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Autore: Riziero Ippoliti    16/12/2017    1 recensioni
La storia è ambientata un'Italia popolata dai discendenti dei sopravvissuti ad una, oramai antica, guerra nucleare.
Genere: Azione, Science-fiction, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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III
 
Alcuni piani più in basso rispetto alla residenza imperiale, c’era un altro appartamento, costruito intorno ad un grande ambiente. Un ampio salone che sembrava esser stato arredato prima del Grande Incendio. I mobili erano tutti antichi, e rifiniti con decorazioni floreali. Il pavimento, se visto in contro luce, era pieno di crepe ed abrasioni, segno dei tanti piedi che per più di un secolo lo avevano calpestato. Le pareti erano ricoperte da una carta da parati da parati bruna con gigli e fiori intrecciati fra loro.
Appeso ad una parete, vi era un grande televisore al plasma, che stonava con l’arredamento datato della sala. Il televisore era acceso, ed era sintonizzato su un telegiornale. Dalle casse non proveniva alcun suono, in quanto l’audio era stato disattivato.
Di fronte al televisore, al centro della sala c’era un grande divano rivestito di tessuto bianco. E lì stava seduta una giovane ragazza con i capelli di un biondo ramato, che le ricadevano mossi in ciocche arancioni, fin sotto le spalle. Aveva il viso picchiettato di efelidi. Indossava un paio di leggins attillati, e una canottiera bianca.
Su un piccolo piedistallo era posto una spartito, ed ella reggeva appoggiata sulla spalla sinistra una grande arpa, dipinta di nero, e con la colonna scolpita con fregio corinzio. La ragazza si stava esercitando, seguendo lo spartito. Con la mano sinistra suonava i bassi, mentre con la destra armeggiava con più corde, tendendo pollice ed indice. Poi si fermò.
«Allora…» disse posando l’indice sul foglio, «re… fa… re… sol…» e ripetendo le note che leggeva, riprese a pizzicare le corde dell’arpa, e le note de La Danza delle Fate Confetto di Tchaicovsky riecheggiarono nel salone. Si fermò solo un momento per voltare pagina.
Concentrata come era sullo strumento e sullo spartito la ragazza non si accorse che qualcuno era entrato nel salone. Un uomo anziano e di bassa statura, che non disse nulla per non interrompere l’esecuzione della ragazza. Quest’ultima si accorse della presenza del vecchio qualche minuto dopo che era entrato, e vedendolo con la coda dell’occhio sobbalzò ridacchiando. 
Smise di colpo di pizzicare le corde e si voltò, volgendo due occhi blu cobalto verso il vecchio. Posata l'arpa, andò incontro all'Imperatore sorridendo.
«Nonno, mi hai spaventata!» disse lei con voce allegra e squillante.
Silla l'abbracciò e sorrise. Sorrise di un sorriso che solo le sue due nipoti, Selene e Domiziana, riuscivano a strappargli. Solo loro riuscivano a distrarlo da intrighi politici, interessi nazionali ed altro.
«Sono passato a trovarvi, prima di andare in ufficio.» sospirò.
Domiziana lo guardò. «Ci sono molti impegni oggi?»
«Uno solo, mia cara. È un solo impegno, ma è uno che ne vale mille, di impegni: governare questo paese! Un impegno che sono costretto a portare avanti da ventisei anni.»
«Ed è un paese complicato, questo.» lo anticipò Domiziana.
Aveva sentito suo nonno ripetere quella frase centinaia di volte, fin da quando era bambina.
«”Complicato” è un eufemismo! A nessuno qui interessa l’interesse dello stato, ma solo il proprio interesse. E per perseguire i propri interessi tutti vogliono sempre più denaro e potere. Ed io dico che il potere andrebbe conferito solo a chi non lo vuole!»
«…solo a chi non lo vuole!» lo imitò Domiziana sottovoce, stando attenta a non farsi sentire.
«Dovrei scambiare due parole con tua sorella.» disse guardandosi intorno, mentre il sorriso svaniva dal suo volto.
Aggrottò subito le ciglia, facendo un impercettibile movimento con gli occhi dietro le lenti. «Dove è tua sorella?» chiese alla più giovane delle sue nipoti.
«Dorme.» si apprestò a rispondere Domiziana. «Ieri sera è tornata tardi! È andata con i suoi compagni di università ad una festa» rispose la ragazza, volgendo gli occhi verso una delle porte che si aprivano sul fondo della sala.
L'Imperatore non rispose. Scosse la testa, e poi guardò uno dei mobili nella stanza. Su di esso c’era una giacca di pelle nera, che di certo non apparteneva a nessuna delle sue nipoti.
