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Autore: Son of Jericho    16/12/2017    1 recensioni
Sequel di "How can I know you, if I don't know myself?"
Sono trascorsi due anni da quando il sipario è calato sullo spettacolo alla Hollywood Arts. La vita per i ragazzi sta andando avanti, tante cose sono cambiate, e sta arrivando per tutti il momento di affrontare responsabilità, problemi e sorprese.
E mentre impareranno cosa significa crescere, si troveranno faccia a faccia con il tormento più profondo: i sentimenti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andre Harris, Beck Oliver, Cat Valentine, Jade West, Tori Vega
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bade - Cuori tra le fiamme'
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XIV - iAmMyDemon

 

 

Era trascorsa una settimana, da quando Sam gli aveva illustrato la possibilità di un appartamento tutto suo e, non da meno, a buon mercato.

Da allora, non aveva avuto più notizie al riguardo, così aveva creduto che non ci fosse più niente in ballo.

Invece, quella mattina, Sam si presentò sulla soglia del suo ufficio, sollecitando l’attenzione del giovane Benson. Era appena la seconda volta che Sam saliva di piano e si spingeva fino al regno degli informatici, per cui non poteva trattarsi di una semplice coincidenza.

Un breve saluto da lontano e, ignorando completamente i suoi colleghi, chiamò Freddie nel corridoio.

Una sensazione di dejà-vu per lui, che si ritrovò di nuovo faccia a faccia con la ragazza, con il sole che filtrava dalla finestra alla sua sinistra e una flebile speranza che faceva da contorno.

- Sorridi, Benson, ho novità per te. – esordì lei con espressione fiera.

Adesso la concentrazione di Freddie era tutta per lei.

- Ho dovuto fare più telefonate di quante mi aspettassi, ma ci sono riuscito. L’appartamento è sempre libero, e sembra che nessuno vada a vederlo da giorni, ormai. Quindi se ti interessa, sei ancora in corsa. –

- Certo che mi interessa! – esclamò il ragazzo, la cui voce si acuì tanto da echeggiare nel corridoio.

Sam annuì. – Bene, perché altrimenti penso che ti avrei spezzato un braccio. Ho parlato con il tizio che conosco, e ti ho organizzato una visita all’appartamento. –

- Per quando? -

- Per stasera! Per quando, sennò? Non mi do mica da fare per aspettare un altro mese! –

Freddie rise divertito. – Ok, grazie. –

- Ringraziami dopo aver sentito l’ultima cosa. L’affitto: lascia stare quello che c’è scritto sull’annuncio. Sam Puckett ti farà avere un contratto a prezzo stracciato. -

Il sorriso sul volto del ragazzo si espanse fino agli zigomi.

Sam allargò le braccia e inclinò il capo, compiaciuta di se stessa. – Te l’avevo detto che avrei pensato a tutto io. O le cose le faccio per bene o non le faccio proprio. –

Freddie non sapeva che dire. Era rimasto completamente assuefatto dalla voce della bionda, e per una volta, senza preoccuparsi di chiedersi se tutto quello volesse dire qualcosa o no.

- Ho fissato per le 18.30. – gli diede una pacca sulla spalla. – Mi raccomando, non fare tardi e non farmi fare brutte figure. –

Mentre Sam riprendeva la via per le scale, Freddie si ridestò e realizzò di avere ancora una domanda. – Aspetta! – la fermò, facendola voltare indietro.

- Ci sarai anche tu stasera, vero? –

- Ci vediamo dopo. – gli fece l’occhiolino. – Fidati di me. –

 

*****

 

In mensa, durante il pranzo, l’attenzione di Robbie non andava al di là del proprio piatto di pasta.

Una mano reggeva la forchetta e infilzava svogliatamente i maccheroni, l’altra teneva ben saldo lo smartphone. Il pollice digitava e navigava più velocemente di quando il cibo raggiungesse la bocca e lo stomaco.

Robbie sedeva solo al tavolo vicino alla finestra, ma se anche qualcun altro si fosse avvicinato per fargli compagnia, era molto difficile che se ne potesse accorgere prima di qualche minuto.

Rimbalzava tra siti di cinema, WhatsApp, testate giornalistiche e ancora WhatsApp. Spesso e volentieri, riapriva la schermata solo per vedere se avesse ricevuto qualche nuovo messaggio.

