altrimenti le avrebbero impedito di svolgere con la dovuta attenzione l'importante ruolo cui era chiamata.
Strinse la mascella André e si sforzò di controllare l'amarezza che né l'aria dolce di quel tiepido mattino d'autunno, né l'incanto d'ambra e rame degli alberi, né tantomeno la serena bellezza dello stagno ai piedi della grotta dove Apollo si riposava attorniato dalle sue ninfe[1], riusciva a placare. Con un respiro lento e profondo cercò di distogliere la mente da quei foschi pensieri, chiuse gli occhi per un istante e quando li riaprì provò a concentrarsi sulla bellezza di ciò che lo circondava, sullo spettacolo del bosco screziato di rame che con le sue foglie arrossate, quasi palpitanti alla luce del sole, sembrava far rifulgere il candido marmo dei gruppi scultorei e le rocce del rifugio del Dio. Ma come è noto, la lingua batte dove il dente duole e così il ciarliero, piccolo drappello di cortigiani, che al seguito di Sua Maestà la Regina passeggiava chiacchierando e ridendo, non faceva che riportarlo al punto dolente e soprattutto alla conversazione avuta quella mattina con chi avrebbe volentieri evitato.
Un accessorio... ecco cosa erano in fin dei conti, lui e quelli come lui, per quella gente. Qualcosa di molto simile ad un grazioso ventaglio, un bell’orologio, o… un confortevole paio di guanti; qualcosa che serviva finché assolveva con discreta eleganza al proprio compito, pensò scuotendo impercettibilmente la testa. A ben pensarci, però, una differenza tra lui e gli altri che frequentavano la corte al servizio del proprio nobile signore, c'era. Una differenza che in un certo qual senso lo sollevava dalla sostanziale invisibilità cui tutti loro erano destinati dandogli un'identità specifica, se non proprio individuale.
Lui era infatti l'attendente del Comandante delle Guardie di Sua Maestà la Regina, l’affascinante donna soldato la cui peculiare unicità, unita ad un'integrità d'animo, che per l'ambiente della Corte era più unica che rara, rendeva lei un individuo totalmente fuori dal comune e di riflesso elevava lui da semplice domestico a poetica ombra, inscindibile dalla luce che lo proiettava.
A quel pensiero ad André quasi venne da ridere, la cosa infatti, oltre a costituire una ben magra consolazione per il suo amor proprio, non era di nessuna utilità nel suo complicato rapporto con Oscar, dal momento che non  rendeva di una goccia meno profondo l'abisso che lo separava da lei.
Oscar... La sua Oscar... la sua ragione di vita, il suo tormento... In quel momento camminava con passo sicuro e sguardo serio poco più innanzi, oltre il gruppetto dei cortigiani, alla sinistra di Sua Maestà che invece sorrideva al braccio della Principessa di Lamballe. Il suo portamento era come sempre impeccabile ed elegante, esattamente quanto quello delle due nobili dame che scortava, solo non aveva la delicata armonia delle loro movenze femminili, ma la fierezza impettita propria dei militari; i lunghi capelli che ad ogni passo ondeggiavano liberi lungo la schiena come nastri di seta, ne ammorbidivano però l'aspetto severo e le conferivano un che di unico e incredibilmente affascinante. Era superba, con gli occhi azzurri dal taglio affilato, lo sguardo di ghiaccio, gli zigomi alti; sempre così rigorosa nella sua uniforme scarlatta, così apparentemente austera e grave. L'integerrimo comandante della Guardie di Sua Maestà era un’anima inaccessibile il cui affascinante mistero in molti, ne era certo, avrebbero voluto poter compenetrare; tuttavia nessuno di loro poteva sperare di riuscire mai a conoscerla davvero, perché a dispetto del suo nome e della sua posizione, quello era un privilegio che apparteneva a lui soltanto.
Solo a lui, infatti, era dato sapere cosa si nascondesse in fondo alle acque profonde del suo sguardo, quanto dolce fosse il suo sorriso, quanto morbida sapesse essere la sua voce, ma anche quanto esasperante la sua propensione a certi lunghi, ambigui silenzi, talvolta più conflittuali di qualsiasi discussione. Solo lui conosceva ogni angolo del suo spigoloso carattere, ogni palpito della sua anima, e sapeva che dietro la maschera di una fredda impenetrabilità si celava un mondo vivo, sentito e profondo, un intimo fervore che la portava a vivere ogni emozione con straordinaria intensità e che era la causa prima di quell'impulsività che lui tanto amava. Solo lui sapeva quanto profondamente Oscar sapesse amare.
