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Autore: AveAtqueVale    14/12/2017    3 recensioni
Alexander Lightwood è un giovane uomo di ventitré anni costretto dai suoi genitori a frequentare, settimanalmente, un noto psicologo che in qualche modo gli capovolgerà l'esistenza.
Magnus Bane è un brillante e ricercato psicologo incapace di affezionarsi ai propri pazienti -per lui semplici casi da comprendere e rimettere in sesto come fossero puzzle da ricostruire- che si ritroverà ad avere Alexander in cura, ritrovandosi spiazzato dalle loro stesse sedute.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Magnus Bane, Maryse Lightwood, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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 Il risveglio portò con sé la sua dose di ricordi.

Magnus aprì gli occhi nel suo letto al suonare della sveglia del suo telefono. Grugnendo e riparandosi dalla luce del sole che filtrava dalle finestre, interruppe quel suono continuo e penetrante cercando di abituarsi alla sensazione del sole sul viso. Poco per volta la sua mente si schiarì ed i ricordi si fecero chiari e nitidi. Aveva pianto per tutta la sera e si era addormentato quando si era sentito svuotato di ogni forza ed energia, ritrovandosi a crollare in un profondo sonno senza sogni. Adesso si sentiva assonnato, il corpo pesante, ma in qualche modo più leggero, come ogni volta che si lasciava andare ad un pianto disperato.

Sentì il cuore contrarsi quando il pensiero volò ad Alexander ed alle sue parole, al modo in cui aveva così semplicemente detto quello che nessun'altro aveva avuto la forza di sbattergli in faccia. Era evidente che non volesse ferirlo, che stesse solo cercando di rispondere innocentemente alla sua domanda, ma non poteva sapere cosa aveva scatenato con il suo dire. Afferrò il telefono tornando alla loro conversazione, leggendo e rileggendo i suoi ultimi messaggi.

Improvvisamente si sentì assalire dai sensi di colpa.

Non aveva mai risposto alle sue scuse e sicuramente il ragazzo doveva essersi sentito piuttosto male per la sua improvvisa sparizione, come se sentisse di aver detto qualcosa di sconveniente. Forse non era esattamente il modo in cui la gente normalmente chiacchierava -da quando poi potevano dire che il loro fosse un rapporto normale?, forse effettivamente era stato un po' troppo schietto, ma in nessun modo Magnus sentì di essere offeso od arrabbiato con lui per quanto gli aveva detto, anzi. Gliene era grato. Grato per essere stato sincero con lui, grato per non essersi soffermato alle apparenze, grato per essere riuscito a vedere oltre quello che tutti vedevano in lui.

Si sentì improvvisamente travolto da una ondata di ottimismo e di energia. Era come se rendersi conto di quanto profondamente Alexander fosse entrato nella sua vita senza neppure che se ne accorgesse gli avesse dato la carica, la voglia di ricominciare da capo, di essere più forte. Un sorriso andò ad allargarsi sulle sue labbra mentre digitava un nuovo messaggio per lui. Improvvisamente il sonno era svanito e con esso quel senso di pesantezza e vuoto interiore. Si sentiva ancora piuttosto abbattuto, ovviamente, ma per lo più si sentiva colmato da un senso di forza e vitalità. Si alzò dal letto non appena ebbe inviato il messaggio e si diresse canticchiando verso il bagno. Lì si abbandonò ad una doccia fresca rigenerante che lo svegliò del tutto e che rilassò i suoi muscoli leggermente intorpiditi dal sonno.

Si lavò con cura strofinando i capelli con energia canticchiando sotto l'acqua una qualche vecchia canzone rock per cui era andato matto quand'era più giovane. Non sapeva bene nemmeno lui cosa, esattamente, lo stesse rendendo così euforico e di buon umore: aveva passato una intera serata a piangere e disperarsi fino a quando non era crollato distrutto abbandonandosi all'oblio dell'incoscienza ed ora era lì a canticchiare allegramente sotto la doccia. Le sue supposizioni, tuttavia, lasciavano spazio a due sole possibilità: la prima è che dopo aver rilasciato tutto il dolore e la tensione accumulati in mesi di contenimento si fosse semplicemente sentito più libero e leggero, la seconda riguardava il fatto che quel giorno era in programma una nuova seduta per Alec il che voleva dire che si sarebbero rivisti.

La sola idea gli faceva agitare qualcosa nel fondo dello stomaco e faceva contrarre il cuore nel petto in una morsa calda e piacevole. Sentiva scintille bruciare nelle vene, il sangue correre sottopelle solleticando ogni nervo al semplice pensare che, dopo tutto quello che era accaduto negli ultimi giorni, si sarebbero rivisti. Ah e poi c'era un'altra piccola possibile spiegazione al suo buon umore: l'indomani sarebbe stato il suo compleanno. Erano solo pochi anni che aveva iniziato ad apprezzare davvero quella particolare ricorrenza grazie all'aiuto dei suoi amici. Da quando le loro vite avevano preso strade diverse era diventato sempre più difficile riuscire a vedersi, ad eccezione di Catarina che fino a poco tempo prima aveva vissuto con lui nel suo loft, ma ogni volta che ricadeva il loro compleanno riuscivano sempre a trovare il modo di vedersi e passare la serata insieme. Non c'era emergenza lavorativa che tenesse che potesse impedire loro di passare quel giorno insieme e Magnus sentiva, in cuor suo, che vedere i suoi amici gli avrebbe decisamente fatto bene.

Non si erano accordati, non avevano programmato nulla, ma era una sorta di consapevolezza silenziosa quella che il giorno dopo, verso una certa ora, tutti sarebbero stati lì per festeggiare insieme a lui. Il pensiero lo portò a rilassarsi lentamente dimenticando per un momento il delizioso brivido che era sorto in lui quando il viso di Alexander era comparso sotto le sue palpebre. Magnus decise di smettere di farsi domande: per una volta si sentiva leggero e di buon umore, un momento che -conoscendosi, poteva dire non sarebbe durato a lungo, per cui voleva smettere di chiedersi 'perchè?' e limitarsi ad approfittare di quelle sensazioni facendole durare il più possibile.

Canticchiando finì la sua doccia e si preparò per una nuova giornata lavorativa in attesa di una risposta da parte di Alexander.

 

*

 

Alec aprì gli occhi lentamente, assonnato, notando la stanza buia attorno a sé. Pochi raggi di sole filtravano dalle tende chiuse e a giudicare dalla loro luminosità doveva essere mattina presto. Beh, non troppo presto, ma prima di quanto avrebbe voluto. Sbuffò richiudendo gli occhi e abbandonando il viso contro il cuscino ben conscio del fatto che non sarebbe riuscito a riprendere sonno.

Si stava bene sotto le coperte e voleva prendersi qualche attimo di tempo per rimanere avvolto dal calore del letto ancora per un po' prima di alzarsi ed iniziare la sua giornata. Fu mentre si voltava dall'altro lato per mettersi più comodo che avvertì qualcosa di duro premere contro le sue costole, dandogli piuttosto fastidio.

Aggrottando le sopracciglia passò la mano sulle lenzuola, sempre ad occhi chiusi, ritrovandosi a stringere il cellulare fra le dita. Si era addormentato col telefono in mano. Strano, non era mai successo prima... Ma poi ricordò perchè aveva voluto tenere il telefono con sé. Aspettava un messaggio. Un qualsiasi segno da parte di Magnus che potesse dirgli che non aveva rovinato tutto con quello stupido messaggio della sera precedente. Aveva voluto tenere il cellulare con sé così che se avesse vibrato a contatto col suo corpo si sarebbe svegliato a qualsiasi ora della notte, ma apparentemente nessun messaggio era arrivato. O lui non si era svegliato. Improvvisamente si ritrovò ad essere impaziente e nervoso.

Riaprì di scatto gli occhi e li portò sullo schermo del telefono adesso illuminato. Una notifica recante il nome di Magnus brillava sul display avvisandolo che, un'ora prima, l'altro gli aveva scritto. Sentì il cuore salirgli in gola, i battiti cardiaci a riverberarsi nel suo corpo come una eco rumorosa. Poteva sentire il battito nei polsi, nelle tempie, nelle orecchie, come un picchiettio continuo e caldo che gli bruciava sottopelle.

Aprì la notifica e pregò fra sé di non aver rovinato ogni cosa.

 

Da: Magnus Bane.

Buongiorno Alexander!

Scusami per non averti risposto ieri sera ma ci sono stati dei problemi.

Non preoccuparti, va tutto bene, nessun bisogno di scusarti :D

 

Sembrava andare tutto bene, pensò Alec mentre leggeva quelle parole tirando inconsciamente un sospiro di sollievo. Si chiese quali fossero i problemi in questione ma sentì che forse non era il caso di fare domande in merito. Apparentemente Magnus non era arrabbiato e per quanto gli riguardava andava bene così: se il cielo ti fa un dono, meglio non chiedere perchè.

 

A: Magnus Bane.

Buongiorno :)

Oh, non importa.

Mi fa piacere che non te la sia presa. A volte tendo a parlare senza pensare.

 

Aveva sempre avuto questo problema. A volte si ritrovava a dire esattamente quello che gli passava per la testa senza nemmeno pensare di filtrare, magari, i propri pensieri. Isabelle lo prendeva spesso in giro per questo. “Certo che sei assurdo! O non parli affatto oppure dici la prima cosa che ti viene in mente senza pensarci su due volte. Sei un caso umano, Alec”gli disse una volta, ridendo, con quella sfumatura affettuosa nella voce che ormai riservava solamente a lui. Alec era arrossito e aveva tenuto lo sguardo basso, punto sul vivo. Finché questo succedeva con Izzy non era un gran problema: poteva essere leggermente imbarazzante ma nulla di più. Sapeva che lei non avrebbe mai rivelato un suo segreto o che non l'avrebbe mai giudicato; avrebbe potuto teneramente ridere di lui ma senza davvero volerlo ferire. Il problema era quando non riusciva a controllarsi in presenza di altri, in presenza di gente che non lo conosceva davvero e che quindi non avrebbe saputo come prendere le parole che uscivano disinibite dalla sua bocca. Avrebbe dovuto lavorare un po' sul suo autocontrollo.

