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Autore: _Akimi    13/12/2017    4 recensioni
[FlashBorg] Post-canon
"Osserva quel sorriso a lungo, con accurata attenzione percorre la linea che divide la carnagione color caffè e l’argenteo metallo, si sofferma sulla forma delle sue labbra, del suo naso, e trattiene un respiro, Barry, come se avesse scoperto per la prima volta la bellezza del suo volto.
Lo ha avuto accanto per molto tempo, vedeva la sua figura mentre combatteva o parlava, ma solo ora lo guarda, lasciandosi divorare da questa sua inconsueta armonia.
«Hey, non c’è nulla di male ad essere nerd. E poi basta guardarci, non conosco nessuno di perfetto qui.»"
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Barry Allen, Victor Stone
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Slow Down'
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Slow down

 

{Il silenzio è il linguaggio delle forti passioni:
dell'amore, dell'odio
della meraviglia, del timore.}


L'unica fonte di luce nel grande salone è la TV accesa, i colori toccano il viso di Victor, si riflettono anche sulle sue parti bioniche, trasformando l'argento in un caleidoscopio di tonalità.
Nello schermo Cuba Gooding interpreta un povero ragazzo di un ghetto di L.A., un'espressione dolente è dipinta sul suo volto, in contrasto con la gioia negli occhi dei suoi amici.
Victor ha visto questo film un migliaio di volte, sa già che il finale lo lascerà con l'amaro in bocca, che si arrabbierà sapendo di quanto l'ingiustizia raccontata nella pellicola sia molto reale ed è anche per tale motivo che, progressivamente, sta incominciando a trovare il proprio posto nel mondo.
È un processo lungo, un percorso che è cominciato da quel vago, primo incontro con Diana Prince – la meravigliosa amazzone – che si è confidata con lui, dicendogli che accettare se stessi e fidarsi degli altri richiede fatica e dedizione.
Victor ha imparato molto, si sente già una persona diversa dopo la vittoria contro Steppenwolf, ma non è bastato salvare il mondo per ritornare ad essere il ragazzo di prima.
Una parte di lui sa che non sarà mai il Victor Stone precedente, non potrà più giocare a football come faceva al college e non si riconoscerà più guardandosi allo specchio.
La verità è che quel Victor è morto, la sua è una nuova vita: un convivere di umanità e tecnologia che molti credono ancora impossibile.
È metodico come una macchina, ma fedele come un uomo; analizza come un computer, ma prova ancora sensazioni umane a cui non vuole rinunciare.
Ricorda la rabbia nel vedere gli alieni attaccare degli innocenti, la delusione che ha provato nei confronti di suo padre e ancora, la gratitudine per i suoi compagni che lo hanno aiutato a scoprire le proprie potenzialità.

Eppure, Victor è nel suo appartamento da solo, al buio, guarda la televisione perché non crede ancora di essere pronto ad apparire nel mondo esterno e questo è solo uno dei tanti motivi per cui un invito di Bruce Wayne è rimasto abbandonato sulla scrivania di camera sua.
Cerca di non pensarci, tenta di concentrarsi sulle immagini che scorrono davanti a lui, ma è naturale darsi delle risposte a domande che lo assillano da quando ha ricevuto quella lettera.
Il rapporto con Bruce – anche come Batman – è neutro, vi è un rispetto reciproco, ma non di più; non si possono considerare amici per tanti motivi diversi: si conoscono poco, sono di due ambienti completamente differenti e Victor, che ha ormai dei forti presentimenti, non può credere che Bruce Wayne lo abbia invitato ad uno dei suoi eventi pubblici.
Ma ha una spiegazione più che palese: è stato Alfred, il fedele maggiordomo del miliardario, ad invitarlo; probabilmente ha mandato la lettera a tutti i membri della lega perché, lui lo sa bene, Bruce non è esattamente un uomo amichevole.
Victor immagina che non presentarsi non cambierà nulla e, a dire il vero, considera quelle feste solo un insieme di ipocrisia, falsi sorrisi e gentilezze date dalle circostanze.

Allora ritorna ad osservare l'afflitto Cuba Gooding che, assieme ad Ice Cube, gli fa compagnia nella sera anonima; non è come partecipare ad una festa, ascoltando buona musica e chiacchierando, ma teme che per alcuni mesi si dovrà accontentare di casa sua.
L'appartamento appare più desolato senza la compagnia di suo padre, ma anche il suo lavoro agli StarLabs è importante e non è così capriccioso da avere bisogno di lui costantemente.
In realtà, non è male passare del tempo da solo – è una cosa di cui si è reso conto solo dopo essere ritornato in vita; è sempre stato circondato da persone, ma per lavorare su se stesso ha bisogno di momenti per riflettere, possibilmente lontano dal giudizio bonario del padre.
La solitudine non lo infastidisce, non può dire di esserne abituato, ma per ora vuole sentirsi semplicemente vivo, e casa sua, con i suoi film, foto e vestiti, è il posto migliore per rilassare la mente.