Un sospiro pesante gli allargò il petto.  Era stanco, stanco di nascondersi, stanco di fingere che gli bastasse la consapevolezza che apparteneva a lui il sapore delle sue labbra, l'inebriante profumo della sua pelle, la tenera morbidezza dei suoi piccoli seni, la serica carezza dei suoi capelli avvolti attorno alle proprie dita e riversi sul suo corpo durante quegli amplessi profondi, teneri e appassionati che li lasciavano sfiniti l'uno tra le braccia dell'altra.  Era stanco di non dover esistere al di fuori delle mura che racchiudevano il loro segreto e quella stanchezza cominciava a farsi pesante e soprattutto… pericolosa.
Si era accorto, infatti, che negli ultimi tempi non solo gli era diventato sempre più difficile far sì che nessun gesto, sguardo o piega del viso tradisse il proprio cuore o che qualcuna delle abitudini​ acquisite nel loro privato potesse involontariamente scoprirlo in pubblico, ma soprattutto si era reso conto che gli era diventato particolarmente faticoso trattenersi in situazioni che lo avrebbero voluto estraneo spettatore ma che di fatto lo coinvolgevano pericolosamente, come era accaduto quella mattina con il maggiore Girodelle, che negli ultimi tempi stava diventando una presenza pungente e sempre più fastidiosa.
A dire il vero, il nobile secondo di Oscar non gli era mai andato particolarmente a genio. Non poteva dire che fosse una persona spiacevole, era anzi garbato, cordiale, gradevole soprattutto nei contatti mondani con i suoi pari ed era di certo un uomo leale. Aveva tuttavia una sicurezza di sé e delle sue convinzioni che lo rendeva a tratti fastidioso, e un atteggiamento di sufficienza, tanto più con chi non aveva la possibilità di potersi rapportare a lui sul medesimo piano, che lo urtava non poco.
Per parte sua il maggiore Girodelle lo considerava, con tutta probabilità, un arrogante, incapace di stare al suo posto; un servo sfacciato che con la scusa di una conoscenza che risaliva all’infanzia, si permetteva con colei cui avrebbe dovuto muta obbedienza una familiarità eccessiva e il diritto di metter bocca laddove non gli competeva.
Nonostante il nervosismo André non riuscì a trattenere un sorriso a quell'ultimo pensiero…
Ad ogni modo non si era certo mai fatto un cruccio dell'opinione che il Visconte aveva di lui, né, del resto, di quella di chiunque altro. Sapeva chi era e quanto valeva, e tanto gli era bastato fino a quel momento per farsi scivolare addosso idee preconcette e giudizi privi di fondamento. Eppure negli ultimi tempi qualcosa era cambiato e la corazza delle sue certezze aveva cominciato a creparsi.
Era passato ormai quasi un anno da quando l'amore che provava per Oscar e che per tanto aveva creduto destinato a rimanere un'utopia, si era incredibilmente concretizzato; ma ora, superata l’euforia iniziale di quella gioia vasta ed appagante che gli aveva dato amarla ed esserne riamato, iniziava a rendersi conto che non gli bastavano i momenti, le ore, le notti rubate, l'amava troppo per potersi accontentare di briciole di vita. Lui la vita la voleva vivere pienamente, con lei al suo fianco; farsi bastare quello che avevano voleva dire rinnegare la vita, quella vera, rinnegare la vera felicità.
Lamore non può accontentarsi
Vivere in quel modo era come rincorrere il vento, senza contare che il vento in un solo attimo avrebbe potuto spazzare via tutto il loro fragile mondo senza che lui potesse fare nulla per impedirlo.
Non era nessuno, non aveva un nome illustre, non aveva sostanze, non aveva meriti, nulla da offrirle a parte il suo amore. Non aveva voce André e in fondo sentiva di non avere neanche il diritto, malgrado ciò che li univa, di chiederle di rinunciare a tutto, per… nulla.
L'amore non può bastare...
Ci vuole forza, coraggio, ci vuole volontà, doti che Oscar certo aveva in abbondanza, e che neanche a lui mancavano, ma questo non toglieva che quello cui lei avrebbe dovuto rinunciare per amor suo era troppo.
Eppure se glielo avesse chiesto lei lo avrebbe fatto, ne era certo, ma allora, se l’amore che Oscar provava per lui poteva bastare, ebbene il suo poteva e doveva accontentarsi.
Il senso di colpa lo tormentava... era così difficile rinunciare.
