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Autore: silbysilby_    10/12/2017    1 recensioni
Seul, 2015.
La notte di Halloween era sempre stata un evento storico all'Anathema, la discoteca più in voga della città. Già non era un posto raccomandabile, ma in quella occasione raggiungeva apici scandalosi. Sorprendeva pure Jimin e lui di certo non era un santo. A meno che ai santi non sia permesso fare i ballerini nei club.
Jimin si sarebbe aspettato di tutto, tranne che essere coinvolto a sua insaputa in un esperimento. In effetti, non gliene si può fare un torto; da quando in qua le mele hanno incubi, gelosia e passione come effetti collaterali? E da quando in qua le maledizioni si trasmettono con un bacio?
I suoi amici non possono saperlo. Yoongi non vuole saperlo. Non vuole avere più niente a che fare con Park Jimin.
Genere: Dark, Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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E' appena finita la Wings Era. 
Piango.
(Piangete con me su @silbysilby twitter) 


Hey mama
You can now lean on me, I’ll be always next to you
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MAMA

(14) November 2nd, 2015 - Monday

Hoseok non avrebbe dovuto essere così nervoso. 
Taehyung lo aveva rassicurato decine e decine di volte. Non c’era davvero niente per cui essere anche solo vagamente preoccupati, ma l'altro non poteva farne a meno.
Aveva sempre sentito parlare degli amici del cugino, di quello che facevano insieme, delle cose che gli capitavano. Addirittura sua zia aveva da sempre raccontato aneddoti su quello squinternato gruppo di ragazzi, e dovevano essere davvero dei tipi a posto per essersi guadagnati a quel modo l’affetto della donna. 
Forse era proprio quella loro apparente perfezione a metterlo in soggezione. Quel loro essere descritti tutti e cinque belli, bravi e buoni. 
E quella mattina stessa Hoseok li avrebbe incontrati per la prima volta. 
Inutile ed impossibile nasconderlo, il ragazzo ci teneva a dare una buona prima impressione. 
Era per quello che stava passando più tempo del solito davanti allo specchio del corridoio di casa Kim, l'area più trafficata di tutta la casa. Taehyung, Eonjin, Jeonggyu e la signora Kim, sua zia, si stavano ancora preparando per uscire, mentre Hoseok era già pronto da qualche minuto.
Hoseok si aggiustava i capelli in modo che gli scoprissero una parte della fronte, li arruffava, valutava se fosse il caso di indossare un berretto per celare quella tinta aranciata-rossastra. Poteva ritenersi fortunato per non aver dovuto passare molto tempo a scegliere i vestiti dato che si sarebbe tenuto addosso il cappotto. L’unico capo vestiario visibile sarebbero stati i pantaloni, ma almeno su quelli Hoseok non aveva grandi incertezze. 
E poi niente, la sua faccia era sempre la stessa. Da cavallo, la descrisse lui ad alta voce, guardandone la forma allungata con un sospiro. 
“Per me hai un profilo molto elegante.” disse invece Taehyung, passando dietro di lui con le scarpe già ai piedi. 
Hoseok girò automaticamente il viso di lato, come per controllare. 
Divertito da quella sua espressione incerta, il biondo si calcò per bene la giacca a vento sulle spalle prima di andare ad abbracciare il cugino da dietro. Le sue mani si allacciarono contro quello stomaco piatto con una familiarità dettata dal tempo, il mento che andava a puntellare una spalla; Hoseok era un po' più alto di lui, per cui Taehyung era costretto ad allungare il collo per poterci arrivare. 
Il rosso accettò di buon grado quella dimostrazione d'affetto, dando una pacca leggera sulle mani dell'altro. Lo strato di giacca che li divideva era così soffice.
Per un attimo i due si soffermarono a guardare allo specchio le loro figure unite in un'unica, lo sguardo un po' vacuo e i sorrisi assonnati. 
Glielo si leggeva in faccia: ancora non ci credevano di essere finalmente sotto lo stesso tetto, anche se con i giorni contati. Per due famiglie che avevano sempre vissuto a due ore e passa di distanza era davvero un piacere poter stare un po' di tempo insieme al di fuori delle vacanze. 
Anche la madre di Taehyung doveva essere della stessa idea; un'ovazione intenerita le uscì dalla bocca quando vide i due accoccolati in mezzo al corridoio, lo zaino di Jeonggyu che le pendeva dalla spalla.
"I cuginetti che vanno a scuola insieme." cantilenò. Il miele nella sua voce fece arricciare loro il naso, ma senza infastidirli davvero. 
"Tecnicamente, io accompagno soltanto." disse Hoseok. 
La zia gli rispose sventolando una mano. 
"Shh, non dirlo. Tanto presto sarà così." 
Con una smorfia divertita, Taehyung mollò la presa per andare a finirsi di preparare. Diede un'ultima pacca sulla schiena di Hoseok, scuotendo la testa in direzione della madre. 
Con quel gesto, a lei disse: ehi, sei imbarazzante, ma tu e la zia sognate di riunire la famiglia da così tanto tempo che non posso darti torto. 
E' bello averti qui
, aveva detto invece a Hoseok.
L'appartamento divenne finalmente silenzioso quando la famiglia ne uscì. L’unica persona a rimanere in casa era la madre di Hoseok, ancora dormiente nella camera degli ospiti. 
Dopo aver scavalcato un paio di scatoloni vuoti impilati nell’atrio, Eonjin e Jeonggyu scesero le scale di corsa, gli zainetti di scuola che battevano contro le loro schiene e loro madre che gli urlava dietro. 
Una volta chiuso il portone principale, Taehyung regalò un sorriso genuino a Hoseok. Gli fece cenno con la testa di iniziare pure a scendere, gli occhioni luminosi anche se ancora un po' pesti. 
La sera prima avevano dormito davvero poco e niente tra accogliere cugino e zia e trasportare qualche scatolone in casa; la maggior parte della loro roba sarebbe stata messa in un magazzino apposito che avevano fatto riservare alla ditta di traslochi. 
Usciti dal condominio, i cinque si incamminarono verso il garage. Una volta che i due piccoli di famiglia furono saliti in auto i due cugini più grandi gli assicurarono per bene le cinture di sicurezza. 
Lanciando un’occhiata a Taehyung dal lato opposto della vettura, attraverso le aperture degli sportelli posteriori, Hoseok esternò l’ennesima insicurezza riguardo l'imminente incontro.
“E se mi trovassero invadente? Dopotutto tu e i ragazzi avete così tante abitudini, così tante tradizioni. Non voglio essere di troppo.” 
Il biondo disincastrò la sciarpa a Jeonggyu dalla cerniera della giacca, tirandola.
“Hobi,” disse, rassicurante. “le tradizioni possono cambiare.”