«Capisco» disse annuendo il vecchio annuendo, e dirigendosi fuori dalla sala.
Si fermò sulla soglia, e voltandosi un’ultima volta verso Domiziana, le disse: «Dì a Selene che le voglio parlare. Dille di raggiungermi nel mio ufficio appena… appena può!» concluse calcando la voce sull’ultima parola.
«Sì, nonno.» rispose Domiziana, sorridendo.
Il vecchio si diresse verso l’uscita con le sottili labbra contratte, e storcendo il naso. Non appena fu uscito, l’espressione sul volto della ragazza, cambiò. Dal sorriso passò al sollievo, e sbuffò. Camminò fino alla porta della camera, e la dischiuse lentamente.
Una voce venne da dentro la stanza: «Se ne è andato?»
«Sì» annuì Domiziana.
La ragazza entrò nella camera, con il grande letto poggiato alla parete di fronte e sormontato da un baldacchino. La stanza era calda, ed in disordine, con vestiti e scarpe sparsi sul pavimento e sulle sedie. Il letto disfatto aveva le coperte rivoltate e contorte, e tra di esse giaceva l’altra nipote dell’Imperatore. Selene era distesa per sbieco sul materasso, i capelli che le coprivano il viso, e non era sola.
Tra le coperte e le lenzuola intrecciate, accanto a Selene, vi era un altro corpo. La chioma castana, le spalle ed la schiena glabre, e le natiche rotonde solo parzialmente coperte da un lembo del lenzuolo bianco.
«Grazie per averci coperto, piccola.» disse Selene, ma Domiziana scrollò la testa.
«Il vecchio mi ha detto che vuole vederti.»
«Non gli sfugge niente, a quello!» sbuffò, poi si voltò verso l’altra ragazza sorridendo. «È meglio se vai, bella» le sussurrò.
«Davvero?» ridacchiò quella.
Rise anche Selene, poi la prese per il mento e la baciò. La ragazza rimase ferma, arcuando di tanto in tanto la schiena e respirando forte. Selene prese a carezzarle la schiena, toccandola con delicatezza. La sua mano scese lentamente lungo la schiena, e si soffermò sul sedere, compiendo un movimento circolare. E poi si insinuò fra le cosce, al che la ragazza inspirò profondamente e chiuse seccamente le labbra.
Domiziana tornò nel salone, con un sorrisetto. Giunta al divano riprese ad esercitarsi con l’arpa, suonando lo stesso pezzo di prima. In sottofondo si sentivano gemiti e sospiri. Finché Domiziana udì un grido più forte degli altri, che la distrasse facendole perdere la concentrazione e sbagliare. Per la frustrazione pizzicò una delle corde più basse dell'arpa, facendola vibrare.
Dieci minuti dopo la ragazza con i capelli castani uscì dalla stanza seguita da Selene. Avevano entrambe i capelli scompigliati. La nipote più grande dell’Imperatore aveva indossato una maglietta bianca, e dei pantaloni larghi. La ragazza con i capelli castani, invece, si era vestita con gli abiti della sera prima. Jeans attillati, tacchi a spillo, e una camicetta rossa, volutamente sbottonata sopra il petto. Mancava solo la sua giacchetta di pelle, che aveva imprudentemente lasciato su un mobile della sala dell’appartamento. Allungò la mano per prenderla, e Selene ne approfittò per darle una pacca sul sedere.
«Vai adesso! E chiamami, eh!» » disse ridacchiando.
«Sì, sì! Scappo a casa a cambiarmi, che poi mi aspettano in redazione!» rispose quella sorridendo.
Si sporse in avanti, e dette un veloce bacio a Selene.
Poi fece un cenno di saluto a Domiziana, che annuì in risposta. Selene restò ad osservarla sulla soglia, mentre si precipitava fuori dalla sala e correva all’ascensore in fondo al corridoio.
Nel frattempo Domiziana aveva nuovamente messo le mani sull’arpa, facendo l’atto di ricominciare a suonare. Ma invece di iniziare a pizzicare le corde, osservò sua sorella provando, come sempre, un certo senso di invidia.
Selene Giulia Silla, questo il suo nome completo, era infatti indubbiamente più bella della sorellina minore, non del tutto sbocciata. Era alta ed atletica, pur avendo le giuste curve, ed un seno perfetto, alto, sodo e proporzionato. La sua pelle non era né troppo chiara, né troppo scura. Il suo viso, grazioso ed armonico, era impreziosito da un paio di labbra carnose, e dai suoi occhi, due gemme di un blu profondo. Unico elemento di rottura nel volto di Selene, era una vistosa e marcata fossetta sul mento.