E diventa più semplice immergersi nuovamente nella narrazione del film, un senso piacevole di déjà-vu lo pervade quando riconosce delle canzoni e qualche volta si lascia sfuggire qualche sorriso, divertito dai modi di fare dei protagonisti.
Ed è così attratto dagli eventi in TV da ignorare il ripetuto ticchettio che pizzica il suo orecchio; sente il rumore seguire un ritmo preciso, ma inizia ad infastidirlo solo dopo lunghi attimi che portano al limite la sua pazienza.
Decide di mettere in pausa, lo schermo va in stand-by sotto il suo comando ed è proprio nell'oscurità che, voltandosi verso la finestra, si accorge di un'ombra sulla scala anti-incendio.
Il vetro si appanna per via del respiro caldo dell'inaspettato ospite, ma Victor non si allarma, avendo già riconosciuto il volto dopo una rapida ed efficiente scansione.
La sorpresa, tuttavia, non scompare: cerca di capire perché lui si trovi a quest'ora della notte a casa sua, scioccamente vittima del freddo e ancor più folle per non essersi presentato davanti alla porta come una qualsiasi persona normale.
Ma Victor ricorda che Barry Allen non è una persona normale – oltre ai suoi poteri, è un ragazzo piuttosto singolare, strano, se così si può descrivere, ma non in senso negativo.
Ha imparato a comprendere la sua personalità, persino ad apprezzarla, perché in fondo Barry è un bravo ragazzo, è la società a considerarlo diverso.



«Hey, come va?»
Sono le prime parole che Barry pronuncia quando Victor apre la finestra; non si azzarda ad entrare in casa senza permesso, ma lo si capisce dal suo sguardo che, dopo essere rimasto inginocchiato per chissà quanti minuti, vorrebbe davvero sedersi su una qualsiasi superficie comoda.
«Aspetta un momento;» Inizia a parlare Victor, un'espressione confusa sul volto e un principio di sorriso che gli pizzica le labbra. «sono le nove di sera, ti sei presentato a casa mia passando dalla scala anti-incendio e la prima cosa che ti viene da dire è “Hey, come va”?»
Sono un tipo educato, io, cosa credi. - Barry è sicuro di averlo esclamato ad alta voce, ma in realtà quelle parole rimangono un pensiero confuso nella sua testa; Victor è ancora in silenzio, rimangono così per attimi che paiono un'eternità - un'eternità piuttosto imbarazzante, aggiungerebbe il velocista.
«Io, ecco...Aspetta, chiudi e rifacciamo tutto da capo.»
Barry indietreggia, allunga il braccio per chiudere la finestra, ma Victor mantiene la presa e il suo occhio cremisi lo giudica senza troppa gentilezza.
«È come riavvolgere il tempo, solo che non - no, non si riavvolge veramente. In realtà credo proprio di poterlo fare, ma non è importante adesso. Ora fingo di essere appena arrivato e tu-»
Inciampa nelle sue stesse parole ancora per un po', Victor lo lascia fare, annoiato e al contempo divertito dal crescente nervosismo che riconosce nel suo sistema; è più semplice capire le persone quando sei per metà macchina, ma è probabile che Barry non lo abbia ancora compreso.

«Uhm, posso, vero? C'è tuo padre?»
Si morde il labbro, Barry, vedendolo spostarsi per farlo entrare; lo guarda in volto per capire se sia innervosito dal suo arrivo, ma come sempre sembra impassibile, né contento né infastidito, dettaglio non interpretabile in modo del tutto positivo.
«Sì e no.»
Risponde secco il padrone di casa, gli occhi che scivolano sulla figura dell'altro per un paio di attimi, secondi che bastano per fare arrossire Barry che, nello scavalcare la finestra, rischia di cadere al centro del salotto.
Per sua fortuna riesce a rimanere in equilibrio, non sa esattamente in che modo, dato che ha le mani occupate da due cartoni di pizza calda, ma è contento di aver evitato la prima pessima figura della serata.
Allen contro gravità, 1 a 0 – Pensa raggiungendo fulmineo il divano davanti a sé; si lascia alle spalle una scia di saette bluastre e un allibito Victor che, per pazienza o naturale simpatia, non lo rimprovera per essere così indiscreto.

«Hey, cosa stavi guardando? Sembra un film figo.» Inizia a parlare il velocista, le pizze abbandonate sul tavolino e un sorriso sincero ad illuminargli il viso. «Ah, e questo cos'è? Un premio per qualche gara? Dovevi essere un tipo forte.» Continua poco dopo, trasportatosi veloce verso una credenza piena di foto, trofei e altri oggetti di famiglia.
«Aspetta, lo sei ancora, non volevo dire che-»
«Sì, lo avevo capito Barry.»
Viene interrotto dalla voce calma di Victor, non un indizio o una nota che gli faccia capire di averlo fatto arrabbiare.
E in effetti, quando si volta per guardarlo non pare per nulla furioso, anzi, sul viso ha un sorriso che non crede di aver mai visto prima; le sue labbra sono increspate malinconicamente, ma nei suoi occhi – o meglio, occhio – Barry percepisce un senso di orgoglio che contagia anche lui.