Quella notte aveva avuto un incubo che lo aveva scosso profondamente. Aveva sognato di ucciderla, di toglierle la vita per poi seguirla così che nulla avrebbe mai potuto dividerli. Ricordava con una vividezza impressionante i particolari del sogno: era seduto al tavolo della sua stanza, aveva le mani incrociate sotto il mento e fissava un piccolo foglio di carta al cui centro era contenuta una polvere bianca. La stanza era cupa come un antro, illuminata solo dalla luce tremula di una candela che, poggiata sul tavolo gettava sul foglio ombre scure e guizzanti come piccoli demoni; ricordava l'angoscia che sentiva mentre lo fissava e che rendeva ancora più devastante l'uragano della sua confusa disperazione; la mente che quasi vacillava e infine la catena delle remore che si spezzava lasciando la via all’unica sicurezza possibile: insieme, per sempre... e la polvere bianca, inghiottita dal rubino del vino, si era dissolta. Con essa si erano dissolte anche le pareti della stanza, e lui, con i calici avvelenati in mano, si era ritrovato al limite dei giardini di Palazzo, là dove la regolarità delle siepi e dei tracciati si dileguava sfumando nell'ombra dei boschi.
Era il tramonto, Oscar era lì, ai piedi di una grande quercia, intenta a scavare una piccola buca. Si era avvicinato e lei, sentendo i suoi passi crepitare sul tappeto di foglie secche che ricopriva il terreno, si era voltata e gli aveva sorriso, quindi aveva ripreso a scavare finché non aveva dissotterrato una vecchia scatola nella quale lui aveva riconosciuto quella dove da bambini avevano seppellito il loro tesoro: una trottola e un piccolo coltello dal manico rosso.
Indietreggiando di un passo, come fulminato dalla vista di quell'oggetto che lo riportava a ricordi preziosi e dolcissimi e al tempo perfetto dell'innocenza, aveva lasciato cadere i calici. Oscar aveva preso il cofanetto e dopo aver soffiato via la terra che lo sporcava, lo aveva aperto e gli si era avvicinata. Lui lo aveva osservato per un lungo momento, poi aveva lentamente sollevato la mano a sfiorarne il contenuto e infine dopo un attimo di esitazione aveva preso il coltello. Nella sua mano si era fatto affilato ed estremamente pesante, del loro vecchio gioco conservava solo il colore. Perplesso aveva allora sollevato lo sguardo al viso di Oscar, come a chiederle una spiegazione, ma da lei non aveva avuto un cenno né una parola, solo uno sguardo infinitamente triste, sebbene tranquillo. Sotto quegli occhi limpidi che sembravano leggere nell’abisso del suo animo, André aveva sentito il cuore spezzarsi in mille frammenti, e mentre due lacrime splendenti sfuggivano dalle ciglia di Oscar scivolando lente lungo le guance, l'aveva abbracciata e con tutta la forza del suo disperato amore le aveva affondato la lama nel petto.
Si era svegliato di soprassalto, madido di sudore, con il respiro affannato e il cuore che batteva come impazzito. Il tempo di focalizzare dove fosse e realizzare che si era trattato di un sogno e si era girato in cerca di Oscar. Di lei però c'era solo il profumo e la traccia del corpo tra le lenzuola stropicciate. Albeggiava. Aveva preferito non svegliarlo… Con l'animo ancora carico di angoscia si era passato una mano tra i capelli e si era lasciato cadere all’indietro, stremato, domandandosi fin dove potesse portarlo la frustrazione…
Poche ore dopo aveva avuto la conferma che quella giornata, iniziata tanto male, non sarebbe migliorata.
Quella mattina al loro arrivo a Versailles, come d'abitudine aveva accompagnato Oscar agli appartamenti di Sua Maestà, così che potesse avere indicazioni su come la Regina Antonietta intendesse trascorrere la mattinata e dare conseguenti disposizioni per la sua sicurezza al maggiore Girodelle che era solito attenderla nella Sala delle Guardie[2].
Tuttavia, poiché da lì a pochi giorni la corte si sarebbe trasferita per alcune settimane a Fontainebleau[3], a sostituirlo, quella mattina, c'era un altro ufficiale. Il Maggiore era infatti rimasto nel suo ufficio per controllare alcuni rapporti sullo stato delle strade, necessari per poter stabilire il percorso che il corteo Reale avrebbe dovuto seguire per lo spostamento; al che Oscar, ritenendo comunque opportuno che il suo secondo fosse messo al corrente degli spostamenti della Regina, aveva chiesto ad André di informarlo e poi raggiungerla; ma quella che sarebbe dovuta essere una veloce comunicazione di servizio si era trasformata in qualcosa di diverso e niente affatto piacevole.