(15) November 2nd, 2015 - Monday

Quel lunedì mattina un sole pallido e malaticcio era tutto quello che era concesso agli abitanti di Seul. 
Le foglie secche che nel tempo si erano accumulate per le strade erano state calpestate così tante volte che, dopo un’abbondante pioggia come quella della notte appena passata, si erano ridotte a brandelli di poltiglia informe.  
L’asfalto era insidioso e pieno di buche talmente grandi che se uno ci incappava quando erano piene d’acqua si sarebbe ritrovato le caviglie in ammollo. 
Fu proprio una di queste pozzanghere che Namjoon beccò in pieno quando scese dall’auto nel parcheggio principale della scuola; ci finì dentro a piedi piatti, infradiciandosi completamente le scarpe. Il ragazzo sospirò, ancora troppo assonnato per arrabbiarsi o pensare di uscire dalla buca. 
Quando Seokjin capì a cos'era dovuta quella sua espressione inebetita scoppiò a ridere, chinandosi sul volante con la fronte. La sensazione doveva essere parecchio spiacevole, ma sapeva che Namjoon non era il tipo da prendersela più di tanto per queste cose. 
Certo, però, che un po' di affetto in situazioni come queste non avrebbe guastato. 
Seokjin si slacciò la cintura di sicurezza e allungò un braccio oltre il sedile del passeggero. Tirando Namjoon a sé per il cappuccio della giacca lo fece risalire in auto, consolandolo con un bacio. 
Namjoon ritenne necessario averne subito un altro, questa volta più lungo e approfondito. Si ritrovò a scrollarsi la giacca a vento dalle spalle quando, tra il riscaldamento che andava a manetta e le mani calde di Seokjin poste ai lati del suo viso, gli iniziò a venire caldo. 
Era pieno giorno e la loro auto era in bella vista dall'ingresso della scuola, ma nessuno dei due pensò che fosse meglio rinviare a più tardi. Una volta entrati nell'edificio avrebbero dovuto mantenere un profilo basso e questo assicurava loro un minimo di cinque ore di completa astinenza da effusioni.
Non che la loro relazione fosse segreta, anzi. Seokjin e Namjoon facevano coppia fissa da quando si erano conosciuti tre anni prima e più o meno chiunque ne era al corrente. Ormai nessuno faceva più una grinza quando li vedevano seduti troppo vicini o quando si tenevano per mano durante la pausa pranzo, ma non era sempre stato così. 
C'erano stati pettegolezzi, c'erano state risate alle loro spalle. C'erano state occhiate disgustate e amicizie perse. 
Per Namjoon la cosa era stata più facile da sopportare. O meglio, a lui la cosa non era nuova, per cui c'era passato sopra più facilmente. 
In prima superiore era già stato relegato alla figura idealizzata dell'adolescente ribelle e problematico, un soggetto che i professori dovevano rimettere in carreggiata. Namjoon non aveva fatto niente per farsi dare quell'etichetta; a quanto pare era bastato che un angolino del suo primissimo tatuaggio sbucasse dal colletto della camicia a fargli da biglietto da visita. 
Era appena all'inizio del primo anno e i suoi coetanei neanche si avvicinavano a parlargli, giudicandolo un poco di buono. 
Forse fu quella disperata voglia di farsi qualche amico a spingerlo ad accettare seduta stante la proposta di uno dei suoi insegnanti. Avrebbe iniziato a dare ripetizioni d'inglese, materia per cui era incredibilmente portato, ad un ragazzo di seconda che a quanto pare era in difficoltà. 
Ragazzo che si era rivelato essere Seokjin. 
Seokjin a cui non poteva fregargliene meno di quello che diceva la gente fino a quando Namjoon lo avrebbe aiutato a studiare quei maledetti verbi irregolari. Al loro primo incontro nella biblioteca scolastica si era limitato a chiedergli la sua media di voti e quanti soldi chiedeva all'ora.
Ai due non c'era voluto molto per innamorarsi. Namjoon non aspettava altro, Seokjin neanche se ne accorse. 
Avevano preso a passare tutti i pomeriggi insieme, che fosse in biblioteca o in un qualche caffè della zona. Trascorrevano ore ed ore a scrivere, ripetere frasi, correggere pronunce. Ad un certo punto Seokjin aveva iniziato a portarsi dietro merende, panini e snack che casualmente non aveva mai voglia di mangiare; Namjoon gli aveva confessato, dopo essersi sentito chiedere perché spesso e volentieri fosse introvabile durante la pausa pranzo, che non voleva starsene in mensa a guardare gli altri mangiare quando lui cercava di risparmiare i soldi che ci avrebbe speso.
Seokjin capì di non vedere l'altro come un semplice amico poco a poco, tra un esercizio e l'altro. Lo capì dal modo in cui la sua mente pareva azzerarsi al suono della voce calda con cui Namjoon parlava sia coreano che inglese, dalla curiosità ossessiva per cui voleva tanto vedere quel tatuaggio sulla schiena dell'altro, dalla frequenza con cui si ritrovava a desiderare che l'altro poggiasse il capo sulle sue spalle quando lo vedeva particolarmente stanco. 
I due ancora ridevano quando ricordavano insieme la faccia esterrefatta di un'insegnate di sostegno che aveva avuto la sfortuna di trovarsi nel luogo sbagliato, nel momento sbagliato. 
Seokjin aveva tenuto la verifica di inglese più importante dell'anno, quella che avrebbe dovuto cambiare la sorte della sua media bassa. Si trovava di fronte alla bacheca dei voti in compagnia di Namjoon, le mani sugli occhi. 
Se non sei passato ti ridò metà dei soldi, continuava a scherzare l'altro, mettendogli ancora più ansia. 
Quando Namjoon gli lesse il voto che aveva preso, Seokjin non ci credette. Si era levato le mani dalla faccia ed era andato a vedere di persona. Poi dall'entusiasmo aveva buttato le braccia al collo di Namjoon per la prima volta in tutta la storia della loro relazione e gli aveva stampato un bacio sulla bocca. 
Si erano guardati negli occhi, sorpresi. Poi si erano voltati verso l'insegnante di sostegno che li fissava, ancora più sorpresa. 
Se il ricordo del loro primo bacio era divertente, quello del loro primo appuntamento vero e proprio era, come lo descriveva Seokjin, un'ansia assurda. 
Era rimasto ad aspettare Namjoon ad un parco per quelle che gli erano parse ore. Al tempo non poteva immaginare che l'altro avesse perso il treno e avesse il cellulare scarico. Seokjin era rimasto lì, sotto gli alberi di ciliegio in fiore, convinto di star ricevendo il bidone più colossale di sempre. 
Quando aveva visto Namjoon correre tutto trafelato verso la sua direzione ricordava un sollievo immenso, una risata dal retrogusto lacrimoso che gli era salita per la gola. 
Tutti questi ricordi facevano diventare Seokjin malinconico. Lo era spesso, ultimamente. 
E non solo ricordi di Namjoon, ma anche della sua famiglia, dei suoi amici. 
La scuola per lui quell'anno sarebbe giunta al termine e sembrava un po' l'apocalisse. Gente, sbandierate i conti alla rovescia, correte a far scorta di cibo in scatola. 
L'ultimo anno. L'ultimo ponte di Halloween. 
Seokjin pensava a tutto questo chiuso in auto con il suo ragazzo, tra un bacio e l'altro. 

