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Autore: bittersweet Mel    15/12/2017    1 recensioni
The World è una grande città spezzata a metà, da una parte le ville e il lusso, dall'altra le palazzine malfamate e la povertà.
Roxas vive nella sua splendida casa, il giardino perfetto e una famiglia all'apparenza perfetta; Axel convive con due amici e fatica a pagare l'affitto, ma continua a coltivare il sogno di diventare un attore.
Il giorno in cui si incontreranno tutte le problematiche della grande città si fonderanno e inizieranno a farsi pian piano sempre più pressanti.
[ Axel/Roxas ]
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Demyx, Roxas, Ventus
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco, Altro contesto
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VIII

 


 
«  Signori e Signore, siamo lieti di presentare il nostro terzo e ultimo spettacolo: la Morte Bianca. »
Uno scroscio di applausi partì dalla tribuna, insieme ai fischi e le acclamazioni dell’intera sala.
I primi due spettacoli erano stati incredibili: sangue finto in scena, urla talmente vere da far accapponare la pelle, e costumi di scena favolosi.
In una sola ora di spettacolo Roxas aveva iniziato a capire cosa attirasse Axel del teatro.
Inizialmente, non appena il palco si era illuminato e i tendoni si erano sollevati, aveva applaudito insieme agli altri, un po’ scettico, ma dopo nemmeno dieci minuti si era ritrovato con gli occhi incollati al palco, il cuore che batteva forte man mano che  la storia andava avanti.
Le storie di paura erano il suo punto debole, il suo tallone d’Achille: non riusciva a non apprezzare una buona storia dell’orrore, rimaneva con lo sguardo incollato finché la vicenda non si concludeva, nel bene o nel male.
Axel aveva scelto bene, aveva capito i suoi gusti e l’aveva portato a vedere uno spettacolo davvero interessante, tre piccoli drammi inquietanti che erano riusciti addirittura a farlo irrigidire sopra la poltrona.
Perfino Axel al suo fianco era rimasto con lo sguardo incollato agli attori, in un misto di felicità e invidia facilmente leggibile nei suoi occhi.
Roxas aveva sentito il bisogno più volte di stringergli la mano e dirgli che anche lui, un giorno, sarebbe stato lì sopra.
Aveva desistito a fatica, infilzando con le unghie la pelle rigida della poltrona, prima di tornare a guardare lo spettacolo.
E ora eccoli lì, all’ultima esibizione, una storia ambientata nella Scozia rivoluzionaria, dove una piccola bambina veniva ritrovata uccisa in un bosco e misteriosamente ogni membro della sua famiglia moriva dolorosamente, gli arti amputati da una forza sovrannaturale.
Il palco aveva cambiato totalmente aspetto, con il fumo grigiastro che volteggiava ai piedi del soppalco, uscendo dalle bocchette appositamente nascoste dai finti cespugli sintetici; i dipinti sullo sfondo mostravano una foresta cupa e buia, la luna illuminata dalle luci fuori scena che appariva come un’enorme palloncino pallido, gli alberi che come alti scheletri oscuri lanciavano lunghe ombre verso il pubblico.

«  Ora vorremmo portarvi nei meandri di un tempo passato, in una Scozia fredda e solitaria; le campagne infinite, i boschi oscuri e pieni presagi. Signori e signore, chiudete gli occhi per un secondo, immergetevi nel freddo pungente della notte, nei suoi rumori tetri come sussurri, e preparati a vivere insieme a noi quest’ultima piccola, terrificante, avventura.»
Nel silenzio della sala la voce di Luxord risuonò cupa così come da copione, accompagnata dall’ululato del vento e dallo scricchiolio delle foglie.
Roxas accennò ad un sorriso ammirato, sporgendosi verso Axel l’istante dopo.

«  Sono proprio bravi, non credi? »
L’altro ragazzo annuì, guardandosi intorno come se l’intera sala facesse parte dello spettacolo, poi tornò a voltare il capo verso Roxas.
Si fece ancora più vicino, così da non disturbare l’uomo che sedeva accanto a lui con le loro chiacchiere.
Axel l’aveva sentito già ben due volte schiarirsi la voce con fastidio, così decise che era meglio non minare troppo la sua sopportazione.