Comunicato quanto doveva, infatti, André aveva già aperto la porta per uscire quando Girodelle lo aveva richiamato.
“So che il generale Jarjayes è stato invitato con Madame Marguerite al ricevimento che il conte d'Angiviller darà per il suo genetliaco. Sapete se madamigella Oscar sarà presente?” gli aveva chiesto con noncuranza.
“Non so...” aveva risposto brevemente André “ma non credo... Oscar non ama la mondanità, tende ad evitare gli eventi che non richiedono necessariamente la sua presenza…”
Dalle labbra del maggiore era sfuggito uno sbuffo. “Oscar…” aveva ripetuto con un tono che lasciava trapelare tutto il suo fastidio per quella confidenza ritenuta impropria.
Chiaramente André era rimasto opportunamente in silenzio, ma senza attendere che Girodelle lo liberasse con un breve inchino si era congedato da sé. “Col vostro permesso, Maggiore”.
 “Un momento… ho qualcosa da chiedervi…” lo aveva tuttavia fermato Girodelle, con voce calma ma perentoria, un attimo prima che varcasse la soglia.
André aveva richiuso la porta e si era voltato.
Senza sollevare la testa dalle carte cui era tornato, l'ufficiale aveva continuato a scrivere ignorandolo per un po’, poi aveva poggiato la svolazzante penna d’oca e lo aveva guardato.
“Ditemi André… che ne pensate di Alphonse?” gli aveva chiesto.
André aveva aggrottato le sopracciglia.
“Intendete il vostro attendente?” aveva domandato perplesso in risposta a quella domanda di cui gli sfuggiva il senso.
“Quale altro Alphonse conoscete cui mi possa riferire con voi usando semplicemente il nome… Non di certo il duca di Mericurt...” aveva constatato con ovvietà e un sorrisetto il Maggiore “ A meno che non abbiate pensato al piccolo spaniel di Madame de Chincon...”
Se l’osservazione, per quanto pungente, poteva essere ritenuta lecita, l’ipotesi che l'aveva seguita e l'espressione beffarda che l'aveva accompagnata era stata una chiara provocazione, per non dire un'aperta offesa.
André si era irrigidito, Girodelle aveva sorriso cordiale.
“Allora… posso avere l'onore di una vostra opinione?” aveva insistito.
 “A dire il vero Maggiore, oltre a non capire il motivo della vostra richiesta non ne vedo l’utilità dal momento che la mia modesta opinione su chicchessia vale certamente meno dell’altissima vostra”.
André gli aveva risposto guardandolo dritto negli occhi per poi chinare lievemente il busto in un inchino che nulla aveva di umile o modesto.
Infastidito da quella risposta, che malgrado l'ineccepibilità di parole e forma, aveva il tono dell’irriverenza, Girodelle aveva per un momento stretto la mascella, ma poi si era subito ripreso.
“Eppure su questo argomento potrebbe tornarmi utile dal momento che vi chiedo un giudizio su chi è nella vostra stessa posizione. Vedete sto pensando di sostituirlo, osservandolo ultimamente mi è parso... come dire… appannato…”
“Non saprei, a me pare lo stesso di sempre…” aveva tagliato André che continuava a non capire dove il maggiore volesse arrivare.
Girodelle aveva sospirato.
“Ecco… appunto… lo stesso di sempre” aveva detto infine, accompagnando le parole ad un'espressione sconsolata “È proprio questo che mi dà pensiero. Credo che oramai Alphonse abbia fatto il  suo tempo e per quanto io ci sia affezionato  sia giunto il momento di dover trovare qualcuno più adatto al mio servizio”.
“Ho come l’impressione che voi ne facciate una questione di… apparenza…” aveva allora osservato André corrugando la fronte come se gli riuscisse difficile prendere in considerazione quell’ipotesi “ma credo sia altro quello cui dobbiate guardare… non si tratta di un paio di guanti o una cravatta ben annodata…”
Il modo in cui il Maggiore Girodelle lo aveva guardato era stato più chiaro ed eloquente di qualsiasi parola.
André aveva scosso la testa: ecco dove voleva arrivare...
“Vi consiglio di non commettete lo sbaglio di attribuire agli altri la vostra stessa relatività di sentimento” aveva ribattuto aspro.