Il telefono vibrò di nuovo fra le sue dita alcuni minuti più tardi.

 

Da: Magnus Bane.

Beh, ti avevo chiesto io di dirmi cosa pensassi, almeno sei stato sincero.

 

Da: Magnus Bane.

Ad ogni modo! La mia segretaria mi ha appena riferito che un mio appuntamento per questa mattina è saltato per cui mi ritrovo con un'ora libera a disposizione: che ne diresti di anticipare la nostra seduta?

 

Alec si ritrovò a sgranare gli occhi alzandosi di scatto a sedere sul letto.

Con un rapido movimento repentino distaccò la schiena dal materasso portandola ben dritta, ancora seduto sul letto, con le lenzuola a coprirlo fino al grembo ed il busto appena coperto da una semplice t-shirt grigia. Osservò lo schermo boccheggiando non sapendo bene come reagire. Aveva totalmente dimenticato che quel giorno si sarebbero visti. Il solo pensiero lo fece sprofondare in un baratro di imbarazzo e tensione. Come avrebbe potuto affrontarlo, faccia a faccia, dopo tutto quello che si erano detti in quei giorni? Era piuttosto sicuro che non sarebbe riuscito a spiccicare parola ma, al tempo stesso, moriva dalla voglia di vederlo. Il suo cuore batteva così forte che minacciava di uscirgli con violenza dal petto facendogli quasi male. Guardò l'ora sul telefono e deglutì a vuoto un paio di volte, la bocca ancora impastata dopo aver passato la nottata a tenerla chiusa.

E ora? Cosa doveva fare? Non era pronto per vederlo in così poco tempo! Aveva bisogno di calmarsi, di prepararsi mentalmente ad un incontro con lui e già avendo mezza giornata a disposizione non era sicuro che sarebbe riuscito a farcela. Ma avendo solo minuti a disposizione? La cosa gli sembrava impossibile eppure dentro di sé non riusciva a far altro che gioire alla prospettiva di poterlo incontrare molto prima del previsto.

Okay, calmati Alec. Sei imbarazzante, si disse respirando a fondo e umettandosi le labbra. Ripetè il processo altre quattro volte prima di riaprire gli occhi e deglutire, facendosi forza.

 

A: Magnus Bane.

Sicuro. A che ora?

 

Inviò senza nemmeno pensarci, sapendo che se se lo fosse concesso non lo avrebbe fatto. Si alzò rapidamente dal letto dirigendosi verso il bagno in fondo al corridoio col telefono ben stretto in pugno e a passi rapidi. Si diede una rapida sciacquata temendo di non avere tempo per farsi una intera doccia e si lavò con cura i denti per liberarsi del saporaccio che aveva in bocca. Non aveva voglia di mangiare: si sentiva lo stomaco chiuso dall'agitazione e temeva che se solo avesse provato a toccare cibo avrebbe rovesciato tutto poco dopo. Odiava sentirsi così, in quel modo... Era come un adolescente in piena crisi ormonale. Ma poi, amaramente, realizzò che ad un livello emotivo lui -in parte, era esattamente un adolescente in crisi ormonale. Lo sarebbe stato per sempre.

Scacciò il pensiero con una rapida scrollata del viso e guardò il telefono poggiato sul lavello dove il nome di Magnus prese a lampeggiare ancora una volta.

 

Da: Magnus Bane.

Alle undici e mezza.

 

Okay, aveva tempo. Poteva farcela. Improvvisamente si rilassò: aveva poco più di un'ora per vestirsi e raggiungere lo studio, niente di troppo complicato. Era abbastanza lontano da casa per cui avrebbe avuto bisogno di uscire abbastanza presto per arrivare in orario, ma aveva tutto il tempo del mondo per rallentare un po' e riprendere fiato. Finì di lavarsi e di farsi la barba e quindi tornò in camera dove si cambiò con i primi abiti che trovò nell'armadio: un paio di jeans scuri ed una maglia a maniche lunghe di un blu stinto. Siccome erano i primi di dicembre le temperature erano piuttosto basse per cui decise di infilarsi anche una vecchia felpa con cappuccio per evitare di congelare durante il tragitto verso lo studio. Si pettinò alla bell'emmeglio i capelli perennemente disordinati e infilò il giaccone nero che richiuse fino alla gola. Scese i gradini delle scale a due a due e giunse di sotto con il telefono in tasca e il cuore in gola.

Sua madre lo vide tutto vestito passare per il corridoio e sollevò le sopracciglia dai documenti che stava controllando in cucina. «Alec?»

Alec fermò i suoi passi e si voltò per affacciarsi dall'arco che portava nella cucina.

«Buongiorno mamma» salutò.

«Stai uscendo?» chiese lei, sorpresa, tenendo la tazza col suo caffè caldo a mezz'aria, vicino la bocca, senza berlo. «Non fai colazione?»

«Ah, uh-no.» mormorò lui passandosi una mano in quella zazzera scomposta di capelli scuri. «Il dottor Bane ha anticipato la seduta a questa mattina» Non seppe neppure lui come aveva fatto a ricordarsi di non chiamarlo per nome. Ormai senza neppure accorgersene aveva preso a pensare a lui semplicemente come Magnus ed era divenuto difficile ricordarsi che lui era molto più di questo.

Maryse diede in un piccolo verso sorpreso. «Oh» annuì leggermente bevendo il suo sorso di caffè.

Alec si dondolò per un attimo sui talloni picchiettando nervosamente la parete davanti a sé con le dita in un ritmico tamburellare.

«Già. Quindi io, uh-vado» disse annuendo e stringendo le labbra, guardando sua madre con aria leggermente imbarazzata. La donna poggiò la tazza sul tavolo e annuì con vigore.

«Oh sì, sì, certo. Vai» lo incoraggiò con un ampio sorriso. «Buona fortuna»

Era una cosa che era solita dirgli sempre ogni volta che usciva per andare allo studio. Alec non aveva mai capito cosa volesse dire con quell'augurio, per cosa gli stesse auspicando di aver fortuna, ma quel giorno non si ritrovò a far domande trovando che, effettivamente, ne avrebbe avuto davvero bisogno.

«Grazie» mormorò con un sospiro teso prima di uscire di casa.

 

*

 

Ogni cosa sembrava star andando per il verso giusto quel giorno.

Magnus era tornato alla solita professionalità e aveva dedicato ai pazienti della mattina tutta la sua attenzione relegando in un angolino della sua mente il pensiero che di lì a breve avrebbe rivisto Alexander. La sola idea gli stringeva le viscere in una presa piacevole e calda ma cercò di ignorare la cosa per amor del proprio lavoro.

Era così di buon umore che quel giorno aveva deciso di volersi vestire con cura indossando una camicia di seta blu notte che stringeva deliziosamente le sue spalle e le sue braccia evidenziandone la forma elegante e definita ed un panciotto grigio-argento con una fantasia appena visibile molto elegante e delicata. I bottoni erano di un argento lucido e brillante ed esaltavano la forma del capo d'abbigliamento con una semplicità sfacciata. La cintura attorno ai suoi fianchi era nera, lucida, con una fibbia appriscente e tempestata di brillanti mentre i pantaloni erano stretti e scuri. I capelli erano accuratamente pettinati così da venir alzati in un ciuffo dalla punta leggermente arricciata mentre ai lati del cranio erano davvero molto corti: quella mattina si era dedicato con cura al proprio aspetto. Soprattutto al trucco che quel giorno era curato più che mai: gli occhi erano stati delineati da una linea di eyeliner nero molto sottile e precisa che diede maggior profondità allo sguardo ed alle iridi verde-oro, mentre l'ombretto blu notte circondava la palpebra in un effetto sfumato che svaniva in una tinta argentata più chiara. Brillantini e glitter decoravano il tutto rendendo il suo viso oltremodo luminoso ma neppure per un istante meno mascolino. In qualche modo Magnus Bane riuscita a mantenere intatta la sua virilità anche nonostante ombretti sgargianti e smalti eccentrici.

Le sedute del mattino andarono piuttosto bene: i pazienti del giorno non avevano dato grandi problemi e più o meno entrambi stavano proseguendo il loro cammino un passo per volta. C'era chi migliorava a vista d'occhio, chi invece procedeva con passi talmente piccoli da non rendersi neppure conto di star effettivamente ottenendo dei progressi. Ma, dopotutto, non tutte le persone reagiscono alla vita allo stesso modo e non tutti i loro problemi incidevano sulla loro psiche con la medesima forza. Non aveva senso paragonare lo stato mentale di uno a quello di un altro.

Il secondo paziente si alzò allo scadere della sua ora inspirando a fondo. Magnus si alzò a sua volta e i due si strinsero la mano scambiandosi un leggero cenno del capo.

«A venerdì?» chiese Magnus con un accenno di sorriso incoraggiante.

L'altro strinse le labbra con espressione conflittuale e poi annuì. «Venerdì.»

I due sciolsero la stretta e quindi l'uomo lasciò lo studio richiudendosi la porta alle spalle.

