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Autore: Civaghina    12/12/2017    1 recensioni
Com'era la vita di Leo, prima della terribile scoperta della Bestia?
Com'è cambiata la sua vita quando si è trovato davanti ad una verità così devastante?
La storia di Leo prima di Braccialetti Rossi, ma anche durante e dopo: gioie, dolori, amori, amicizie, passioni, raccontate per lo più in prima persona, sotto forma di diario.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leo, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mercoledì, 12 giugno 2013

Davide non c'è più.

Fatico ancora a crederci.

È assurdo.

È assurdo che Davide sia morto, è assurdo il come è morto, e ancora più assurdo è il quando.

Ho passato la notte sveglio a fissare il soffitto, senza darmi pace, e quando finalmente è arrivata la mattina me ne sono andato da Rocco, senza nemmeno aspettare la colazione; non molto tempo dopo mi hanno raggiunto pure gli altri: pare che stanotte nessuno sia riuscito a chiudere occhio; ed è qui che ci trova la Lisandri: tutti intorno al letto di Rocco, silenziosi, e con gli occhi rossi di pianto.

L'intervento era molto delicato” ci dice parlando lentamente. “E Davide questo lo sapeva. Conosceva tutti i rischi.”

Ma perché non ce l'ha detto?!” le domando alzando la voce, in un misto di rabbia ed esasperazione.

Non ve l'ha detto perché... non voleva farvi preoccupare...” mi risponde accennando un sorriso malinconico, mentre nessuno di noi riesce più a trattenere le lacrime. “Sperava di potervi dire tutto dopo, a modo suo, magari con una battuta... Accettare una morte così inattesa, così... violenta, non è facile per nessuno. Vi assicuro, per nessuno. Soprattutto per voi, che siete così giovani”; sollevo lo sguardo verso di lei, che lo sostiene, restando imperturbabile. “Però dovete essere forti, ragazzi! Dovete continuare a lottare! Con coraggio, come avete sempre fatto. E questo lo dovete a voi stessi, e lo dovete anche a Davide. Perché lui ha combattuto fino alla fine!”

Io non ci riesco...” mormora Cris con la voce rotta dal pianto; Vale la guarda, credo che vorrebbe andare da lei, ma non lo fa; anch'io provo lo stesso istinto, ma non lo posso fare.

Sì che ci riesci!” esclama la Lisandri avvicinandosi a lei e accarezzandole i capelli. “Ci riesci!”

Io penso a lui...” comincia a dire Vale con la voce che trema. “Lì... solo... Chissà se si è accorto di qualcosa... Chissà se ha sofferto...”

È una morte assurda” dico con rabbia guardando la Lisandri, mentre appoggio una mano su quella di Vale e la tengo stretta.

Sì, Leo. È una morte assurda. Ma è così. Fa parte della vita.”

Questo lo dice sempre anche mio nonno...” dice Toni voltandosi verso di lei. Dice che mi devo abituare perché... un giorno lui non ci sarà più. Ma come si fa?”

Si fa” gli risponde la Lisandri accarezzandogli la testa. “Si fa...”.

Cris non riesce a smettere di piangere, ed io devo distogliere lo sguardo da lei e stringere i pugni, per trattenermi dal raggiungerla dall'altra parte del letto e stringerla forte a me. Però non è giusto...” mormora abbracciando di slancio la Lisandri.

Lei la stringe a sé, cercando di rassicurarla: Coraggio ragazzi! Coraggio! Su! Coraggio Cristina! Su! Io ci sono” dice poi, guardandoci tutti, ad uno ad uno. “Per qualunque cosa, io ci sono”; e poi se ne va, lasciandoci di nuovo nel silenzio in cui ci ha trovati.


Io devo andare di sotto” annuncia a un certo punto Vale, rompendo il silenzio. “C'è mio padre che... chissà da quanto mi starà aspettando.”

Scusate, vado anch'io” dice Cris alzandosi. “Ho bisogno di stare un po' da sola”.

Mi sa che è meglio se vado anch'io: ho bisogno dei Braccialetti Bianchi. Anch'io voglio stare un po' da solo. Vado a fare un giro”; rivolgo un ultimo sguardo a Rocco, e poi me ne vado.

