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Autore: Son of Jericho    10/12/2017    1 recensioni
Sequel di "How can I know you, if I don't know myself?"
Sono trascorsi due anni da quando il sipario è calato sullo spettacolo alla Hollywood Arts. La vita per i ragazzi sta andando avanti, tante cose sono cambiate, e sta arrivando per tutti il momento di affrontare responsabilità, problemi e sorprese.
E mentre impareranno cosa significa crescere, si troveranno faccia a faccia con il tormento più profondo: i sentimenti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andre Harris, Beck Oliver, Cat Valentine, Jade West, Tori Vega
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bade - Cuori tra le fiamme'
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XIII – Behind The Curtains


 

Davanti allo schermo di un computer, le giornate scorrevano tutte uguali. Ore a fissare le solite icone, a premere i soliti tasti, ad avviare i soliti programmi.

In quella sua passione, che adesso era riuscito a trasformare in lavoro, c’era sempre stato il lato noioso che si contrapponeva a quello più esaltante del risolvere problemi. Eppure, spesso la gente faticava a distinguerli e finiva per deriderlo. Nessuna novità, insomma.

Quella mattina, invece, l’inimmaginabile bussò alla porta del suo ufficio.

Fu la scialba voce del collega ad annunciarlo. – Benson, credo stia cercando te. –

Freddie alzò lo sguardo e lo proiettò in direzione della soglia. Se avesse avuto qualcosa in mano, gli sarebbe senza dubbio caduto. – Sam? – era la prima volta che si presentava, di sua spontanea volontà, in quella zona. - Che ci fai qui? –

La bionda si appoggiò con la schiena allo stipite, incrociando le braccia. Un sottile ma sfrontato sorrisetto le colorava il volto. – Ho bisogno di assistenza tecnica. –

Freddie superò in fretta lo stupore e inarcò un sopracciglio. – Sul serio? –

Sam abbozzò una risata e si decise a entrare. – Certo! –

Manteneva la stessa espressione, ma lo sguardo si era fatto più profondo. Si avvicinò alla scrivania e batté due leggeri colpi sul legno. – Tutto ok? –

Lui riconobbe di avere difficoltà a ricambiare le occhiate di Sam. Lo disturbava, per qualche ragione, sapere esattamente a cosa si riferiva quella domanda.

Era però anche convinto che, dopotutto, la risposta non avesse molta importanza. Annuì, sforzandosi di apparire convincente. Fare il suo lavoro, poi, in quel caso faceva parte dello sforzo. – Hai problemi col computer? –

- Vieni, ti faccio vedere. –

Freddie la seguì nel corridoio, prendendo la via delle scale. – Che è successo? –

Pochi passi, e Sam si fermò. – Volevo parlarti un attimo. – si voltò verso di lui. – Ma non avevo intenzione di farlo davanti all’altro sosia di Steve Jobs. –

Freddie sorrise, ma soprattutto per il nervosismo. Non c’erano mai stati colloqui privati tra loro, tantomeno cercati da Sam.

- Ricordi cosa ti avevo detto qualche tempo fa? –

Freddie sollevò nuovamente il sopracciglio. – Certo, come no, un sacco di cose. –

- Ti avevo parlato di quell’appartamento, non lontano dal mio. L’avevano messo in affitto, più di un mesetto fa, ma è stato preso praticamente subito. Non mi hai fatto sapere più nulla, ma anche se lo avessi fatto, saresti comunque arrivato in ritardo. La coppia che ci era andata ad abitare, però, ha già deciso di lasciarlo per trasferirsi in uno più grande, senza né preavviso né altro. Quindi, se sei interessato, sappi che è tornato disponibile. –

Il ragazzo la fissò come intontito. Ricordava l’offerta che Sam gli aveva fatto qualche settimana prima. Il lavoro e l’appartamento. Lui aveva approfittato soltanto del primo, perché appena arrivato a Los Angeles, contando i pochi risparmi che gli erano rimasti, sostenere un affitto era francamente impensabile.

Ma adesso, l’idea di fuggire da quell’ignobile stanza del motel cominciava ad allettarlo. Con un posto di lavoro e un paio di stipendi in più in tasca, poteva permettersi una casa tutta sua.