«  Devono aver sistemato le casse in tutta la sala. Senti il vento? Sembra di avercelo nelle orecchie. »
Roxas annuì, muovendo leggermente il capo, ascoltando il fischio dell’aria, come se dentro al teatro ci fosse qualche spiffero.
L’aria nella piccola sala era tiepida, senza neanche un fiato di vento, eppure sembrava di essere seriamente nella foresta che si trovava davanti ai loro occhi.
C’era addirittura il rumore dei passi, lo scricchiolio dei rami secchi sotto le suole, l’eco lontana di un ululato.
Roxas si strinse leggermente nelle spalle, come se fosse lui il ragazzino perso nella foresta, non l’attrice che camminava con circospezione sopra al palco.

«  Mi piacciono queste storie, sono inquietanti.»
«  Ti piacciono oppure ti inquietano?», si informò Axel, puntualizzando, appoggiando il peso contro al bracciolo sinistro, così da potersi sostenere lì, accanto al biondo.
Roxas non ci pensò su molto, prima di rispondere.

«  Sia l’uno che l’altro. Mi inquieta, ma mi piace un sacco », era piacevole sentire la paura scorrere nel corpo, farlo fremere d’adrenalina, e poi ritornare nel mondo reale e ricordarsi che era stata tutta una finzione, «  ti fanno paura queste cose? »
Axel accennò ad un singolo sorriso, sbattendo un paio di volte le palpebre prima di rispondere; poi si passò la mano tra i capelli, spettinandoli leggermente.
«  Quello era il vecchio Axel, adesso non mi fanno né caldo né freddo, lo giuro », gli uscì una risatina leggermente stridula, incerta, che obbligò Roxas a soffocare una risata.
«  Certo, come no », iniziò il biondo, punzecchiandolo leggermente, «  Sei hai ancora paura puoi anche ammetterlo. Scommetto che tremerai come un bambino una volta finito lo spettacolo. »
Axel sbuffò, muovendo una sola volta la testa a destra, così da dare una leggera zuccata a Roxas. Non troppo forte da fargli male, ma con un colpo abbastanza deciso da fargli pulsare la tempia per qualche secondo.
Ignorando la lamentela dell’altro tornò a parlare.