Poco dopo, però, sento il rumore di una sedia a rotelle dietro di me e mi fermo di botto. “Perché mi segui?” chiedo girandomi appena; ho già capito chi c'è dietro di me, senza bisogno di voltarmi.

Perché non mi va di rimanere solo...” ammette candidamente Toni.

Sì, vabbè... ma... se uno avesse un segreto?”.

Toni non sa cosa rispondere e abbassa lo sguardo, sconsolato; e, contro tutte le mie intenzioni, non ce la faccio a non lasciarmi intenerire: “Vabbè, andiamo!” gli dico ricominciando a muovermi, per poi fermarmi di nuovo, per raccomandargli di tenere la bocca chiusa: “Basta però che non dici una parola, eh?!”

Comandi!”

Mi prendi pure per il culo?!” esclamo alzando la voce.

No! Giuro!” dice lui facendo giurin giuretta con le dita.

Vieni...” sospiro io rassegnato.


Si dice che sono gemelli...” dico a Toni che sta osservando, estasiato, due bambini dietro la parete a vetro del nido. “Nati ieri sera..., verso le sette.”

L'ora in cui Davide...”

Sì, a quell'ora lì, più o meno” lo interrompo io bruscamente. Non riesco nemmeno a sentirne parlare. “Due Braccialetti Bianchi nuovi nuovi” sorrido, cercando di sdrammatizzare. “Una bella faticata per la cicogna!”

Eh!” ride Toni, mentre saluta i bambini agitando la mano; dovrei esserci abituato ormai, a furia di stare in questo posto, alla vita che convive con la morte, ma è una cosa che ancora mi fa male.

Troppo.

Ieri mattina Davide era ancora qui, abbiamo parlato, ho intuito che ci fosse qualcosa che non andava ma non ho insistito oltre, pensando che gli sarebbe passata.

E invece non gli è passata.

E invece lui non c'è più, ed io sono ancora qui, senza una gamba, a lottare ancora contro la Bestia infame, ma sono ancora qui.

E lui no.

E, ad averlo saputo, gli avrei detto quanto sono stato felice di averlo conosciuto, che bel ricordo conservo di quel giorno chiuso in ascensore con lui, nonostante lo schifo di referto contenuto nella busta.

E, ad averlo saputo, gliel'avrei raccontata la storia di Watanka, del braccialetto di cuoio che ho al polso, dell'ultima giornata in cui ho visto mia madre splendere.

Ma non l'ho saputo.

Non l'ho saputo perché lui non mi ha detto niente.

E posso biasimarlo? Non avrei fatto lo stesso anch'io?

Eh... io penso...” dice Toni, che dev'essersi accorto che mi sono rabbuiato. “Che i nomi non bisognerebbe deciderli prima.”

Cioè?”

Questo, per esempio” mi spiega indicando uno dei bambini. “Non va bene se si chiama Alberto.”

E perché non va bene?”

Eh..., perché non ha una faccia da Alberto!”

E che faccia ha?” gli domando, non riuscendo a trattenere un sorriso.

Eh... lui potrebbe chiamarsi... Davide.

Io guardo il bambino e poi annuisco: “Effettivamente... Ha l'aria di uno che dice: Toni, hai finito di sparare cazzate?”; io e Toni ci guardiamo negli occhi, ed io gli sorrido ancora: “Sì, è un Davide. Preciso e sputato!”.


Mentre passo davanti alla stanza di Rocco, vedo, attraverso il vetro del corridoio, Lilia che sta raccogliendo tutte le cose di Davide: ha lo stesso sguardo perso che aveva Asia esattamente un anno fa, mentre raccoglieva le cose di mamma; è come se ogni singola cosa che Lilia infila dentro a quel borsone, le provochi un'ondata di nausea e dolore; si sofferma lentamente, piangendo, su ogni cosa, come se così potesse riavere indietro un pezzettino di lui.

Io indugio per un po', prima di entrare: non so bene cosa dirle, non so nemmeno se sia il caso di dirle qualcosa. Tentenno ancora, poi mi dico che il mio disagio, in questo momento, è solo secondario, e che l'unica cosa che posso fare è raggiungerla e farle sapere che io ci sono. E così entro, silenzioso, aspettando le parole giuste da dire che non ne vogliono sapere di arrivare, mentre Lilia osserva stupita un rasoio da barba dentro il beauty di Davide.