- Conosco il tizio che gestisce le trattative. – proseguì la bionda. – Posso riuscire a farti avere un prezzo veramente buono. –

La domanda successiva, per Freddie, aveva un peso ben diverso. – Perché lo stai facendo? –

- Perché ormai, visto che sei qui, non puoi certo continuare a vivere come un senzatetto. –

Freddie non si sentiva soddisfatto della risposta, ma in fondo, non poteva aspettarsi niente di diverso.

E riaffioravano i dubbi.

Poteva fidarsi dell’aiuto che gli stava offrendo? Doveva temere che ci fosse qualcosa sotto? Doveva credere che a Sam importasse davvero di lui?

- Dove sta la fregatura? –

- Sei sempre il solito, Benson, pensi troppo. Nessuna fregatura. Mi occupo io di organizzare la cosa, tu… tieni il cellulare acceso. -

Freddie annuì timidamente. – D’accordo. –

- Sapevo che ti avrei convinto. Per quanto testardo tu possa essere, quella topaia non puoi chiamarla casa. E poi, diciamo che adesso siamo pari. –

Lui aggrottò la fronte. – Che intendi? –

- A Seattle… sei stato tu a trovare l’appartamento a Beck, non è vero? –

Freddie fu colto alla sprovvista, e tentennò per un istante. – Come fai a saperlo? – Tremava di fronte all’idea di cosa potesse aver spifferato il suo amico canadese.

La bionda ammiccò. – Jade mi ha raccontato qualcosa. –

Si tranquillizzò, ma aver sentito nominare Seattle gli aveva fatto uno strano effetto. Erano trascorsi due anni, quattro da quando se n’era andata, in silenzio e in piena notte.

E dopo tutto quel tempo, in quattro anni, gli sembrò il momento giusto per dare voce a una parte dei suoi pensieri. Un proposito nobile, seppur di una difficoltà immane. – Com’è stato da quando te ne sei… mentre io non… insomma, passare da Seattle a Hollywood? –

- E’ stata la mossa giusta. Avevo bisogno di cambiare, di respirare aria nuova, di incontrare gente nuova. E diciamoci la verità, conoscendo Cat ho potuto vedere tutti i lati più strani della razza umana. Ho trovato una mia dimensione, un’altra forse più adatta a me dopo iCarly. E tu, invece? –

- Il solito, come puoi immaginare. La mia vita non è fatta per essere avvincente. Ho finito il liceo col massimo dei voti… -

- Niente di meno. –

- … e poi ho iniziato l’università, come voleva mia madre. Il resto è storia. –

Sam annuì, ironicamente impressionata. – Hai ragione, un racconto davvero sconvolgente. Che mi dici invece del lato sentimentale? –

Freddie scrollò le spalle. Le rispose sinceramente, per quanto fosse strano finire a parlare con lei di questo. – Qualche ragazza qua e là, ma niente di serio. Al contrario di te, da quanto ho visto. –

Al solo menzionare l’altro, un largo sorriso si dipinse sul viso della bionda. – Gabriel… lo ammetto, sono stata fortunata ad averlo incontrato. Non credevo di essere il tipo da storia importante, ma con lui è stato diverso, più di quanto mi immaginassi. Ha un grande ruolo nella mia nuova dimensione. –

- Da quanto… - finse di non saperlo.

- Un anno e mezzo. –

- Avete fatto più strada voi della macchina di Beck. – commentò sarcastico, con l’intenzione di mascherare tutta l’amarezza che aveva dentro. - Sono contento che alla fine si siano sistemate le cose, per te. Avete altri progetti seri? -

- E’ già abbastanza seria di per sé, senza dover forzare la mano. Ancora non viviamo insieme, ma in pratica è come se lo facessimo già. E te l’ho detto, non me lo sarei aspettato nemmeno da me stessa. Andiamo, noi ci conosciamo da sempre, perciò dimmi la verità: fino a qualche anno fa, ti sembravo in grado di ascoltare e considerare i sentimenti degli altri? O peggio ancora, di cedere ai miei? –

Freddie conosceva la vera risposta, ma evitò di pronunciarla. – Magari avevi solo bisogno di qualcuno che ti aiutasse a scoprire quel lato di te. -

Suonava strano, ritrovarsi a parlare con lei del suo stesso ragazzo. Era ironico e crudele, conversare di qualcuno di cui avrebbe voluto prendere immediatamente il posto. E nella mente, si sovrapponeva la sua immagine di una vita insieme a Sam.