Magnus tornò a sedersi iniziando a scrivere una serie di appunti su di lui sui fogli che aveva dinnanzi agli occhi sulla scrivania liberando un piccolo respiro. Finì di annotare le ultime informazioni e dunque guardò l'ora sullo schermo del proprio telefono. Le undici e trenta precise. Sentì un calore avvolgente sprigionarsi dal centro del petto e cercò di tenere a bada il sorriso che sentì nascere sulle labbra. Si schiarì la voce e prese un profondo respiro prima di premere un pulsante sul telefono fisso posto sulla scrivania e collegarsi con la sua segretaria.

«Avanti il prossimo» disse con voce allegra rilasciando la pressione sul tasto.

Dunque si adagiò contro lo schienale della poltrona accavallando le gambe e intrecciando le dita sopra il ginocchio, il capo comodamente poggiato contro lo schienale, gli occhi a puntare la porta dello studio.

Ci vollero solo una manciata di secondi prima che questa si aprisse rivelando la figura alta e scarmigliata di Alexander.

Il ragazzo si richiuse la porta alle spalle rimanendo praticamente poi bloccato sul posto. Non mosse un passo rimanendo inchiodato su quella esatta mattonella osservando Magnus con uno sguardo che l'altro non fu esattamente in grado di decifrare. O, meglio, non voleva illudersi di star leggendo, nella sua espressione, una chiara nota di meraviglia.

«Alexander! Avanti, avanti, accomodati. Ho grandi piani per la seduta di oggi» esclamò Magnus allungando una mano ad indicare uno dei due posti di fronte alla scrivania, distaccandosi dallo schienale della poltrona per sporgersi appena in avanti.

Alexander parve risvegliarsi dal suo stato di trance e, aggrottando appena un sopracciglio, lo fissò sorpreso, muovendo un paio di passi. «...Piani?» domandò incerto deglutendo vistosamente, raggiungendo la sua solita postazione e lasciandosi cadere su di essa, nervosamente.

Magnus sorrise ampiamente e quindi si alzò aggirando la scrivania con pochi passi piuttosto decisi ed aggraziati. Alexander non gli tolse gli occhi di dosso.

Si fermò dall'altro lato della scrivania, quello di fronte ad Alec e si poggiò di reni contro di essa, incrociando i piedi dinnanzi a sé e poggiando le mani ai propri lati, sul bordo del tavolo.

«Piani» confermò Magnus sorridendo. «Finora le nostre sedute sono servite ad aiutarti a sentirti a tuo agio, a prendere confidenza con me e con quest'ambiente così da farti sentire più rilassato e tranquillo: possiamo dire che abbiamo raggiunto un discreto successo da questo punto di vista, concordi con me?» aggiunse l'uomo scoccandogli un occhiolino complice e divertito.

Alexander arrossì istantaneamente a quel gesto ritrovandosi a balbettare nervosamente un semplice 'sì'. Magnus sentiva l'irrefrenabile impulso di poggiare le sue dita sulle sue gote scarlatte ogni qual volta che le vedeva imporporarsi, giusto per sentire se sotto il suo palmo la sua pelle era davvero calda come sospettava che fosse. Si trattenne e continuò.

«Bene. Adesso penso che possiamo passare al passo successivo, ovvero parlare»

Magnus potè vedere il corpo di Alexander percorso da un brivido che lo fece irrigidire in un istante.

«Niente di specifico, nessun argomento profondo o personale. Semplicemente parlare, così da aiutarti a trasformare questo senso di agio che hai imparato a sentire venendo qui in una specie di confidenza. Alla fine è questo il nostro fine ultimo, no? Arrivare a farti sentir pronto a confidare i tuoi pensieri e discuterne. Ma ci arriveremo un passo per volta, senza nessuna fretta» continuò Magnus per calmare e rilassare il ragazzo seduto di fronte a lui.

Alec sembrò calmarsi solo in parte, annuendo leggermente col capo, giocherellando nervosamente con la cerniera della sua felpa.

«Ora, abbiamo già iniziato per un certo senso a compiere questo passo. Abbiamo parlato in questi giorni ma non mi aspetto, naturalmente, che questo voglia dire che tu sia pronto a parlarmi allo stesso modo di persona. Dico bene?»

Magnus si fermò guardando Alexander dritto negli occhi. Non era una domanda retorica, aveva bisogno che lui lo dicesse, che lo ammettesse. A lui e a se stesso.

Il ragazzo lo osservò sostenendo il suo sguardo per qualche secondo prima di annuire e stringere le labbra fra loro. «Sì» confermò mordendosi in seguito il labbro inferiore.

Magnus annuì e quindi sorrise. «Bene. Per venire incontro ai tuoi tempi e cercare al tempo stesso di conoscerti, ho pensato che oggi potremmo fare un gioco»

Alexander sgranò gli occhi sorpreso nel sentire quelle parole. Era lampante che quella fosse l'ultima cosa che si sarebbe aspettato di sentir dire in quel momento.

«Un gioco?» domandò dimenticando per un istante il suo imbarazzo in favore di quella che era palese curiosità.

Magnus sorrise. «Hai mai...?» disse con semplicità fermandosi.

Alexander parve sbiancare tutto d'un colpo. «No. No, no, no, niente giochi con le penitenze. Davvero, no» disse subito alzandosi e iniziando a muovere qualche passo per la stanza con fare nervoso.

Una leggera risata sfuggì dalle labbra del terapeuta nel vedere la reazione quasi spaventata del ragazzo.

«Non c'è nessuna penitenza. Credo che qualcosa del genere sia ufficialmente vietata dall'albo degli psicologi a cui sono iscritto» rise divertito scuotendo leggermente le spalle. «Rilassati.» continuò con voce più gentile, il riso ormai svanito dal suo volto. «Non sarà molto diverso da come abbiamo parlato in questi giorni. Domande e risposte. Non devi neanche dare grandi spiegazioni a meno che non ti senti invogliato a farlo e, se una domanda dovesse suonarti scomoda o non volessi rispondere, sarai libero di evitarla e andremo oltre» spiegò Magnus con tono calmo e suadente, riprendendo finalmente le sue vesti di terapeuta.

Alexander si fermò e osservò Magnus soppesando accuratamente ogni parola detta. Gli sembrava di poter vedere le sue sinapsi all'opera dietro le palpebre. Alla fine annuì e si umettò le labbra.

«Okay» acconsentì deglutendo, stringendo e aprendo i pugni lungo i fianchi in un evidente moto nervoso. Era chiaro che ci fosse qualcosa che volesse dire ma che stava cercando in ogni modo di controllare. «Ma... giochi anche tu» riuscì alla fine a dire guardando Magnus negli occhi, le guance arrossate e l'espressione nervosa.

Il terapeuta si ritrovò a schiudere le labbra preso alla sprovvista da quelle parole.

Non si era aspettato che Alexander gli chiedesse una cosa del genere sebbene, in qualche modo, avrebbe dovuto aspettarsela considerando come erano andate le cose fra loro fino a quel momento. “Anche io penso di volerti conoscere” aveva detto e difatti aveva cercato di chiedergli tutto ciò che poteva ogni volta che se ne presentava la possibilità. Magnus si ritrovò a sorridere e quindi ad annuire.

«Naturalmente» concordò e lasciò che il ragazzo tornasse a prendere posto sulla poltrona davanti a sé.

I due rimasero a fissarsi negli occhi per un tempo che parve quasi infinito.

Si poteva chiaramente avvertire la tensione riempire lentamente la stanza, diffondersi dai loro corpi e scontrarsi fino a rendere l'aria pesante. C'erano domande, dubbi e curiosità ad affollarsi e affacciarsi dai loro sguardi eppure nessuno dei due sembrava voler essere il primo a compiere quel passo. Magnus poteva vedere il modo in cui Alec lo osservava, timoroso e al tempo stesso impaziente. Era un fascio di nervi e la cosa in qualche modo lo faceva sentire elettrizzato. Poteva chiaramente immaginare ed elencare una quantità infinita di motivi per cui il ragazzo in quel momento potesse sentirsi nervoso eppure, egoisticamente, una piccola parte di sé voleva credere che fosse la sua presenza a innervosirlo. Voleva credere che Alexander si sentisse teso, in sua compagnia, nello stesso modo in cui si sentiva lui. Che avvertisse quella scarica scivolare lungo gli arti, quella sensazione di perdizione e familiarità che si mischiava e fondeva al senso di ignoto e paura. Che si sentisse desideroso di protrarre quell'ora all'infinito per non dover lasciare quella stanza dopo così poco tempo...

Magnus schiuse le labbra e fermò la strada ai propri pensieri.

«Hai mai saltato la scuola perchè non ti andava di andarci?»

Alexander aggrottò le sopracciglia mettendo su una espressione canzonatoria come se l'altro avesse appena detto un'assurdità. «No!» disse come fosse una ovvietà, arricciando il viso. «Che sciocchezza»

Magnus mise su una espressione compunta e lievemente colpevole. «Sì. Certo. Ovviamente.» fece eco, sarcastico, con il tono sarcastico di chi è stato appena beccato con le mani nel sacco.

Alexander schiuse le labbra, attonito. «Non ci credo!» esclamò abbassando le spalle. «Non l'hai fatto!»

Magnus si strinse nelle spalle sollevando le mani in un gesto rassegnato. «Ebbene sì. Colpevole.» ammise fingendo pentimento.

«E io che pensavo di avere a che fare con un professionista» fece ironico, Alexander, rivelando per la prima volta così chiaramente uno sprazzo di leggerezza e divertimento. Aveva scosso la testa con aria contrariata ma mantenendo una espressione palesemente scherzosa che Magnus trovò adorabile.

Lui mise su un broncio molto esagerato poggiando le mani sui fianchi.

«Hey. Io sono un professionista» chiarì indicandosi il petto con un dito. «Ma sono stato anche giovane. Avevo bisogno dei miei attimi di ribellione e libertà» si giustificò a testa alta, fieramente.