Gliel'avevo prestato io” le dico; ok, non sono proprio le parole giuste, ma almeno mi permettono di rompere il ghiaccio. “Voleva provare a farsi la prima barba.”

Ma Davide non aveva la barba” mormora lei accennando un sorriso.

Vaglielo a dire a lui...!”

Tu già te la fai?”

Giusto per essere pronto, quando arriva... Vai via ora?” le domando dopo che lei ha infilato le ultime cose nel borsone e ha richiuso la zip.

Sì. Sto aspettando il papà di Davide... e poi andiamo.”

Quando ci sarà il funerale?”

Domani, in una chiesa vicino al mare” sospira Lilia, andandosi poi a sedere ai piedi del letto di Rocco. “Leo..., far parte del gruppo... ha cambiato tanto Davide. Io non lo avevo mai visto così felice prima...” mi dice con la voce rotta dal pianto, mentre arrivano anche Cris, Vale e Toni. “E penso che... se questi ultimi suoi giorni sono stati pieni di allegria e di amore, è stato grazie a voi”; altro non riesce a dire, sopraffatta dalle lacrime.

Io sono vicino a lei e vorrei tanto fare qualcosa, dire qualcosa, trovare quelle dannate parole giuste, ma è troppo difficile, non ci riesco: riesco solo a stringere con forza le ruote della carrozzella e a ricacciare indietro le lacrime.

Ciao...” sussurra Lilia alzandosi in piedi e chinandosi verso di me per darmi un bacio; allungare una mano sulla sua schiena e accennare una carezza è tutto quello che mi riesce di fare: sono abituato a gestire il mio dolore, ma non è per niente facile farlo con quello degli altri. Lilia bacia Rocco, poi Vale. “Ciao Braccialetti... Ciao...” mormora ancora baciando Toni. Con Cris è diverso: con Cris si abbandona ad un abbraccio, come se tra donne fosse più facile condividere questo dolore così assurdo. “Grazie...” mi dice poi, prendendo in mano il borsone di Davide che le sto porgendo; faccio fatica a lasciarglielo, come se davvero lì dentro fosse contenuto tutto ciò che resta di lui.


I funerali sono domani” annuncio agli altri, stringendo una gamba di Rocco. “Vado a dire alla Lisandri che ci andiamo anche noi.”

Veniamo con te” mi dice Toni, voltando la sedia a rotelle e uscendo dalla stanza.

Sì, però è meglio se entro da solo. Se andiamo in quattro mi concentro meno”; con la Lisandri ci devo parlare a tu per tu.

Andiamo tutti verso gli ascensori e lì incontriamo di nuovo Lilia, che sta aspettando il padre di Davide. “Ciao...” gli dice con un filo di voce, quando lui esce dall'ascensore, facendogli una breve carezza sul viso. “Loro sono i Braccialetti Rossi: Leo, Vale, Toni e Cris. Poi c'è anche Rocco ma... già lo conosci.”

Lilia e...” comincia a dire lui, ma deve fermarsi un attimo, perché fa fatica a parlare. “... e Davide mi hanno parlato molto di voi” continua dopo aver deglutito. “E... mi sembra di conoscervi bene, ormai, a tutti. Io non sono uno che parla molto, ma voglio dirvi una cosa: se mai... aveste bisogno di una mano, qua dentro o là fuori, io per voi ci sarò”.

Mi ricorda un po' mio padre, quest'uomo, così composto davanti al dolore, ma che allo stesso tempo non riesce a mascherare la sua devastazione; e vorrei ricambiare, in qualche modo, le belle parole che ci ha appena detto ma, ancora una volta, le parole giuste non mi vengono e l'unica cosa che sento di poter fare è quella di regalargli un braccialetto rosso; mi giro a incrociare lo sguardo degli altri, cercando la loro approvazione, mentre con le dita sfioro uno dei braccialetti che mi sono rimasti al polso; Cris è la prima ad annuire sorridendo, seguita da Toni che mormora un “Sì” emozionato, col viso rigato di lacrime, e da Vale che lo afferma con decisione; mi avvicino allora al padre di Davide, in silenzio, mi sfilo un braccialetto, mi volto un'ultima volta a cercare l'incoraggiamento di Cris, e poi sollevo gli occhi verso di lui: “Questo è per te”.