(16) November 2nd, 2015 - Monday

Jungkook e Yoongi alzarono lo sguardo quando videro emergere Namjoon e Seokjin dal parcheggio. I bordi dei jeans del ragazzo dai capelli verdognoli erano di qualche tonalità più scura rispetto al resto della stoffa, ma i due non si fecero domande. 
Scambiandosi gli ultimi commenti entusiasti su un programma tv che seguivano entrambi, li aspettarono sul marciapiede che portava all’ingresso principale della scuola, sotto il lampione mal funzionante che usavano sempre come riferimento per incontrarsi.
I quattro si scambiarono pacche e abbracci, eseguendo solo metà dell'inconscio rituale del gruppo. 
Chiacchierarono un po', chiedendosi a vicenda come avevano passato il resto della giornata di Ognissanti dopo la colazione da Cup’s. 
"Allora, quando arrivano gli altri?" chiese Namjoon, il freddo pungente che gli stava facendo rimpiangere di aver lasciato l'auto. 
Yoongi si limitò ad alzare le spalle. L’espressione distesa che aveva avuto fino a un secondo prima si annuvolò. Ci pensò Jungkook a rispondere. 
"Jimin è gia arrivato. E'..." 
Occhiata a Yoongi. 
"...da qualche parte." 
Tutti sorvolarono sulla cosa, cambiando argomento. Jimin a parte, all'appello mancava solo Taehyung; il biondo li aveva già avvisati del suo ritardo sulla loro chat di gruppo. 
Come aveva ricordato loro spesso, il giorno precedente erano arrivati sua zia e suo cugino, e sarebbero rimasti a casa sua fino a quando l'appartamentino che avevano già trovato non sarebbe stato abitabile con acqua e gas. 
Non si era mai perso troppo a raccontare le cose nel dettaglio, anche perché non gli sembrava giusto sbandierare ai quattro venti quelli che non erano fatti suoi, ma la vita della famigliola non era stata proprio tutta rose e fiori; gli ultimi eventi li avevano portati a decidere di trasferirsi a Seul. 
Taehyung aveva chiesto al gruppo di essere i più gentili e amichevoli possibili nei confronti del cugino. Dopotutto, Hoseok, o detto più affettuosamente Hobi, aveva lasciato tutti i suoi amici nella vecchia città e ne avrebbe avuto bisogno di nuovi. 
Con questi propositi Taehyung aveva cercato di organizzare un breve incontro prima dell'inizio delle lezioni, dando appuntamento agli altri fuori dall'edificio. Peccato che i due parenti fossero in ritardo, cosa che penalizzava il già ristretto lasso di tempo rimanente.  
Mancavano appena cinque minuti e ancora non si vedevano. Gli unici veicoli ad essere entrati in quella zona del parcheggio erano quello di Seokjin e un minivan nero da cui non era uscita un'anima.
Quando Yoongi gli chiese per l'ottava volta quanto mancasse al loro arrivo, Jungkook diede una scrollata di spalle. Come poteva saperlo? Non è che essendo il migliore amico di Taehyung aveva una qualche sorta di cerca-persone interno che gli segnalava dove si trovasse l’altro. E più Yoongi glielo chiedeva più lo innervosiva, quasi facendolo sentire in colpa per non averlo davvero. 
Già la mattinata non era partita bene per lui. Non che fosse partita particolarmente male, ma anche solo cambiare un particolare della sua routine quotidiana lo aveva fatto sentire fuori fase. 
La madre di Taehyung era solita dargli uno strappo fino a scuola ogni mattina, ma con l’aggiunta del cugino a bordo l’auto era al completo. Jungkook non se l’era sentita di insistere quando quella povera donna faceva già così tanto per lui. 
Jungkook appoggiò la schiena al palo del lampione, seppellendo il naso nella sciarpa. 
Inutile negarlo, non era entusiasta dell’arrivo dell’altra metà della famiglia di Taehyung; non è che non volesse, semplicemente non si sentiva euforico all'idea. La cosa lo faceva sentire terribilmente in colpa, ma non poteva farci niente. Sperò almeno che non gli si leggesse in faccia.
“Allora, Kookie, tu l’hai già conosciuto questo Hoseok? Com’è?” 
Alla domanda di Namjoon, il ragazzo interpellato smise di ticchettare le unghie contro il ferro opaco del palo. Rispose fissandosi le punte delle scarpe, desiderando di essersi portato dietro qualcosa con cui coprirsi il capo. 
“No, non l’ho mai incontrato. Ho visto delle foto e so un paio di cose sul suo conto, ma non so bene neanche io chi aspettarmi. Posso solo dirvi che a detta di Tae è una specie di prodigio della danza e che è un tipo alla mano.”
Jungkook avrebbe potuto aggiungere qualcosaltro, ma non fece in tempo. 
La strada scricchiolò al passaggio di un'auto. Tutti e quattro i ragazzi si voltarono verso la stessa direzione, vendendo la suddetta auto entrare nel parcheggio. Una portiera anteriore e quella del passeggero si spalancarono quasi in simultanea, senza che il motore venisse spento. 
Jungkook deglutì, liberando il lampione dal proprio peso e raddrizzando le spalle.
Dalla prima portiera uscì Taehyung, lo zaino che ciondolava da una spalla e un sorriso già stampato sul viso scarno, la chioma giallo limone che lo distingueva sempre e comunque. Dalla seconda uscì un ragazzo abbastanza alto, dal fisico slanciato, i capelli arancio. 
Due vocine acute e strillanti distrassero Jungkook dalla sua primissima ispezione visiva: dalla portiera anteriore ancora aperta, Eonjin e Jeonggyu si stavano sbracciando come potevano dai loro seggiolini, tutti imbacuccati tra sciarpe, guanti, berretto e cintura di sicurezza. Il fratellino e la sorellina di Taehyung lo stavano salutando a gran voce, i loro faccini luminosi e spensierati. 
Per un attimo i pensieri di Jungkook vennero messi da parte. Si mise a scuotere la mano verso la loro direzione, gli angoli della bocca sbarazzini che si alzavano di loro spontanea volontà. Se quelle due piccole pesti ne sapevano sempre una in più del diavolo e si divertivano a fare dispetti a Taehyung, in presenza di Jungkook diventavano magicamente docili e affettuosi, sempre a strattonarsi per farsi prendere in groppa per primi. 
Hoseok era già stato accalappiato da Taehyung per le spalle. Quest’ultimo lo stava spingendo verso i propri amici quando l'altro venne richiamato indietro dalla zia; cacciò la testa dentro l’auto e ne uscì con una vistosa impronta di rossetto sullo zigomo. I due cugini camminarono fino al gruppetto formatosi sotto il lampione, uno imbarazzato e l’altro raggiante. 
La manica della giacca di Taehyung poteva benissimo essere stata cucita direttamente con il colletto del cappotto di Hoseok per quanto il biondo non si allontanasse nemmeno di un centimetro. In quel suo fare protettivo, nel modo in cui mostrava fisicamente dalla parte di chi stava, come per mettere in chiaro per tutti quanti che la persona sotto la sua ala era da rispettare, Jungkook riconobbe lo stesso atteggiamento che aveva tenuto nei suoi confronti agli esordi del suo inserimento nel gruppo. Jungkook era stato l'unico a frequentare ancora le scuole medie mentre tutti gli altri erano delle superiori; non era stato facile provare agli altri che volendo poteva essere forte e maturo quanto loro. 
Peccato che adesso Taehyung non si stesse scollando neanche per dare un abbraccio al suo migliore amico, scombussolandogli per la seconda volta tutta la cosa della routine. Si limitò a rivolgergli un sorriso smagliante, lo stesso che aveva condiviso con tutti quanti gli altri. 
Il nuovo arrivato tossì un paio di volte, la punta del naso arrossata che faceva presumere fosse raffreddato. Si mise le mani nelle tasche del cappotto, lasciandosi guidare dal cugino. 
Sotto il nervosismo che era impossibile da nascondere, il modo in cui il sorriso di Hoseok era piegato aveva davvero qualcosa di buono e umile. Ora che era vicino a loro, i ragazzi poterono notare la forma allungata del suo viso, il naso sottile e quelle guanciotte che completavano il tutto.
Taehyung liberò Hoseok dalla sua presa e fece un passo indietro, l'aria solenne di chi sta facendo gli onori di casa.
“Hobi,” gesticolò. “ti presento i miei amici. Ragazzi, mio cugino Hoseok. Trattatemelo bene.” 
Tutti abbassarono appena il capo prima che Hoseok si mettesse a stringere loro la mano uno ad uno. Dovette ringraziare mentalmente Taehyung per avergli mostrato tutte quelle foto negli anni: era un sollievo sapere già in partenza associare facce e nomi senza ulteriori imbarazzi. 
In partenza si mostrò un po’ intimorito da Namjoon, probabilmente sapendo che in quel gruppetto di amici così affiatato sembrava lui quello a tenere le redini, a preoccuparsi sempre del benessere degli altri, a mettere fine ai conflitti. 
Come infatti ci si aspettava da lui, vedendolo teso, Namjoon provò subito a spezzare il ghiaccio. “A guardarvi non l’avrei mai detto che siete parenti. Non vi assomigliate per niente.”
Hoseok lanciò un’occhiata al cugino, come per assicurarsi della cosa. “Credo sia perché entrambi assomigliamo di più a nostro padre e non alle nostre madri.” 
Namjoon annuì con un sorriso, sfoderando un paio di fossette che non potevano che essere definite adorabili. Anche così, Hoseok avrebbe detto che a guardarlo sembrava il più grande fra tutti, nonostante sapesse che non era vero. 
La presa di Seokjin gli parve solida e rassicurante, ma Hoseok non sapeva se questo pensiero fosse tutta farina del suo sacco o se era dovuto a tutte le cose belle che Taehyung gli aveva detto di lui. Quel ragazzo aveva un che di dolce, e non era tutto merito della chioma rosata. 
Quando toccò a Yoongi, Hoseok, che ormai si stava tranquillizzando e sorrideva con più naturalezza, si ricordò subito del video che il cugino gli aveva mostrato una volta. 
“Tu sei quello che suona il pianoforte, giusto?"
Yoongi si sorprese. Non poté evitare di sentirsi un minimo lusingato, anche se non si trattava di un complimento.    
“Si. Si, sono io.” rispose, stringendogli la mano con le sue dita pallide. Regalò un sorriso a Hoseok e ne concesse uno più piccolo anche a Taehyung. 
“E’ la prima volta che vieni a Seoul?” chiese, infrangendo in via del tutto eccezionale la sua regola del non parlare se non interpellato. 
Il rosso avrebbe risposto in modo affermativo se non fosse stato afferrato per le spalle e fatto voltare indietro, un paio di labbra morbide che si stamparono sulle sue.
Il contatto durò appena due secondi, ma il suo corpo venne pervaso da una scossa. Le orecchie gli si riempirono di un rumore vibrante, come se due oggetti in ferro fossero collisi. 
Sotto la luce bianca di quel mattino, Jimin non fece nemmeno caso quando quello che per lui era ancora uno sconosciuto aprì le palpebre, svelando delle pupille piatte e uniformi. 
Il ragazzo dai capelli argentei sorrise languidamente a Hoseok, facendo ben mostra di una dentatura perfetta e dei suoi zigomi morbidi. Tornò ad appoggiare i talloni a terra dato che si era dovuto mettere sulle punte dei piedi per poter arrivare al suo viso. 
“Bacio di benvenuto a Seul.” disse con nonchalance. 
Gli occhi di Hoseok, tornati al loro colore scuro, rimasero sgranati dalla sorpresa. Taehyung poggiò una mano sulla sua spalla e lo scosse affettuosamente; lanciò un'occhiata storta a Jimin per aver vanificato gli sforzi di tutti per creare una sorta di clima accogliente.
“Te lo dicevo che erano amichevoli.” 
Il colpevole ridacchiò, non potendo trattenersi dall'ammiccare a quella parola. Cercando di fare la persona civile fece per stringere la mano di Hoseok, quando la sua attenzione si focalizzò sulla persona dietro di lui.
Jimin avrebbe dato oro per sapere se Yoongi indossava quell’espressione irascibile ventiquattro ore su ventiquattro o solo in sua presenza.  
Lanciò un sorriso canzonatorio anche nella sua direzione. Non è che avesse molto da perderci; a quel punto essere odiato un po’ di più non gli faceva alcuna differenza. 
Notando lo sguardo tra i due, Taehyung si affrettò a sospingere Hoseok verso Jungkook, togliendolo d'impiccio. 
Il castano protese la sua mano che subito venne stretta calorosamente. Il viso di Hoseok parve ravvivarsi.
“Tu devi essere Jungkook. Taehyung non fa altro che raccontare di cosa combinate insieme.”
"Davvero?" 
Gli occhi di Jungkook volarono un attimo su quelli del biondo, accogliendo finalmente la prima interazione della giornata con il suo migliore amico. Per Taehyung doveva essere stranissimo ritrovarseli uno di fronte all’altro dopo aver passato una vita a raccontare aneddoti e confidenze ad entrambi. Soprattutto certe confidenze.
Jungkook gli sembrava normalissimo, eppure Taehyung era sicuro che, facendo la conoscenza del famigerato cugino, stesse pensando ad una sola cosa. 
Fatte e finite le presentazioni ufficiali i ragazzi avrebbero volentieri fatto un po’ di conversazione, ma la campanella della scuola suonò in lontananza. La seconda, quella che determinava l’inizio della prima ora di lezione, sarebbe suonata da lì a cinque minuti e i ragazzi avrebbero fatto meglio ad affrettarsi. 
Salutarono nuovamente Hoseok con la promessa di rivedersi le mattinate successive fino alla cena di venerdì sera per cui si erano già organizzati. 
Facendosi precedere dagli altri cinque che si incamminarono verso l’ingresso principale, Taehyung rimase un attimo indietro, assicurandosi che il cugino ricordasse di dover restare dov'era ad aspettare sua madre. 
L’idea di lasciarlo lì da solo, al freddo, in un posto che non conosceva non gli piaceva per niente, ma non poteva permettersi di saltare la prima ora. 
Cercando di prendere tempo, Taehyung allungò una mano e cancellò con il pollice i rimasugli di rossetto sullo zigomo di Hoseok, il dito che a sua volta si macchiava di rosso. 
I due parenti si scambiarono un sorriso complice prima che il biondo, con un’ultima pacca sulla schiena, si decise ad avviarsi per il marciapiede. 