«  Se mai mi vedrai tremare dalla paura allora vorrà dire che sarà arrivato il momento di ucciderti. Dovrai portarti quel ricordo nella tomba, Rox, perché nessun altro dovrà mai saperlo. «»
Il biondo ruotò gli occhi al soffitto, prima di voltarsi verso il palcoscenico.
Lo spettacolo stava andando avanti e senza volerlo, ancora una volta, ne aveva perso un pezzo.
Axel lo distraeva di tanto in tanto, e così altre volte faceva Roxas.
Spuntavano fuori alcune scene impossibili da non commentare, altre talmente ben fatte da lasciarli senza fiato per qualche secondo, ma non riuscivano a rimanere in silenzio troppo a lungo.
Immancabilmente si ritrovavano ad avvicinare il volto, ricercandone l’attenzione, finché non scivolavano lentamente verso il profumo dell’altro.
Lo spettacolo durava poco e via via che le scene correvano sopra al palcoscenico, man mano che la musica aumentava, i suoni si facevano più cupi, Axel e Roxas scivolavano sempre di più contro al bracciolo che li divideva.
Intorno a sé Roxas sentiva le donne trattenere il respiro, gli uomini respirare tranquillamente, qualche bambino portato a teatro dai genitori scalciare contro la poltrona di fronte oppure strillare di tanto in tanto, ma nonostante tutto l’attenzione di Roxas non vacillava nemmeno un po’.
Peccato che la sua concentrazione non fosse più sullo spettacolo: gli occhi erano scivolati a destra, verso Axel, e ne guardavano il profilo in ombra, la forma sfumata nel buio della sala, il colore dei capelli che appariva più bruno che rosso.
Lo spettacolo era solamente il sottofondo, le voci degli attori dei suoni lontani che non riusciva ad interpretare.
Ora che guardava Axel, lì a pochi centimetri da lui, non riusciva a non pensare a quanto fosse bello.
Bello, semplicemente.
Con la camicia a maniche corte sgualcita, i pantaloni larghi con le borchie, gli anfibi troppo pesanti da indossare in una giornata estiva; era bello per come si vestiva, per come parlava, per il naso affilato e le labbra sottili, per gli occhi verdi e i capelli rossi.
Immediatamente Roxas sentì il cuore battergli direttamente in gola, un tum-tum talmente assordate da fargli fischiare le orecchie.
Era la prima volta che si rendeva conto di quanto fosse bello Axel, quanto fosse felice di averlo incontrato.
Se solamente un mese prima non fosse andato a quella festa, ora, chissà dove sarebbe stato.
Forse chiuso in camera sua, a leggere un libro, a struggersi sopra pagine e pagine di storie incomplete.
Non sarebbe di certo stato lì a teatro, felice di aver abbandonato la sua vecchia vita.
Felice di essere vicino ad Axel.
Ancora una volta il cuore tornò a tormentargli le orecchie.
Il corpo sembrava non rispondere più ai suoi comandi: la bocca secca, un nodo alla gola, le mani che sudavano, il petto che fremeva.
Roxas socchiuse gli occhi e respirò lentamente, chiedendosi cosa ci fosse che non andava in lui.
Era lì per vedere uno spettacolo, eppure l’unica cosa che guardava era Axel?
Il biondo abbassò del tutto le palpebre e trasse qualche profondo respiro, finché non sentì la mano dell’altro stringersi attorno alla sua.
Allora gli occhi tornarono vispi e accesi, sopra al volto di Axel.

« Tutto bene? », il fulvo parlò a bassa voce, con lo sguardo preoccupato e la fronte leggermente corrugata.
Perfino nel buio della sala Roxas riuscì a vedere gli occhi verdi rilucere di timore.
Il biondo si limitò a scuotere la testa, perché non c’era nulla che non andasse, andava tutto bene.
Roxas deglutì a fatica, senza perdere il contatto visivo con Axel.
Non poteva staccare gli occhi da lui nemmeno volendo; era troppo vicino, così vicino …
Il biondo non riuscì a controllare il proprio corpo e la propria mente.
La mano stretta dalla presa di Axel si mosse lentamente, e non appena il fulvo abbassò lo sguardo per osservare le loro dita intrecciate, Roxas si sporse in avanti.
Chiuse gli occhi, mentre le labbra sfioravano delicatamente la bocca di Axel.
Per qualche secondo nessuno dei due si mosse, le labbra vicine, i respiri incatenati, finché Roxas non trasse un sospiro profondo e si allontanò.
Il ragazzo sentiva il volto in fiamme, le orecchie bollenti, ma nulla a che vedere con l’espressione esterrefatta di Axel: gli occhi sgranati, le labbra ancora socchiuse e l’espressione incredula.
Roxas avrebbe tanto voluto dirgli qualcosa – anche se non sapeva esattamente cosa- , ma non aprì bocca.
Axel al suo fianco si rilassò ugualmente, le labbra che si stendevano in un sorriso e le dita che tornavano sulla mano del biondo.
Non parlò nemmeno lui, anche se la sua mente gli stava urlando tante e più cose; rimasero in silenzio a guardare lo spettacolo, le mani unite e i volti accaldati.