Lui allunga il braccio verso di me e lascia che gli allacci il braccialetto, mentre anche gli altri si avvicinano, unendosi al mio “Watanka” quasi sussurrato e alla stretta delle nostre mani, sotto lo sguardo commosso di Lilia.

Ora sei uno di noi” sorride Toni tra le lacrime.

Sono uno di voi” risponde lui trattenendo le lacrime. “Arrivederci” aggiunge poi, guardandoci un'ultima volta, prima di lasciare la stretta ed entrare con Lilia nell'ascensore.

Siamo tutti visibilmente scossi ed emozionati, forse avremmo bisogno di parlare, di condividere quello che stiamo provando, ma non c'è tempo da perdere: “Lisandri” affermo con decisione.

Lisandri” ripetono gli altri entrando nell'ascensore libero.

Andiamo” dico chiudendo la fila.


Che non sarebbe stato facile convincerla, questo me lo immaginavo, ma credevo in qualche modo di riuscirci, e invece è categorica: “Non posso, Leo. Mi dispiace” mi dice sedendosi alla scrivania, di fronte a me. “Piacerebbe anche a me farvi venire... ma non posso proprio darvi questo permesso”.

Io distolgo lo sguardo da lei e stringo i pugni, per trattenere la frustrazione e la rabbia, poi torno a guardarla: “Ma è nostro amico!” ribatto, sforzandomi di non alzare troppo la voce; se le faccio vedere quanto sono incazzato, lei fa muro e mi gioco ogni possibilità. “Siamo noi le persone che lui vorrebbe accanto in quella chiesa!”

Sì lo so. Lo so. Ma qui in ospedale siete sotto la nostra responsabilità, e io non posso autorizzare quest'uscita.”

Ma si rende conto che ci andrà un sacco di gente?!” esclamo alzando un altro po' il tono della voce. “E noi che siamo i suoi amici... non ci possiamo andare! È un'assurdità! So che Nicola ci va! Non è un paziente anche lui?!”.

La Lisandri sospira e si toglie gli occhiali: “Nicola è un adulto, Leo. Fa una firma che ci solleva da ogni responsabilità.”

E va bene!” urlo; alla fine non ce la faccio proprio a trattenermi. “Firmo anch'io! Anzi: firmiamo anche noi!”

Ma voi siete minorenni, Leo... Io avrei bisogno di un'autorizzazione scritta dei vostri genitori”.

Minorenni.

Ecco quella cazzo di parola che torna sempre: minorenni.

Sono in questo cazzo di posto da un anno, ma non non è ancora abbastanza.

Sono ancora minorenne.

Sì sì, certo!” dico battendo nervosamente il piede. “Perché invece non dite che se ci potete rendere la vita difficile, lo fate?!”

Perché non è vero” mi risponde lei con tono pacato, ma fermo.

Perché è così invece!” grido dando un pugno a un armadietto. Cazzo che male! Ci manca solo che mi spacco la mano.

Calma, Leo” mi dice lei riuscendo a mantenere ancora il suo tono pacato, mentre si alza e viene verso di me che mi sto stringendo la mano dolorante. “Ti fai anche male alla mano..., dai, fammi vedere...”

Lasciami stare!” sbotto io con rabbia, girando la sedia a rotelle verso l'uscita.

Fanculo!

E, preso dall'incazzatura, anche il lei è andato a fanculo.

Fammi vedere! Leo!” mi chiama mentre esco dalla stanza. “Leo!”.

Non ci penso proprio a fermarmi, sono incazzato nero.

Vado velocemente verso l'ascensore, trattenendo le lacrime di dolore per la mano e di rabbia per non essere riuscito ad ottenere ciò che volevo.

Che ti è successo?” mi domanda Ruggero, uscendo dall'ascensore.

Niente!” gli rispondo io in maniera brusca. “Ho dato un cazzotto a un armadio. Hai saputo di Davide?”.

Lui annuisce: “Lo sanno tutti.”