Alexander rise con una sfumatura di amarezza nella voce che scacciò immediatamente via.

«Parli come se adesso invece fossi vecchio» rise lui, leggermente.

«Beh. Sono più vicino ai trenta che ai venti ormai» ammise lui ritrovandosi ora a sogghignare. «Fra non molto avrò ventotto anni» Non che questo lo catalogasse come vecchio, comunque, ma sicuramente non si sentiva più giovane come quando era un adolescente. Erano due tipi di giovinezza diversi.

Alexander parve sorpreso da quella notizia e sembrò quasi combattuto all'idea di aggiungere qualcosa in proposito. Qualcosa che stava lottando per uscire dalle sue labbra ma che alla fine trattenne annuendo e basta.

«Hai mai visto sorgere l'alba?» domandò invece e qualcosa nella mente di Magnus gli diceva che non era questo ciò che avrebbe voluto chiedere.

Magnus quindi inspirò e annuì. «Sì» ammise.

Diverse volte, nel corso del tempo, si era ritrovato da solo sul balcone a veder nascere il giorno. Il cielo sfumarsi via via di quelle screziature rosate tipiche dell'alba, di quel lilla leggero che schiariva il buio della notte prima ancora che i raggi del sole scacciassero del tutto l'oscurità. Era una visione rilassante che avrebbe sempre voluto poter condividere con qualcuno d'importante. Questo pensiero lo portò a chiedersi come mai Alec gli avesse chiesto proprio questo. «E tu?»

Alexander annuì.

«Quando non riesco a dormire mi piace osservare il cielo e aspettare che sorga il sole.»

La sua voce si rivelò essere piuttosto sottile nel pronunciare quelle parole. C'era qualcosa che aveva rabbuiato il suo sguardo nel mentre, qualcosa che Magnus avrebbe voluto comprendere e capire ma che temeva lui non fosse pronto a rivelare.

Così, semplicemente, annuì e proseguì. «Hai mai bevuto fino a ubriacarti?»

«No, mai andato neppure lontanamente vicino» disse prontamente Alec come se semplicemente ripugnasse l'idea. «E tu?»

Magnus si sentì per un istante sull'orlo di una trappola.

«Inizio a credere che questo gioco non si sia rivelato un'ottima idea. Ne sto venendo fuori sotto una pessima luce ai tuoi occhi, temo» rise nervosamente Magnus alzando una mano dietro il capo per grattare un punto della nuca.

Alexander rise a sua volta snudando i denti bianchi, abbassando lo sguardo impacciato.

«Nah. Niente del genere. Chiunque si è ubriacato qualche volta, non vuol dire niente sul carattere di una persona» disse lui come se volesse rassicurare Magnus. «Piuttosto mi sa che io ne sto uscendo fuori come uno piuttosto noioso...» borbottò senza osare alzare lo sguardo.

Magnus si ritrovò ad agire prima ancora di rendersi conto di essersi mosso. Si distaccò appena dalla scrivania e allungò una mano per portare le dita sotto il mento del ragazzo, guidando il suo capo ad alzarsi appena, con un tocco così gentile e sicuro da impedirgli di sfuggire a quel contatto.

«Sei tutt'altro che noioso, Alexander. Sei la persona più interessante e vera che abbia incontrato in molti anni.» rivelò lui guardandolo dritto negli occhi, la voce improvvisamente ferma e seria, come se ogni traccia di leggerezza e scherzo fosse svanita dalla stanza e dai loro volti. Voleva che Alexander lo capisse, che credesse alle sue parole, che potesse leggere nel suono della sua voce e nello sguardo nei suoi occhi la sua convinzione e serietà.

Il ragazzo rimase a guardarlo con gli occhi grandi di sorpresa e le labbra schiuse. Silente rimase semplicemente a specchiarsi nelle iridi verde-dorate dell'altro per un tempo che nessuno dei due sarebbe stato capace di quantificare. Magnus avrebbe voluto poter far scivolare la mano sul suo viso, lasciare che il palmo si poggiasse contro la pelle morbida del suo volto, accogliendolo nella sua mano in una carezza leggera. Avrebbe voluto sentire la sensazione dei capelli solleticargli le nocche, lo zigomo sotto le dita. Avrebbe voluto un contatto reale con lui, più deciso di quel semplice tocco sotto il mento ma si trattenne con un enorme sforzo di volontà.

Distaccò i polpastrelli dal suo viso un istante più tardi distendendo ora le labbra in un sorriso gentile.

«Tocca a te» gli ricordò spezzando quel momento.

Alexander rimase col viso alzao a fissarlo sperduto per qualche altro secondo prima di annuire e schiarirsi la voce, arrossendo.

«Hai mai... parlato così con altri pazienti?»

Magnus potè vedere nello sguardo del ragazzo combattersi una guerra. Era imbarazzato e intimidito dall'idea di porre quella domanda eppure in qualche modo era anche curioso e impaziente di ricevere una sua risposta. C'era qualcosa che brillava nei suoi meravigliosi occhi azzurri, una scintilla... speranza?

La conversazione non avrebbe dovuto andare così. Avrebbe dovuto trattarsi di una seduta leggera, divertente, fatta per parlare e mettere Alexander a suo agio. Ma in quel momento non c'era niente di leggero fra loro, non c'era niente di divertente o di semplice. Ogni domanda, in qualche modo, era un passo che l'uno faceva verso l'altro, era un brandello di anima che si strappavano di dosso ad artigliate. Magnus poteva già sentire bruciare sulla lingua la risposta a quella domanda. Non avrebbe dovuto rispondere, non avrebbe dovuto lasciare che la verità uscisse fuori dalle sue labbra. Ma più le iridi azzurre di Alexander lo osservavano in attesa, più sentiva rivelarsi vani i suoi sforzi di rimanere distaccato e professionale nei suoi riguardi.

«Mai.» capitolò, alla fine, sostenendo il suo sguardo. «Non ho mai realmente parlato con nessuno di loro prima» ammise con voce seria, sincero, mostrando alla fine un piccolo sorriso. «E poi sei arrivato tu.»

E poi era arrivato Alexander con i suoi occhi puliti e la sua espressione imbarazzata, con i suoi modi impacciati e il continuo cercare di nascondersi al mondo. Si era schiantato nella sua vita con la stessa potenza di un uragano capovolgendo e stravolgendo concezioni e scelte di vita che mai, fino a quel momento, Magnus aveva messo in dubbio. Aveva cambiato ogni cosa, aveva piantato radici profonde nella mente dell'altro che ora si ritrovava come stregato dalla presenza di quel ragazzo nella sua vita. Di quel ragazzo che lo guardava e vedeva lui. Che lo guardava e vedeva la sua solitudine, tutto quello che cercava di nascondere dietro i suoi sorrisi e le sue battute.

Magnus potè vedere Alexander stringere le labbra. Non era arrossito ma il suo sguardo lasciava chiaramente intendere la tempesta interiore che si stava ritrovando ad affrontare in quel momento. Qualcosa si contrasse nel petto del terapeuta facendogli sentire i battiti del cuore riverberarsi per tutto il corpo, riecheggiare nelle orecchie, nelle tempie, per la gola. Come se qualcuno avesse alzato al massimo il volume di una musica ritmata diretta al suo cervello.

«Sei mai stato innamorato?»

La domanda uscì spontanea dalle sue labbra e colse di sorpresa entrambi.

Magnus voleva cercare di riportare la conversazione su una rotta più leggera ma le sue labbra avevano deciso di liberare una domanda totalmente imprevista e diversa, una domanda che portò Alexander ad irrigidirsi e deglutire stringendo i denti e la mascella in un istante. Magnus se ne pentì immediatamente nonostante, al tempo stesso, desiderasse davvero sapere cosa l'altro avrebbe potuto dire.

«Non voglio rispondere» disse Alexander dopo alcuni secondi, tenendo lo sguardo basso, rigirandosi la zip della felpa fra le dita più e più volte come ormai Magnus gli aveva visto fare innumerevoli volte quando cercava di sfuggire dalla situazione.

«Tocca a te» disse semplicemente, allora, il terapeuta, con tono più leggero, un sorriso ora ad aprirsi sulle labbra per cercare di mostrargli che andava benissimo così. Aveva promesso che era libero di scegliere lui a quali domande rispondere e in quale misura e così sarebbe stato, anche se quella domanda sarebbe rimasta sospesa ed irrisposta fra loro come una spada di Damocle a pendere sopra il capo di Magnus.

Alec rialzò lo sguardo e tornò ad osservare lo psicologo umettandosi nervosamente le labbra.

«Sei mai stato innamorato?» gli chiese a sua volta, sostenendo il suo sguardo.

Magnus schiuse le labbra e incassò la domanda con una mezza risatina senza voce.

Si morse il labbro inferiore picchiettando le dita contro la superficie della scrivania contro cui era poggiato cercando di decidere se rispondere o meno alla sua domanda avvertendo lo sguardo di lui vagare per la sua figura, lungo il suo corpo, in impaziente attesa.

«Sì» rispose alla fine l'altro tornando ad osservare Alexander negli occhi. «Molti anni fa»

Il ragazzo ci mise un po' di tempo per assimilare quella risposta e, alla fine, annuì fra sé e sé mentre la stanza piombava in un denso silenzio. Improvvisamente era come se nessuno dei due sentisse più il bisogno di dire altro e, al tempo stesso, ci fossero mille altre domande a riversarsi nella loro mente in attesa di trovar risposta.

«Alexan--»

La voce di Magnus venne interrotta dal leggero bussare di una mano contro la porta.

L'uomo alzò il viso verso di essa mentre Alec rimase al suo posto a capo chino.

«Sì?» sospirò Magnus cercando di tornare alla consueta professionalità.

Lucy aprì la porta facendo capolino dalla stessa.