(17) November 2nd, 2015 - Monday

Appena entrato in aula Yoongi venne subito chiamato a gran voce; il professore, intento a leggere un giornale nell'attesa che suonasse la seconda campana per poter fare l'appello e iniziare la lezione, lanciò un'occhiata di rimprovero da sopra gli occhiali a Kihyun, intimandogli di fare meno chiasso. Il ragazzo gli fece un sorrisetto di scuse e si limitò a sbracciarsi per farsi notare dal moro. Yoongi lo vide comunque e lo raggiunse, mollando lo zaino a terra. 
Entrati subito dopo di lui, anche Namjoon e Jimin presero posto: quest'ultimo si diresse direttamente verso il suo banco nella fila centrale, abbastanza lontano dalla cattedra per permettergli di farsi gli affari propri ma neanche troppo in fondo per essere costretto dai professori a spostarsi più avanti. Appese borsa e cappotto allo schienale della sedia, attirando l'attenzione del suo compagno di banco che fino a quel momento era stato preso da un qualche giochino nel suo cellulare. Come ogni giorno venne squadrato dalla testa ai piedi. Poi il ragazzo in questione gli ammiccava un occhiolino, dando una seconda occhiata al capo vestiario di Jimin che preferiva; quel giorno si meritò questo privilegio il nuovo paio di jeans a vita alta, con una nota di merito a come fasciava perfettamente le sue cosce muscolose. 
Ma una terza occhiata venne concessa ad un punto preciso sotto la sua mandibola: un paio di succhiotti visibilmente nuovi di pacca gli spiccavano rossi e impertinenti, sottolineando ogni guizzo sotto la sua pelle. 
Il compagno di banco alzò gli angoli della bocca alla vista di essi. Sorrise al proprietario, come se ammirasse la sua abilità nel riuscire a ritagliarsi il tempo per delle sveltine prima della scuola; era chiaro come il sole che non essere stato lui a procuraglieli lo infastidiva. Sentendo odore di rogne, Jimin si alzò il collo alto del suo dolcevita più su che poté, nascondendo i succhiotti. 
Forse avrebbe dovuto farlo prima, perché non appena si sedette l'altro iniziò ad accarezzargli la gamba con aria casuale. Le dita di Jimin andarono a districare nodi inesistenti tra la sua frangia argento, senza curarsi della cosa. 
Il compagno di banco, ancora più scocciato da quell'indifferenza totale, lasciò la mano scivolare in avanti, verso l'interno coscia, ottenendo così l'effetto desiderato: gli occhi grandi e tondeggianti di Jimin saettarono sui suoi, il viso che non si era spostato di un millimetro, ma non gli venne dato quel sorriso intrigante che si aspettava di ricevere. Le gambe un po' divaricate di Jimin si erano sigillate con uno scatto repentino, le ossa delle ginocchia che probabilmente avevano sbattuto insieme.  
Non fece in tempo a succedere niente tra i due, perché uno zaino in pelle tutto malconcio venne poggiato sui loro banchi. L'espressione cordiale di Namjoon nascondeva molto male l'antipatia per il compagno di banco di Jimin che batté automaticamente la mano in ritirata. 
Jimin non seppe se sentirsi irritato da tutta quella monitorazione che il suo amico esercitava spesso e volentieri su di lui o s e essergli grato. Stava per chiedergli se avesse bisogno di qualcosa, ma Namjoon non si rivolse a lui. 
"Amico," disse al suo compagno di banco. " possiamo fare cambio posto? Solo per quest'ora, poi torniamo come prima." 
Il suo suonava più come un ordine che come una richiesta, ma l'altro sembrò sul punto di protestare comunque. L'intervento di Jimin e dello squillo della campanella capitarono tra capo e collo al ragazzo, dandogli ben poco tempo per barattare.
"Oh, è vero. Scusa, mi sono dimenticato di dirti che avevo chiesto a Namjoon se poteva aiutarmi durante matematica." Jimin lo guardò un po' da sotto le ciglia, mordendosi le labbra carnose. "Lo sai che sono un disastro con la geometria analitica."
Per dare quell'ultima spinta verso la decisione giusta al ragazzo, Namjoon incrociò le braccia, sollevando appena le maniche del suo maglione. Ancora gli era impossibile capire il perché, ma finché la vista dei suoi tatuaggi avrebbe messo in soggezione le persone sarebbe stata un'arma che avrebbe continuato ad usare. 
Il compagno di banco di Jimin sospirò, rassegnato. Si alzò e raccattò astuccio e quaderno, andando a sedersi al posto che spettava a Namjoon in seconda fila. 
Il professore alla cattedra sembrò risvegliarsi dal suo letargo e intimò agli alunni ancora in piedi di accomodarsi e di spegnere i cellulari. La porta dell'aula venne chiusa, segno che chiunque fosse arrivato da quel momento in poi si sarebbe beccato un ritardo sul registro. 
Dopo essersi seduto, Namjoon aveva aperto il libro di esercizi sul banco, aveva tirato fuori l'astuccio possibilmente ancora più mal ridotto dello zaino. Se ne stava a guardare dritto davanti a sé, in attesa dell'inizio della lezione. Jimin provò a lanciargli un paio di occhiate interrogative, ma l'altro lo ignorò, la punta della penna che teneva in mano che tamburellava ossessivamente contro le pagine.
Sapeva bene dove la paternale che sarebbe partita da lì a breve andasse a parare, e di sicuro non si trattava di geometria analitica. 
 
(18) November 2nd, 2015 - Monday


Hoseok si infilò gli auricolari nelle orecchie, sperando che la musica aiutasse a far passare il tempo più velocemente. 
A parte un paio di studenti in ritardo che gli erano passati di fianco sfrecciando, la strada era deserta. Era solo più o meno da una decina di minuti, ma a stare fermo il freddo si faceva sentire. 
Sua zia gli aveva promesso che avrebbe accompagnato i suoi cuginetti alle elementari il più velocemente possibile per poi tornarlo a prendere, ma anche se non avesse beccato semafori rossi ci sarebbe voluta come minimo una mezz'ora.
Non era sicuro di quel che avrebbero fatto una volta tornati a casa loro: probabilmente avrebbero aspettato che sua madre si alzasse per andare a fare colazione, la seconda della giornata per Hoseok, in un qualche centro commerciale dove avrebbero potuto fare anche compere. 
Per quanto l'idea di gironzolare per i negozi in compagnia di due donne non allettasse molti giovani, a Hoseok non dispiaceva passare del tempo con madre e zia insieme. Non si vedeva mai con quest'ultima, se non per le festività, e pure con la prima si era visto di rado nelle ultime settimane. Tra gli scatoloni per un trasloco senza meta e le giornate di straordinari a lavoro, sua mamma era stata sempre via, sempre distratta. 
Erano a Seul dal giorno prima, ma lei doveva ancora riprendersi da tutta quella fatica. L'avevano lasciata dormire indisturbata e lei si era svegliata autonomamente giusto per l'orario dei pasti, per poi tornare a letto. 
La madre di Hoseok stava affrontando un altro dei suoi momenti difficili. Da tempo aveva iniziato a nascondere il suo malumore al figlio, ma lui sapeva che doveva essersi trattato del periodo peggiore di tutti dato che l'aveva spinta dopo tanti anni a scegliere definitivamente di trasferirsi. 
Il doloroso divorzio dal padre di Hoseok era avvenuto quando quest'ultimo frequentava l'ultimo anno di elementari, ma la donna pareva ancora portarsi dietro spettri e insicurezze di quei tempi. 
Ogni volta che Hoseok si diceva che era finito tutto, che era arrivata l'ora di guardare avanti e voltare pagina, sua madre ci ricascava di testa.
Solo Dio sapeva cosa non avrebbe dato pur di vederla serena. Era impossibile toglierle ogni peso dalle spalle e farsene carico, ma Hoseok avrebbe voluto almeno che lei lo lasciasse sollevarne una parte.
La schiena della donna era stata provata da troppe fatiche, prima o poi si sarebbe spezzata una volta per tutte. Hoseok era forse ancora troppo giovane per capire, troppo immaturo, ma la sua di schiena era ancora sana e robusta ed era pronto a sacrificarla per lei. 
Cercava di chiederle il meno possibile, arrangiandosi come poteva con la paghetta mensile per ogni bisogno. Quando gli avanzavano dei soldi glieli restituiva a sua insaputa. Se lei per prima non lo avesse considerato indipendente e maturo, sarebbe stato impossibile convincerla a fidarsi e lasciare che il ragazzo restituisse il bene ricevuto. 
Un brusco colpo di tosse colpì Hoseok, come per fargli presente che evitava anche di farle sapere quando non si sentiva in forma per paura che lei lo considerasse viziato e fragile. Lui tentò di camuffarlo con la sciarpa, approfittandone per stringersela al collo.
Non passò molto tempo prima che tossì violentemente per una seconda volta, la testa che gli iniziò a pulsare dalla foga. Si piegò in avanti con il capo e si coprì la bocca con la mano, la gola che gli doleva. 
I suoi occhi gentili si tinsero di un bronzo metallico e lucente, il confine tra la pupilla e il suo esterno inesistente. La tosse continuò a scuoterlo per le spalle fino a quando, con un ultimo colpo dal retrogusto sanguigno, qualcosa colpì l'interno della mano che si teneva a coppa sul viso.
La tosse smise di tenerlo piegato in due e Hoseok poté ridistendere la fronte e aprire gli occhi, stranito. Aveva fatto colazione più di un'ora prima, se gli fosse rimasto qualcosa incastrato in gola avrebbe dovuto infastidirlo da un pezzo ormai. 
Quando Hoseok staccò la mano dal viso, il suo alito caldo che si tramutava in bianco fumo, sul suo palmo era poggiata una pillola. Era perfettamente integra, asciutta, le due parti tinte rispettivamente di giallo e arancio.
La testa del ragazzo si svuotò da ogni pensiero, il suo respiro si calmò fino quasi ad azzerarsi. La pillola gli cadde di mano e colpì l'asfalto. 