Non solo lui era uno che non doveva morire, e che invece in questo cazzo di ospedale c'è rimasto!” urlo esasperato. “Ma neppure ci danno il permesso di andare al funerale!”

E allora? Aspetti ancora il permesso di qualcuno?” mi chiede lui con un sorrisetto sarcastico, prima di andarsene.


Leo è sul terrazzo, a sfogare la rabbia contro il canestro da basket: non ci prova nemmeno a fare centro, gli basta lanciare forte la palla, farla sbattere a ripetizione, facendo rumore, svuotando la mente.

Ciao” lo saluta Vale avvicinandosi con circospezione: sa bene quanto sia meglio girare alla larga da Leo quando è in un momento no, ma deve assolutamente parlargli.

Ciao” risponde lui continuando a lanciare la palla. “Che c'è?!” gli domanda un po' scocciato. “Dimmi...”

Domani mi dimettono”. Vale glielo dice così: diretto, senza giri di parole, perché lo sa benissimo che non c'è niente che Leo odi di più dei giri di parole, e spera che in questo modo sia più facile per lui assorbire il colpo; ma Leo gli rivolge uno sguardo ferito e risentito e torna a girarsi verso il canestro, riprendendo a lanciare con forza la palla, senza dire niente. “Non dipende da me, Leo!” prova a spiegargli, con l'angoscia che traspare dalla sua voce. “Pare che la convalescenza la posso fare anche fuori dall'ospedale.”

Balle!” urla Leo girandosi a guardarlo. “Per me tu hai bisogno di altre tre settimane! Lo so, io, quando qualcuno può uscire! Ho visto mille operazioni come la tua!”

Non ne hai viste mille...”

Vabbè, cento!”

Manco cinquanta ne hai viste!”

Comunque ne ho viste più di te!” ribatte voltandogli di nuovo le spalle.

E allora?! Con questo?!”

La Lisandri non c'entra niente con la decisione di dimetterti!” esclama Leo con decisione, tornando a guardarlo. “Sono tuo padre e tua madre che non vogliono farti stare qua!”

Che c'è di strano, Leo? Tutti i genitori vorrebbero che i propri figli non fossero in ospedale!”

Guarda che loro in questo momento non pensano a te” gli dice abbassando il tono della voce. “Stanno pensando a se stessi. È a loro che serve tornare a casa, per vedere se riescono a rimettere insieme i cocci.”

Ma che ne sai tu di mio padre e di mia madre?!”

Li vedo! Vedo che non si abbracciano, non si parlano, non si toccano...!”

Sì, hai ragione...” ammette Vale con tono sommesso. “Hai ragione tu: si stanno separando.”

Ah! Ho ragione io?! E allora?! Non c'è motivo per cui tu te la fili!” urla stringendo forte le ruote della sedia a rotelle. “Però te la fili lo stesso!”

Leo, anch'io voglio andare a casa!” esclama Vale esasperato, alzando la voce. “Voglio..., voglio andare al cinema, tornare a scuola, voglio vedere i miei vecchi amici!”

Cazzo!” impreca Leo tra sé e sé, lanciando la palla contro il canestro. “E io chi sono?! Non sono amico tuo?!”.

Vale si rende conto ormai troppo tardi di essere stato indelicato nei confronti di Leo, che chissà da quanto tempo sogna di tornare a casa, a scuola, di poter uscire e fare la vita di prima; si rende conto che un discorso del genere, affrontato in mezzo al dolore per la morte di Davide, è decisamente troppo da sopportare; si rende conto che era più che prevedibile che Leo lo fraintendesse e partisse in quarta. No Leo, io...” prova a rimediare.

Ma Leo non glielo permette.

Leo ormai non è più lucido e ragionevole.

È solo incazzato: Ma certo! Io per te sono solo un amico di serie B, no?!”

No...”

E i Braccialetti cosa sono?! I tuoi amici di seconda mano?!” grida mentre gli si avvicina. “La ruota di scorta?! I figli dell'oca nera?! Eh?!”

Basta, smettila...” lo supplica Vale, prossimo alle lacrime. “Lo so che sei arrabbiato per Davide, ma lo sono anch'io!”.

