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Autore: Vago    16/12/2017    3 recensioni
Questo mondo è impazzito ed io non posso farci nulla.
Non so cos'hanno visto in me, ma non sono in grado di salvare chi mi sta vicino, figurarsi le centinaia di persone che stanno rischiando la vita in questo momento.
Sono un allenatore, un normale allenatore, non uno di quegli eroi di cui si parla nelle storie sui Pokémon leggendari.
Ed ora, isolato dal mondo, posso contare solo sulla mia squadra e sulle mie capacità, nulla di più.
Sono nella merda fino al collo. No, peggio, sono completamente fottuto.
Non so perchè stia succedendo tutto questo, se c'entrino davvero i leggendari o sia qualcosa di diverso a generare tutto questo, ma, sicuramente, è tutto troppo più grande di me.
Hoenn, Sinnoh, due regioni in ginocchio, migliaia di persone sfollate a Johto dove, almeno per ora, pare che il caos non sia ancora arrivato.
Non ho idea di come potrò uscirne, soprattutto ora che sono solo.
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Rocco Petri
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Videogioco
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­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­La sirena continuava a cantare la sua nenia incessantemente, accompagnata dal ritmico accendersi e spegnersi della lampadina rossa del sistema di allarme della stanza.
Le linee curve sul monitor si erano fatte più spesse e definite, accostandosi le une alle altre per formare una serie di cerchi quasi perfettamente concentrici che cercavano di chiudersi sul Monte Camino.
- Quindi? – chiesi cercando di controllare il tono della mia voce, mentre osservavo il monitor che mi stava di fronte – Cosa sta succedendo là fuori? –
- Non lo so. – mi rispose Mary, tornando dietro la tastiera che aveva utilizzato fino a poco prima – Nessuno dei dati che sto ricevendo ha senso. Alcuni parametri sono associabili a un campo elettromagnetico, altri a uno gravitazionale, avvicinandosi al centro sembra che ci sia una dilatazione temporale dovuta a… qualcosa. Se non sapessi che è impossibile, vi direi che si è appena creato un buco nero stracolmo di elettricità sopra la bocca del vulcano. –
- Un buco nero? – ripetei borbottando, mentre la mia mano destra saliva meccanicamente per tamburellare sulla superficie candida del gesso – Rocco, sai qualcosa di esperimenti a riguardo? –
- Assolutamente no. Lo spazio è campo di ricerca della stazione missilistica di Verdeazzupoli. Non credo però che sia il caso che saliate là in cima, adesso. Se l’intensità dei campi è quella, potreste rimetterci la vita. –
- Non abbiamo molte altre possibilità. – gli risposi senza voltarmi – Davvero non sai nulla sul progetto Iride? Non potrebbe essere collegato? –
- Te l’ho detto, non so nulla a riguardo. Se, però, tutti i ricercatori che erano coinvolti sono morti, dubito che possa essere lui la causa, era agli albori quando cominciarono a scomparire le persone che ci stavano lavorando. –
Mi inumidii le labbra, cercando di riflettere.
Cosa poteva essere il progetto Iride?
Probabilmente aveva a che fare con il legame tra un leggendario e il suo Custode. A questo punto mi viene da pensare che cercassero di ricrearlo anche con tutti gli altri pokémon. Quelle onde potrebbero essere provocate da qualcuno che cerca di legarsi e controllare ogni pokémon esistente.
Devo tenere a bada i miei, in questo caso.
Se, invece, le ricerche che facevano in questo posto non c’entrano nulla con questo casino, non ho idea a cosa sto andando incontro.
Noi siamo in quattro in condizioni di combattere.
Non sono così coglione da pensare di potermi portare dietro questi due moribondi, si tengono appena in piedi e avrebbero bisogno di un paio di settimane di fisioterapia per tornare ad essere in condizioni decenti.
Abbiamo anche due leggendari dalla nostra, per quanto questa cosa possa valere.
Mi chiedo se l’allenatore che mi ha attaccato nell’Antro Abissale sia il capo a cui si riferiva Jacob o un altro.
Spero solo di non trovarmi una schiera di allenatori pronti a farmi la pelle, quando arriverò là in cima.
Merda.
Mi passai una mano tra i capelli sporchi.