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La pillola gli cadde di mano e colpì il pavimento.
Per sua fortuna le dure piastrelle del bagno erano ricoperte da uno spesso tappeto blu che attutirono l'impatto ed impedirono alla piccola capsula di rompersi. Hoseok la raccolse, ci soffiò sopra e la reinserì nel suo barattolino, disperdendola tra decine di simili. 
Poggiò il barattolo su una delle mensole, fuori dalla portata di un bambino. 
Doveva essere domenica. C'era tanta luce per essere mattina presto, ma la casa era ancora silenziosa. Sua mamma sarà stata ancora a letto. 
Hoseok non aveva bisogno di guardarsi intorno per capire di trovarsi in quella che ormai doveva considerare la sua casa d'infanzia. Aveva salutato per l'ultima volta quelle mura pochi giorni prima, si era tirato dietro il portone e aveva affidato le chiavi al nuovo acquirente. 
Eppure si ritrovava di nuovo lì, come se non se ne fosse mai andato.
Non ebbe bisogno di cercare nessun calendario per sapere in quale periodo della sua infanzia si trovasse: le sue mani si aggrapparono ai pomelli dei cassetti del lavandino, aprirono ante, frugarono tra cosmetici e saponi, ma non trovò traccia di schiuma da barba e rasoi. 
Hoseok uscì dal bagno e si addentrò per un corridoio, la luce diurna che si incupiva man mano che si avvicinava alla stanza dei suoi genitori. Ne aprì la porta, pregandola di non far rumore. Entrò con passo felpato, trattenendo il respiro come quando da piccolo fingeva di essere un agente segreto in missione. All'interno l'aria sapeva di chiuso, le tapparelle erano ancora serrate e sua madre era riversa sul materasso a dormire con gli occhi aperti, dieci anni in meno di segni sul viso.
Lui raggiunse l'armadio dei vestiti dall'altra parte della stanza e ne aprì le ante, per sottoporre anch'esso alla sua inquisizione. Niente cravatte tra tutti quei pizzi. 
L'Hoseok di quei tempi doveva avere otto anni e suo padre se ne era già andato di casa.
Non era scappato, non era fuggito senza preavvisare. Semplicemente un giorno lui e sua madre avevano preso Hoseok da parte e gli avevano detto che papà si sarebbe trasferito fuoricittà e non avrebbe più vissuto lì con loro. Sarebbe potuto andare a trovarlo ogni volta che lo desiderava, oltre che passare il fine settimana da lui a sabati alterni. 
Hoseok era rimasto solo con la madre, più pallida e smunta che mai. 
All'uscita delle scuole elementari aveva iniziato a passarlo a prendere la nonna. Poi era sempre lei a preparargli il pranzo e controllare che facesse i compiti. Verso il tardo pomeriggio lo accompagnava a casa sua con la cena ancora calda chiusa in un contenitore. La nonna scaldava il cibo e gli faceva compagnia per assicurarsi che il bambino mangiasse. 
Quando Hoseok gli chiedeva perché la mamma non uscisse dalla sua camera per stare un po' con loro, l'anziana donna si limitava a fare un sorriso bieco e a dirgli che la figlia era andata in letargo. 
Avrebbe scoperto solo in futuro che era la depressione a calamitare sua madre a letto. Gli antidepressivi erano all'ordine del giorno. Le confezioni che la donna comprava a pacchi erano sempre in giro per la casa, come se volesse accertarsi di non rimanere mai troppo lontana dai suoi preziosi farmaci. 
Hoseok lanciò un'occhiata verso la sveglia poggiata sul comodino della madre, fortunatamente una di quelle elettroniche leggibili anche al buio. Entro un'oretta sarebbe dovuto passarlo a prendere suo padre. 
Il ragazzo uscì dalla camera della madre nello stesso modo in cui ci si era introdotto, tirandosi la porta dietro con delicatezza. Attraversò nuovamente il corridoio e svoltò sulla prima stanza a destra, un finto cartello stradale che avvisava qualsiasi adulto di prepararsi all'imminente disordine appeso alla maniglia.
La stanzetta era rimasta arredata proprio come tanti anni prima, quando il letto era ancora ad una piazza singola, i suoi poster di cartoni e videogiochi ricoprivano le pareti ed i suoi giocattoli erano sparsi per tutto il pavimento. 
Respirando nostalgia a pieni polmoni, Hoseok si avvicinò cautamente alla figurina sommersa sotto le coperte. 
Dato che nessuno si conosce meglio di sé stesso, il ragazzo sapeva già che sfilare di sorpresa le coperte o aprire le finestre all'improvviso lo avrebbe fatto svegliare con un diavolo per capello. Si limitò a sedersi sul materasso e sbrogliare delicatamente le lenzuola arruffate intorno alle gambine sottili del bambino dormiente. Gli infilò subito un paio di calze fin sopra i polpacci per evitare che prendesse freddo. Il piccolo Hoseok mugolò appena e si girò dalla sua parte tenendo gli occhietti chiusi, i capelli neri scarmigliati. 
Con tanta pazienza, il ragazzo aspettò che l'Hoseok bambino si lasciasse prendere in braccio per una coccola mattutina. Lo convinse a lavarsi e vestirsi, promettendogli la colazione non appena fosse stato pronto. 
Come il bambino uscì dalla stanza, Hoseok si ritrovò al tavolo della cucina, la schiena ben dritta contro la sedia, i suoi movimenti lenti e rigidi. Il suo piccolo alter ego era seduto di fronte a lui, i loro abiti identici, anche lui innaturalmente composto. D'avanti ad entrambi poggiavano due ciotole piene fino all'orlo di un liquido lattaginoso, due cucchiai eleganti al loro fianco. Il resto della tavola e dei ripiani della cucina erano sgombri di qualsiasi mestolo o cibo, la luce artificiale del lampadario fioca e malaticcia. 
Hoseok bambino impugnò il cucchiaio in modo buffo, troppo grande per le sue manine, Hoseok adolescente si ritrovò a fare lo stesso. Come se fossero l'uno una sorta di specchio extra-temporale dell'altro, entrambi tuffarono la posata nella tazza. 
A tratti Hoseok si ritrovava nel corpo di sé stesso bambino e altri in quello del sé stesso adolescente, una connessione mal funzionante e turbolenta. 
Le loro tazze si invertirono, cambiarono colore, cambiarono forma, persero e aggiunsero manici, il tutto senza spostarsi di un millimetro. I due sollevarono il braccio in simultanea con un movimento meccanico, facendo riemergere il cucchiaio. 
Nel latte candido e freddo raccolto dalla posata galleggiavano una manciata di pillole colorate, il liquido che colava ai lati. 
Dall'altra parte del tavolo Hoseok bambino le guardava galleggiare senza osare mangiarle. Le lacrime gli solcarono il visino paffuto e innacquarono la sua colazione. 

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Una voce maschile adulta lo strappò via da quelle pareti familiari.  
Ai piedi di Hoseok la pillola che aveva tossito non c'era più, volatilizzata. 
La prima cosa che Hoseok notò quando aprì gli occhi era che un uomo lo stava fissando. La seconda fu che il suddetto uomo gli stava anche porgendo una mano mentre lui se ne stava raggomitolato sulle ginocchia. 
"Ehi, ragazzo. Tutto a posto?" gli venne chiesto, ma quella voce sembrava arrivare lontana alle sue orecchie, come se le avesse riempite di cotone. 
Hoseok annuì con il capo e accettò l'aiuto dello sconosciuto per rimettersi in piedi, anche se non era sicuro di poter reggere il peso del suo stesso corpo sulle caviglie.
Cos'era appena successo? Era svenuto? La colazione l'aveva fatta, non poteva trattarsi di un calo di zuccheri. Forse la spossatezza del viaggio?
Lo sconosciuto continuava a scannerizzare il suo volto con lo sguardo, senza lasciar andare il suo braccio. "Vuoi venirti a sedere un attimo in auto da me? Sei pallido." 
Hoseok seguì con gli occhi la traiettoria accennata dal capo dell'altro, trovando un minivan nero.
"No, grazie, non voglio disturbare. E' già stato gentile a venire in mio aiuto." 
"Figurati. Dai, non ho alcuna fretta di ripartire e dentro c'è il riscaldamento. Se vuoi puoi anche sdraiarti sui sedili posteriori." 
La mano di Hoseok fece un segno dismissivo, declinando una seconda volta l'offerta. Davvero, non avrebbe potuto approfittarsene così. L'uomo di fronte a lui aveva tutta l'aria di essere un operaio e di sicuro era già in ritardo sul luogo di lavoro. 
"Sul serio, sto bene." ripeté. "Mi devono venire a prendere a momenti."
E, come quando si dice che se parli del diavolo ne spuntano le corna, una vettura familiare svoltò all'interno del parcheggio, fermandosi a pochi metri da Hoseok e l'uomo. 
Da dietro il parabrezza sua zia, la signora Kim, gli fece cenno di salire, il motore dell'automobile che continuava a macinare.
Con un ultimo ringraziamento all'altro, il ragazzo si diresse verso l'auto, reprimendo la tristezza che .
Come faceva spesso, si impose di trovare velocemente una canzone felice, una battuta divertente, un impegno a cui dover pensare, prima che la tristezza che qualsiasi cosa gli fosse appena successa gli aveva lasciato addosso potesse venire assorbita.
Vedendolo in panne, ci pensò la maledizione della mela a dargli una mano. 
Ributtato indietro di una decina di minuti, una mano tornò a strofinarsi appena contro lo zigomo di Hoseok. Una vividezza nel ricordo gli diceva esattamente quanto quel pollice fosse stato premuto, gli faceva percepire quella puntina di pelle ruvida dovuta ad il brutto vizio che aveva Taehyung di mordicchiarsela. 
Hoseok raggiunse l'autovettura e sparì attraverso la portiera del passeggero.
Guardandolo andare via, l'uomo si portò alla bocca il walkie-talkie che aveva tenuto per tutto quel tempo nella tasca del giubbotto.