Girodelle aveva sollevato le sopracciglia e sbuffato un sorriso.  “Non siete diverso da Alphonse, André… non pensate mai di essere insostituibile… perché vi assicuro che per un motivo o l'altro prima o poi lo sarete…”
Quelle parole erano state per André come un pugno nello stomaco, perché per quanto gli costasse ammetterlo, avevano un fondo di verità: in quella situazione in un certo senso si era infatti già imbattuto, e anche se l'epilogo era stato ben diverso da quello che il maggiore poteva immaginare, il rischio che per un motivo o l’altro, magari indipendente dalla volontà di Oscar, si potesse ripresentare con una diversa evoluzione era una reale possibilità.
Non aveva risposto, c’era poco da dire se non una verità che doveva essere taciuta ad ogni costo e che comunque, detta in quel momento, sarebbe stata più una sorta di rassicurazione rivolta a se stesso che non un'argomentazione valida a mostrare a Victor de Girodelle quanto si sbagliasse.
Si era voltato, e questa volta senza alcun cenno di saluto, aveva lasciato la stanza.
Da quel momento non era più riuscito a pensare ad altro: tutto ciò che fino ad allora si era sforzato di controllare e che aveva tenuto rannicchiato in un angolo della sua mente, era esploso in un silenzioso tumulto che aveva finito col renderlo assorto e cupo. Era così in quel momento, mentre seguiva Oscar con lo sguardo tra vialetti di ghiaia, statue e cespugli e così era rimasto per tutto il resto di quella interminabile giornata. Neanche quando si era finalmente ritrovato sulla via di casa solo con lei, era riuscito a scrollarsi di dosso il peso dei suoi pensieri.
Non era riuscito a sorridere come avrebbe voluto e parlarle come se tutto andasse bene, perché l'unica cosa che riusciva a pensare era che avrebbe voluto andarsene via da lì, il più lontano possibile, insieme a lei.
 
Il cielo iniziava a screziarsi di sottili venature dorate, quando Oscar e André lasciarono la reggia di Versailles. Tenendo il cavallo al passo, per buona parte del tragitto procedettero affiancati senza parlare, ciascuno immerso nei propri pensieri; e se lo sguardo di Oscar sembrava talvolta cercare il suo, André continuava a tenerlo fisso davanti a sé, limitandosi a seguire di tanto in tanto il volo di qualche uccello che si librava leggero nell’aria o a osservare distrattamente gli alberi che costeggiavano la strada, le cui chiome verdeggianti cominciavano a macchiarsi dei caldi colori autunnali.
Il suo volto non sembrava tradire la benché minima emozione, ma in quegli ultimi mesi Oscar aveva imparato a riconoscere l’inquietudine e l’insofferenza celate dietro le maniere impeccabili e certi sorrisi di circostanza che André riservava ad alcuni suoi interlocutori. Le bastava poco: il cenno di una smorfia, un sopracciglio aggrottato; particolari apparentemente insignificanti agli occhi altrui, ma non ai suoi, tanto più ora, dopo aver condiviso con lui l’intimità più profonda e completa del corpo e dell’anima.
Eppure, con un misto di stizza e di rammarico doveva ammettere di non riuscire ancora a leggere nel cuore di André com’egli sapeva fare con il suo, e aveva motivo di credere che fosse lui per primo, di fatto, a renderglielo impossibile. Le vecchie abitudini, d’altronde, sono dure a morire e se per anni André le aveva nascosto il suo amore folle e disperato, le sue idee politiche, il suo vero sentire, non c’era da stupirsi per quell’ostinata riluttanza ad aprirsi interamente con lei.
Con una punta di mestizia, Oscar si domandò allora se il cupo mutismo di quel pomeriggio fosse in qualche modo legato alla loro situazione. Non era mai stata particolarmente convinta, infatti, della calma rassegnazione con cui André sembrava aver accettato il compromesso di una relazione clandestina, soltanto perché il sentimento che li univa era sbagliato agli occhi del mondo; né tantomeno aveva creduto sino in fondo alle sue rassicurazioni, quando sosteneva con dolcezza che quei brevi momenti di passione strappati alla quotidianità, preziosi quanto rari, fossero molto più di quanto avesse mai osato sperare. Si può mentire con le labbra, ma non con il resto del corpo… e l’ardore con cui André la possedeva, il velo di malinconia che talvolta ne velava lo sguardo prima di perdersi in lei, parlavano di un amore frustrato che reclamava di essere vissuto in tutta la sua pienezza.