 
***
 
 
 
La mano di Roxas è sudata, considerava Axel lungo la strada.
Era calda e sudata, stretta nella sua.
Camminando fianco a fianco verso il westside le loro mani si erano avvicinate lentamente, finché le dita non si erano sfiorate.
Allora un leggero velo di imbarazzo infantile era calato su entrambi per qualche secondo fino a quando la mano del fulvo non si era decisa a stringere quella dell’altro.
Piano, con delicatezza, come se stesse sfiorando i petali di un fiore.
Lì Axel era arrivato alla conclusione che la mano di Roxas era sudata e calda, ma non per questo sgradevole.
Il maggiore non sapeva spiegare esattamente cosa fosse successo dal teatro in poi, la sua mente vagava confusa tra i tutti i pensieri che l’affollavano.
C’era il ricordo delle labbra di Roxas sulle proprie, indelebile sulla pelle come un tatuaggio, poi le voci degli attori che li circondavano, fino ad arrivare a quella lunga camminata silenziosa.
Di tanto in tanto Axel aveva gettato qualche occhiata al suo fianco, indeciso se parlare o meno, ma l’espressione pensierosa dell’altro l’aveva fatto desistere a lungo.
Roxas non sembrava seccato oppure pentito, semplicemente camminava al suo fianco, mano nella mano come se niente fosse, con un’espressione sì pensierosa, ma al tempo stesso felice.
“Perché mi ha baciato?”
“ Posso rifarlo?”
“Gli piaccio oppure no?”

La testa di Axel sembrava sul punto di esplodere, così come le labbra assottigliate per impedirgli di parlare e tempestare di domande l’altro ragazzo.
Era stupido rivolgersi a Roxas in quel momento, forse il biondo aveva solo bisogno di tempo per pensare.
, concorda Axel con se stesso, solo del tempo per mettere le idee in chiaro.
Allora avevano continuato a camminare nel silenzio della sera, senza dire una sola parola, finché Roxas non aveva finalmente aperto bocca.

«  Siamo arrivati. »
Axel si allontanò forzatamente dai propri pensieri per ritornare sulla Terra, dove il cartello “ Villaggio del Sole” indicava la via dove abitava Roxas.
Si guardò attorno, osservando le villette meravigliose che si trovavano lungo la via.
Poi si voltò verso il biondo, accennando un sorriso.

«  Facciamo cambio di casa? »
Il ragazzo ruotò gli occhi al cielo e strinse un po’ di più la mano in quella di Axel, conficcando le unghie sopra al dorso.
Nonostante il gesto quasi stizzito, Axel riuscì a compiacersi del leggero rossore sopra le guance del più piccolo.

«  Se vuoi vivere con mia madre e mio fratello accomodati pure, sono uno spasso. »
Axel schioccò le labbra, continuando a guardare le varie villette e i giardini perfettamente curati.
Alcune case avevano addirittura delle statue in giardino come addobbo; cristo, Axel avrebbe venduto un rene per potersi permettere una statua greca, e magari anche un giardino dove mettercela.

«  Potrei sopportare di tutto per una casa del genere. »
Roxas lo strattonò leggermente in avanti, così da fargli aumentare il passo e raggiungere l’ingresso di casa sua.
Non era molto distante dall’inizio della via, ma Axel camminava talmente piano che quel breve tragitto durò interi minuti.
Il fulvo era intento a guardare ogni villa, ogni giardino, ogni singolo oggetto lussuoso che tanto desiderava per sé.
Come la piscina! Quella casa aveva una splendida piscina!

«  Davvero, direi addio a Demyx e Zexion anche sta sera in cambio di una macchina del genere », disse poco dopo Axel, indicando un’automobile sportiva parcheggiata proprio di fronte alla villa di Roxas.
Il biondo scrollò le spalle, non era affatto interessato al denaro, forse perché era cresciuto tra gli sfarzi di una vita agiata.
Al suo fianco Axel continuava a borbottare su quanto gli sarebbe piaciuto avere una macchina, specialmente una costosa e con molti cavalli.

«  Se ti volti da questa parte puoi anche guardare casa mia », gli disse poco dopo Roxas, sbuffando una mezza risata nel vedere l’espressione euforica del maggiore.
Sembrava un bambino davanti ad un pacchetto di caramelle.
Axel si lasciò sfuggire un “ wow”, mentre squadrava da vicino la casa del biondo.
L’aveva vista da lontano una sola volta, quando aveva riaccompagnato Roxas a casa una sera, ma non si era mai addentrato lungo l’intera via, e non era di certo mai stato all’ingresso del giardino.
Era un passo importante, nella mente di Axel; sembrava un primo appuntamento vero e proprio, dove si erano scambiati un bacio un po’ impacciato, poi si erano tenuti per mano e infinite andavano a casa insieme a preparare da mangiare.