- Teniamo d’occhio i pokémon, nel caso comincino a comportarsi in maniera strana. – dissi alla fine.
Mi voltai verso l’allenatore e il ranger, visibilmente disorientati dalla frenesia che li aveva avvolti.
- Voi due, ve la sentite di rimanere qui per proteggere gli altri feriti? –
I due si guardarono spaventati, accennando dei cenni di assenso con il capo.
- Ottimo. Noi dobbiamo invece metterci in marcia. –
- Nail, fermati un attimo a pensare. – mi disse Rocco, facendo un passo verso di me – Non sappiamo nulla a riguardo, se si fosse davvero generato un fottuto buco nero, là sopra, rischieremmo di morire senza concludere nulla. –
- Qual è il tuo piano, allora? Stare qui a pregare che non ci succeda nulla? –
- No. Io propongo di aspettare fino a domani mattina, in modo da vedere come si evolve la situazione. –
- Nail, detesto ammetterlo, ma il suo piano potrebbe avere un senso. Se si è appena formato qualcosa, là sopra, sarà certamente instabile, quindi più pericoloso. Lasciamogli queste quindici ore per assestarsi, poi andremo a vedere cosa possiamo fare per metterci una pezza sopra. –
Dannazione!
Il mondo sta finendo e mi dicono di aspettare e stare a guardare quello che succederà.
Si renderanno conto della situazione?
Forse meglio di me.
Non lo so, forse sono stato troppo impulsivo, forse hanno davvero ragione loro.
Forse.
- Va bene, aspetteremo. Ma domani vi voglio pronti per qualsiasi cosa ci sia là sopra, stabile o instabile che sia. –
Io volevo solo la mia tranquilla vita da allenatore, non dover fronteggiare buchi neri o quel che è quello schifo.
- Rocco, non hai dei contatti sicuri, là fuori, vero? –
- No. Ho tagliato i ponti con chiunque. –
- Non importa. – sospirai – Riposiamoci finché possiamo , non voglio crepare domani perché uno di noi è troppo stanco. –
Sentivo dentro una rabbia bruciante.
Mi rendevo conto che aspettare era la cosa giusta da fare, ma non avevo più voglia di vedere ogni mattina il sole sorgere su maremoti ed eruzioni. Volevo solamente mettere un punto definitivo a quel merdoso viaggio in cui mi avevano fatto imbarcare.
Mi diressi a passo veloce verso il macchinario ospedaliero della stanza vicina, aggirandolo per raggiungere i cassetti che gli stavano sotto.
Tirai quello blindato, dove sapevo esserci riposta la sfera del mio pokémon volante, rivelando il piccolo tastierino numerico che lo teneva bloccato.
Qual era il codice, maledizione?
4621, provai a digitare, ottenendo in risposta un lampeggio rosso del monitor su cui erano comparsi i numeri.
Maledizione. Eppure mi sembra fosse una cosa del genere.
Forse era questo… 4611.
La luce che si accese fu verde, accompagnata dallo scatto metallico di una serratura che si apriva per me.
Aprii completamente il cassetto di spesso metallo, prendendo da dentro la sfera consumata che, rotolando, pareva volersi avvicinare a me.
Me lo sarei portato dietro da lì fino alla fine di quel viaggio, decisi. Poco importava che nemmeno un revitalizzante sarebbe bastato per farlo tornare in grado di combattere.
Tornai quindi nel dormitorio, offrendo solamente un rapido sguardo ai ragazzi che ancora non si erano svegliati, per raggiungere il mio letto.
Non mi sentivo particolarmente stanco, ma il solo pensiero che avrei potuto passare le successive notti in bianco era sufficiente per farmi desiderare quel materasso.
Il mattino successivo sarebbe stato sicuramente decisivo, in qualche modo.
I miei pisolini vennero interrotti solo per i magri pasti che mi vennero portati, cucinati con le poche provviste non scadute che Karden aveva trovato nelle case vuote di Ciclamipoli.

Mi decisi ad alzarmi definitivamente poco prima del sorgere del sole.
Ciclanova era silenziosa, come un reliquario. Non riuscivo a distinguere i ragazzi sedati da quelli che si erano rimessi, tanta era l’immobilità del sonno che li aveva ancora tra le sue braccia.