D’un tratto, sentì la necessità di trovare un motivo per andarsene. Guardò frettolosamente l’orologio al polso. – Credo sia meglio rientrare in ufficio, adesso. Non so quale dei nostri capi possa fare più storie, se stiamo fuori troppo a lungo. -

- Probabilmente il mio. Voi nerd siete più solidali. -

Il ragazzo rise e, sempre più nervoso, le rivolse un occhiolino d’intesa. – Fammi sapere dell’appartamento, ok? -

Sam fece un leggero cenno col capo, mentre il giovane informatico riprendeva la strada per l’ufficio, alla volta di altri computer da sistemare.

Anche lei era tornata con i ricordi a due anni prima. Un flebile sussurro le uscì dalle labbra, troppo sottile perché Freddie, ormai lontano, potesse sentire. – Non avevo bisogno di venire a Los Angeles per conoscere me stessa. Me la ricordo la tua lettera, Benson. -

 

*****

 

Nei corridoi dell’università, il viso scuro di Robbie si poteva notare da un chilometro. Stefan e Kendra, i primi a vederlo, furono anche gli unici ad andargli incontro. E fino a quando non gli furono praticamente davanti, Robbie non si accorse nemmeno degli amici.

- Ragazzi… - si bloccò per evitare di sbattergli addosso. Teneva il libro sotto il braccio, tanto stretto che sembrava volerlo stritolare. Era chiaro che qualcosa non andava.

- Hai dimenticato la password del portatile o hai semplicemente una giornata storta? – lo apostrofò Stefan, scambiando un’occhiata con l’amica.

Il ragazzo della California scosse il capo e fece una smorfia. – L’esame di oggi… non è andato bene. –

A questa notizia, il tedesco si mostrò seriamente preoccupato. – Quanto? 21 o 22? –

Robbie abbassò lo sguardo. – 27… -

L’altro sbarrò gli occhi e si voltò di scatto verso Kendra. – Ho sentito bene? 27? – puntò il dito verso Robbie. – Quando i suoi esami vanno male prende 27, mentre io non ho mai visto più di un 4 accanto a un 2? –

- Ok, ok. – intervenne la giovane rossa, cercando di placare gli animi. – Abbiamo appreso di questa immane catastrofe, che rovinerà al nostro caro Robbie la sua eccellente media del 30,00 periodico. E Stefan, credo sia già tanto se continui a vedere un 2, sui tuoi punteggi. -

Il nativo di Dusseldorf annuì, ragionevolmente soddisfatto, mentre Robbie manteneva il silenzio.

- Che è successo, Robbie? – gli chiese Kendra. – Era una vita che non fallivi un esame. –

- Non lo so, credo… credo che avessi la testa da un’altra parte. –

Invece lo sapeva benissimo. La testa era rimasta in parte davanti al computer, ancora bloccata alla chiacchierata con Jade.

Era come se fosse stato messo davanti a uno specchio, costretto ad osservare, una volta per tutte, il suo riflesso. Una versione di sé stesso che però non gli piaceva, alterata rispetto a ciò che immaginava, piena di contraddizioni. Piena di dubbi a cui, solo fino a poco tempo prima, non aveva prestato alcuna attenzione, e responsabilità verso le persone a lui più care.

Cat…

Non avrebbe mai voluto metterla in una posizione così difficile.

- Sei sempre tra noi, Shapiro? –

Al richiamo, lui si ridestò. – Come? –

- Ho capito, la testa non è ancora tornata al suo posto. Ma non c’è bisogno di essere così giù di corda, perché ho io quello che fa per te. – altra occhiata d’intesa con Stefan. – Appena quattro parole: festa di metà semestre. Due settimane da oggi. –

- Tecnicamente sarebbero otto parole. –

- Tecnicamente sono quattro più quattro, ok? –

- Va bene. – rise. – Ma non credo sia il caso, non mi sento in vena di festeggiare un granché. –

Stavolta fu la ragazza a puntargli il dito contro. – Mi avevi dato la tua parola, ricordi? –

- Nessuno mi ha mai considerato un tipo affidabile. –

Lei fece un passo verso di lui e indurì l’espressione. – Non voglio sentire storie. Non mi va di vederti così, perciò che ti piaccia o no, tu verrai con noi. –

Robbie tentennò perplesso. Forse c’era davvero qualcosa di diverso da Los Angeles. Era passato da qualcuno che minacciava di rincorrerlo fino in capo al mondo, a qualcun altro che insisteva per averlo a tutti i costi a una festa.