«Dottor Bane, la signora Milligan è arrivata. Devo spostare il suo appuntamento?» domandò la ragazza sbirciando nella stanza per vedere che la seduta sembrava non essersi ancora conclusa. Magnus ripiombò nella realtà rendendosi conto del tempo che doveva essere volato, dell'ora già sfumata e del fatto che Alexander avrebbe dovuto già andarsene.

«Ah. No. no.» disse schiarendosi la voce e aggirando nuovamente la scrivania per fermarsi dietro di questa, al suo solito posto. «Abbiamo finito. Dacci solo un minuto»

Lucy annuì e, con un lieve inchino del capo, uscì dalla stanza.

Alexander si alzò dalla sua poltrona risistemandosi felpa e giacca addosso, non alzando lo sguardo verso Magnus. Questi l'osservò in silenzio fino a quando non lo vide pronto ad andarsene.

«Allora... vado» disse Alec dondolandosi appena sui talloni, le mani ficcate nelle tasche della giacca impacciatamente.

Magnus sorrise e annuì.

«Ci vediamo giovedì?»

Alexander annuì. «Sì»

Si voltò per dirigersi verso la porta e, un istante prima che potesse toccar la maniglia, la voce di Magnus lo fermò.

«Alexander?»

Il ragazzo si girò.

«Grazie»

Grazie per esserti aperto con me. Grazie per esserti confidato, anche solo un po', con me. Grazie per vedere me.

 

*

 

La mente di Alec era in pieno subbuglio.

Appena uscito dallo studio di Magnus si sentì pervaso da una marea di sensazioni contrastanti. Uscito dall'edificio sentì l'aria fredda di Dicembre scivolare sulla sua pelle provocandogli un brivido lungo tutta la schiena. Il vento arrivava in sferzate taglienti e il cielo buio minacciava pioggia da un momento all'altro. Anzi, considerando il freddo che si insinuava nelle ossa fino a tramutare ogni respiro in una nuvoletta di condensa non sarebbe stato poi così strano veder cadere i primi fiocchi di neve dell'anno.

Alec si ritrovò a rimanere fermo oltre la soglia dell'edificio col capo alzato verso il cielo e gli occhi chiusi, accogliendo quel vento gelido come un balsamo contro il calore che lo inondava dall'interno. Non sapeva cosa pensare di quello che era appena successo. Quella seduta era stata... intensa. Intensa in un modo che non aveva mai sperimentato prima. Aveva la forte sensazione che si fossero detti molto più di quanto le loro voci avessero espresso. Aveva la sensazione che i loro silenzi fossero riusciti a dire più di quanto avessero voluto, che i loro sguardi avessero comunicato al di là delle loro parole. Eppure non ne era certo, non sapeva se fosse stato tutto frutto della sua immaginazione o se, effettivamente, anche Magnus avesse percepito le stesse cose. Riaprì gli occhi ruotando il capo verso l'edificio alle sue spalle, alzandolo ad osservare la finestra dello studio un paio di piani più su. Poteva sentire le parole di Magnus rimbombare ancora nella sua mente con straordinaria nitidezza.

Sei tutt'altro che noioso, Alexander.

E poi sei arrivato tu.

Grazie.

Parole che lo avevano colpito nel profondo, parole che avevano fatto nascere in lui speranze, dubbi e paure. Parole che lo avevano raggiunto come una carezza e che lo avevano lasciato come uno schiaffo. Che senso aveva rallegrarsi per questo quando quella... 'storia' non aveva alcun futuro? Magnus era il suo terapista ed il suo interesse era meramente professionale e lui era un illuso. Che senso aveva continuare a custodire sensazioni e sentimenti che non avrebbero mai veduto la luce del sole? Ma come si spegneva il cuore? Come si decideva di non voler provare qualcosa? In verità Alec dubitava fosse possibile limitarsi a scegliere di non voler provare una determinata sensazione. Un lato di lui, poi, non era neppure così sicuro di voler smettere. Per anni si era imposto di fuggire ogni volta che avesse provato un minimo di attrazione verso qualcuno, si era imposto di evitare chiunque potesse scatenare in lui quel brivido che gli faceva sciogliere le ossa. Non aveva mai permesso che una semplice attrazione fisica potesse arrivare a mettere radici più profonde e ne aveva sempre sofferto. Ma adesso... adesso sapeva che non poteva fermarsi. Non si trattava solo di trovare Magnus il più bel ragazzo che avesse mai visto in tutta la sua vita, lui desiderava poterlo conoscere. Gli piaceva il modo in cui non lo forzava mai a fare nulla, il modo in cui gli riusciva semplice e naturale parlare con lui. Gli piaceva il modo in cui scherzava ed il modo in cui diveniva serio tutto d'un tratto quando capiva che qualcosa lo faceva sentire a disagio. Gli piaceva il modo in cui Magnus sembrasse realmente tenere in considerazione i suoi sentimenti ed il suo benessere.

Una parte di lui continuava a dirgli che era solamente uno sciocco, che tutto questo non era altro che parte dei suoi obblighi professionali. Ma poi... E poi sei arrivato tu. Non poteva credere che questo fosse il tipo di rapporto che avesse con ogni paziente, che per lui fosse la regola. C'era qualcosa, fra loro, che sfuggiva ad ogni logica spiegazione, di questo ne era certo. C'era qualcosa di unico. Forse speciale. Voleva credere che non fosse solamente una mera questione di lavoro.

Ripensò alla mano di Magnus che gli aveva alzato il viso, al tocco gentile ma deciso delle sue dita che gli sollevavano il mento. Poteva ancora sentire il calore della sua pelle sotto il volto, poteva sentire il calore della sua mano a contatto con il suo viso. Aveva avvertito un brivido risalirgli la colonna vertebrale a quel contatto, un qualcosa sciogliersi nel petto sprigionando un tepore piacevole e violento al tempo stesso. Un calore che strisciava lungo i suoi nervi rendendoli sensibili e più recettivi che mai. Il suo sguardo era stato serio, era stato incredibilmente fermo nel suo. Era come se stesse cercando di dirgli qualcosa che non poteva dire a parole. Non poteva aver frainteso persino quello, non poteva essere un gesto che avrebbe condiviso con qualunque paziente.

No. Non poteva.

Le gambe di Alec si mossero allora pronte a tornare a casa mentre con rinnovata forza affrontava il gelido freddo di Dicembre. Capo chino, mani nelle tasche e mente in confusione. Era tutto così complicato e semplice al tempo stesso. Gli piaceva una persona e in qualche modo sembrava che a questa persona la sua compagnia non dispiacesse particolarmente. Fin qui era tutto facile e normale, una storia come tante. Questa persona però era il suo terapeuta e l'interesse che sembrava avere nei suoi confronti poteva essere semplicemente attaccamento professionale ad un paziente poco collaborativo. Le cose, a questo punto, erano un po' più complicate da riuscire a distinguere. Il suo terapeuta era un uomo e aveva l'aria di poter conquistare chiunque volesse con uno schiocco di dita. Questo rendeva le cose da complicate ad un semplice disastro. In primo luogo perchè non sarebbe mai sceso a patti con la sua sessualità e non avrebbe mai potuto permettersi di dire a gran voce ciò che per anni aveva cercato di negare e cambiare con tutto se stesso. In secondo luogo perchè se effettivamente Magnus avesse potuto avere chiunque volesso, non c'era motivo al mondo per cui avrebbe dovuto far ricadere la sua scelta proprio su un essere noioso, rigido e anonimo come Alec.

Un sospiro freddo uscì dalle labbra ghiacciate del ragazzo che trovava sempre una specie di rassicurante conforto nel poter schematizzae qualunque concetto, come se riuscire a dare un ordine alle cose potesse anche permettergli di trovare una soluzione. Ma in questo caso le cose non erano così semplici: non c'era soluzione al mondo che potesse aiutarlo a non uscirne ferito o a testa alta. In qualunque caso sarebbe venuto fuori sconfitto da quella situazione.

 

 

Arrivato a casa tirò un sospiro di sollievo.

Accolse con gioia il calore irradiato dall'interno della struttura e, rabbrividendo un'ultima volta, si richiuse la porta alle spalle strofinandosi le mani fra loro per riscaldarle.

«Sono a casa» salutò affacciandosi nella cucina dal corridoio.

Sua madre stava sistemando la tavola con fare tranquillo mentre sua sorella era seduta attorno all'isola tenendo Church fra le mani, il piccolo biberon a nutrirlo di latte tiepido.

«Bentornato» salutò Maryse con un sorriso gentile vedendolo entrare nella stanza per mettersi dietro sua sorella a fissare il gattino. «Hai fame?» domandò guardandolo con aria leggera.

Alec voltò verso lei il capo e quindi annuì, un piccolo sorriso sulle labbra.

«In effetti sì.» ammise togliendosi la giacca.

Sua madre rise avvicinandosi ai fornelli dove la pasta sembrava star già cuocendo, il profumo di carne speziata a riempire la stanza. «Vorrei vedere, questa mattina non hai nemmeno fatto colazione» ridacchiò lei mentre, sollevando il coperchio del tegame, girava la pasta con un cucchiaio di legno.

«Non ne ho avuto il tempo. Sono stato avvisato all'ultimo momento» si strinse lui nelle spalle avvicinandosi quindi all'arco che dava sul corridoio con la giacca fra le mani. «Mi vado a lavare le mani»

Sua madre annuì mentre Izzy continuò ad osservare il micino fra le sue mani con aria totalmente rapita. C'era un'aria di normale domesticità che Alec non aveva respirato in quella casa da tempo. Una parte di lui osò quasi credere che, forse, tutto sarebbe potuto essere normale. Magari le cose sarebbero cambiate, sarebbero migliorate, pensò mentre raggiungeva la sua stanza al piano di sopra per mettere a posto la giacca. Accarezzò l'idea col pensiero mentre un sorriso amaro si dipinse sulle sue labbra; questo, però, durò ben poco perchè, fermandosi davanti al lavandino del bagno, sollevò lo sguardo sulla sua immagine riflessa nello specchio e si scontrò con la dura realtà dei fatti.