« Potrei anche abituarmici, ad una vita del genere », borbottò con un mezzo sorriso, mentre faceva largo a Roxas.
Il biondo continuò a guardarlo con quel mezzo sorriso divertito sopra le labbra e poi aprì il cancelletto.
Axel lo seguì a ruota, osservando il giardino ber curato, l’erba ancora bagnata dalla recente annaffiata, e infine l’intera casa.
Alta e maestosa, bellissima come poche case avesse avuto l’occasione di vedere.
A Radiant Garden le “ville” erano diverse, assomigliavano più a vecchie case d’epoca, un po’ rovinate e usurate, non di certo a quelle piccole regge in miniatura.

«  Se ti muovi riusciamo a cuocere gli spaghetti in tempo, non ho idea di quanto ci voglia», lo rimbeccò Roxas, già alla porta di casa che trafficava con le chiavi.
Axel abbandonò con sommo dispiacere il giardino e lo raggiunse davanti all’uscio, guardando il mazzo  che tintinnava tra le mani dell’altro.

«  A che ti servono tutte quelle chiavi? »
Roxas scrollò le spalle, infilando quella giusta nella serratura; mentre girava la chiave nella toppa, riprese a parlare, «  vediamo … una è per la casa, l’altra per il garage, una per il motorino, una è per l’armadietto di scuola, poi c’è quella della cassetta della posta e ah, già, anche quella di mia nonna.»
«  D’accordo, d’accordo, puoi aprire l’intera città, ora non vantartene troppo », lo derise il fulvo, dandogli una leggera spallata quando l’altro aprì la porta, «  ok, wow, dentro è ancora più bella. »
Axel se ne rimase fermo all’entrata, guardandosi intorno come se si trovasse su un set cinematografico, piuttosto che in una vera casa.
Roxas al suo fianco scrollò le spalle. Per lui non c’era niente di fantastico o emozionante, era cresciuto in case belle come quella, era abituato alla paghetta settimanale e al lusso. A lui stupivano gli oggetti vecchi e logori, i posti disabitati e le vecchie rovine.

«  Quello è un vero candelabro? Ti prego, dimmi che è fatto di diamante.»
Roxas sollevò il capo, proprio dove il dito di Axel indicava, e poi sbuffò dal naso.
Appoggiò a terra la tracolla e girò attorno al fulvo, appoggiando entrambe le mani sopra le sue spalle per spingerlo a camminare.

«  No, ovviamente sono Swarovsky. Solo nei film ci sono candelabri del genere. Sarebbe un vero spreco di soldi farlo tutti di diamante.»
Axel soffiò ugualmente un “ ooh”  ammirato, lasciandosi guidare verso la cucina da Roxas.
Anche lì il maggiore rimase per un po’ a guardarsi intorno, storcendo il naso al pensiero che la cucina dell’altro fosse sì e no grande come metà della sua casa.
Poi seguì gli ordini perentori di Roxas – impartiti addirittura con un gesto secco delle mani- e si sedette sopra la sedia, incrociando le braccia sopra al tavolo.
Per qualche secondo osservò il biondo alle prese con la pentola e la scatola di spaghetti, poi sorrise leggermente al ricordo che nessuno dei due era un cuoco poi così portato.

« Non c’è tua madre o tuo fratello, allora? », domandò poco dopo, con gli occhi verdi che seguivano i movimenti di Roxas lì affianco.
Il biondo scrollò le spalle e si voltò, abbandonando a se stessa la pentola dietro di sé.
Ne mancava di tempo prima che l’acqua bollisse.