Sì, Victor Stone doveva essere uno di quegli studenti popolari al college: ottimi voti, attività sportiva, un sacco di ragazze a ronzargli attorno.
Immagina la sua vita attraverso il premio che ha tra le mani: un potenziale futuro in TV come grande star del football americano, soldi da sperperare in macchine di lusso, vestiti e cibo, un sacco di cibo.
Si sente dispiaciuto, sa che una parte di Victor deve ancora abituarsi all'idea di essere quello che è ora, ma per quanto riguarda lui, è contento di aver conosciuto il metà serio-robot, non il ragazzo alla ricerca di gloria sportiva.
Per quanto si siano incontrati in circostanze non molto piacevoli, hanno dimostrato entrambi di avere molte cose in comune, aspetti che Barry non avrebbe mai notato se fossero stati semplici studenti.
«Comunque ho portato delle pizze: acciughe o patatine. Stavo pensando di prenderne una con l'ananas, ma poi mi sono detto “no, Barry Allen, non sei ancora pronto per cose così estreme.”»
Cambia veloce il discorso, Barry; evita l'imbarazzo di dovergli chiedere come si sente ora che è finito tutto, ora che sono ritornati ad essere ragazzi più o meno normali, non eroi coraggiosi pronti alla morte per il proprio mondo.
«Credo di non essere affamato.»
Victor si indica lo stomaco coperto da una t-shirt, una luce color carminio si intravede attraverso il tessuto all'altezza del suo petto e Barry si sente un vero e proprio idiota, idiozia che lo porta ad arrossire come un bimbo distratto.
Abbassa lo sguardo pudicamente, ah, no, non ho le stringhe slacciate - pensa per scacciare dalla mente il fondamentale pensiero di essersi dimenticato del corpo dell'altro.
Già, il corpo di Victor; solo una parte del suo viso è rimasto umano, il resto è tutta roba certamente super-figa, ma che non richiede di mangiare, dormire e di fare tante altre cose imbarazzanti di cui gli uomini si occupano in posti privati.
«Hai ragione.»
Bisbiglia quindi lui, la bocca a formare un perfetto cerchio di sorpresa e le pupille che viaggiano da una parte all'altra della stanza pur di non incontrare lo sguardo di Victor.
«Hai assolutamente ragione, ma sai cosa? Io me ne sono dimenticato, nel senso, ho pensato di doverti portare qualcosa da mangiare per non sembrare maleducato. Non che la situazione cambi, visto che mi sono praticamente auto-invitato a casa tua, ma hey, è tutto okay.»
Finalmente i loro occhi si incontrano, Victor ha un'espressione dipinta sul volto che Barry definirebbe più che adorabile, ma preferisce tenere questo pensiero per sé, sopratutto perché teme di aver già mostrato il suo flash-disagio poco prima.
«Perché è tutto okay, vero?»
Aggiunge in un mormorio per essere sicuro di non aver causato troppo disturbo; forse avrebbe dovuto chiederlo prima di entrare dalla sua finestra, ma ancora una volta Victor lo rassicura, come solo lui sa fare, dicendogli che non potrebbe mai essere infastidito dalla sua compagnia.

«Scherzi a parte, mangiale pure. Vuoi qualcosa da bere? Credo di avere della birra, della coca cola o-»
Le sue parole si disperdono mentre raggiunge il frigo, Barry lo vede scomparire dietro lo sportello per poi riemergere con una bottiglia di qualcosa di non identificato in mano.
«Succo di frutta?»
Gli viene domandato in tono sarcastico, l'abbinamento con la pizza non sembra esattamente da alta cucina italiana, ma Barry risponde alla domanda con un sorriso ingenuo, nessuna vergogna nell'ammettere i proprio giusti in fatto di cibo.
«Sai, è per la mia glicemia. Non che la coca cola non mi piaccia, ma io e la caffeina non siamo fatti l'uno per l'altra.»
Risponde vagamente, ormai la sua attenzione si è focalizzata sulle foto della famiglia Stone e un sorriso malinconico occupa il suo viso non appena riconosce uno scatto da famiglia perfetta.

Riconosce un piccolo Victor circondato dal verde, le gote paffute, qualche dente che deve ricrescere e tra le mani un robot telecomandato, per ironia della sorte.
Un'infanzia felice, sembrerebbe, e Barry invidia Victor per la prima volta; quei frammenti di passato sembrano dire molto della sua famiglia, il modo in cui suo padre lo tiene tra le braccia, un bacio affettuoso che la madre gli schiocca sulla guancia e sguardi amorosi che Barry ha ormai dimenticato.
Ed è spontaneo che ricordi anche la sua, di famiglia, amabile e affettuosa allo stesso modo, ma quel genere di felicità non lo ha accompagnato durante la sua adolescenza né ora che è un giovane adulto.
Suo padre è fiero di lui, gli ripete dell'orgoglio che prova nel vedere i suoi progressi, ma il suo sorriso rimane nascosto dietro ad un freddo vetro che non fa che favorire la solitudine che prova ogni giorno.
E Barry apprezza stare da solo, ma la sua vita non è mai stata stabile: occupare edifici abbandonati, arrangiarsi con qualsiasi lavoro per proseguire gli studi, tutto per essere una persona migliore e per aiutare suo padre.
«Erano i pochi momenti in cui uscivano dal laboratorio.»
I suoi pensieri vengono interrotti dalla voce cupa di Victor dietro di lui, gli offre un bicchiere di succo e Barry accenna un breve sorriso, più per circostanza, dato che non vorrebbe forzare una conversazione alla quale nessuno dei due potrebbe essere pronto.
«Mi hanno sempre voluto bene, a modo loro. È ancora difficile accettare quello che ha fatto mio padre con la mia vita, ma-»
Lo ascolta pazientemente: il modo in cui parla, le sue pause e il silenzio che si instaura tra di loro gli fa provare un'empatia che non credeva possibile; condivide con lui cosa significa essere isolato dal mondo, anche se essere degli incidenti non è solamente una maledizione.
Vede più di una macchina nello sguardo di Victor ed è la parte più umana di lui, la dannata parte umana, che affascina inaspettatamente Barry.
E sì, si rende conto di quanto siano confuse le sue emozioni ora che Victor si sta svelando; ammirazione, ma anche qualcosa a cui non vuole ancora dare un nome.
Si chiede come la chiamino gli altri, questo genere di sensazione: soffocante, erosiva, nuova; e rallenta per la prima volta, Barry Allen, quando riflette sul legame che lo avvicina a lui.