Strano, il mondo oltre oceano”, pensò mentre annuiva, continuando a sorridere.

 

*****

 

Per quasi tutti si sarebbe trattato del lavoro più noioso del mondo, ma non per Beck. Anche risistemare i volumi sui vari scaffali aveva il suo fascino. Significava immergersi nella vita di un autore, attraversare i suoi periodi, osservare la sua evoluzione, sperimentare le sue stesse esperienze.

Certo, c’era sempre il tipo più avvincente e quello più noioso, ma alla fine, ognuno di loro aveva la sua particolarità che lo rendeva degno di essere insieme agli altri.

I testi inglesi erano quelli più diffusi in quella biblioteca, seguiti poi da quelli italiana e spagnoli. Poesie, saggi, racconti brevi e opere teatrali: Beck avrebbe voluto leggere tutti quei libri dal primo all’ultimo, pur sapendo che non ce l’avrebbe mai fatta.

Chissà, un giorno forse avrebbe trovato la strana voglia di laurearsi in letteratura e tuffarsi, una volta per tutte, in nuovo a scintillante scenario.

Fu distolto dalle sue fantasie da una tenera voce femminile alle sue spalle. – Scusa se ti disturbo… -

Il canadese si voltò e si trovò davanti una ragazza minuta, dai lunghi capelli biondi e lisci. Indossava dei jeans fino alla tibia e una maglietta rossa, e una borsa a tracolla che dava l’idea di essere alquanto pesante. Doveva essere una studentessa del liceo, del terzo anno al massimo.

- Figurati… dimmi pure. –

- Tu lavori qui? –

Beck abbassò lo sguardo. La camicia con lo stemma della biblioteca non mentiva. – Esatto. –

- Spero tu possa aiutarmi, sono almeno venti minuti che giro a vuoto in questo labirinto! –

- Cosa stai cercando? – le sorrise gentilmente.

La ragazza si guardò intorno con aria insicura. – Ecco… qualcosa su Macbeth. –

Beck annuì. – Sei nella sezione giusta allora: autori stranieri e letteratura europea. Tornò a rivolgersi agli scaffali, scorrendo con le dita sulle copertine. – Gran bella scelta, il Macbeth. Com’era quel passaggio? “Io considero il mondo per quello che è: un palcoscenico dove ognuno deve recitare la sua parte”. –

- Già, ma sono abbastanza convinta che quello sia “Il mercante di Venezia”. –

Il canadese si bloccò un istante, rendendosi conto dell’errore, per poi proseguire nella ricerca. Forse una laurea non era un’idea così brutta, con tutte le cose che ancora ignorava.

Notò che c’erano molti volumi sull’opera di Shakespeare. – Hai bisogno di qualcosa in particolare? Voglio dire… biografia dell’autore, analisi dei personaggi, studio del contesto storico… -

- Direi che sarebbe meglio l’opera completa. –

Beck si girò a guardarla, stupito. – Tutta? –

La studentessa annuì e sorrise. – Dobbiamo portarla in scena tra qualche settimana. –

Lui ricambiò il sorriso. – Sul serio? –

- Già. I nostri insegnanti, per la recita di fine anno, stavolta hanno optato per un grande classico. Bello sì, non lo metto in dubbio, ma sinceramente io devo ancora capire bene di cosa parla. –

- Se ti può tranquillizzare, per quello che mi ricordo, le parti maschili sono più difficili di quelle femminili. –

E non appena ebbe terminato la frase, e gli occhi tornarono nuovamente a scrutare tra i libri, un pensiero gli attraversò la mente alla velocità della luce. Tanto improvviso da travolgerlo e portarlo via con sé.

Era quasi un anno prima.

Il teatro che avevano scelto cominciava ad acquisire la sua forma definitiva, tra strutture e attrezzature.

I ragazzi si erano impegnati molto nelle prime settimane, qualcuno mosso realmente dalla passione, qualcun altro dalla speranza di finire in tv o dai ricatti di genitori e docenti.

Fatto sta che i piani di produzione erano, più o meno, tutti rispettati. Adesso era il momento di completare le scenografie e di procedere con i casting.

Sia Beck sia Jade avevano deciso di partecipare ai provini in qualità di selezionatori, insieme ad un consulente della Hollywood Arts, che si era reso disponibile ad aiutarli.