«  Ven è via con dei suoi amici e mia mamma …», si fermò, osservando la porta della cucina socchiusa, «  credo sia su di sopra », e sperava vivamente che ci rimanesse, anche se era quasi ora di cena e prima o poi sarebbe scesa a prendersi almeno qualcosa da bere.
Roxas contava di aver già finito di cenare entro un’ora prima di vedere Naminé scendere le scale in cerca di qualche alcolico pesante.
Axel, vedendo il volto dell’altro leggermente a disagio, si schiarì la voce e si alzò dalla sedia.

«  Non fare quella faccia, se continui così sarò costretto a fare qualcosa per levarti quel broncio», cominciò a parlare, avvicinandosi al biondo con un mezzo sorriso.
Roxas ricambiò lo sguardo, le guance leggermente più rosse del normale e le braccia che si incrociavano davanti al petto.

«  Ah sì? Tipo cosa? », gli domandò con una certa arguzia che fece aumentare il sorriso di Axel.
Dio, come se non lo sapesse!
Axel impazziva ogni volta che vedeva quell’espressione in volto a Roxas, quegli occhi arzilli e saccenti, le labbra che si incurvavano in un sorrisetto provocatorio.
Forse era solo un gioco, uno scambio di battute come tutte le altre volte, ma Axel si fece avanti ugualmente.
Le mani del fulvo scivolarono verso il volto dell’altro, le dita corsero subito ad accarezzare le guance bollenti.

«  Non lo so, pensavo innanzitutto di far sparire quella sottospecie di broncio, non ti dona affatto », iniziò a dire, lasciando scivolare le mani verso i fianchi di Roxas.
Il biondo serrò appena le labbra, irrigidendosi un poco, senza però scostarsi o cacciare via l’altro.
Axel lo prese come un buon segno.
Le mani strinsero leggermente di più la carne dell’altro, sentendo il calore della pelle sotto la maglietta leggera.

«  La mia faccia non cambia tanto facilmente », ribatté a bassa voce Roxas, indeciso perfino se parlare o meno.
Parlò solamente per non rimanere in silenzio, solo per spezzare l’imbarazzo che si sentiva premere addosso.
Axel scrollò le spalle, chinando lentamente il capo verso il basso.

«  Io potrei farla cambiare tutti i giorni », disse, socchiudendo gli occhi, il cuore che prendeva a battere talmente forte nel petto da fargli mancare il fiato, «  ogni giorno », continuò, la gola secca e la sensazione di essere tornato indietro nel tempo, alla sua prima cotta.
Roxas se ne stava fermo contro al lavello, gli occhi incollati a quelli di Axel, l’espressione neutra, il volto bollente.
Solamente le labbra si erano schiuse appena, in un invito troppo stuzzicante per poterci rinunciare.
Axel si chinò verso la bocca di Roxas in un impulso impossibile da trattenere.

«  Che diavolo state facendo!? »
La voce di Naminé risuonò come il rintocco di una campana, riuscì ad immobilizzare l’intera scena, pietrificando sia Axel che Roxas.
Entrambi voltarono il capo verso la donna, il biondo con gli occhi sgranati ed Axel con talmente tanta mortificazione in corpo che sarebbe voluto morire lì sul colpo.

«  Io non … scusi signora, stavo solo scherzando un po’», provò a parlare Axel, allontanandosi subito da Roxas con uno scatto, prima di scuotere la testa e guardare altrove.
Tutto, tranne che gli occhi furiosi della donna e il suo viso paonazzo.
Naminé ignorò le parole del fulvo, mentre gli occhi dardeggiavano verso suo figlio.

«  E’ per questo che non torni a casa? E’ per lui che te ne stai in giro tutto il tempo in quello schifo di posto?«», Roxas aprì la bocca, ma Naminé lo precedette, «  Sì, sì, lo so dove vai, in che razza di posti vai. Nel east side, in quella … quella fogna! »
«  Mamma », provò a parlare nuovamente Roxas, ora il volto congestionato non più dall’imbarazzo, ma dalla rabbia, «  è la stessa città, è sempre The World, non cambia niente! »
«  Cambia tutto Roxas, tutto », la donna scosse il capo, gli occhi lucidi. Naminé si passò la mano sopra il volto, indietreggiando leggermente, «  guarda le persone che ci sono lì, guarda cos’hanno fatto al mio bambino. »
Axel si sentì talmente a disagio da sentire il bisogno di correre via da lì il prima possibile.
Il volto della donna sembrava sul punto di spezzarsi, gli occhi lucidi e prossimi alle lacrime.
Per non parlare degli sguardi che aveva lanciato poco prima ad entrambi!
Axel sentiva i sensi di colpa scavargli nello stomaco. Era stato lui a provarci con suo figlio, aveva tutte le ragioni del mondo per disprezzarlo.