Bene, sono fottuto. Ovvio, complimenti. - Lo pensa banalmente, mentre Victor continua a parlare di cose a cui lui non presta più attenzione; ci prova, cerca di seguire il suo ritmo, ma è un disastro sociale, Barry, e l'unica cosa su cui riesce a concentrarsi è il viso della signora Stone, dell'affetto che riconosce nei suoi occhi, anche se si tratta di una foto di chissà quanti anni fa.
«È morta insieme a me, stesso incidente.»
Esclama all’improvviso Victor, un mormorio basso che rasenta il silenzio; le parole provocano un brivido sul collo di Barry, sente quasi il bisogno di coprirsi per nascondere la sua reazione, ma non si rifugia più nella propria mente, lasciando che il suo sguardo si posi sul viso dell’altro.
Pensa che Victor meriti più di questo, che nessuno dovrebbe mai assistere alla morte della propria madre, ma sapere di poter condividere proprio con lui questo dolore lo fa sentire al sicuro.
Sente di potersi confidare, di non essere giudicato o trattato con pietà come fanno gli altri; scopre di non avere più bisogno di circostanziali parole perché Victor risponderebbe alla storia della sua vita con qualche battuta ironica o con un tentativo di consolazione, senza cadere nella trappola di un falso “mi dispiace”.
«Come si chiama?»
Domanda ingenuamente, la mano che si allunga per prendere una delle foto e un accenno di sorriso nel riconoscere un Victor adolescente, già un brillante studente.
Pensa a quanto non sia scontato avere dei genitori accanto, alla bellezza delle madri quando badano ai loro bambini o a quella dei padri quando li vedono seguire le loro passioni; pensa all’emozione nell’udire le loro prime parole, al conforto nei momenti di crisi e alla gioia riflessa nei loro occhi ad ogni felicità trovata.
E Barry sa che qualcosa mancherà sempre in lui, allo stesso modo come Victor che, oltre alla morte della madre, deve sopportare il peso di essere tornato in vita senza di lei.
«Elinore; lavorava con mio padre. Una cosa di famiglia, a quanto pare.»
Osserva l’espressione sul suo viso mentre parla di lei, lo ascolta raccontare delle poche giornate che passavano assieme, del suo continuo lavorare, ma aggiunge che sente la sua mancanza, che il pensiero di averla lasciata lo fa sentire in colpa, anche se è suo padre ad avere deciso per la vita di entrambi.
«Ma ha salvato te, e dovrei ringraziarlo per questo.»
Pensa ad alta voce, e si accorge di ciò che ha detto solo quando Victor ride, una risata buffa, tra il sorpreso e l’imbarazzato; è chiaro che non si aspettava una confessione del genere e il povero Barry vorrebbe scavarsi una fossa da qualche parte, è abituato a visitare cimiteri, oramai.
«Intendo dire, abbiamo salvato il mondo, Vic, e senza - lo sai, senza di te non ce l’avremmo mai fatta.» Mormora disperato , le gote di un ingenuo rosso e gli occhi che sfuggono dallo sguardo incuriosito dell’altro.
Lo capisce poco dopo, Victor lo sta analizzando, ma non servirebbe una scansione per comprendere il nervosismo crescente che sta avendo la meglio su di lui; l’adrenalina scorre copiosa nelle sue vene e un leggero senso di vertigini lo obbliga a socchiudere gli occhi.
Ritorna in te Barry, parla di qualcosa, qualsiasi cosa.
«In realtà senza Superman non ce l’avremmo mai fatta, ma accetto i tuoi complimenti con molto piacere.»
È proprio Victor a interrompere il doloroso silenzio instaurato tra di loro, lo vede ritornare in cucina per portargli di nuovo un bicchiere di succo e Barry ha ora le mani libere, mani che cela nelle tasche per nascondere i palmi umidi per via dell’imbarazzo.