Niente sarebbe più stato normale.

Sospirò stancamente scacciando via quel pensiero per lavare le mani sotto l'acqua corrente. Le strofinò a lungo, con forza, come a voler cercare di pulirle da qualcosa di lurido e sporco, da una macchia che sembrava intenzionata a non voler andare via dalle sue dita. Alla fine si arrese e tornò di sotto dove vide che ormai era tutto pronto. Izzy aveva finito di nutrire Church e lo aveva riposto nella sua comoda scatola imbottita e riscaldata per farlo riposare mentre sua madre stava servendo in tavola i loro piatti. Suo padre, apparentemente, non avrebbe pranzato con loro quel giorno. Di nuovo.

Alec prese posto versandosi dell'acqua mentre Izzy, lavatasi anche lei le mani, si sedeva esattamente di fronte a lui portandosi i capelli dietro le spalle con un semplice movimento del capo.

«Allora, dimmi tesoro. Com'è andata oggi?» chiese Maryse mentre, dati i piatti a tutti, si sedeva al suo posto con quel solito portamento elegante e un poco rigido, come se persino in casa sua non volesse mostrarsi rilassata e disinvolta, puntando ora lo sguardo sul figlio.

Alec volse verso di lei il viso e si strinse nelle spalle cercando di non mostrare in volto la confusione che quella seduta aveva gli scatenato dentro. «Tutto bene. Come al solito» disse mentre con la forchetta raccoglieva un primo boccone di pasta. «Ha detto che stiamo facendo dei progressi»

Non era certo che fosse il caso di riferirle esattamente come erano andate le cose, del 'gioco' che avevano fatto, delle domande che gli aveva rivolto. Temeva che non fosse esattamente quello che un genitore si aspettasse di sentirsi dire in una situazione simile e perciò cercò di propinarle tutto ciò che gli sembrava più sicuro dire senza tuttavia mentirle.

La donna si illuminò in viso con la forchetta ferma a mezz'aria.

«Sì?» sorrise con sguardo fiero. «Beh, questo si vedeva. Ma sono contenta che lo abbia confermato anche lui. Ti vedo così più rilassato in questi giorni!» esclamò lei quasi come se si stesse finalmente liberando di un peso che aveva avuto timore di buttar fuori da chissà quanto tempo.

Lei ed Alec si erano promessi di non discutere più delle sue sedute perchè questo tendeva a farlo sentire quasi sotto esame, ma poteva ben capire che sua madre volesse parlare di come lui si sentisse, di come le cose stessero andando. Gli dispiacque pensare di averla lasciata macerare nei suoi dubbi fino a quel momento.

«Beh... non è niente di che, in realtà. Siamo ancora all'inizio. E'... complicato» mormorò lui non sapendo bene come poterle spiegare la situazione. «Ma mi sento meglio» ammise, alla fine, quasi più a se stesso che a lei, tenendo lo sguardo fisso sul suo piatto.

Poteva sentire lo sguardo di sua madre e di sua sorella addosso e quasi si pentì di aver deciso di affrontare l'argomento invece di lasciarlo cadere. In realtà era rimasto stupito dal sentire che sua madre lo avesse visto più rilassato considerando che lui si sentiva, per tutto il tempo, nervoso e teso, come se avesse paura di star mandando all'aria ogni cosa ad ogni minimo gesto.

«Ammetto che l'ho mal giudicato all'inizio. Sai, con quel suo aspetto...» si fermò non sapendo come descriverlo senza utilizzare termini che sarebbero potuti risultare offensivi. «Beh, l'hai visto» disse schiarendosi la voce con fare pratico, aggirando il problema. «Non credevo che fosse davvero un professionista. Ma in giro ne parlano come se fosse un mago nel suo mestiere e così ho pensato di ignorare i suoi... uh-modi e dargli fiducia»

Alec poteva perfettamente immaginare quali fossero stati i pensieri di sua madre quando aveva visto Magnus per la prima volta. Poteva molto chiaramente figurarsi la scena e lo sguardo sconvolto e quasi oltraggiato che doveva aver mostrato non appena lo avesse visto lì, nel suo studio, tutto glitter e abiti sgargianti.

Il pensiero che Magnus possa aver notato di esser guardato con poco meno che disgusto gli fece salire una fitta di rabbia al cervello. Strinse la mano che non reggeva la forchetta a pugno sulle cosce cercando di non mostrare alcun segno di fastidio davanti alla sua famiglia, infilandosi in bocca un'altra forchettata per distrarsi da quel pensiero lancinante.

«E a quanto pare mi ero sbagliata davvero» sorrise a quel punto guardando suo figlio con uno sguardo quasi commosso che, appena, sciolse la tensione nei nervi di Alec. «Quell'uomo ti sta facendo del bene. Dovrei ringraziarlo un giorno o l'altro»

Alec si voltò adesso verso di lei guardandola in volto.

Quell'uomo ti sta facendo del bene, aveva detto commossa. Era così evidente? Era così lampante che Magnus Bane aveva in qualche modo cambiato per sempre quello che era Alexander Lightwood? Non avrebbe saputo dire come o in che misura, ma sapeva che da quando lo conosceva non si sentiva più lo stesso a volte. Si concedeva, in rari attimi di coraggio, di sperare in una vita migliore, in un futuro più brillante. Si ritrovava a scoprire nuovi lati di sé che non avrebbe mai pensato di possedere prima e si era persino ritrovato infatuato di lui. Per un istante, uno soltanto, si chiese se sua madre avrebbe potuto capire... Ma poi ripensò al modo disgustato in cui aveva fatto cenno allo stile di Magnus, alla sua personalità eccentrica e leggermente fuori dalle righe e subito scacciò quella speranza dalla propria mente. Non aveva senso sperare in qualcosa che avrebbe potuto solamente illuderlo e ferirlo.

Così si piantò in faccia un sorriso di circostanza e prese il suo bicchiere. «Pare che fra poco sarà il suo compleanno. Magari puoi mandargli una bottiglia di vino» disse ironicamente bevendo poi un sorso d'acqua.

«Ottima idea! Hai ragione!» disse lei, colpita, sorseggiando sovrappensiero il suo vino. «Quand'è?»

Alec, dal canto suo, si ritrovò a tossire quando la sua acqua gli andò di traverso. Si battè un paio di colpi sul petto guardando dunque sua madre con le lacrime agli occhi per via della tosse.

«Ma... dici davvero? Io stavo scherzando»

«Certo che dico davvero. Sarebbe un modo gentile di ringraziarlo, suppongo. Sai che a parole non sono spesso il massimo in queste cose» chiarì lei dopo aver mandato giù un boccone della sua pasta. «Allora? Quand'è?»

Alec la fissò sbigottito per alcuni istanti prima di ritrovarsi a schiudere le labbra e boccheggiare.

«Uh. Io... non lo so» rispose, alla fine, tornando nel pieno controllo di sé.

Sua madre portò alle labbra un'altra porzione di pasta e quindi assottigliò lo sguardo com'era solita fare quand'era immersa in una importante riflessione. «Mhmmmm.» mugugnò a labbra strette mentre masticava e deglutiva. «Beh poco male. Oggi dovevo comunque uscire per fare delle commissioni, passerò a comprare una bottiglia di vino e passerò a lasciargliela. Se ha spostato il tuo appuntamento di oggi a questa mattina magari lo trovo libero. Altrimenti la lascerò alla sua segretaria» disse quasi più fra sé e sé che ad Alec in particolare.

La donna si perse nei suoi progetti ed il pranzo continuò immerso in un sereno silenzio spezzato solamente dalle voci che giungevano dalla televisione accesa nel soggiorno. Alec si sentì piuttosto strano all'idea di sapere sua madre in compagnia di Magnus per ringraziarlo del lavoro che stava facendo con lui.

Se solo avesse saputo...

 

*

 

Quando la paziente uscì dal suo studio Magnus si alzò dalla scrivania stiracchiando la schiena leggermente indolenzita dopo tante ore trascorse a star seduto. Si massaggiò la spalla con una mano al di sopra della spallina del panciotto grigio-argento e ruotò il collo così da far schioccare le ossa. Si sentì subito meglio.

La sua giornata quel giorno si sarebbe conclusa un'ora prima: l'appuntamento che avrebbe dovuto avere con Alexander lo aveva spostato a quella mattina così da avere modo di tornare prima a casa e avere tutto il tempo per oziare un po' prima di andare a letto. L'appuntamento con lui, poi, era andato... beh, non avrebbe saputo dire se fosse andato bene oppure no. Era stata una strana seduta, sicuramente unica nel suo genere e non aveva reali metri di paragone per poter giudicare quel loro incontro. Sicuramente il fatto che Alexander avesse parlato così tanto con lui -seppur rispondendo solo a semplici domande mirate senza elaborare un vero e proprio discorso- era un ottimo segno: fino a quella mattina Magnus aveva quasi temuto che quel loro incontro sarebbe terminato nel silenzio come tutti gli altri.

Eppure il modo in cui avevano finito con il perdersi nella conversazione, le domande che erano venute fuori da quel tentativo di confidenza non erano qualcosa che Magnus avrebbe definito come “bene”. Era qualcosa che non avrebbe dovuto verificarsi da principio ma che non era stato in grado di frenare. Stava cercando di fare del suo meglio per essere il suo terapeuta ma i suoi sentimenti continuavano a rendere difficile questo suo compito. Ogni volta che lo aveva attorno era complicato ricordarsi di dover rimanere una semplice voce fuori campo, una linea guida che lui avrebbe dovuto seguire per raggiungere una più completa consapevolezza di sé.