Ma presto, il giovane canadese aveva capito che qualcosa non stava funzionando come avrebbe dovuto.

Erano troppi i “no” di Jade, troppi i profili scartati, troppe le bocciature e le critiche, talvolta anche pesanti e ingiustificate.

E fin troppo precisamente perché si trattasse di un caso, il giudizio negativo ricadeva su ogni ragazza che si presentava davanti a loro.

Man mano che passavano le ore, Beck non poté fare a meno di chiedersi se ci fosse qualcosa sotto. Se nonostante Jade assicurasse di stare bene, ciò che stava accadendo avesse a che fare, direttamente o meno, con lui.

Non poteva leggere nella testa della sua ragazza, ma il suo comportamento assomigliava sempre più ad una reazione nei confronti di una minaccia incombente, una specie di meccanismo di difesa.

Un chiaro segnale della gelosia che ancora le avvelenava il cuore, e della totale perdita di fiducia nei suoi confronti.

Ed era difficile da accettare.

Ovviamente, chi lavorava con loro non poteva immaginare quale fosse la ragione di tanto accanimento verso ragazze valide e preparate. Per loro, Jade appariva estremamente severa e selettiva, niente di più.

Ma alla fine della giornata, la voce di Beck era riuscita a sfuggire alla gabbia dei polmoni. Il canadese aveva raggiunto Jade e l’aveva fermata, ponendosi faccia a faccia con lei. – Non puoi continuare in questo modo. –

L’espressione della ragazza si era irrigidita. – Di che stai parlando? –

- Di quelle ragazze che hai mandato via. Così non andiamo da nessuna parte. Non so cosa stai vedendo, ma io… io sto facendo del mio meglio per far funzionare tutto quanto. -

Aveva sperato che le sue parole l’avrebbero spinta a riflettere. Si sbagliava.

Scusa…”

Avrebbe voluto sentirlo dire allora da Jade, invece che da quella studentessa bionda che stava ancora aspettando la sua copia del Macbeth.

- Riesci a trovarlo questo libro oppure no? –

Beck tornò frettolosamente al presente e, dopo un altro paio di occhiate, individuò il volume giusto.

- Perdona l’attesa, eccolo qui. – lo porse alla ragazza, che lo infilò nella borsa e lo ringraziò.

E mentre questa si dirigeva verso una delle postazioni di lettura, al centro della biblioteca, Beck immaginò tutto il mondo intorno alla famosa opera di Shakespeare.

– Buona fortuna. –

 

*****

 

Una serata tra sole ragazze era qualcosa che non facevano da tanto, troppo tempo. Ognuna presa dai propri impegni personali, sembravano non poter più trovare un attimo libero.

Significava staccare la spina, separare la testa dal resto della giornata, senza tuttavia dover uscire a fare baldoria o andare a sbronzarsi in un pub.

Bastavano tre calici e una bottiglia di vino, che con ogni probabilità sarebbe avanzata e sarebbe tornata nella credenza alla fine dell’incontro.

Si erano ritrovate a casa di Tori, la quale era riuscita a convincere Andre a lasciarle l’appartamento per una sera. L’amico si era mostrato da subito riluttante, tra il sospetto di cosa volessero fare, e la voglia di stare a poltrire sul divano di fronte alla tv. Alla fine, tra Sentieri e Masterchef, aveva deciso di andare da Beck per una birra e due chiacchiere.

Jade e Cat arrivarono alle 21.30, portando in dote un piccolo vassoio di pasticcini. Dopo aver appeso i soprabiti, si accomodarono in soggiorno, loro due sul divano, Tori sulla poltrona di fronte.

- Sam non ce la fa a venire. – esordì Jade, mentre ricontrollava i messaggi sul telefono. – Ha detto che doveva stare con Gabriel. –

Cat impuntò un broncio. – Ha preferito la sua compagnia alla nostra? –

La mora scrollò le spalle e ammiccò. – Magari avevano impegni particolari per stasera… -

- Sai per caso cosa volevano fare? –

- Non sono la loro segretaria, ma immagino uscire e andare in qualche bar, come al solito. Ormai ne hanno girati così tanti che devono uscire dalla California per provarne di nuovi. -

- E quindi siamo solo noi tre. – commentò Tori.