«Molti avrebbero fatto ciò che ha fatto tuo padre, salvare la vita di persone care...» Ritorna la serietà, gli occhi che vagano verso il cielo plumbeo fuori dalla finestra; e pensa a suo padre, alla sudicia cella in cui lo avranno sbattuto e alla vita che gli è stata strappata dalle mani.
«Io lo farei, a costo della mia, riporterei indietro mia madre.»
Mormora più tra sé e sé, è una di quelle storie che la gente non ha più voglia di ascoltare: di lui che difende suo padre e del suo cercare giustizia; non gli ha mai creduto nessuno, altrimenti la sua vita avrebbe preso una piega ben diversa.
«Avevo nove anni.»
Esclama secco, non accenna a continuare fino a quando non vede Victor ritornare da lui; lo osserva per capire quanto sia disposto ad ascoltare il suo lungo sfogo e si stupisce di trovare comprensione sul suo viso; non compassione, ma un’espressione che sembra dire “conosco la tua storia e hai ragione.”
«Ho letto il tuo file poco dopo aver conosciuto Diana. Bruce dovrebbe comprarsi un anti-virus più potente.»
Victor lo ammette senza vergogna, forse si sentiva in diritto di conoscere gli altri membri del gruppo prima di unirsi e Barry non si sente violato, anche se spera che quel famoso file non sia pieno di troppe cose compromettenti sul suo essere.
Una parte di lui, però, si sente esposta, conosce ancora poco Victor e sapere di non essere un mistero per lui lo mette in una posizione di svantaggio, non che questo influisca sulla fiducia che prova nei suoi confronti.
«E perché mi credi?»
Domanda ingenuamente, il viso che avvampa poco a poco nel rendersi conto che Victor gli crede, neppure un lampo di dubbio o voglia di investigare; è una così rara eccezione che vorrebbe stringerlo in un abbraccio per ringraziarlo, ma il contatto fisico è un elemento su cui devono ancora lavorare.
«Perché non dovrei?»
«Non lo so, ma tutti abbiamo dei segreti.»
Risponde Barry non sapendo che cosa dire per occupare il silenzio che li divide di nuovo; pensa di aver detto la cosa giusta al momento sbagliato, ma Victor non lo giudica, sorride - il bastardo - e Barry teme che la conversazione abbia preso una direzione che neppure capisce più.

«Non so a cosa tu sia pensando, ma credo che le tue pizze siano ormai fredde.»
Victor cerca di distrarlo, evita l’imbarazzo che aleggia nell’aria e che, all’improvviso, lo fa sentire un poco più umano; Barry si avvicina al divano e inizia a mangiare la prima fetta, lentamente, come se fosse l’ultima pizza rimasta sulla terra, assapora il gusto salato delle acciughe e i fili di mozzarella sono l’unica unità di misura a dividerlo dal successivo boccone.
«I segreti;» Inizia a parlare tra un morso e l’altro, la voce ovattata e gli occhi che osservano curiosi Victor;
«non mi piace avere dei segreti.»
Lo mormora serioso, l’imbarazzo inizia a svanire e quasi si abitua al tepore dell’appartamento, pensando a quanto sia piacevole avere una casa dove ritornare; è la prima volta che gli fa visita, ma è convinto che non sarà l’ultima.
Gli pare familiare, il salotto, parlare davanti alla TV e rilassarsi, qualcosa che in realtà non faceva da anni.
«Tutti li abbiamo, lo hai detto tu. Cose che non vogliamo che gli altri sappiano, perché ci vergogniamo di essere come siamo.»
Arriccia il naso di rimando, le sue labbra formano una smorfia poco convinta e le sue iridi si tingono di rosso, riflettendo la figura immobile di Victor.
Troppi segreti portano grandi problemi; sa di non essere esattamente nella posizione di giudicare le parole dell'altro, ma vi è un qualcosa in quella affermazione che non lo convince.
Nascondersi dalla verità è qualcosa che lo stesso Barry ha fatto per molti anni, ma ora sa che esiste una via migliore della menzogna; accettare ciò che si è non è semplice, mai e per nessuno lo è stato, ma fingere di essere qualcun altro o celarsi per paura del giudizio altrui non è una soluzione che porta ad un futuro certo.
«È per questo che ti nascondi qui.»
Esclama con tono severo, corrucciando la fronte per trattenere un giudizio affrettato; si ripete che non potrà mai provare ciò che Victor sente ora, ma una parte di lui è disposta a mettersi alla prova, accettare di comprendere almeno una parte di tale dolore.
«Lui, mio padre mi ha fatto diventare così, io non voglio nascondermi, ma come potrei-»
«Tu sei vivo, Victor. Che cosa importa del resto? Le persone giudicano sempre, anche quando dai il meglio di te.»
Un altro silenzio si abbatte su di loro, greve e dispotico; Barry si lascia soggiogare dal senso di vertigini che ritornare a confondergli la vista, sente il cuore pulsare nelle orecchie e socchiude gli occhi, senza nemmeno rendersene conto, per concentrarsi sul lento muoversi della sua bocca.
Mastica piano, la crosta dell'ultima fetta sfrigola contro i suoi denti e una bolla di sapore invade di nuovo il suo palato, allontanandolo il più possibile dall'imbarazzo che si insidia tra di loro.
Trangugia una piccola acciuga, le labbra umide e salate gli ricordano che non dovrebbe fuggire in questo modo da una discussione; ne è consapevole, non è mai stato bravo con le parole, ma con Victor è diverso, vorrebbe esprimere ciò che prova nei suoi confronti senza sembrare imprudente o eccessivamente rigido.
Forse non è il momento giusto, non lo è per nessuno dei due, ma sentirlo parlare così di se stesso non fa che renderlo più nervoso, trovando anche ingiusto il rancore che riserba per suo padre.