Il motivo di quell’atteggiamento, pertanto, poteva essere solo uno: la stava proteggendo. Presumibilmente, André temeva che qualora avesse esternato il proprio malcontento, lei si sarebbe sentita in dovere di prendere l’unica decisione in grado di renderli liberi: fuggire insieme. Una soluzione che tuttavia avrebbe comportato per Oscar un prezzo altissimo: la rinuncia all’uniforme e alla propria vita, il nome dei Jarjayes implacabilmente esposto all’onta del pubblico ludibrio… un prezzo che André non le avrebbe mai permesso di pagare. L’amava troppo. L’amava al punto di sacrificare se stesso pur di non sconvolgere la sua esistenza, come se non fosse abbastanza quanto aveva già patito a causa sua.
A quella considerazione, lo sguardo della donna cadde involontariamente sul profilo regolare del compagno e sulla sottile cicatrice, tra il sopracciglio e la tempia, in parte coperta dai suoi riccioli scuri.
Il ricordo di quella notte maledetta la colpì come una frustata… ma in realtà, come avrebbe mai potuto dimenticare? Solo per miracolo André era riuscito a schivare il meschino fendente indirizzato contro il suo occhio sinistro, ma la conseguenza di quel movimento, se da un lato aveva limitato i danni a quel taglio superficiale tra la fronte e la tempia, dall’altro lo aveva inevitabilmente destabilizzato, cosicché nulla aveva potuto contro il successivo, fatale affondo del Cavaliere Nero. 
     

Di quanto era accaduto subito dopo, Oscar rammentava con precisione solo di aver sparato d’istinto a quel vigliacco, colpendolo a una spalla, mentre André giaceva ormai esanime sull’erba umida. Il resto erano unicamente immagini e suoni confusi: il sangue e le sue grida che invocavano il nome di André; la corsa disperata verso casa, l’arrivo del dottore, l’angoscia dell’attesa.
Aveva rischiato di morire, il suo André: sebbene la lama avesse solo sfiorato il polmone, l’emorragia era stata copiosa e il cerusico aveva faticato ad arrestarla; poi era subentrata la febbre e per giorni la sua vita era rimasta appesa a un filo.
In quei momenti, Oscar aveva creduto di impazzire. Aveva odiato Bernard Chatelet così ferocemente da desiderarne la morte; un sentimento forte e imperioso che non aveva mai provato in precedenza, neanche nei confronti di individui abietti come Germain o Madame de Polignac, e di cui ora, a mente lucida, quasi si vergognava. Tuttavia, l'idea che quell'uomo se la sarebbe cavata mentre André lottava per sopravvivere, era stata insopportabile per lei. La notte dello scontro lo aveva lasciato a terra privo di conoscenza e solo dopo aver riportato André a Palazzo Jarjayes era tornata a riprenderlo; in seguito però si era pentita di non averlo lasciato morire in quel bosco ed era stata addirittura sul punto di trafiggerlo nel sonno, quando il dottore aveva consigliato a Marron di chiamare un sacerdote per l’Estrema Unzione.
Forse si sarebbe macchiata davvero di quell’infame delitto, se la flebile speranza che André potesse in qualche modo sopravvivere non l’avesse fermata. Di colpo, infatti, aveva pensato che non sarebbe più riuscita a guardarlo negli occhi, non dopo aver ucciso per mera vendetta un uomo, disarmato e inerme, che peraltro lui segretamente stimava. Ed era stato proprio nella camera in cui Bernard riposava ormai fuori pericolo, con la spada ancora in pugno e le lacrime agli occhi, che finalmente aveva capito.
Aveva sofferto, quando Fersen era partito per l’America, aveva persino temuto per la sua vita, ma non aveva avvertito mai, nemmeno lontanamente, quella sensazione devastante di smarrimento e disperazione che da giorni ormai le toglieva il respiro. Non aveva pensato che una vita senza di lui non meritasse di essere vissuta. Non lo aveva fatto perché non era Fersen, l’uomo che amava. Quell’uomo era André.
Il rimpianto per averlo compreso troppo tardi, naturalmente, l’aveva annientata… ma quando, una settimana dopo, era tornata a specchiarsi nel verde limpido dei suoi occhi, si era sentita pervadere da una gioia così grande e possente da far deflagrare il cuore. D’impulso gli aveva preso una mano e forse vi avrebbe posato persino un lieve bacio, se la ragione non avesse preso il sopravvento; si era limitata allora a stringergliela con forza, mentre con dolcezza si chinava un poco in avanti e gli sussurrava di non sforzarsi, ché avrebbero avuto modo di parlare.
“Sono così contento che non sia stata ferita tu al posto mio” aveva tuttavia mormorato André, cercando di camuffare con un debole sorriso la smorfia di dolore che gli era salita sulle labbra.