«  Mamma, ascoltami, davvero …», Roxas ancora provava a parlare con lei, ora si era anche avvicinato di qualche passo, lo sguardo leggermente più apprensivo, «  non centra niente che sia nella parte est oppure ovest, la città non cambia affatto. Io sono sempre io, ovunque sia. »
La mano della donna si mosse così velocemente che Roxas non riuscì ad evitarla.
Ciaff.
Il suono rimbombò per tutta la cucina, trascinandosi dietro qualche secondo di silenzio.

«  Sta’ zitto ora e va’ in camera tua. Tu non sei così, tu non vai in giro con straccioni del genere e non baci i ragazzi! »
A quell’ultima frase Axel si sentì avvampare talmente tanto che nascose il volto dietro la mano destra.
Fece un passo avanti, abbassando il capo.

«  Mi dispiace, ora me ne vado, capisco che … non importa, io, ecco, mi dispiace », si morse la lingua nel parlare, il capo chino e l’intero corpo che supplicava la resa.
Sentiva il cuore in gola, il corpo teso e sudato come se avesse corso per miglia e miglia senza fermarsi.
Sotto sotto, d’altronde, sentiva lo stomaco contrarsi all’idea di andarsene e lasciare lì Roxas, di andarsene via senza difendere né lui, né i sentimenti che provava.
Ma cosa poteva fare?
Axel guardò Roxas tristemente, l’altro ricambiò lo sguardo, quasi supplichevole.
Era minorenne, ed Axel non avrebbe dovuto essere lì.

«  Mi scusi per il disturbo, mi scusi », si scusò ancora una volta, cominciando ad incamminarsi verso l’uscita, mentre la voce di Roxas gli raggiungeva le orecchie, insieme al suono della porta della cucina che sbatteva.
Axel corse praticamente via, fuori dalla porta di casa, lungo il giardino, senza pensare nemmeno un secondo alla possibilità di tornare indietro e portarsi Roxas con sé.
Non fece nulla, la codardia lo fece solamente correre verso il cancello d’uscita, dove andò a sbattere contro un volto talmente famigliare da fargli contrarre le budella.
Roxas,  pensò subito, ma non appena incrociò gli occhi straniti del ragazzo a terra, si diede dell’idiota.  Roxas era in cucina.
Senza dire nemmeno una parola lasciò Ventus contro il marciapiede, riprendendo a camminare velocemente lungo la via del Villaggio del Sole.









***
Bene, bene, bene.
Si avvicinano le vacanze natalizie e il prossimo aggiornamente dovrebbe cadere proprio il giorno di Natale, quindi temo che salterò di una settimana, sì, mi prenderò una settimana sabbatica.
QUINDI, visto che per Natale non sarò qui ad ammorbare EFP con questa storia, ho messo un piccolo regalo in questo capitolo. Un piccolo ed innocente bacino da bambino piccino picciò.
Bravo Roxas, stai migliorando.
E ora come di consueto: LE DOMANDE!
1) Perché Axel non ha messo la lingua?
2) Quanto è ricco esattamente Roxas?
3) Naminé è davvero stronza oppure ha solo paura per i propri figli?
4) Ventus come reagirà alla vista di sexy Axel che lo sbatte a terra?

Al prossimo capitolo che, ahimé, arriverà tardi.
( Ps: la storia che racconta Luxord all'inizio è una vera leggenda davvero molto, molto carina, andate a leggervela ;c )

 
   
 
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