Leo si ferma a poca distanza da lui e lo fronteggia con lo sguardo. “Sicuro?” gli chiede con strafottenza.

Sicuro sì!”

Non lo so... Forse non t'importa neppure di lui!” urla Leo lanciandogli addosso la palla, che Vale prende al volo.

Va bene: Leo è incazzato, è ferito, ha quella tempesta negli occhi che lui ha imparato a conoscere, ma non ha il diritto di fare simili insinuazioni, e anche se, di pazienza, Vale ne ha tanta, ma proprio tanta, ad un certo punto la perde pure lui. “Ma come fai a dire una stronzata del genere?! Eh?!” gli urla di rimando, rilanciandogli con forza la palla. “Non puoi neanche pensarla! E non dire che a Davide volevo meno bene di te, perché non è vero!”

Io dico quello che penso!” ribatte Leo tirandogli la palla con violenza, con la precisa intenzione di colpirlo.

E anch'io dico quello che penso!” esclama Vale afferrandola e rilanciandogliela con rabbia. “E penso che sei un coglione!”

E Cris lo sa?!” gli domanda Leo urlando, con la voce che esce strozzata.

Sa, cosa?”

Lo sa che lei è solo la ragazza dell'ospedale, eh?!” grida accorciando la distanza che li separa e lanciandogli di nuovo la palla, ormai fuori controllo. “Lo sa che quando vai a casa forse hai un'altra?! La vera ragazza! Quella di serie A!”.

E a questo punto anche Vale perde il controllo: “Non mettere in mezzo Cris, hai capito?!” urla tirandogli la palla, per poi andargli addosso con la sedia a rotelle. “Bastardo!”.

Cominciano a spintonarsi e a mettersi le mani addosso, facendo sbilanciare le sedie a rotelle e finendo entrambi a terra, inevitabilmente, sfogando uno sull'altro la rabbia reciproca, prendendosi a pugni e facendosi male, fino a che, esausti, si abbandonano con la schiena sul pavimento e lo sguardo rivolto verso il cielo limpido, per non doversi guardare in faccia.


Vieni giù...” mi dice Carlo, mentre sono seduto su un lettino dell'infermeria, col naso sanguinante; Vale è sdraiato su un lettino a fianco e si tiene il ghiaccio sintetico sullo zigomo. “Giù” mi ripete Carlo, ed io mi sdraio, sbuffando, mentre lui comincia a medicarmi il naso. “Poi un giorno mi spiegate cosa vi è preso, eh?”

Carlo, niente di rotto!” annuncia il dottor Mazzotta entrando nella stanza e poggiando le radiografie sulla scrivania.

Grazie Francesco.”

Prego...”

Pensa a lui, no a me...” dico a Carlo. “L'ho massacrato!”

Ma quale massacrato?!” esclama Vale tirandosi su a sedere. “Io sto benissimo!”

Uh! Si vede!”

Chiedilo al tuo naso come sta!”

E fatela finita!” sbotta Carlo.

Meno male che non mi hai rotto l'orologio...” dice Vale tirando fuori dalla giacca del pigiama un orologio super figo che non gli ho mai visto.

Questo brucia un po', eh Leo?” mi avvisa Carlo imbevendo l'ovatta di disinfettante.

Vai tranquillo... Tanto a me non fa male niente!” gli rispondo con spavalderia, per poi pentirmene subito dopo: altro che un po', brucia da far schifo! “Puttana Eva mignotta! Cazzo, Carlo! Fanculo!” impreco mentre lui se la ride.

Tranquillo...” sorride lasciandomi in mano l'ovatta. “Io devo andare via un attimo. Non vi muovete. E non ve menate!”.

Mi volto a guardare Vale e vedo che anche lui mi sta guardando, ma distoglie subito lo sguardo quando incrocia il mio.

Ma che succede?!” domanda Toni arrivando. “Avete fatto a botte?!”

Un po'...” risponde Vale.

Perché?”

È perché lo dimettono...” sospiro io mettendomi a sedere. “E io gli ho detto che questo... non doveva farlo. Non in un giorno così.”

Ah! E gliel'hai detto menandolo?!”

Ognuno ha il suo linguaggio, no?!”

Ma davvero, Vale, ci lasci?” gli chiede Toni dispiaciuto.