Magnus sospirò finendo di tracciare i suoi appunti sull'ultima paziente e quindi depositò la penna nel suo alloggio assieme alle altre sulla scrivania. Richiuse il fascicolo e lo inserì nella borsa che aveva sempre con sé, assieme agli altri documenti che doveva portare a casa. Stava quasi per infilarsi il proprio cappotto quando qualcuno bussò alla porta. Magnus si fermò ad un passo dall'appendiabiti ruotandosi con il corpo in direzione dell'entrata nella stanza.

«Avanti» invitò afferrando il cappotto e tenendolo piegato sul proprio avambraccio.

Lucy fece nuovamente capolino dalla porta.

«Dottore, c'è una donna che vorrebbe parlare con lei. La signora Lightwood» disse la ragazza sistemandosi gli occhiali sul naso.

Magnus schiuse le labbra semplicemente sospeso da quelle parole, il cuore a perdere un battito alla semplice menzione di quel nome.

Cosa poteva volere la madre di Alexander da lui? Sarebbe venuta a dirgli di stare lontana da suo figlio? Si sarebbe lamentata dell'atteggiamento inopportuno che aveva avuto nei suoi riguardi? Possibile che Alexander le avesse detto...?

L'idea gli sembrò immediatamente assurda e cercò di convincersi che in nessun modo Alec, così timoroso all'idea di parlare col prossimo, avesse parlato a sua madre del modo in cui i due avevano iniziato a parlare negli ultimi giorni. Inspirò a fondo e quindi annuì una volta soltanto col capo. «Falla entrare» disse mettendo su il suo più accogliente sorriso.

Depositò il cappotto sullo schienale della poltrona e quindi si lisciò le pieghe del panciotto con fare nervoso rigirandosi col pollice l'anello che portava al dito indice. Non si sedette, aveva bisogno di rimanere in piedi e muoversi il più possibile per scaricare la tensione che lo aveva improvvisamente assalito, e vide entrare la donna nel suo studio con quel suo tipico passo sicuro e fiero.

Aveva un portamento regale.

Maryse Lightwood, nella mente di Magnus, era niente meno che una leonessa. Implacabile, forte, decisa, padrona di qualsiasi cosa la circondasse e decisamente pericolosa quando si trattava dei suoi cuccioli. Una parte di lui rispettava quella donna sebbene l'avesse conosciuta in una unica occasione, era sicuro di aver inquadrato piuttosto bene il tipo di persona, ma d'altra parte non amava troppo il modo in cui cercasse continuamente d'imporsi e di far prevalere la sua presenza sugli altri.

Era una donna piuttosto bella, anche. Era alta ed aveva un fisico forte, non particolarmene magro ma nient'affatto tondo. Indossava abiti eleganti che slanciavano la sua figura e le davano un'aria ordinata e sicura di sé. Sapeva come valorizzare il suo corpo e come apparire sempre al meglio, questo doveva concederglielo; per un attimo si chiese se avrebbe mai potuto insegnare questa sua capacità anche a suo figlio che, paradossalmente, era tutto il suo opposto.

Aveva i lunghi capelli neri a scivolare liberi lungo la schiena ed una busta di carta marroncina per le mani con una coccarda d'argento a chiuderla sulla sommità. Aveva l'aria d'essere un regalo.

Maryse mosse qualche passo nello studio a testa alta, l'espressione indecifrabile sul volto.

La segretaria richiuse la porta alle sue spalle mentre Magnus le venne incontro tendendole una mano con un sorriso gentile sulle labbra.

«Signora Lightwood. E' un piacere»

La donna rimase a guardarlo per un lungo attimo studiando il trucco attorno ai suoi occhi e le svariate collane attorno alla gola prima di inspirare a fondo e porgergli la propria mano per stringerla.

«Dottor Bane» rispose lei con un lieve cenno del capo.

«Prego, si accomodi» la invitò lui facendo cenno alle due poltroncine alla loro sinistra con una mano.

Maryse non se lo fece ripetere due volte e si sedette su una delle due poltrone accavallando le lunghe gambe e tenendo la busta con attenzione.

«Grazie, tanto non mi tratterrò a lungo» disse lei con fredda cortesia.

Magnus continuò ad osservarla sorridendo cercando di tenere per sé le sue considerazioni e la tensione dell'averla nel suo studio. Era la prima volta che aveva modo di osservare quella donna avendo nella mente l'immagine di Alexander. Poteva vedere da dove aveva preso gli zigomi alti ed i capelli neri, non che quel cipiglio severo che era solito mostrare quando era fermamente convinto di qualcosa.

Cercò di prepararsi alle possibili critiche che l'altra aveva da riferire, e la osservò in silenzio incalzandola a proseguire col proprio sguardo.

«Sono venuta per ringraziarla» disse inaspettatamente la donna cogliendolo alla sprovvista. Le sopracciglia di lui s'alzarono d'istinto mostrando la sua sorpresa. Okay, era così sicuro che ci fosse qualcosa che non andava e che la donna non si sarebbe mai scomodata ad incontrarlo se non per lamentarsi che non aveva neppure preso in considerazione una simile possibilità. Schiuse le labbra, colpito, cercando di riacquisire al più presto un contegno.

«Alec mi ha detto che fra poco è il suo compleanno, per cui... uh, ho pensato di approfittare per... sa.» si schiarì la voce porgendogli la busta che aveva portato con sé.

«Sì. Domani ormai» mormorò Magnus totalmente stranito e sconvolto da quella inaspettatissima conversazione. Afferrò meccanicamente la busta guardando la donna con fare basito. «E' per me?» chiese, per sicurezza, ancora incredulo.

Lei abbozzò un sorriso educato e quindi annuì una volta soltanto col capo.

Magnus osservò solo ora la busta fra le sue mani e quindi si diede mentalmente un pizzicotto per smetterla di comportarsi come un imbecille. «Oh, davvero, non doveva» disse mentre apriva con cura la busta tirandone fuori una elegante bottiglia di vino rosso all'apparenza piuttosto costosa.

«Grazie» disse quindi guardandola con la bottiglia fra le mani e l'espressione ammorbidita da quel gesto, decisamente più ben disposta e rilassata nei di lei confronti. «E' stato un bel pensiero»

La donna annuì ancora accogliendo il ringraziamento, rigirandosi ora le mani nervosamente sul grembo. La scena fece sorridere Magnus che rivide nel suo modo di dover tenere le mani impegnate l'istinto di Alexander nel doversi muovere in qualche modo ogni volta che si sentiva a disagio. Forse erano più simili di quanto non avrebbe detto ad una prima occhiata.

«Io... davvero, non so come ringraziarla.» disse di nuovo la donna guardandolo ora negli occhi, raccogliendo tutto il suo coraggio. Magnus si fece più serio nello scorgere nella voce di lei una piccola crepa. Il suo sguardo era deciso e fermo, lo stava quasi sfidando nel modo in cui teneva la testa alta e gli occhi ben fissi su di lui, eppure poteva chiaramente vedere un dolore immenso dietro le sue iridi, una sensibilità accuratamente nascosta. «Alec in questi giorni è... diverso. Passa più tempo con noi, sorride di più. Vedo che sta cercando di andare avanti, di impegnarsi, come non lo vedevo fare da anni ormai» raccontò la donna deglutendo, uno spasmo all'angolo delle labbra ad indicare che stava trattenendo il pianto.

Magnus si dimenticò all'istante di qualsiasi pregiudizio o timore e raccolse la scatola di clinex dal tavolo per porgerla alla donna.

Maryse scosse la testa tenendosi stretta la sua dignità ed il suo orgoglio pizzicandosi il naso con due dita come per voler fermare quel tipico pizzicore che arrivava agli occhi per avvisarti dell'arrivo delle lacrime.

«Sa... dopo la morte di Max lui non è più stato lo stesso. Da quando suo fratello è morto non lo ha mai più nominato, non ha mai parlato di lui, non l'ho mai visto piangere. Mai. Neppure quel giorno...» Maryse si fermò chiudendo gli occhi ed inspirando a fondo, portando una mano al viso, le nocche a poggiarsi al di sotto del naso mentre cercava di impedirsi di piangere. «Neppure mentre teneva il suo corpicino fra le braccia, non ha pianto nemmeno allora. E da quel giorno si è come... raggelato. Si è chiuso in se stesso e nessuno di noi è riuscito ad avvicinarlo davvero. L'ho visto spegnersi sotto i miei occhi giorno dopo giorno senza sapere cosa fare» ammise lei senza poter controllare oltre il tremito delle labbra.

«Speravo che col tempo, magari... ma mi sono resa conto che invece di migliorare e di superare quanto successo si è solo come... abituato a questo isolamento. Non ce l'ho più fatta a vederlo così. Ho perso già un figlio, non potevo lasciare che anche lui...»

Magnus rimase semplicemente agghiacciato.

Osservava la donna sentendo il cuore contrarsi nel petto dolorosamente, decisamente non la solita stretta alla quale era abituato ogni qual volta che pensava ad Alexander. L'immagine del timido sorriso di lui si affacciò nella sua mente portandolo a sentirsi la gola chiusa, portandolo a pensare a quanto dolore si celasse dietro ogni suo sguardo. Sapeva che c'era qualcosa dentro di lui che lo stava tormentando, ferendo, ma non si era mai aspettato una simile atroce verità.