I suoi contatti non erano molto numerosi, per cui non era nemmeno difficile immaginare chi aspettasse ogni volta così ostinatamente.

Quel giorno, Stefan lo raggiunse un po’ in ritardo rispetto al solito, e ciò dette a Robbie la possibilità di perdersi completamente nel suo mondo virtuale. A volte, era molto più accogliente di quello reale.

Posando cautamente il vassoio sul tavolo, il tedesco si accomodò alla destra di Robbie, ovvero dalla parte opposta a quella dove era puntato lo sguardo dell’amico. In altre parole, Robbie avrebbe potuto non notare la sua presenza per tutto il pranzo.

Stefan lo osservava divertito ma anche leggermente indispettito. Non aveva mai capito che senso avesse varcare l’oceano, per poi continuare a bramare il luogo da cui si è partiti.

Oltretutto, quella che gli sembrava di scorgere era la stessa espressione di qualche giorno prima, quando con Kendra avevano parlato del party di metà semestre.

La stessa fronte tesa, gli stessi occhi pensierosi e malinconici. Una parte di lui era sui libri, l’altra era chissà dove.

Eppure, a dire la verità, non c’era bisogno di chiedersi se tutto quello avesse a che fare con quel dannato telefono.

Dopo una decina di minuti di silenzio assoluto, decise di provare a ridestare il suo amico americano.

- Ma ci sono almeno le donne nude sul tuo cellulare? – gli sussurrò, sporgendosi verso di lui.

Robbie, come colto di sorpresa, finalmente drizzò il capo e distolse gli occhi dallo schermo. Sorrise imbarazzato, mentre si precipitava a ingurgitare un altro boccone.

- Ingannavo il tempo. – asserì facendo spallucce.

- Sai cosa potresti fare, invece? – ribatté Stefan. – Ricordarti della festa di Kendra, questo sabato. –

Robbie si guardò intorno per un istante e scrollò di nuovo le spalle. – Ok. –

Non c’era un briciolo di convinzione nella sua voce, e Stefan se ne rese perfettamente conto.

- Ascolta, questa te la devo proprio dire. – riprese, appoggiando i gomiti sul tavolo e congiungendo le mani. – E’ una mia opinione, ed è probabile che non siano affari miei. Però non sono neanche l’ultimo arrivato, e l’ho capito che c’è qualcosa che ti sta passando per la testa. Per me, forse dovresti concentrarti di più su quello che hai qui in Germania, provare a lanciare uno sguardo verso il futuro, piuttosto che continuare a voltarti indietro e rincorrere ciò che hai lasciato a Los Angeles. -

Robbie non replicò subito. Inutile cercare una sola parola sbagliata tra quelle dell’amico. Inutile negare che, in conclusione, non avesse affatto torto. Il suo punto lo aveva centrato.

E all’improvviso, un pensiero decise di volare inspiegabilmente verso Kendra.

- Va bene. – annuì assorto, mentre iniziava a capire cosa intendesse realmente Stefan. – Lo terrò presente. –

 

*****

 

Era finita da poco la pausa caffè delle 16, quando il cellulare le vibrò ripetutamente in tasca. Sam staccò le mani dalla tastiera e, cercando di non farsi vedere dai suoi colleghi, lo estrasse lentamente per controllare.

Non che fosse legalmente vietato usare smartphone o tablet in ufficio, non esisteva nessun regolamento interno, ma vigeva una convenzione di lunga data che impediva di utilizzarli per questioni personali. Alla fine, però, distinguere tra uso privato o lavorativo era una zona grigia mai interpretata.

Sam sbirciò furtivamente lo schermo, e per tre volte lesse il nome di Gabriel. Tre messaggi ravvicinati, nel giro di un minuto. Nel primo c’era scritto “Amore”, nel secondo “Puoi prenderti un secondo?”, e nel terzo “Chiamami appena puoi”, con uno smile alla fine.

Con un filo di apprensione, Sam si alzò con noncuranza e si diresse verso la porta. Giunta in corridoio, riprese il cellulare e selezionò il numero del suo ragazzo.