Jade fece finta di contare. – La matematica non era il mio forte, ma sembrerebbe di sì. -

Dopo aver disposto i bicchieri sul tavolino, Tori prese la bottiglia di vino e si mise a leggere l’etichetta. – Ragazze, questo ha sette gradi. –

- Rosso o bianco? –

- Rosso. –

- Sicura di non esserti confusa con il succo d’uva? –

- Abbastanza. Ora però capisco perché era così economico… - Si guardò intorno alla ricerca di qualcosa. – E a proposito di bar, ho dimenticato il cavatappi in cucina. –

Jade si mise ancora più comoda contro lo schienale del divano. – Fai pure, intanto io controllo che non ci sia qualcun altro nascosto dietro le tende. – si voltò poi verso Cat. – Tra l’altro, potevano benissimo invitare anche Andre e Beck . –

Cat aggrottò la fronte. – Perché? Non doveva essere una serata per sole ragazze? –

- Appunto. – rise. – Mi pare che, ultimamente, gli attributi li abbiano lasciati un po’ in disparte. Voglio dire, uno è tutto preso a scrivere, cancellare e riscrivere, e l’altro fa il garzone in una cartoleria. –

La rossa non abbandonò quell’espressione dubbiosa, tra l’ilarità dell’amica.

Poco dopo, Tori fece ritorno dal corridoio. – Ti ho sentita, Jade. – le puntò il cavatappi contro, ma si lasciò sfuggire anche un sorriso. – Questa era cattiva. E non è una cartoleria, è una biblioteca cittadina. –

La mora fece spallucce. – Fa lo stesso. –

L’amica si mise a scartare la parte superiore della bottiglia e si apprestò a rimuovere il sughero. – E’ un lavoro come un altro, non dovresti giudicarlo. – le lanciò un’occhiata inquisitoria. – E so che anche Andre si sta impegnando molto! –

Cat si morse un labbro per non rispondere. Non voleva rivelarle che Andre in realtà era piuttosto arrabbiato con lei, per tutte le prove saltate e per i ritardi sui piani di lavorazione. Pensò che una discussione non fosse il modo migliore di iniziare la serata.

Tori riuscì finalmente a versarsi due dita di vino nel bicchiere. – Ma sentiamo un po’, Jade. Tu che hai da dire? –

- Io ho dei genitori che mi vogliono molto bene e una coinquilina felicemente occupata. –

- In pratica “Cat lavora e porta a casa la grana, mamma e papà mi passano il contante, e io non ho nessun bisogno di lavorare”. –

Jade si servì dal tavolino e buttò giù un sorso, soddisfatta. – Direi che hai fatto un ottimo riassunto. Ma non ho intenzione di fare la mantenuta in eterno. Ho grandi progetti per me. Giusto, Cat? –

La rossa alzò lo sguardo al soffitto. – Già, a casa non si parla d’altro. –

Tori sollevò ironicamente un sopracciglio. – Credo di aver capito, ancora con quella storia della… -

- Esatto! – annuì Jade con vigore. – Sappi che un giorno aprirò davvero la mia casa di moda. –

- Colori dominanti: il nero e il nero, perché sfinano e vanno bene con tutto. –

Continuarono a parlare a lungo del lavoro, accompagnate dal flusso dei pasticcini e del vino.

Cat raccontò molti strani aneddoti legati ai bambini che curava, da quelli pestiferi a quelli che si addormentavano dopo dieci minuti davanti alla tv, da quelli che urlavano contro il cellulare a quelli che non staccavano lo sguardo dal cielo. Dopo tanto tempo, però, non si era ancora stancata di fare la babysitter, forse proprio per questa varietà di persone che poteva incontrare ogni giorno. La paga era discreta, appena sufficiente per contribuire all’affitto, ma era quanto le bastava. In fondo, Cat non era mai stata così ambiziosa come i suoi amici. Aveva perso interesse verso il teatro, il cinema o la musica. Partecipava ancora a qualche progetto, se ce n’era bisogno, ma la sua strada era ancora tutta da decidere.

Jade invece sapeva benissimo cosa fare: essere il capo di se stessa. Voleva assecondare le sue passioni, senza restrizioni e senza dover rendere conto a nessuno. Da qualche mese si era messa in testa di voler istituire una sua casa di moda, un suo brand. Era un’idea impegnativa e sicuramente difficile da realizzare, ma se c’era una che poteva farcela, quella era proprio Jade West.