Alec gli aveva parlato di Izzy in un paio di occasioni e lo aveva sempre fatto con affetto e con quella sorta di protettività tipica dei fratelli maggiori. Poteva solo immaginare in che modo un ragazzo così premuroso avesse potuto reagire alla perdita di un fratello. Un fratellino. Il pensiero gli fece salire la nausea, le sue mani divennero improvvisamente ghiacciate mentre lo stomaco si contorceva fastidiosamente in uno spasmo doloroso.

Alexander.

Il suo Alexander che conviveva da anni con quel dolore, con quella mancanza, con quella sofferenza a Magnus così vicina e così nota. Era il dolore che si provava quando veniva strappato via un pezzo di cuore che non avrebbe mai potuto essere sostituito da nessun altro lasciando una ferita destinata a rimanere aperta e perennemente sanguinante. Ripensò a tutte le loro conversazioni, a tutte le cose che si erano detti e che magari avrebbero potuto suggerirgli qualcosa, fargli capire cosa c'era che non andava. Non riuscì a trovare nulla, confuso dalla rivelazione del momento e travolto da quell'ondata di sentimenti scatenata da quella verità.

Maryse tirò su col naso ritrovando il controllo. Non si lasciò sfuggire neppure un singhiozzo, neanche una lacrima.

«Temevo che l'avrei perso, che si sarebbe rifugiato fra quelle mura che si è costruito attorno per sempre. Ma ora... sta cambiando.» continuò lei azzardando un piccolo sorriso. «E io credo che sia grazie a lei»

Maryse si alzò e cercò la mano di Magnus per racchiuderla fra le sue, un sorriso grato e ricolmo di significato stampato sulle sue labbra.

«Grazie. Grazie per ridarmi mio figlio» sussurrò, stremata, con un'unica lacrima a rigare la sua guancia.



 

Quando Magnus tornò a casa si sentì il mondo crollargli sotto i piedi.

Gli sembrava passata una eternità da quella mattina, da quando aveva fatto la doccia canticchiando allegramente un qualche vecchio successo rock della sua giovinezza. Gli sembravano passati giorni da quando aveva visto Alexander e aveva sfiorato il suo viso con le proprie dita. Adesso tutto sembrava diverso, ogni cosa sembrava essere terribilmente diversa.

Non riusciva a smettere di pensare al dolore che Alexander portava ogni giorno con sé, a tutte le cose che si erano detti in quegli ultimi tempi.

Ricordò quando lui gli aveva rivelato di non ricordare neppure l'ultima volta che aveva pianto. Lo immaginò inginocchiato a terra a stringere fra le braccia il corpo di un bambino senza vita, il viso bianco come un lenzuolo e neppure una lacrima a scintillare nei suoi occhi. Che espressione avrebbe avuto in quel momento? Il solo immaginare quella scena gli mandò un brivido gelido lungo la schiena, uno spasmo al cuore che gli fece sfuggire un gemito doloroso di bocca.

Sentiva di voler fare qualcosa, qualsiasi cosa per lui.

Avrebbe voluto correre ad abbracciarlo, stringerlo con forza, in silenzio, solo per dirgli che andava tutto bene. Abbracciarlo per dirgli che non era solo. Abbracciarlo per dirgli che lui capiva.

Ma non poteva farlo. E non poteva dirgli che sapeva.

Dirgli che era a conoscenza di questo fatto avrebbe potuto radicalmente cambiare ogni cosa fra loro e portarlo a sentirsi quasi controllato da lui, come se temesse che chiunque sapesse del suo passato potesse rivolgergli semplicemente pietà e compassione. Capiva perfettamente quel sentimento, era una sensazione fastidiosa ed irritante che non aiutava a lenire il dolore. Doveva essere lui a parlargliene. Doveva attendere che fosse pronto, che i tempi fossero maturi. Il pensiero lo fece sentir male.

Quanto avrebbe dovuto attendere fingendo che tutto andasse bene?

Perchè adesso sì, ne era certo, Alexander non stava bene per niente.

Stava combattendo, giorno dopo giorno, una guerra interiore che non avrebbe potuto prevedere vittorie ma solo vinti. Quando qualcuno moriva non si vinceva mai. C'era solo dolore e perdita e sconfitta. Si chiese se sarebbe stato in grado di comportarsi normalmente con lui ora che sapeva. Temeva di non esserne in grado ma si disse che non c'erano alternative. Doveva farlo. Doveva farlo per lui. Perchè Alexander meritava di risalire dal suo abisso, meritava di star meglio e meritava di ricevere il miglior aiuto nel quale potesse sperare e questo era Magnus. Magnus seppe, in quel momento, che lui era l'unico.

L'unico a poterlo aiutare davvero, l'unico a poterlo capire, l'unico a potergli mostrare come risalire il baratro nel quale era sprofondato.

Senza accorgersene si era ritrovato seduto fuori di casa, sul balcone, a sorseggiare il vino che la donna gli aveva regalato. Era deliziosamente dolce e soprattutto caldo mentre scendeva giù lungo la gola, bruciando pian piano e pizzicando. Da quanto tempo era lì? Da quanto tempo era tornato a casa? Non lo sapeva. Dopo che la donna se n'era andata si era ritrovato a camminare per la città per un tempo indefinito sentendo il bisogno di pensare, di riflettere e di muoversi. Temeva che se si fosse fermato avrebbe sentito la terra abbandonarlo sotto le scarpe. Alla fine, quando si sentì troppo stanco per camminare ancora, era tornato al loft e senza nemmeno rendersene conto si era portato fuori con la bottiglia di vino ed un bicchiere pulito.

Osservò il telefono con sguardo distante e triste, la foto di Alec alle prese con Church sotto gli occhi.

Si sarà comportato a quel modo anche con suo fratello quand'era più piccolo? si domandò Magnus carezzando il viso di Alec sullo schermo con il pollice, sorseggiando ancora il suo vino. Nessuno, a quell'età, avrebbe dovuto fare i conti con una simile verità. Nessuno avrebbe dovuto sopportare il dolore di una simile perdita così presto. Soprattutto non Alexander. Non. Alexander.

Il pensiero della sua espressione così trasparente e pulita lo folgorò con violenza. Non era giusto! Strinse le labbra con forza stringendo i denti fra loro, stringendo gli occhi, cercando di reprimere un urlo che gli era nato dal petto. Il pensiero dei suoi sorrisi imbarazzati, della sua tensione, della sua incapacità ad aprirsi agli altri riempì la sua mente portandolo a sentirsi investito da un profondo senso di vuoto e tristezza. Come aveva potuto non capire...? Non vedere... quando Alexander invece sembrava aver visto dentro di lui come nel fondo di un bicchiere? Magnus liberò un sospiro tremante che si palesò ai suoi occhi sotto forma di vapore biancastro.

Sentiva freddo fin dentro le ossa ma per qualche motivo non voleva rientrare, non voleva muoversi. Voleva solo rimanere lì e bere, bere per dimenticare. Bere per non pensare. Bere, bere, bere.

Ad un tratto sembrò quasi esserci persino riuscito.

La sua mente era annebbiata, l'espressione persa nel vuoto mentre la bottiglia era quasi finita e la sua testa era leggera e pesante al tempo stesso. I pensieri si rincorrevano confusi nella sua mente senza un vero filo logico mentre la memoria iniziava a giocargli brutti scherzi rievocando flash passati sotto le sue palpebre in ordine confuso e casuale. L'indomani, probabilmente, avrebbe avuto un gran bel mal di testa.

Finì di bere il resto della bottiglia e si alzò sulle gambe malferme pronto per tornare finalmente dentro, al caldo. Barcollò fino al soggiorno con la bottiglia vuota in una mano e il telefono nell'altra, poggiando la bottiglia sul bancone dell'isola della cucina. L'avrebbe gettata l'indomani. Stava dirigendosi verso la camera da letto quando il telefono vibrò nella sua mano.

Magnus si fermò e si lasciò cadere sul divano al suo fianco strizzando gli occhi per leggere quanto scritto sul display. Alexander.

Il suo cuore mancò un battito mentre si rendeva conto che lui gli aveva scritto.

Sospirando aprì il messaggio.

 

Da: Alexander Lightwood.

Buon compleanno.

 

Magnus sgranò gli occhi osservando l'orario sul display. Mezzanotte in punto.

Un nodo alla gola gli tolse il respiro.

 

A: Alexander Lightwood.

Grazie, Alexander.

Ti ha chiesto tua madre di scrivermi?

 

Da: Alexander Lightwood.

Eh? No, no. Lei non c'entra.

Cioè, voglio dire, mi ha soltanto detto che il tuo compleanno sarebbe stato domani. Cioè, oggi ormai.

 

Magnus si ritrovò a sorridere con amara tenerezza al leggere quel messaggio.

 

A: Alexander Lightwood.

E' tenero sai? Riesci a balbettare anche per messaggi.

 

Poteva perfettamente vedere, sotto le palpebre, il rossore salire alle sue gote, lo sguardo farsi imbarazzato, l'espressione accigliata e le labbra schiuse per la vergogna. Poteva chiaramente figurarselo davanti agli occhi mentre metteva il broncio e distoglieva lo sguardo per non guardarlo dritto negli occhi.

 

Da: Alexander Lightwood.

Che fai? Adesso mi prendi in giro?!

 

A: Alexander Lightwood.

Non lo farei mai.

Dicevo solo che sei tenero.

 

Da: Alexander Lightwood.

Non sono tenero.

E mi stavi decisamente prendendo in giro.

Quindi buonanotte. *emoji offesa*

 

Magnus sorrise involontariamente nel leggere quell'ultimo messaggio sentendo la stretta attorno al cuore farsi calda e dolce.

 

A: Alexander Lightwood.

Buonanotte Alexander.

E grazie per aver pensato a me.

 

Magnus non poteva sapere che, di recente, Alexander pensava sempre a lui.

   
 
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