- Gabri, che succede? –

- A che ora pensi di staccare stasera? –

Sam ci pensò un attimo. – Verso le cinque. –

- Perfetto, allora non ci dovrebbero essere problemi. Te lo ricordi il mio amico Theo? –

- Certo. –

Aveva incontrato Theo soltanto un paio di volte, insieme al resto della compagnia, e l’ultima risaliva a parecchi mesi prima. Di origini latine, anche lui viveva quasi esclusivamente di basket, musica e birra. Ci aveva scambiato giusto due parole, e aveva scoperto che, mentre la palla rappresentava un semplice hobby, il suo sogno era di diventare un rapper come il suo idolo Jay Z.

Da quanto ne sapeva, Theo si era poi trasferito in Missouri per proseguire la sua “carriera”. Non lo aveva sentito più nominare, per cui, gli veniva da pensare, inutilmente.

E cosa potesse avere a che fare con lei adesso, francamente lo ignorava.

- Il suo volo arriva stasera. – fece Gabriel.

- E’ tornato? – chiese lei, in realtà poco interessata.

- Voleva risalutare gli amici. Con i ragazzi andiamo ad accoglierlo all’aeroporto, e poi pensavamo di andare tutti insieme a cena. Vieni anche tu, vero? –

- A che ora atterra? –

- Alle sei. –

- D’accordo. –

- Grande, ci vediamo dopo allora. Ti amo, Sam. –

- Anch’io. –

Mentre tornava verso l’ufficio, una volta chiusa la telefonata, un flash la colpì come una stilettata.

Freddie!”

Accidenti, si era completamente dimenticata di lui e della visita all’appartamento.

Tirarsi indietro da uno qualsiasi dei due impegni era impensabile. Gabriel contava sulla sua presenza, e lo stesso valeva per Freddie, che sembrava averne davvero bisogno.

Una promessa era pur sempre una promessa, e non avrebbe voluto dire di no a nessuno dei due.

Diede una rapida occhiata all’ora sul cellulare e provò a ragionare.

L’aeroporto non era lontano dalla Crystal-Tech, perciò le sarebbe bastato restare un po’ di più a lavoro, e andare direttamente laggiù, senza passare da casa. Aveva mezz’ora a disposizione, ma con il volo in orario, se la sarebbe cavata rapidamente tra saluti e convenevoli. A quel punto, avrebbe raggiunto Freddie all’appartamento. L’agente che gestiva gli affitti la conosceva, quindi l’avrebbe sicuramente aspettata anche in caso di leggero ritardo. Su Freddie, in ogni caso, non aveva alcun dubbio. E alla fine, si sarebbe riunita con Gabriel e gli altri al ristorante, per il resto della serata.

Sicura di avere tutta la situazione sotto controllo, Sam rientrò tranquillamente in ufficio e riprese a lavorare al suo progetto di marketing.

Un paio d’ore più tardi, avrebbe scoperto l’esito del suo audace piano.

 

*****

 

Quel pomeriggio, dopo il lavoro, Freddie era capitato nella zona dello studio di Andre, e aveva deciso di fermarsi per un saluto.

Lo aveva trovato impegnato nelle prove di un paio di pezzi insieme a Cat, lui alla tastiera e lei al microfono, niente di particolarmente difficile. La ragazza lo accolse con un largo sorriso, tanto era felice di avere un pubblico, seppur formato da un solo spettatore.

Andre, invece, dava l’impressione di non essere per niente convinto. Era come se gli stesse mancando qualcosa, come se ci fosse qualcosa che non stava funzionando. Ed effettivamente, in molte parti del brano c’era una voce femminile di meno.

Poco dopo, anche Cat se ne andò abbracciando calorosamente entrambi, e Andre tornò a rintanarsi nella saletta audio, in compagnia del suo portatile. Scriveva e cancellava, scriveva e cancellava, rincorrendo una fantomatica idea ancora troppo fragile.

Dopo averlo osservato a lungo, Freddie era intervenuto e lo aveva convinto ad uscire per prendere una boccata d’aria, con la scusa di accompagnarlo verso l’appartamento che doveva visitare, lontano poco più di tre isolati da lì.

- Come sta andando? – gli chiese Freddie, appena fuori dallo studio.

Andre chiuse la porta a chiave, si voltò verso di lui e scosse mestamente il capo.