Quando la bionda si voltò verso di lei, Domiziana distolse rapidamente lo sguardo, fingendo di armeggiare con una delle chiavi del suo strumento per accordarlo. Selene se ne accorse e sorrise. Dopodiché si accese una sigaretta. Appoggiata allo stipite della porta, aspirò profondamente con gli occhi chiusi, mentre il fuoco percorreva la carta, ed espirò un densa nuvola di fumo bianco.
«A che punto siete arrivate tu e Gloria?» disse Domiziana sorridendo.
«Da quello che anche tu hai potuto vedere, siamo ad un ottimo punto» rispose facendole l'occhiolino, e la sorellina ridacchiò.
«Ne sono ben lieta, Sele, ma io mi riferivo alla vostra indagine. Allora, ha scoperto qualcosa di nuovo?» chiese Domiziana, senza guardare la sorella.
«Nulla!» rispose Selene dopo aver aspirato nuovamente. «Nessun nuovo elemento, salvo il l’ennesima conferma che papà era preoccupato e teso nei giorni precedenti! Ogni volta che ci sembra di aver fatto qualche passo avanti, ne facciamo il doppio all'indietro!» affermò, pigiando rabbiosamente la sigaretta in un posacenere.
Se ne accese subito un'altra.
«Nessuna novità, dunque...» continuò la ragazza più giovane, che ancora armeggiava con l'arpa.
«Niente di nuovo, ti dico. Abbiamo letto e analizzato mille volte tutti i resoconti, i verbali e gli articoli di quel giorno»
«E?»
«...e niente! Secondo tutti i rapporti alle ore nove di quel giorno l'aereonave senatoriale aveva spento i propulsori, ed ha diminuito progressivamente la potenza dei motori gravitazioni, seguendo la normale procedura d’atterraggio.»
«...e poi improvvisamente è scoppiata.» aggiunse Domiziana.
«Esatto, l'aereonave è saltata in aria. Tutti i rapporti dicono per un guasto all'impianto di raffreddamento del dei motori, che ha portato alla repentina combustione di tutto il carburante contenuto nel serbatoio del veicolo» ripeté Selene meccanicamente, avendo letto quella frase, ed avendola ascoltata come risposta decine e decine di volte, talvolta contornata anche dalle specifiche tecniche dei motori gravitazionali delle aereonavi. «Se si usa il deuteruro di litio bisogna stare attenti, i motori a fusione fredda vanno opportunamente raffreddati» soggiunse con una vocina sarcastica.
Poi si voltò, sospirò, ed un flusso di ricordi le attraversò la mente.
Selene aveva sedici anni quando suo padre era morto. Suo padre era un senatore, ed era anche uno dei più in vista in quel momento. In parte le dava fastidio di vedere il nome di e l’immagine di suo padre ovunque in quei giorni. Ma era normale tutta questa visibilità: Claudio Silla era uno dei candidati a succedere all’Imperatore Silla alla fine del suo primo mandato, ed era anche il più favorito in quanto figlio dell’Imperatore stesso. Nessuno osava parlare di nepotismo. Nessuno osava mettere in dubbio a quel tempo l’autorità dell’Imperatore del Dominio, a quel tempo.
Di suo padre Selene aveva bei ricordi. Ricordava che era spesso impegnato, ed ogni momento libero lo dedicava a sua moglie, a Selene e alla piccola Domiziana, che a quel tempo aveva soltanto cinque anni. La ragazza ricordava suo padre astuto e integerrimo, come suo nonno, ma differenza di questi, non era per nulla serioso. Sapeva essere ironico e irriverente al punto giusto. Ed infatti qualche volta Selene aveva accompagnato suo padre al lavoro, al Senato Imperiale, e lì il padre le aveva insegnato l’arte del fare politica, e grazie al modo di spiegare le cose di suo padre, la ragazza non si era mai annoiata, tanto che aveva quasi pensato di intraprendere la carriera politica, sulle orme di suo padre e di suo nonno, l’Imperatore.
Fu grazie all’ottimo rapporto che aveva con il padre, che Selene si era decisa a confessargli che provava attrazione per le donne, oltre che per gli uomini. Voleva farlo proprio al suo ritorno, proprio quel giorno…
Fu anche per questo che quello che era accaduto quel 21 aprile l’aveva sconvolta. L’uomo era andato a compiere una missione senatoriale in una delle Isole settentrionali, ed era stato via per più di una settimana. Sarebbe dovuto tornare un giorno prima, ma l’aereonave su cui viaggiava aveva subito un guasto ed aveva dovuto essere riparata. Con sua madre si recò al porto aereonavale dove sarebbe dovuto atterrare. Attesero per mezz’ora. Quand’ecco che nel cielo a nord apparve l’aereonave.