(19) November 2nd, 2015 - Monday

Il tamburellio della penna di Namjoon era diventato una costante. 
Ormai la lezione andava avanti da una decina di minuti e ancora non si era deciso a parlare. Il dubbio che forse avesse altri motivi per fare cambio posto con il suo originale compagno di banco sfiorò Jimin, ma la cosa gli sembrava altamente improbabile. 
Intanto il professore continuava a chiamare alla lavagna le persone che non avevano fatto la verifica, sottoponendoli ad un'interrogazione di quarto grado che avrebbe steso chiunque. Tutti quelli che l'avevano già fatta perché non erano stati assenti quel determinato giorno si limitavano a seguire passivamente, ancora troppo intontiti dal sonno per fare chiasso. 
Jimin capì cosa Namjoon stesse aspettando quando Yoongi venne chiamato alla lavagna. Essendo distratto dal professore e a quella distanza, non avrebbe potuto sentire cosa avessero da dirsi loro due. 
Infatti Namjoon avvicinò subito la sedia alla sua, facendogli cenno di spostarsi a sua volta in modo da essere spalla contro spalla per non dover parlare troppo forte. Se si fossero voltati uno verso l'altro, Jimin sarebbe riuscito a vedere chiaramente i due buchini che contrassegnavano l'assenza di un piercing al sopracciglio dell'amico.
Guardarono Yoongi prendere il gessetto più lungo tra i vari monchini e accingersi a scrivere l'esercizio dettatogli dal professore, rivolgendo la schiena ai compagni. Namjoon poté dare il via alle danze. 
"Lo sai che per me non è un problema, ma era proprio necessario baciare Hoseok?" 
Jimin inarcò un sopracciglio, non felice di averci preso sull'argomento. "A me non sembra che gli sia dispiaciuto..."
Sia Namjoon che Jimin restarono chini ognuno sul proprio foglio a scrivere numeri su numeri, nella speranza di attirare meno attenzioni possibili. Il silenzio del primo fu abbastanza eloquente per suggerire all'altro di cambiare registro. 
La voce bassa di Yoongi che spiegava i passaggi dell'esercizio mentre lo svolgeva veniva quasi sovrastata da un coro di penne, starnuti, sbadigli, ticchettii e mormorii che non cessava mai. Il sospiro più simile ad uno sbuffo che Jimin emise andò disperso tra essi. 
Quando parlò di nuovo il suo timbro vocale sempre così dolce e morbido era irrigidito dalla rabbia, le parole ben scandite anche se sussurrate. 
"E' affar suo. Se a Yoongi non sta bene che io baci, esca o faccia qualsiasi altra cosa con altri non me ne può fregare di meno. Non è colpa mia. Non ho intenzione di sforzarmi per rispettare i sentimenti di uno che non posso neanche definire un amico." 
"Hai mai pensato di prenderlo da parte per chiarire una volta per tutte?" 
A Jimin quasi venne da ridere. "Si, molte volte. Tu quando mi consigli di farlo? Prima o dopo gli insulti?"
Namjoon non riuscì a biasimare il sarcasmo che impregnava le sue parole. Dopotutto non si poteva negare che Jimin avesse tutte le ragioni per non voler fare la prima mossa; era sempre Yoongi quello a colpire verbalmente per primo, lui alle volte non si sforzava neppure di difendersi. Ma la situazione stava diventando insostenibile. Il rapporto tra i due non faceva altro che peggiorare e Namjoon non poteva lasciare che si dichiarassero ufficialmente guerra. Loro ne soffrivano, il gruppo ne soffriva, e nessuno voleva essere messo nella posizione di scegliere da che parte schierarsi. 
E dire che, da quello che aveva scoperto Namjoon nel tempo, Jimin e Yoongi già si conoscevano alle scuole medie. Gli era stato detto che frequentavano classi diverse, ma per via di un qualche laboratorio e collaborazione tra sezioni era capitato di incrociarsi. Se però aveva capito bene, i due si erano rivolti la parola solo durante la fatidica prima uscita del loro gruppo. 
Namjoon aveva speso un pomeriggio intero a cercare di capire le dinamiche tra i due con Seokjin, alla ricerca di quel difetto meccanico da aggiustare. Insieme avevano notato come, a giudicare dal tempo record con cui avevano trovato interessi in comune e dal volume delle loro risate, fin dall'inizio tutti i membri del gruppo sembrassero combaciare come tessere di un puzzle. Tutti meno che Jimin e Yoongi, gli unici due pezzi che proprio non si incastravano tra di loro. 
Al tempo Namjoon aveva scambiato quella loro incapacità di interagire per timidezza. Non sembrava esserci astio: Jimin provava spesso a mostrarsi disponibile e aperto nei suoi confronti, ma Yoongi proprio rimaneva nel suo bozzolo. 
Nessuno aveva dato molto peso alla cosa. Prima o poi avrebbero legato.  
Poi era arrivata la seconda superiore e Jimin si era tuffato nella sua prima, grande storia d'amore; Yoongi era passato dall'essere timido all'essere taciturno e i quattro ragazzi restanti capirono come stavano davvero le cose. Terza superiore, Namjoon non se la sarebbe mai dimenticata: il cuore di Jimin ridotto a coriandoli insieme al suo senso del pudore, gli inizi dell'avversione di Yoongi nei suoi confronti. 
E il tutto era sfociato in quel quarto anno che stavano vivendo. Yoongi aveva deciso che stare zitto non gli andava più bene e non faceva segreto delle sue opinioni su Jimin e il suo stile di vita. 
Era stato Seokjin a trarre le conclusioni per Namjoon: Yoongi era convinto che il ragazzo di cui si era invaghito fosse stato spazzato via da una specie di sgualdrina esibizionista e questo non glielo avrebbe mai perdonato. 
A Jimin non era servito provare al gruppo di non essere cambiato, che era lo stesso di sempre, solo un po' più sicuro di sé stesso e con una taglia di abiti in meno. Yoongi lo guardava e vedeva tutto quello che non c'era più.
Namjoon scosse la testa senza smettere di scrivere sul suo quaderno, un sorriso triste e rassegnato sulle labbra. 
Alzò il viso per vedere se avesse svolto l'esercizio correttamente. Non potè evitare di soffermarsi sulla figura di Yoongi quando si accorse che l'interrogato non era neanche a metà. Dietro quella sua figura sempre più sottile ed emaciata, la statura ridicolizzata dall'altezza del professore al suo fianco, la sua calligrafia svolazzante e tarchiata appariva nettamente sulla lavagna nera.
Namjoon poté sentire chiaramente le voci di tutti i professori della sua vita ripetergli in un coro degno d'orchestra che il disordine nei quaderni rifletteva il disordine nella testa. 
Intravide il viso pallido dell'amico sotto tutti quei capelli mori solo quando quest'ultimo si rivolse al professore per domandargli qualcosa. 
Si chiese se Yoongi avesse mai provato a dimenticare Jimin. Per un qualche motivo la risposta non gli sembrava così scontata. 
Già, Jimin aveva davvero tutte le ragioni, ma era così inconcepibile che un affetto smisurato e intenso come quello non fosse corrisposto. Namjoon non poté trattenersi.
"E' totalmente perso di te."
A questa nuova uscita dell'amico, Jimin strinse le labbra insieme, la rabbia che rendeva i tratti del suo viso così particolare solo più interessanti. 
Namjoon poteva vedere benissimo quali fossero, invece, le ragioni di Yoongi. 
Jimin non era da considerare una bellezza convenzionale, ma il suo fascino aveva qualcosa di assurdo. Pure in quel momento, banalmente seduto con i gomiti appoggiati al banco e il viso sorretto dalla mano, sarebbe riuscito a distinguersi dagli altri studenti. Certo, i vestiti e il taglio di capelli giusti facevano la loro parte, ma era proprio quella sua innata eleganza nel modo di porsi che attirava sguardi e pensieri come il miele con le mosche.
Invaghirsi di una persona del genere era estremamente facile. Continuare ad esserlo dopo anni e anni d'indifferenza era da pazzi masochisti. 
"Questo non gli da il diritto di trattarmi così." rispose Jimin, le sue parole secche. 
"Jimin, te lo chiedo come un favore. So che non lo fai intenzionalmente per provocarlo, ma potresti andarci piano con effusioni varie e ragazzi quando è nei paraggi? Non farlo per Yoongi, fallo per il gruppo, va bene?" 
Jimin mollò la penna sul quaderno e incrociò le braccia al petto. Quel suo esercizio pieno di cancelloni e scarabocchi non doveva sperare di trovare risposta da parte sua. 
Yoongi nel frattempo era riuscito a prendersi la sua sufficienza, cedendo il gessetto al prossimo interrogato. 
Non volendo attirare l'attenzione di quest'ultimo mentre passava tra i banchi per tornare al proprio in fondo all'aula, Jimin si limitò ad annuire distrattamente a Namjoon. Un cenno del capo era sempre meglio che promettere verbalmente, in questo caso. 
Dieci minuti più tardi, quando ormai la conversazione tra i due momentanei compagni di banco era definitivamente conclusa, un bigliettino di carta passò di mano in mano, un risolino generale che lo seguiva come una scia, fino a quando non atterrò tra le mani di Jimin. Il ragazzo lo aprì a sua volta, essendo il destinatario. Appena lo lesse percorse con gli occhi tutto il tragitto del bigliettino, per poi incontrare lo sguardo beffardo del mittente; l'amico che Namjoon aveva spodestato all'inizio dell'ora era evidentemente curioso di vedere la sua reazione in diretta.
Scritto con una penna con l'inchiostro agli sgoccioli, il bigliettino chiedeva esplicitamente come il ragazzo dai capelli argento fosse disposto a farsi perdonare quel piccolo contrattempo di Namjoon, con tanto di tre opzioni. La prima era troppo scontata. La seconda troppo insulsa. La terza era alla sua portata.
Jimin si guardò attorno, assicurandosi che il professore fosse distratto. Quando ritenne fosse arrivato il momento giusto, una risata mal trattenuta sull'orlo delle labbra e gli occhi che continuavano a girovagare per la classe, strinse con entrambe le mani l'orlo della propria maglia. Lo sollevò e l'abbassò in fretta in direzione del suo compagno di banco, in una parodia della classica scena da film della ragazza esibizionista che mostra il reggiseno. Ovviamente Jimin non ne aveva uno, ma c'era qualcosa di profano nel far vedere i capezzoli, seppur di un uomo. 
Per quanto veloce, quel suo gesto fu notato da metà della classe, afflitta pesantemente dalla noia. Un brusio di risatine e mormorii serpeggiò tra i banchi, sovrastate dalla piena risata del compagno di banco di Jimin. Namjoon si limitava a scuotere la testa, rassegnato. Come se non si fossero mai detti niente.
Jimin rise insieme a tutti gli altri, tornando ad appoggiarsi contro lo schienale della sua sedia. 
Se si escludeva Namjoon, c'era solo un'altra persona la cui espressione era rimasta invariata.
Jimin non si rese nemmeno conto di aver smesso di comunicare con l'altro ragazzo ed essersi messo a fissare Yoongi fino a quando quest'ultimo non incontrò il suo sguardo. Il sorriso che gli era rimasto addosso si allargò a dismisura di sua spontanea volontà, una dolcezza che sfiorava i limiti del crudele. 
Si rendeva perfettamente conto di starsi comportando da stronzo, ma non poteva farne a meno: aveva bisogno di fargli pressione, di metterlo alla prova, come se non ci credesse davvero che sotto quello spesso strato di odio si potesse celare qualcos’altro.
Gli occhi neri di Yoongi perforavano lo spazio che li distanziava e picchiavano direttamente contro i suoi, rabbiosi. 
In tutta risposta, Jimin piegò la testa di lato e si passò una mano tra i capelli lisci, senza perdere la sua aria beata. Il moro strinse i pugni e si impose di guardare dritto davanti a sé, la gamba sotto al banco che tradiva il suo nervosismo.  Pochi secondi dopo, le pupille di Yoongi scivolarono velocissime nell'angolo dell'occhio, ma non abbastanza veloci per impedirgli di scorgere Jimin alla sua destra, quei suoi occhi grandi ancora su di lui. 
Le dita leggere del solletico gli percorsero la nuca, gli strinsero il petto. Yoongi scosse la testa bruscamente e si voltò dalla parte opposta, verso Kihyun. Si disse di focalizzarsi sullo sprazzo di cielo incorniciato dalla finestra dietro al suo amico. 
Chiuse le palpebre solo per un attimo. La sua mente ricreò immediatamente il momento appena vissuto fissandone i colori, le luci, l'esatta tonalità dei capelli argento di Jimin sotto le lampadine, la piega delle sue labbra, le sue dita corte nascoste per metà dalle maniche troppo lunghe. Yoongi fissò il ricordo nella sua memoria, lo lucidò e lo mise in un punto abbastanza alto da risultare scomodo andare a cercarlo. 
Poi creò un ricordo a parte per gli occhi, come sempre. Di quelli ne aveva a centinaia. 
E' quello che faceva da un paio di anni a quella parte: conservava i ricordi con gelosia, li riordinava, fingeva di dimenticarsene e lasciava che prendessero la polvere. Li odiava tutti ma non si sbarazzava di nessuno. 
Yoongi appoggiò il mento sul palmo della mano, nascondendo in parte la bocca. Studiò il cielo grigio di nuvole fuori dalla finestra e ne trovò una copia verosimile nel suo passato. Esattamente risalente a quattro anni prima, quando frequentava la terza media. 
Buffo come la copia di quel cielo contenesse anche un doppione degli occhi di Jimin. Anzi, non un doppione, bensì il primissimo ricordo, l'originale, l’intoccabile.
Era proprio quello a vagargli sempre per la mente in mille sfumature diverse, un film senza finale masterizzato su un DVD usurato. 
Ed era proprio quello a fregarlo ogni volta. Anche quando Yoongi credeva di poter voltar pagina, di averla fatta finita, di essere riuscito a spingere tutti i suoi sentimenti oltre la linea che dava inizio all’odio, gli bastava uno sguardo di Jimin e tutto andava all’aria. Per quanto il ragazzo fosse cambiato, sia esteriormente che interiormente, i suoi occhi erano sempre rimasti gli stessi.
Ma quegli occhi erano un filo conduttore, un biglietto di andata e ritorno per ogni ricordo del passato. 
Forse, se avesse cambiato magicamente la parte superiore di quel viso, Yoongi avrebbe potuto realizzare che il ragazzino di tredici anni e l'adolescente di diciassette non avevano niente a che fare l’uno con l’altro. 
Già. Se fosse stato possibile Yoongi non si sarebbe ritrovato con il suo amore per Jimin incrostato sotto le unghie dalle scuole medie. Per quanto lavasse e strofinasse non andava mai via. 