«Io-»«Non avrei-»
Le parole si intrecciano tra di loro, i suoni delle loro voci a confondersi gli uni con gli altri e gli sguardi, timidi eppur velati da una puerile curiosità, si incontrano a metà strada.
Ancora non aggiungono nulla, si osservano solo per pochi istanti e Barry lo sa, Victor percepisce il ritmo del suo battito cardiaco; più stabile, ma ancora velocizzato dall'adrenalina che vanamente cerca di tenere a bada.
«Il ragazzo più nerd che io conosca mi ha appena detto che non dovrei nascondermi.»
Una calda risata vibra nell'aria ora più leggera, le labbra di Victor si increspano in un sorriso sarcastico e Barry vacilla tra divertimento ed imbarazzo, deglutendo come a voler cacciare giù, nella pancia affamata, tutti gli inappropriati pensieri che regnano nella sua mente.
Osserva quel sorriso a lungo, con accurata attenzione percorre la linea che divide la carnagione color caffè e l’argenteo metallo, si sofferma sulla forma delle sue labbra, del suo naso, e trattiene un respiro, Barry, come se avesse scoperto per la prima volta la bellezza del suo volto.
Lo ha avuto accanto per molto tempo, vedeva la sua figura mentre combatteva o parlava, ma solo ora lo guarda, lasciandosi divorare da questa sua inconsueta armonia.
«Hey, non c’è nulla di male ad essere nerd. E poi basta guardarci, non conosco nessuno di perfetto qui.»
Si risveglia dalla temporanea quanto piacevole distrazione e sorride, inclinando il volto per nascondere il rossore che gli colora le gote solitamente pallide.
«Abbiamo Batman, un quarantenne emotivamente costipato e Arthur che, beh, è Arthur. Superman non dovrebbe essere neppure nel mondo dei vivi e Diana...»
Il suo sguardo si assottiglia, immagina la figura dell’amazzone che combatte con la sua spada e scudo, un connubio di grazia e furia di cui Barry ha sentito parlare solo nella mitologia o chissà che altro racconto fantastico.
«Diana è perfetta.»
Victor completa la frase, un’espressione arrendevole sul volto e un piccolo sorriso che si riflette anche sul viso di Barry, senza aver bisogno di aggiungere altro sul conto della principessa.

«Il punto è che anche tu vai bene così - così come sei. Non c’è nulla che non va.»
Non fare il vigliacco adesso, Bartholomew Henry Allen - pensa riflettendo su ciò che ha appena esclamato; è troppo imbarazzato per guardare Victor negli occhi ora, non vuole vedere un’espressione stranita sul suo volto ed è lui, questa volta, a nascondersi dalle attenzioni altrui.
La sua vita dipende da quello che è rimasto delle sue pizze, osserva il fondo del cartone e gli pare un campo di battaglia, mozzarella come corpi abbandonati e rimasugli di pomodoro come sangue di ferite che si rimargineranno.
Eppure Barry crede che non tutte le ferite si possano curare: è un profondo e vecchio taglio a lacerare il suo animo, a trasmettergli paura nel sentire l’affetto crescente che prova per Victor.
Ecco cosa: ha timore di affezionarsi, di perdere di nuovo una persona cara per il rischio di superare i limiti concessi, di essere rifiutato.
Ma non può scegliere, adesso ricorda come gli altri chiamano questa sensazione; inizia esattamente così, una stretta al cuore, il sentirsi inadeguato, trovare il bello in tutto ciò che Victor fa.
Sono azioni semplici, ma un sorriso non è più solamente un sorriso, una risata gli riscalda il petto, uno sguardo gli sconquassa lo stomaco e il silenzio regna sovrano.
Un pregno silenzio, colmo di tutte quelle strabordanti emozioni che sente di provare per lui; deve colmare il vuoto per nasconderle perché Barry odia essere così vulnerabile quando nessuno dei due parla.
Odia un po’ anche Victor perché è ignaro di questo conflitto interno, probabilmente vede Barry solo come un nuovo amico, un compagno d’armi e non può dargli torto, dopotutto Allen è davvero un nerd e rinchiudersi dentro quattro mura lo rende patetico e noioso agli occhi di altri.

«Non mi piace l’autocommiserazione, neanche essere una vittima, ma ci sono così tante cose che non posso più fare: svegliarmi alla mattina, farmi una doccia e andare a scuola...»
Le sue labbra si piegano per l’amarezza, Barry sente quasi il bisogno di allungarsi verso di lui, di stringergli le mani o solo di fargli capire che è lì, vicino; ma non si muove, osserva il suo corpo nascosto dalla tuta grigia e percepisce il suo disagio nel mostrarsi com’è realmente.
Non solo si nasconde dal mondo esterno, ma anche dal riflesso della propria immagine in casa, quasi a negare di essere realmente qualcosa.
«Ed è stato bello salvare il mondo, pensavo che una volta ritornato a casa tutto sarebbe stato diverso; per un po’ lo è stato, ma la quotidianità uccide, Barry, e so che ci saranno sempre dei momenti in cui la macchina avrà la meglio su di me.»
Vorrebbe dirgli che non è così, che è rimasto Victor Stone anche se ha un corpo nuovo; non lo conosceva prima dell’incidente, ma riconosce in lui un’umanità che a molti manca, la dedizione che ha riservato per aiutare gli altri, la sua determinazione e il modo in cui si rapporta con lui.
È umano, con i suoi punti di forza e di debolezza; è umano perché trasmette a Barry sensazioni che si provano solamente quando si convive con un cuore e una mente, anche se funzionano in modo diverso dal passato.
«Anche io ho cose che non riesco a controllare;» Barry nota l’espressione perplessa dell’altro, un silenzio che lascia intendere che la loro situazione non è in nessun modo simile, ma Victor non può dargli torto, deve avere solo la pazienza di ascoltarlo e di comprenderlo; «i sentimenti, le persone, quello che gli altri si aspettano da te; può sembrarti stupido, ma ci sarà sempre qualcosa di potenzialmente pericoloso nei tuoi comportamenti, nei tuoi pensieri, e ammetterlo non significa arrendersi.»
Conclude la frase, insicuro se quelle parole siano riferite a Victor o a se stesso; è un paradosso, dare lezioni di vita senza neanche essere capace di vivere la propria, ma Barry riesce a trovare una soluzione solo perché non riguarda i suoi problemi.
Per lui è diverso, sarà sempre diverso.
Victor non è quello che gli altri etichettavano come sfigato, il bambino con il padre assassino o il ragazzo che ha superato l’adolescenza da anni, ma che non ha amici perché considerato strano; Victor è leale, sa confrontarsi con le persone senza sembrare stupido, mentre Barry no, non crede di saper gestire tutto ciò allo stesso modo.