Lussuosa, dalla livrea bianca e con finimenti dorati a nastri e foglie d’acanto. Alta, su un pennone, sventolava la bandiera del Dominio, con i suoi colori rosso e bianco, e con il simbolo della croce con l’aquila. Mentre l’aereonave perdeva quota, Selene notò un particolare del veicolo che si faceva progressivamente più nitido e vicino, ovvero un magnifico timone ornamentale di legno dorato che brillava al sole sul ponte dell’aereonave. Una copia dei timoni delle antiche navi lignee.
«È in arrivo al Terminal 4, l’aereonave 12-S, attenzione» aveva detto la suadente voce dell’annunciatrice del porto. Questo ricordava del momento subito precedente: il timone dorato dell’aereonave in fase di atterraggio, che luccicava al sole del mattino, e la voce dell’annunciatrice.
Poi accadde.
Il veicolo aveva appena estratto i sostegni idraulici e stava per toccare la piattaforma del terminal quando si udì un ronzio, e l’aereonave fu avvolta da una luce. Una luce di un biancore così intenso che sembrava magnesio incendiato. Un bagliore fortissimo, seguito da un violento boato, e quando la luce calò, oramai l’aereonave già avvampava in una bolla di fuoco. Selene non pianse, né gridò. Restò impietrita, come anche sua madre che le stringeva forte la mano, mentre la folla impazzita all’intorno si muoveva come un’unica massa, cercando di allontanarsi dalle fiamme dell’incendio.
Una colonna di fumo nero già si alzava nei cieli della capitale, e due figure, nere di fronte al bagliore rossastro delle fiamme, restavano a guardare. Solo Selene osò guardarsi intorno, e fu lì che le venne il primo sospetto che non fosse stato un incidente: nella folla che gorgogliante, vide un uomo. Occhiali da sole, pelle scura. Osservava il fuoco anch’egli e stringeva qualcosa in mano. Un qualcosa di elettronico, con un prolungamento metallico. Un telecomando? Quando costui s’accorse d’esser stato visto da Selene, si voltò e sparì tra la folla, ma la ragazza lo aveva visto bene.
Da quel giorno non smise mai di fare domande, di indagare. Non si fece andar bene, la spiegazione dell’accaduto come un semplice tragico incidente. Ricollegò tutto ciò che aveva visto e sentito nei giorni precedenti. Non si accontentò nemmeno dei giorni di lutto disposti da suo nonno, l’Imperatore, il quale aveva perso il figlio. Nessuno tuttavia le volle crederle, nemmeno sua madre. Dicevano che quel che aveva visto era frutto del trauma subito, che l’uomo era probabilmente una persona che si trovava lì per caso come tutti gli altri. E alle sua spalle tutti mormoravano, sostenevano che il colpo subito l’aveva traumatizzata a tal punto da farle perdere il senso della realtà, impedendole di accettare.
Selene ripensava a tutto ciò, emettendo dalla bocca un’altra voluta di fumo bianco.
«Selene» disse Domiziana avvicinandosi alla sorella maggiore, «hai mai considerato che quel che è successo a nostro padre possa essere stato realmente un incidente? Voglio dire, è da quando ero piccola che continui ad inseguire una verità che...»
«No!» la interruppe la bionda, e Domiziana si fermò, «Io so ciò che ho visto! Ero al terminal quel giorno e tu lo sai!»
«Io so che nostro padre è morto in un incidente, e che tu a distanza di dodici anni non riesci ad accettarlo!»
«Non mi psicanalizzare! Ti ripeto che so quel che ho visto: un uomo nella folla che fuggiva, stringendo in mano qualcosa, uno strano suono un attimo prima dell'esplosione. E soprattutto quella era un'aereonave adibita al trasporto di senatori, ministri e altri pezzi grossi, non un rottame per operai! Per altro quel giorno a bordo c'era il figlio dell'Imperatore! Ti sembra normale che nessuno controlli e faccia revisioni al veicolo?!»
«Un malfunzionamento può sempre capitare»
«E le tracce di esplosivo tra i rottami del veicolo, come me li spieghi?! Chissà perché nessuno mi sa rispondere a queste domande!» disse Selene, «No, nessuno mi convincerà del contrario: nostro padre è stato ucciso, in un attentato. Ed io troverò esecutori e mandanti!»
«E sentiamo, cosa avresti intenzione di fare dopo averli trovati, ammesso che esistano e che tu riesca ad individuarli?»
«Giustizia.» rispose Selene determinata. Si voltò e rientrò nella sua stanza.
   
 
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