(20) November 2nd, 2015 - Monday

Le mani al tempo piccole e morbide di Yoongi avevano esitato sulla tastiera elettronica dell’ampia aula di musica, un gioiellino di laboratorio per le scuole medie che frequentava. 
Nonostante lo strumento fosse più intonato e offrisse una scala di suoni e strumenti molto ampia, il ragazzino si era ritrovato a rimpiangere il suo pesante e vecchio pianoforte a parete di casa; con quello poteva suonare dando le spalle ai parenti, dimenticarsi della loro presenza. La leggerezza di quella tastiera la rendeva troppo comoda da spostare in giro, costringendo Yoongi ad esibirsi di fronte a tutti. Il leggio per gli spartiti era stata la sua unica fonte di privacy. 
Ma la cosa peggiore non era stata la tastiera. La cosa peggiore era stata la presenza, non solo dei suoi soliti compagni, troppo abituati a sentirlo suonare per prestargli attenzione, ma l'aggiunta in via del tutto eccezionale di un’altra classe del terzo anno. Con il tempo non si ricordava più molto bene, ma doveva essere stato per via di un professore di laboratorio artistico assente. 
L’essere estroversi non era mai stato di casa per Yoongi: mentre i suoi compagni avevano fatto chiasso e avevano riso con le vecchie amicizie delle elementari, lui se ne era rimasto in disparte, seduto su uno sgabello troppo alto per le sue gambine corte.
Ovviamente c’era stato un che di soddisfacente nell’essere l’unico alunno del suo corso a potercisi accomodare. Tutti gli altri non sapevano suonare, o se lo facevano preferivano cimentarsi in strumenti tipo la chitarra o il flauto, lasciandogli il titolo di unico pianista ad ogni concerto di fine anno. 
L’insegnante, una donna allegra e svampita che non aveva mai imparato a tener testa agli studenti peggiori, aveva smesso di zittire i vari gruppetti che si erano venuti a creare e si era limitata a spiegare i nuovi spartiti ad ogni bambino che stringesse tra le mani uno strumento. Avrà pensato che il coro generale se la sarebbe cavata in un modo o nell’altro. 
Il quartetto di chitarre avevano suonato il loro pezzo e gli schiamazzi erano aumentati. Si era passato ai flauti e quelli del coro avevano cominciato a tirarsi palline di carta con le cerbottane. L’unico flauto traverso si era esercitato sulla sua parte solista e l’insegnante non era riuscita a sentire una singola nota. 
Era arrivato il turno di Yoongi e la donna si era girata di colpo verso quella maramiglia di ragazzini e ragazzine, l’espressione più cattiva che le riuscì. Cacciando un urlo aveva intimato loro di tacere, facendo calare un silenzio di piombo. Poi si era voltata, apparentemente soddisfatta con sé stessa. Aveva battuto il tempo con il piede un paio di volte e aveva fatto segno a Yoongi di attaccare. 
Il ragazzino aveva premuto le prime note scritte sullo spartito con successo, il labbro inferiore intrappolato fra i denti. Poi un qualche sussurrio era partito nel gruppo più scalmanato e le dita gli si erano impappinate sui tasti, stonando la melodia. 
Un’infantile risata contagiosa era passata di bocca in bocca. Yoongi aveva alzato lo sguardo sull’insegnante ancora di fronte a lui, implorandola silenziosamente di farlo sparire. 
Ma non fu lei, le sue parole o le sue minacce a farli smettere. Era stata una voce sottile, a malapena udibile in mezzo a tutte quelle chiacchiere. 
“Dai, ragazzi, piantatela. Mi state facendo venire il mal di testa.” 
Yoongi aveva spostato lo sguardo dalla faccia esasperata della professoressa al punto indefinito dall’altra parte dell’aula da cui era provenuta la lamentela.
 Si era imbattuto nella figura di un suo coetaneo, uno dei tanti ragazzi che avrà visto centinaia di volte per i corridoi; aveva una zazzera di capelli corvini quasi peggiore della sua che gli tagliavano indecentemente il viso, una maglietta a maniche corte su un fisico ancora rotondetto.
Il resto della classe si era zittito per un attimo, qualche d’uno che si voltava per vedere chi era stato ad intervenire. Poi ripresero a vociare tutti insieme, pari pari a prima. 
Seppur distante, il ragazzo aveva rivolto un accenno di sorriso a Yoongi, come per dirgli che almeno ci aveva provato. 
La professoressa era tornata a dare il tempo, arrendendosi al fatto che il chiasso non sarebbe mai cessato. Yoongi aveva ripreso a suonare, la schiena china sulla tastiera e il viso piantato nello spartito, come se bastasse per nascondersi. Aveva superato il pezzo che aveva stonato poco prima e aveva continuato a far scorrere le dita sui tasti senza incidenti, completamente concentrato sulla musica. 
La melodia era semplice, ripetitiva, adattata ai suoi studi ancora acerbi. 
Il ragazzo moro che aveva chiesto silenzio poco prima aveva seguito con gli occhi i movimenti leggeri delle sue mani, aveva studiato le linee dei polsi tenuti ben in alto e il modo in cui ogni dito premeva un tasto e poi saltava subito su un altro, come se il pianista conoscesse già quello spartito che gli era stato appena consegnato.
Le ultime note erano risuonate nell’aria e Yoongi aveva tolto le mani dalla tastiera, rivolgendosi subito all’insegnante per chiederle se andasse bene. Entrambe le classi avevano continuato imperterrite con i loro pettegolezzi e le loro storie, ma almeno Yoongi era rassicurato dal fatto che nessuno gli stesse prestando attenzione. Nessuno tranne il tipo di prima che lo aveva guardato con una strana espressione assorta. 
Yoongi si era accorto che la professoressa gli stava parlando solo dopo una manciata di secondi e si era ritrovato ad annuire convinto, a che cosa non ne aveva la minima idea. Gli occhi gli erano sfuggiti per toccare un solo attimo in più quelli distanti del ragazzo moro. Lì aveva trovati ancora su di sé e aveva deglutito. 
Gli erano parsi così grandi, dalla linea morbida, ma soprattutto vivaci in mezzo a tutto quel mare di ragazzini annoiati o menefreghisti.
La campanella poi era suonata e quella quarantina di studenti si erano alzati in simultanea e si erano spintonati fuori dall’aula di musica. Erano rimasti solo i pochi che dovevano riporre uno strumento con cura nella custodia apposita, che poi erano gli stessi che aiutarono l’insegnante a riordinarli nell’armadio e chiudere a chiave. 
Nonostante il ragazzo dell’altra classe non avesse utilizzato niente, fu uno dei pochi a rimanere per dare una mano. Un paio di ragazze gli avevano detto come ordinare gli spartiti secondo l’ordine dettato dalla professoressa e, da quel giorno in poi, tutte le volte che la sua classe dovette frequentare le lezioni di musica, quel compito era spettato a lui. 
Yoongi aveva iniziato ad andare a scuola con rinnovato nervosismo, sempre in ansia e sull’attenti all’idea di sbagliare per una seconda volta davanti a tutti quelli che per lui continuavano ad essere sconosciuti. Sapeva poi di essere controllato a vista da quel tipo, il che non lo aveva aiutato a rilassarsi. 
Ogni volta che aveva suonato, che fosse per accompagnare un altro strumento o come solista, che ci cantassero sopra o improvvisasse su delle scale, quegli occhi lo avevano perseguitato. Yoongi lo aveva ignorato ed aveva evitato di guardare nella sua direzione. In certi momenti avrebbe voluto alzarsi, raggiungere quel tipo e girargli con la forza la testa verso un qualche altro punto dell’aula. 
Ebbe poi occasione di scoprire il suo nome quando il preside affidò ufficialmente la sua classe all’insegnante di musica; ormai si erano avvicinati alla fine dell’anno scolastico e anche se l'insegnante di laboratorio artistico fosse riuscito a riprendersi per tempo non avrebbe potuto svolgere un quarto del programma di studio. 
La professoressa di musica finalmente godeva del silenzio che gli era dovuto, dal momento che gli era stato dato potere su voti e note. Aveva chiesto a quelli della nuova classe di alzare la mano e dire il proprio nome e cognome in ordine alfabetico, per creare un registro temporaneo; aveva dato il compito di trascrivere a Yoongi, senza dubbio uno degli studenti che più gli stavano a cuore, mentre lei si era concentrata per memorizzare facce e nomi. Yoongi aveva preso un foglio volante e aveva iniziato a scrivere sotto dettatura quell’interminabile lista, sperando che la sua calligrafia risultasse leggibile. 
Aveva finto indifferenza quando era arrivato il turno del ragazzo moro. Aveva scritto velocemente Park Jimin ed era passato oltre.  
Era arrivata poi la fine della terza media. L’esame imminente e con esso il concerto di fine anno. 
La classe aveva eseguito tre canzoni in totale, preceduta da quelle di prima e seconda. Era toccato proprio a Yoongi chiudere il concerto con un assolo, come se le centinaia di genitori che avevano assistito allo spettacolo sarebbero tornati a casa con un’idea migliore dell’evento in sé se almeno l’ultimo brano fosse stato orecchiabile. 
Le mani sudate di Yoongi avevano sfilato lo spartito dalla cartellina della professoressa, grato di doversi limitare a sfilare l’ultimo foglio senza mettersi lì a cercarlo. La carta era spiegazzata e scarabocchiata un po’ ovunque, tempestata di aggiustamenti e colori che insieme avevano studiato e praticato decine e decine di volte. 
Yoongi si era seduto allo sgabello, la sua presenza fisica minuscola nell’aula magna così enorme e piena di adulti. Calato il silenzio, si era sistemato i fogli sul leggio, intimando mentalmente loro di tacere quando questi frusciarono appena. Aveva sistemato le dita sui tasti, la pressione che gli calcava sulle spalle sottili. Nonostante ormai conoscesse il brano a memoria, aveva lanciato uno sguardo allo spartito. 
In un angolo, alla destra del titolo, c’era un ghirigoro che non aveva mai notato, forse una qualche nota aggiunta all’ultimo momento della professoressa. 
In bocca al lupo, c’era scritto. P.J. 
Per un attimo Yoongi credette di sentirsi male. 
Qualche d’uno del pubblico aveva tossito, evidentemente chiedendosi cosa aspettasse il marmocchio a suonare così da poterla fare finita ed andare a casa. 
Yoongi aveva serrato gli occhi per recuperare tutta la concentrazione di cui aveva bisogno, cacciando quella morsa che lo aveva preso allo stomaco, rinviando qualsiasi cosa gli stesse prendendo a dopo. Dopo l’esibizione, dopo la scuola, dopo, quando sarebbe stato a casa. 
Aveva lasciato che la musica prendesse il sopravvento anche in quella situazione, aveva riempito le sue orecchie solo di note e suoni, escludendo a priori qualsiasi altro verso molesto. 
Senza che se ne accorgesse il brano era già concluso e il pubblico stava applaudendo, infrangendo l’atmosfera idilliaca che era riuscita a creare la musica. Yoongi si era alzato dallo sgabello, le guance a fuoco dall’imbarazzo, chiedendosi chi glielo avesse fatto fare. 
Solitamente si sarebbe limitato a tenere la testa china e ad accettare gli applausi, contando fino a cinque prima di precipitarsi giù per il palco e sparire dalla faccia della terra per un po’. Ma aveva finalmente finito di suonare, non doveva più controllare un bel niente e la sua testa era partita dritta sparata sul messaggio nello spartito. Con un senso di urgenza, Yoongi aveva frugato con gli occhi tra tutte quelle facce mai viste, alla ricerca di un viso in particolare. 
Aveva trovato Jimin sulla destra, appoggiato con la schiena alla parete, distante dal gruppetto della sua classe. Applaudiva entusiasta, illuminato dalla luce calda di mezzogiorno che entrava dalle finestre. 
Quando si era accorto che l’altro stava guardando proprio lui le sue labbra carnose si erano aperte in un sorriso vero e proprio, le guance paffute che gli avevano ridotto gli occhi a fessure.  
Fu in quel momento che Yoongi capì di esserci cascato a piedi pari. 
Era alle prese con la sua prima cotta da mesi e non se n’era accorto neanche per sbaglio. La consapevolezza tutto d’un tratto lo aveva travolto, spaventandolo a morte. 
Jimin era rimasto lì, ad applaudire, e Yoongi si era dato dell’ingenuo. 
Ma d’altronde se uno non si è mai innamorato non si può pretendere che riconosca i sintomi al primo colpo. Chi glielo dice ai poveri disgraziati come lui che non si tratta di mal di pancia ma di farfalle nello stomaco? Perché non avrebbe dovuto pensare di avere freddo quando la pelle d’oca gli aveva attraversato le braccia? E perché nessuno lo aveva messo al corrente che i capelli sulla nuca non si rizzano solo dalla paura?
Poi, i giorni successivi, Yoongi aveva realizzato che le scuole medie erano finite e lui non avrebbe più avuto modo di vedere Jimin. 
Aveva deciso di seguire il suo istinto, dato che non gli era mai neanche passata per l’anticamera del cervello l’idea di farsi avanti; si era messo alla ricerca delle tracce invisibili dei sentimenti che si erano nascosti ai suoi occhi, desiderando  tenerle per sé. 
L’unica cosa che gli era venuta in mente era stato quel foglio di carta usato come registro temporaneo dove aveva scritto per la prima volta il nome di Jimin. Quando aveva chiesto alla sua professoressa a riguardo, accampando una qualche scusa assurda, gli venne detto che una volta ricevuto il registro ufficiale la donna lo aveva gettato. 
Yoongi allora si era accontentato di tenere il prezioso spartito con il messaggio nell’angolo, sicuro che fosse l’ultima cosa di Park Jimin che gli sarebbe rimasta per il resto della sua vita. 