A quel punto non sanno più cosa dirsi, se ne stanno tutti e due seduti sul divano, la TV ancora in pausa e una lieve sensazione di attesa che li ammutolisce, quasi intimoriti dal silenzio che occupa la stanza.
E Barry sente di voler parlare ancora a lungo, che la notte non è finita e tante parole non ancora dette sono proprio lì, nella sua mente, che si spingono tra di loro per trovare spazio sulle sue labbra.
Non avrebbe mai immaginato di poter parlare di sé in tal modo, di scoprire un lato di Victor al quale non aveva mai prestato abbastanza attenzione; e si maledice, in parte, perché l’opinione che aveva di lui non ha fatto altro che migliorare, trasportandolo verso un’illusione che non credeva possibile.
Ma non si pente, per una volta, di aver lasciato il lavoro e il padre alle sue spalle; crede di meritarsi un po’ di gioia, ogni tanto, anche se è difficile abituarsi a questa nuova situazione.
«Così ti manca andare al college? È la cosa più stupida che io abbia mai sentito.»
Lo guarda di sottecchi, un mezzo sorriso si forma sulle sue labbra e trova la reazione di Victor troppo divertente; ridono entrambi, per un paio di secondi, smettendo solo quando si rendono conto di come le loro vite siano cambiate da quando si sono uniti alla Lega della Giustizia.
«Non è lo studio che mi manca, ma le partite, aspettare i weekend per giocare, è una sensazione difficile da spiegare a parole.»
Barry percepisce la sua passione solamente da quello, dall'espressione trasognante e dal modo in cui il suo sguardo si perde in un angolo indefinito della stanza; sta immaginando le sue vittorie e anche Barry riesce a visualizzarle nella propria mente, seppur la sua vita al college sia completamente diversa.

«Comunque che ne dici di continuare a vedere il film? Non vorrei sembrare antipatico, ma hai interrotto un importante appuntamento, Allen.»
Sentirsi chiamare in quel modo lo risveglia dal torpore alla quale si era abbandonato, si sistema rigido sul divano e i suoi occhi osservano la TV, capendo solamente dopo a che cosa Victor si stesse effettivamente riferendo.
«Ah, oh, questo appuntamento.Con Netflix? Hey, allora non sono l'unico nerd qui.»
Netflix: un altro punto da aggiungere alla lista di cose che adora di lui.
Touchdown, molto bravo Victor, davvero.



 
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Non è passato molto tempo quando finiscono di vedere il film; è stato sufficiente per scoprire che per Victor la storia meritava davvero un premio Oscar, un'edizione di dura competitività, ma Barry crede che abbia ragione.
Non era male, non può dire di averci capito molto - dato che ha visto solo metà della pellicola -, ma è il contesto a rendere il suo giudizio di parte.
Probabilmente avrebbe detto lo stesso con un film degno di un Razzie Awards, sì, la compagnia dell'altro lo avrebbe reso davvero piacevole.
Ed è la verità: Barry vorrebbe passare altre notti come queste, solo lui e Victor, Netflix e niente altro.
Forse qualche snack in più, l'unica cosa di cui si può realmente lamentare, ma per essere la loro prima volta, non può che esserne contento.
Si sente sciocco nel trovare un'occasione del genere così tanto speciale, ma potrebbe facilmente abituarsi a lunghe maratone di film d'autore, binge watching e altre attività che li terrebbero occupati durante sere anonime come queste.
Forse non hanno neppure gli stessi gusti, ma a Barry non importerebbe poi molto; l'ambiente vale più di qualsiasi altra cosa e la casa degli Stone gli piace, si è già abituato in fretta, seppur una parte di lui continui a sentirsi come un intruso poco desiderato.