I neon sopra la mia testa erano spenti, lasciando la stanza avvolta nel flebile bagliore dovuto alle luci di emergenza azzurre.
C’è silenzio.
C’è troppo silenzio.
Dov’è la fottuta sirena?
E le luci? Perché diavolo sono spente?
Cazzo.
Diedi due scrolloni a Mary, rischiando di farla cadere dal suo giaciglio.
- Alzati. – le dissi. – Qualcosa non va. –
Diedi lo stesso trattamento a Karden, che riposava scompostamente nel letto più vicino alla porta che ci fosse.
Il laboratorio A era silenzioso, avvolto da una malsana luce verdastra proveniente dal sistema di sicurezza che manteneva attive le due capsule in cui galleggiavano Hasi e quell’altro allenatore.
Merda. Merda. Merda.
Lo schermo del laboratorio B era buio, privo di quella mappa che ci aveva mostrato fino ad allora.
Merda.
Fui preso dalla foga, gettandomi contro la porta successiva.
Il campo da combattimento del laboratorio C era a malapena visibile per terra.
Corsi contro l’ultima porta, spalancandola malamente.
Alle mie spalle cominciarono a levarsi i primi borbottii, segno che anche gli altri stavano metabolizzando la situazione in cui ci trovavamo.
Il generatore era immobile. Un ammasso di inutile ferraglia che occupava un’intera stanza.
Sentivo il cuore martellarmi nel petto come un martello pneumatico.
Mi avvicinai con passo pesante al grosso bottone d’accensione del macchinario.
Il generatore era stato spento.
Perché?
Premetti con forza il pulsante, facendo avviare il rotore.
Una decina di sirene urlanti mi trapassò il cranio con il loro suono lamentoso che permeava tutte le pareti.
Corsi sui miei passi, cercando di proteggermi le orecchie con quell’unica mano che riuscivo a sollevare.
- Mary! Mary! – urlai disperato aprendo l’ultima porta che mi separava dal laboratorio A – Spegni questo schifo! –
- Ci sto lavorando! – mi rispose rabbiosa mentre passava da una tastiera all’altra, battendo rapida una sequenza si password e nomi utenti in decine di campi sul altrettante finestre aperte.
Mi cominciarono a lacrimare gli occhi.
Non ce la facevo più a sopportare quel suono, a stento riuscivo a sentire i miei stessi pensieri.
Quando le sirene si spensero, un fischio rimase a rimbombarmi sul timpano.
- Che cos’era? – chiese in preda al panico Karden avvicinandosi con Darkrai al seguito al bancone.
- L’allarme di manomissione dell’ingresso. –
- L’abbiamo aperto decine di volte, perché dovrebbe essere scattato adesso? – protestai, infastidito dall’acufene che ancora mi assillava.
- Non è un antifurto che suona se qualcuno forza l’ingresso. È un allarme salvavita. Deve essere successo qualcosa all’impianto elettrico o alla struttura dell’ingresso, non sarebbe scattato altrimenti. Il tuo amico? Che fine ha fatto? –
- Il mio amico? Rocco? Sarà in giro che… - mi bloccai.
Non avevo visto Rocco, quella mattina.
Possibile che lui ci avesse traditi?
Sperai vivamente di no. Sperai che fosse solo una coincidenza, quella.
Ci precipitammo tutti e tre verso l’ingresso, superando la segreteria e risalendo il lungo corridoio che ci separava dalla superficie.
 Mi arrestai solamente quando, davanti a noi, si parò la serranda che ci divideva dal mondo.
Il metallo era stato fuso da un calore decisamente troppo elevato, al punto che le listarelle splendenti, colando, si erano fuse le une alle altre, andando a creare un’unica parete con l’unico scopo di ostacolare il nostro passaggio.
Per terra, ad attenderci, c’era una pagina strappata da un qualche manuale utente di un macchinario di quel posto, su cui qualcuno aveva tracciato poche parole.
- Voi bambini non dovreste giocare con queste cose. Lasciate che siano gli adulti a risolvere la situazione. – lessi ad alta voce.
Cazzo, mi ha fottuto!
Perché?
Perché la mia strada deve essere costellata di stronzi?
- Prepariamoci a partire. Non voglio perdere altro tempo qui.- dissi, rivolgendomi ai due Custodi.
   
 
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