(21) November 2nd, 2015 - Monday

Il chiacchiericcio si sovrapponeva alla radio tenuta in sottofondo in uno dei tanti atri del centro commerciale. Nonostante fosse lunedì mattina la clientela non scarseggiava, anche se per lo più si trattava di casalinghe o pensionati. 
Seduto in uno dei tanti divanetti, immerso nella luce soffusa del giorno che le grandi vetrate lasciavano trapelare, stava Hoseok. 
Non era mai stato al centro commerciale di Seul, ma si era aspettato quella stessa atmosfera distesa che caratterizzava quello vicino alla sua vecchia casa. Poteva vedere perché tanti giovani sembravano sceglierlo come meta per le loro uscite: tra tutta quella sfilza di colori pastello che caratterizzavano gli atri si trovavano un sacco di negozi dai prodotti più disparati, dall'elettronica ai capi vestiari. C'erano anche dei punti ristoro all'apparenza niente male da quel che il ragazzo aveva potuto vedere. 
Era così pacifico starsene seduti lì, la gente che passava in continuazione dietro e davanti a lui senza correre, una barretta al cioccolato tra le mani e la madre aldilà della vetrina di fronte a lui. 
Partite con l'intenzione di comprare esclusivamente articoli per la casa, lei e la zia si stavano provando paia su paia di scarpe da una quindicina di minuti, chiedendo il parere di Hoseok gesticolando da quella distanza. Lui si limitava a sollevare il pollice o ad arricciare il naso, scatenando le ovazioni delle donne che talvolta potevano essere sentite anche attraverso il vetro. 
Se gli sguardi della gente non erano già attirati da quel fiammeggiante color di capelli sarebbe bastato il sorriso di Hoseok. Il ragazzo non ci pensava proprio a contenerlo un minimo. Neanche quando dovette recuperare con il dito parte del ripieno caramellato della barretta prima che colasse. 
Guardava sua madre e la vedeva spensierata come una ragazzina. La sua espressione si era fatta disperata davanti a due paia di scarpe a detta sua incredibilmente simili ma totalmente diverse.
Era quasi tentato di alzarsi in piedi per raggiungere le due sorelle e dire la sua quando una manciata di capelli biondi gli svolazzarono davanti. 
Una bambina occidentale era sbucata da dietro il divanetto, la sua chioma divisa in due codini belli alti. Hoseok ricambiò d'istinto il sorrisone sgangherato di lei, guardandola scavalcare lo schienale con le sue gambine per poi lasciarsi cadere di fianco al ragazzo. 
La bambina sembrava parecchio agitata mentre, incapace di star ferma, allungò una mano verso la barretta di Hoseok, le ditina che si aprivano e si chiudevano ripetitivamente. 
Il ragazzo stava per spezzare una metà del dolce per offrirgliela, gli occhi chiari di lei stretti da quelle guanciotte irresistibili che lo avevano subito corrotto, quando una mano adulta si posò gentile sulla spalla della bimba. 
Sia lei che Hoseok spostarono i loro sguardi verso l'alto, incontrando la figura di un uomo. Il cappotto che indossava era elegante, ma quel mezzo sorriso e il berretto colorato gli donavano un'aurea più domestica. 
"Scusa," disse a Hoseok, la voce calda. "ancora non ha imparato che non deve importunare gli estranei." 
Il ragazzo si affretto a rispondere, sperando che la bambina non fosse sgridata in futuro. "No, no, si figuri. Non mi ha infastidito. E' solo affamata, suppongo." 
L'uomo sollevò la bimba da sotto le ascelle, coricandosela su un braccio. Hoseok non vedeva una gran somiglianza, ma doveva trattarsi senza ombra di dubbio del padre. 
"Non è affamata, è solo golosa." rispose, una punta di rimprovero in quella faccia sorridente. "Melly, lo sai che la cioccolata ti fa venire la carie. Non avresti dovuto chiederla al signore, che tra l'altro l'ha pagata con le proprie monetine."
Le guance di Hoseok si tinsero d'imbarazzo. Davvero, non ce n'era bisogno, ma d'altra parte capiva che il genitore dovesse correggere la figlia per educarla. Con Hoseok le era andata bene, se si fosse trattato di un anziano sarebbe stato peggio.
Un piccolo scusa uscì dalla bocca della bambina che non sembrava davvero pentita. 
Come per premiarla, l'uomo le offrì una mela, presa dal carrello alle sue spalle di cui Hoseok non aveva nemmeno registrato la presenza. 
In realtà non la registrò nemmeno in quel momento, perché i suoi occhi erano subito stati abbindolati dal frutto, incapaci di scollarsi. 
La bimba si limitò a tenerla tra le manine, così candide rispetto alla buccia scura. L'uomo osservava la reazione di Hoseok a sua insaputa, una certezza che inorgogliva il suo sorriso. 
Senza una parola, il duo si allontanò per l'atrio. Hoseok rimase solo su quel divanetto, con la sua barretta smangiucchiata e gli occhi gialli. 
Appena svoltato l'angolo, Melanie restituì immediatamente la mela a Lloyd che la ripose all'interno della tasca del cappotto. 
Non solo il suo esperimento pareva funzionare. Era addirittura trasmissibile per contatto. 




 
   
 
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