E crede sia giunta l'ora di tornare alla sua, di casa, se così può essere chiamata.
Si alza malvolentieri dal divano, una forza misteriosa cerca di trattenerlo lì, nell'esatto punto in cui il tessuto mantiene la sua forma, ma non può abusare dell'infinita gentilezza di Victor a lungo.
Ancora deve farsi perdonare per essersi presentato in un modo così poco garbato, decisamente nel suo stile, ma ora si dirige verso la porta comportandosi come una qualsiasi persona normale.
La porta, che si fa dolorosamente più vicina, rimane chiusa ancora per un paio di minuti; si dedicano ai saluti, immagina qualcosa di non troppo teatrale, ma è mentre comincia a prepararsi che Victor lo interrompe, quasi infastidito di dover fare una domanda del genere.
«Mi chiedevo, come facevi ad essere così sicuro di trovarmi in casa?»
Lo guarda accigliato, la trova una curiosità piuttosto irrilevante, ma solo riflettendoci si rende conto che non è scontato; Victor doveva essere sorpreso di trovarlo attaccato alla finestra della scala anti-incendio e, in effetti, non potrebbe certo dargli torto.
«Sinceramente? Ho ricevuto un invito da Bat-Bruce. Io e le feste non siamo molto, sai.»
Fa un cenno confuso con le mani, dovrebbe significare che tante persone nello stesso luogo non lo facciano sentire molto a suo agio; Victor sembra aver compreso e davvero, Barry si sente sollevato nel non doversi dilungare troppo sui suoi problemi quando parla con lui.
«Pensavo che fosse lo stesso per te, per il tuo, ah, insomma. Credo, no, ero sicuro che Alfred avesse invitato tutti.»
Arrossisce, il suo viso è caldo e il sangue continua a circolare impazzito, come a volersi preparare per un gran finale imbarazzante; cerca di nasconderlo, in modo sciocco, anche se scattare repentinamente verso la porta non è il miglior modo per ringraziare l'altro dell'ospitalità.

«Io dovrei andare. Domani lavoro. Mattina presto, noia.»
La sua lingua si intorpidisce, cerca di spiegarsi come un bambino con le sue prime parole e vedere Victor avvicinarsi per salutarlo un'ultima volta non è molto di aiuto, anche se quest'ultimo non fa altro che aprire la porta e aspettare che se ne vada.
«Potresti venire un'altra volta, magari non dalla finestra, sempre quando sei libero.»
Barry lo osserva guardare l'orologio; si è fatto tardi, trova piuttosto strano che il signor Stone non sia ancora rientrato dal lavoro, ma la sua assenza non lo infastidisce, anzi, potrebbe quasi convincerlo a fermarsi un minuto ancora.
«Cercherò di ricordarmelo, la porta, giusto.»
Il suo giusto si allunga più del dovuto, il suono rimane sospeso nel silenzio, trattenuto nell'aria come a voler anticipare una nuova, travolgente azione.
Barry sente di doverlo fare, le sue labbra tremano per l'istinto e gli basterebbe un passo verso la soglia di casa, se avesse abbastanza coraggio.
Dovrebbe lasciarsi immergere di nuovo nell'atmosfera familiare dell'appartamento, dei ricordi di Victor, delle loro confessioni.
Un solo passo, un solo bacio.
Suona come una promessa, ma Barry si conosce bene e sa che le probabilità non sono dalla sua parte; è tutta una questione di tempismo, di velocità e di ritmo che ha il dovere di rispettare, per il bene di entrambi.

È un altro silenzio ad occupare lo spazio di quell'occasione mancata; Victor è ancora lì a guardarlo, aspetta uno stralcio di saluto che si fa attendere, ma che alla fine arriva, tristemente.
E Barry accenna un sorriso, le sue labbra si incurvano appena, nonostante dentro di sé stia cercando di tenere a bada la Sensazione, la quale ha un nome che ancora non vuole pronunciare.
«Alla prossima, Barry.»
«Già, alla prossima



 
Angolo dell'autrice
Dovrei sentirmi in colpa? Sì. Mi sento in colpa? No.
Se ho cominciato a considerare questi due assieme è solo responsabilità di Ray Fisher e di Ezra Miller, anche se incolparli non mi fa sentire meglio lmao.
Passando a cose più serie -
La citazione iniziale è del geniale Giacomo Leopardi; da history geek quale sono, non potevo che scegliere una citazione di qualcuno che non fosse contemporaneo; a dire il vero ho sofferto un sacco per cercare una frase che mi piacesse, ma per fortuna ci sono riuscita.
Se si prendono come parametri i fumetti o Teen Titans, i due sono sicuramente OOC, ma in tutta sincerità credo che JL come film si sia distanziato dagli originali in diversi aspetti, cosa che io ho apprezzato molto, ad essere sincera.
Per le origini di Cyborg ho preso come riferimento sempre il film, perchè nel fumetto sono completamente diverse; solo per una cosa mi sono presa una libertà, ovvero la morte di sua madre: nel film non viene MAI citata, si sa che Victor è vittima di un'incidente, quindi ho preso per scontato che fosse insieme a sua madre in quel momento.
Il Barry di cui ho scritto è al 100% il Flash di Ezra nel film; lo sottolineo perchè alcuni hanno detto che era troppo sfigato e stupido, ma a me è piaciuto tanto, quindi ho voluto soffermarmi di più ANCHE sul suo lato serio. (che nel film c'era, poi se la gente non lo ha visto non è colpa mia.)

Niente, sono una persona cattiva. E Victor non ha detto Booyah nemmeno una volta in questa fanfic, quindi mhboh, prendetela com'è.



 
  
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