- A proposito di lavoro. – aggiunse la mora. – Vedo che finalmente stai meglio, Vega. –

- E’ vero! – intervenne anche Cat. – Adesso sei più… raggiante! –

Tori sorrise imbarazzata e si passò una mano tra i capelli. – Lo ammetto, le cose sono ripartite nel verso giusto. Non ho più paura di guardarmi allo specchio o di uscire di casa, perché so di avere qualcuno al mio fianco, qualcuno che non voglio perdere di nuovo. –

Ogni parola che usò per descrivere il suo rapporto con Thomas si trasformava in lode, e nient’altro. Si era lasciata trasportare da quella relazione, tanto che sembrava felice solo quando pensava a lui. Così come aveva notato Andre, attualmente nella testa di Tori non esisteva altro che Thomas e i loro incontri passionali e fugaci.

Cat, ascoltando il racconto dell’amica, non poté trattenere l’emozione. Un sorriso sognante si allargò sul suo volto. – E’ bellissimo. La vostra storia sembra uscita direttamente da un film. –

Tori ricambiò con un’occhiata affettuosa. – Non vale solo per me, Cat. Sono convinta che anche tu, un giorno o l’altro, avrai qualcuno che ti farà sentire in questo modo, come se avessi le ali, come se potessi toccare il cielo con un dito. –

La malinconia si mescolò alla gioia nell’espressione di Cat. Odiava ammetterlo ad alta voce, ma c’era stato un solo ragazzo in grado di regalarle quelle sensazioni. E in quel momento, era ad un continente di distanza.

Jade, rimasta in silenzio per gli ultimi minuti, comprese dove si stavano dirigendo i pensieri di Cat. Nella direzione sbagliata.

Svuotò il bicchiere, lo posò sul tavolino e trasse un lungo respiro. – Ragazze, nessuna di voi due ha idea di cosa sta dicendo. L’amore non è un film. Non è come nei libri o negli spettacoli teatrali, non c’è il tasto “rewind” per correggere ciò che non va. Una relazione ha bisogno di attenzione, di prudenza, oppure qualcuno finisce per farsi male. Nel migliore dei casi, è uno solo a soffrire. –

Tori si tirò su sulla poltrona, perplessa. – Di che stai parlando? –

- Non ci sono basi su cui fondare qualcosa che può sfidare il tempo, Vega. Non le hai tu e non le ha Cat. Potete parlare quanto volete dei vostri compagni, ma solo perché non avete mai ragionato lucidamente fino in fondo. –

Fece una pausa quando notò che Cat la stava guardando con gli occhi spalancati, l’aria quasi terrorizzata. Era la prima volta che le diceva la verità e metteva in discussione il suo rapporto con Robbie.

- Per me ti stai preoccupando troppo. – intervenne nuovamente Tori. – Io e Thomas ci amiamo. Certo, la nostra relazione è un po’… come dire… fuori dalle righe, ma ciò non la rende meno importante delle altre. Solo perché non ci sono i soliti vincoli non significa che non ci sia qualcosa di reale tra noi. –

- Non puoi esserne sicura. Non lo conosci abbastanza da sapere se ha un lato nascosto, o se ha la forza necessaria da non cambiare idea tanto facilmente. Così come, alla fine, non sai nemmeno fino a dove tu puoi spingerti. –

Si voltò poi verso Cat, che continuava a fissarla in silenzio. – Prendi anche Cat, per esempio. Non metto in dubbio quello che sta provando. Dico solo che la persona che dovrebbe ricambiare, o almeno comprendere, i suoi sentimenti si trova dall’altra parte dell’oceano. Come si fa a pretendere di sapere cosa è reale e cosa no? –

- Ti stai facendo trascinare dai tuoi ricordi. – La frase di Tori suonò come un’accusa più di quanto volesse.

- Non è solo per quello. E’ perché so che anche nelle storie che sembrano più semplici, più lineari, c’è sempre quell’incognita che non ti aspetti. Per questo, nonostante possa sembrare una mancanza di fiducia da parte mia, vi chiedo di non abbassare mai la guardia. –

 

*****

 

L’illusione era un mostro che si stava stancando di combattere.

C’era una realtà davanti a lui, non quella del passato, non quella che immaginava di trovare. Una realtà che non poteva ignorare né combattere. Una verità che faceva male.

Le persone non aspettano in eterno.