Ella aveva alzato la testa, incredula, perdendosi per un istante in quello sguardo ancora offuscato dal laudano, che fragile cercava il suo, mentre la luce del nuovo giorno irrompeva nella stanza. Sarebbe stato così facile, in quel momento, confessargli tutto … invece, sopraffatta dalla commozione, era riuscita a malapena a ringraziarlo, e nei giorni successivi l’insicurezza e il timore di una nuova delusione avevano fatto il resto. Aveva rinunciato senza tentare, convincendosi che André nutrisse per lei soltanto una fraterna amicizia e che quindi le sarebbe bastato amarlo in silenzio, affinché le loro vite potessero correre senza scossoni sulla via che meglio conoscevano.
In fondo, non c’è gente che ama una persona per tutta la vita senza che questa persona lo sappia?
Lasciare andare Bernard, solo perché André lo trovava giusto, era stata la prima prova d’amore che gli aveva segretamente offerto, ma più passavano i giorni più si rendeva conto che per lui avrebbe rinunciato a ben altro che a qualche convinzione.
 Nei giorni successivi questa nuova consapevolezza, unita alla paura che aveva provato quando era stata sul punto di perderlo e che ancora si portava dentro, l’aveva indotta a maturare un pensiero che sapeva assurdo e che però non riusciva ad accantonare: dispensare André dal suo antico incarico e destinarlo a una diversa occupazione all’interno del Palazzo, lontano da lei e da ogni dannato pericolo in cui avrebbe potuto coinvolgerlo.
La sera in cui, tornando dalla reggia, lo aveva trovato ad attenderla nelle scuderie con una spada in mano, aveva compreso quanto quell’idea fosse insensata, eppure…
“Che ci fai qui, André?” gli aveva domandato in tono brusco.
“Ti aspettavo per allenarmi, se non sei troppo stanca” aveva risposto lui con un sorriso “Secondo il dottor Lassonne ormai posso farlo, ovviamente senza esagerare”.
“C’ero anch’io ieri, quando Lassonne ti ha visitato, e non si è espresso esattamente così” aveva ribattuto con uno sguardo severo “Se non erro, la concessione che ha fatto alle tue richieste di accelerare i tempi, era preceduta da una premessa, ossia che a suo parere sarebbe comunque più opportuno che tu attenda ancora una decina di giorni, prima di riprendere le tue consuete attività… spada compresa”.
A quelle parole, André aveva dissimulato a stento un gesto stizzito.
“Certo sarebbe l’atteggiamento più prudente, ma sono stanco di fare il malato, Oscar…”
“Non c’è bisogno di essere affrettati, potrai tornare ad allenarti tra qualche settimana” aveva replicato imperterrita lei.
“No, non è vero. Non puoi continuare ad andare a Versailles senza un attendente e cacciarti da sola in chissà quale guaio… perché sappiamo entrambi quanto tu abbia un talento naturale in merito” l’aveva punzecchiata André.
“Mi stai per caso dicendo che ho bisogno di una balia, Andrè?” gli aveva domandato allora affilando lo sguardo.
“Oh no, affatto!” le aveva risposto prontamente lui “Solo di un attendente… abbastanza in gamba da starti dietro, chiaramente!”
A quel punto, Oscar aveva pensato che forse quella poteva essere l’occasione giusta per provare a dirgli quello a cui rimuginava da giorni o quantomeno per vedere come avrebbe reagito all'ipotesi.
 “E se non ritenessi più necessario avere un attendente? ” lo aveva gelato dunque con un tono niente affatto scherzoso.
André aveva aggrottato la fronte. L’espressione di Oscar era pericolosamente seria.
“C’entra il mio ferimento?” le aveva domandato, mentre la sua mente cercava freneticamente di capire quale potesse essere il motivo all'origine di quell’assurdità “Credi che non sia più in grado di assolvere il mio compito?” aveva continuato sentendo montare in lui la rabbia per quello che aveva tutta l’aria di essere un inaspettato benservito. “Rispondimi Oscar, maledizione!” era sbottato di colpo, esasperato dal teso silenzio calato tra di loro.
“No André” aveva replicato a quel punto lei, con una pacatezza che era ben lungi dal provare “In realtà, è una decisione che meditavo da tempo. So che mio padre ti ha affiancato a me con lo scopo anche di proteggermi, ma non sono più una ragazzina. Io credo... credo che sia arrivato il momento di camminare sulle mie gambe, e forse è il caso che mi affianchi qualcuno meno coinvolto emotivamente dalle mie… intemperanze”.