Non è stata una scelta mia. Mi hanno dimesso, che devo fare?! Non si può stare qui dentro quando si sta bene! Gli servono le stanze per gli altri pazienti, mica è un albergo questo!”

Certo che perdere un Braccialetto è dura...” dice Toni stringendosi nelle spalle. “Ma perderne due...”

Ma ti ci metti pure te, cazzo?! Non è colpa mia!” si difende Vale alzando la voce: “Non è stata colpa mia! Non mi farete sentire in colpa!”

E basta, Vale!” lo fermo io guardandolo. “L'argomento è chiuso, ok? Tu come stai, Toni?”

Triste. Io penso che dovremmo dirgli addio, a Davide...”

Io penso la stessa cosa” gli dico mentre continuo a tenermi l'ovatta sotto al naso che non smette di sanguinare. “Dobbiamo andare al funerale.”

Sì! Ma come...?”

La Lisandri aveva detto di no...” interviene Vale.

E chissenefrega della Lisandri!” ribatto io. “Tranquillo, vedrai che un modo lo trovo...” dico rivolto a Toni, che immediatamente mi sorride. “Ma domani si va.”

Bravo Leo! Così sia detto, così sia scritto e così sia fatto, Leader!” esclama allungando la mano verso di me, che io stringo subito nel gesto del Watanka mentre Vale si lascia ricadere sul lettino.


Neanche stanotte riesco a prendere sonno: Davide che non c'è più, Vale che se ne va...; è come se tutto, nella mia vita, stesse per crollare un'altra volta.

Ancora.

Ed io non posso sopportarlo.

Non riesco a restarmene a letto, sono troppo irrequieto; potrei andare dai Braccialetti Bianchi, ma alla fine preferisco andare all'aperto; infilo la felpa, metto il cappuccio e me ne vado fuori, sul piazzale dell'ospedale; contemplo gli ulivi in lontananza, il paesaggio notturno, sempre uguale dalla prima volta che l'ho visto, sempre qui.

E anch'io sono sempre qui.

Ma Davide no.

Davide è morto.

Un'altra persona che amavo è morta.

Il giorno del mio compleanno.

E quanto vorrei poter discutere ancora con lui.

Quanto vorrei rivedere quegli occhi acquosi e sprezzanti.

Quanto vorrei poter sentire ancora la sua risata, spesso esagerata e fuori luogo.

Il destino continua a farmi brutti scherzi.

Tutte le volte che le cose sembrano andare per il meglio, all'improvviso tutto precipita di nuovo.

Sento un rumore di passi che si avvicinano e, voltandomi appena, riconosco nella penombra la figura di Cris; lei non mi vede, perché sono nascosto dagli alberi e dal buio, e si siede su una panchina poco lontano, con il cellulare tra le mani; dopo aver tentennato per un paio di minuti, telefona a sua sorella: “Carola...” mormora con voce tremante. “No...” dice dopo qualche secondo, piangendo. “No... lo sai che... Davide... vabbè, tu forse nemmeno l'hai mai visto..., lui era tutto il contrario di me, era forte e non aveva paura di niente... solo che...”; Cris piange, e anch'io sono sul punto di piangere: mi bruciano gli occhi, ma tento di trattenermi; devo trattenermi anche dall'andare lì da lei; mi sforzo di rimanere fermo dove sono, mentre lei racconta a Carola quello che è successo: “Ieri... mentre l'operavano... n... non... non ce l'ha fatta... Mh... No, no... non ti preoccupare, io... ce la faccio...” dice alzandosi e dirigendosi verso l'entrata dell'ospedale.

Cazzo!

Vorrei chiamarla, fermarla, abbracciarla, parlarci, piangere insieme a lei, ma è più forte di me: non ci riesco. Non lo so se sia l'orgoglio, la paura di quanto questo mi renderebbe vulnerabile, il timore di oltrepassare quel confine che da mesi mi sto sforzando di non oltrepassare.

Fanculo!

Fanculo tutto!

Io adesso ho bisogno di lei, e sono sicuro che anche lei ha bisogno di me: “Cris!” chiamo, ma lei non mi sente. “Cris!” chiamo più forte, ma lei è ormai lontana.

   
 
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