Rientrato nel suo modesto alloggio dopo aver consumato un panino al fast-food, Freddie stava ancora pensando all’offerta di quel pomeriggio.

Sam che si proponeva di aiutarlo a trovare una nuova casa, dopo aver fatto lo stesso col lavoro, il racconto della sua storia importante con Gabriel, vecchie memorie di Seattle rivangate e poi lasciate a bruciare al sole. Erano un bel po’ di cose da elaborare, in effetti.

Ma se avesse voluto essere totalmente sincero con se stesso, come lo era stato in passato, allora non doveva fare altro che accettare. Per una volta, lasciare da una parte le questioni di principio, le ripicche e l’invadente orgoglio.

Senza andare a scavare troppo in profondità, per non correre il rischio di trovare qualcosa di indesiderato.

Si trattava di una nuova sistemazione e basta. Una casa, magari non quella di Seattle, ma pur sempre una casa. Sua madre gli avrebbe già fatto firmare il contratto ad occhi chiusi.

Pensò per un secondo anche a cosa avrebbe fatto Carly al suo posto: probabilmente la stessa cosa.

Afferrò il cellulare sul comodino. Al di là di qualunque ragionamento potesse fare, si sentiva in dovere di dirle almeno qualcosa.

Grazie”.

Fu semplicemente questo che decise di scriverle. Voleva farle sapere che apprezzava ciò che aveva fatto. Troppe parole non sarebbero comunque servite a nulla.

Pochi secondi dopo, il sistema di WhatsApp lo avvertì che Sam aveva letto il messaggio.

Non era troppo chiedere una risposta, non era troppo aspettarsi che lei comprendesse un gesto che, per quanto marginale potesse sembrare, aveva il suo particolare significato.

Invece niente.

Quando ricevette il messaggio, Sam si trovava nel soggiorno di casa sua, comoda sul divano accanto a Gabriel. Trasmettevano il basket in tv, grande passione del ragazzo. La partita non era nemmeno tanto interessante, la squadra in calzoncini rossi aveva quasi quaranta punti di vantaggio su quella coi calzoncini blu, all’inizio dell’ultimo quarto.

Non odiava il basket, sia chiaro. Lo riteneva uno sport dinamico e avvincente, molto più del tennis che tanto piaceva a Carly o dell’hockey che seguiva Beck.

Stare a guardare le partite con Gabriel, poi, che fosse alla tv o nei palazzetti locali, era un’attività che faceva sempre molto volentieri, specialmente per la presenza del suo ragazzo. Ma da qui a conoscere i nomi di tutte le squadre dell’NBA, delle divisioni inferiori e dei campionati internazionali, ce ne correva.

La squadra in tenuta blu aveva appena segnato un canestro dalla lunetta quando il cellulare le vibrò in tasca. Si aspettava che fosse Cat, che, presa da una delle sue tante note di nostalgia, le aveva inviato una foto di un peluche rosa, per ricordarle le loro serate insieme.

Niente di tutto questo, anzi, decisamente peggio.

Freddie Benson.

Fu colta da una strana sensazione, leggendo il suo nome sul display. Non era per il messaggio, che in fondo non rappresentava granché per lei, bensì per il fatto che fosse la prima volta che le scriveva così tardi.

Lanciò un’occhiata a Gabriel, immerso nel suo basket e intento a lanciare rimproveri agli allenatori e all’arbitro.

L’idea le balenò subito per la mente. Lo smartphone si oscurò e tornò rapidamente nella tasca, prima che lui potesse accorgersi di qualcosa.

Una risposta non sarebbe servita a niente. Gabriel l’avrebbe vista digitare e avrebbe insistito per sapere con chi, Sam non aveva alcuna intenzione di inventare una scusa e tantomeno di raccontargli la verità, e Freddie… beh, Freddie si sarebbe semplicemente trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Meglio lasciar correre, e rimettersi a sperare nell’improbabile rimonta del team coi calzoncini blu.

Dall’altra parte, però, Freddie era rimasto in attesa di qualcosa che, forse, non sarebbe mai arrivato.

Di nuovo quei dubbi…

Perché impegnarsi tanto, se lei era la prima a cui non interessava?

Un tarlo che, nonostante tutto, continuava ad abitare i suoi pensieri.

Una consapevolezza che faceva molto male.

Quella che per lui, alla fine dei giochi, Sam non ci sarebbe mai veramente stata.

 

 
   
 
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