 “Ma cosa stai dicendo…”
“Semplicemente che per l'affetto che mi porti, ti fai coinvolgere in situazioni rischiose in cui non dovresti entrare. Non avresti dovuto mascherarti da Cavaliere nero: un altro al tuo posto non l’avrebbe fatto, non si sarebbe certo offerto di rischiare la vita per me, non avrei dovuto permettere che accadesse e di certo non permetterò che possa capitare ancora, non lo capisci?” gli aveva spiegato lei con veemenza.
“Sono io che non posso permettere che qualcosa capiti a te, perché non ti sono accanto” aveva replicato amareggiato André “Guarda quei segni sul legno... ” aveva ripreso dopo una breve pausa, indicando le tacche sul legno con cui, in un'estate lontana, avevano segnato le rispettive altezze “Eravamo solo due bambini, ti ricordi?”
“Sì… io avevo cinque anni e tu sei…”
“E quel giorno tu cadesti nel lago… ma io ero lì e riuscii a tirarti a riva, anche se per poco non affogammo entrambi. Quel giorno io c’ero, Oscar… ci sono sempre stato” aveva sottolineato con decisione “Ormai è una vita che vengo con te in ogni occasione. Non posso smettere adesso, ti pare?” aveva concluso con una battuta, cercando di stemperare la tensione.
“Non smetteresti nemmeno se ti chiedessi di farlo per me?” aveva mormorato Oscar.
André l’aveva guardata turbato, cercando di reprimere le emozioni contrastanti che si agitavano in lui.
“Perché dici così, Oscar?”
“Perché ho capito che non potrei sopportarlo un’altra volta. Perché nei giorni in cui tu eri in bilico tra la vita e la morte, ho pensato di morire anch’io. Perché, semplicemente, io…” di colpo si era interrotta, abbassando il capo.
Perché io cosa, Oscar?” aveva però sussurrato rauco lui, facendosi un poco più vicino.
Con dignità ella aveva sollevato il mento, fissando lo sguardo nel suo.
“Perché io ti amo”.
 

“Forse dovremmo accelerare l’andatura, di questo passo arriveremo tardi per cena”.
La voce atona di André la richiamò bruscamente al presente, spezzando il filo ora più dolce dei suoi pensieri. Oscar scrollò le spalle
“Non vedo il problema, non sarebbe neanche la prima volta in questi giorni” osservò con noncuranza “Se ti preoccupa il fatto che mio padre abbia qualcosa da ridire in proposito, in realtà lui per primo sa quanto tempo ed energie richieda l’organizzazione del trasferimento a Fontainebleau. A meno che” soggiunse con un sorrisetto ironico “tu non sia così ansioso di tornare a casa per l’arrosto che tua nonna stava preparando stamane…”
Si aspettava che André rispondesse a quell’insinuazione scherzosa con una facezia o per lo meno ricambiando il sorriso; invece egli tacque, il volto pensoso, lo sguardo spento. Oscar non riuscì più a resistere. “Si può sapere che cos’hai?” domandò ruvidamente, fermando César.
“Sono solo stanco” replicò evasivo André, arrestandosi a sua volta.
Oscar gli lanciò un’occhiata penetrante.
“Non mi riferisco solo a oggi. È da qualche tempo che qualcosa ti tormenta, André… Ti prego, non tenerti tutto dentro, parlami. Non c’eravamo ripromessi di non avere più segreti tra noi?”
Il giovane sospirò pesantemente. “Ascolta, Oscar... non ho voglia di parlarne ora” E non saprei nemmeno da dove iniziare, pensò snervato.
Oscar schiuse le labbra per ribattere qualcosa, ma un nitrito la distolse rapidamente dal suo bellicoso proposito di affrontare André una volta per tutte.
“Sta arrivando qualcuno” constatò laconico lui, voltandosi indietro.
In effetti, un uomo a cavallo stava procedendo di gran carriera verso di loro. Istintivamente entrambi si portarono sulla destra per lasciar libero il passo, ma vedendoli il misterioso cavaliere tirò bruscamente le redini sollevando un nugolo di polvere. E fu in quel momento, riconoscendo i tratti del suo volto, che André si domandò cupamente quanto quella giornata iniziata male, rischiasse di finire anche peggio…
 
 
 
 
[1] La grotta di Latona nei giardini di Versailles
[2]  Anticamera degli appartamenti della Regina
[3] Il castello di Fontainebleau si trova a circa 60 km da Parigi e fu per la corte di Luigi XVI una sorta di “Palazzo d'autunno” poiché in questo periodo dell'anno i sovrani, mantenendo la tradizione inaugurata da Luigi XIV, erano soliti trascorrervi un periodo di circa sei settimane
   
 
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