- A rilento. – ammise, mentre si incamminavano verso la piazza. – Voglio essere sincero, sto cominciando ad avere dei dubbi. –

- Riguardo cosa? –

- Che riusciremo a farcela, che verrà fuori un buon lavoro, che raggiungeremo qualcosa. Forse mi sono lanciato nel proverbiale passo più lungo della gamba. –

- Non mi sarei aspettato che fossi proprio tu a dirlo. –

- Già, ero io quello che ha cominciato tutto, che ci credeva di più e anche l’unico che sembra preoccuparsene. –

Freddie lo guardò confuso. – Che cosa c’è che non va? –

- Per usare una metafora sportiva… diciamo che la squadra non è più così competitiva come in passato. –

L’amico aggrottò perplesso le sopracciglia. – Non perché non sia un appassionato di sport, ma non ti seguo. –

Andre si lasciò andare ad una breve risata nervosa. – Intendo… prendi Cat. E’ una bravissima ragazza, ed è una delle migliori amiche che si possa desiderare. Si impegna, mette il cuore in quello che fa, ma… ha i suoi limiti. Dispiace dirlo, ma ho la sensazione che oltre un certo punto non riuscirà mai ad andare. –

Freddie annuì moderatamente. Conosceva Cat ormai da qualche anno e, doveva ammetterlo, concordava con l’amico.

- Tori, poi, mi sta facendo impazzire. – continuò Andre. – Non so cosa le stia passando per la testa. O meglio, lo so, e per essere più precisi, “chi” e non “cosa”. Eppure non pensavo che si sarebbe dimenticata di tutto il resto del mondo. –

- Non è concentrata? –

- Fosse solo quello. Ormai si presenta alle prove una volta ogni tre, e nel peggiore dei casi, non la vediamo per una settimana intera. Dice che non ha tempo, che ha da fare, che deve fare tardi a lavoro o che deve uscire con Thomas. Pensa che ci sono giorni in cui la incontro soltanto la sera, quando torna a casa. –

Freddie alzò gli occhi verso l’orizzonte, e li fece scorrere tra i tetti delle case circostanti. C’era qualcosa di familiare nelle parole di Andre. Il tono si abbassò di un’ottava. – E’ molto presa da Thomas, a quanto pare. Credo che… dovresti capirla. –

- Io la capisco benissimo, non fraintendermi. Ci sono passato anch’io, ho avuto le mie storie e sono stato innamorato. Ciò però non giustifica il suo essere così distaccata, disinteressata. Questo progetto è davvero importante per me, e lei questo lo sapeva. – fece una breve pausa e tirò un sospiro. – Non mi piace come stanno andando le cose, Freddie. –

Procedettero in silenzio per un altro centinaio di metri, prima che Andre tirasse fuori la frase che gli pesava di più.

- E soprattutto, non mi piace Thomas. –

Il giovane Benson si limitò ad un’occhiata comprensiva, senza rispondere. Per qualche ragione, si aspettava un commento del genere.

- Io credo a Tori quando dice che tutto si è sistemato, eppure c’è ancora qualcosa che non mi quadra. Non posso e non voglio ripensare a come lui ha trattato Tori all’inizio o a tutte le menzogne che le ha raccontato. Probabilmente non è affar mio… ma è un uomo sposato, per l’amor del Cielo! Ieri pomeriggio, per esempio, girando per il centro sono passato davanti alla scuola elementare, e lui era lì, per riprendere la figlia all’uscita. Avresti dovuto vederlo, tutto rilassato e sorridente. Da bravo papà l’ha abbracciata, le ha preso lo zaino e l’ha riportata a casa in auto. –

Freddie fece per replicare, ma Andre lo intercettò. – E allora? Questo è giusto un… -

- “Un dettaglio”, stavi per dire. E avresti avuto ragione. Cosa c’è di strano? Niente! Se non fosse che la famiglia da cui lui torna ogni sera, come se nulla fosse, è la stessa cui agisce continuamente alle spalle. Io voglio molto bene a Tori, ma in questo caso, Thomas non è una persona che si merita la mia fiducia. –

- E se ti stessi sbagliando? – stava riponendo in quella domanda le stesse valutazioni che allora aveva fatto su Gabriel.

- Vorrà dire che almeno l’avrò fatto in buona fede. –

Giunti a mezzo isolato dal possibile nuovo appartamento di Freddie, Andre si fermò ed estrasse lo smartphone dalla tasca. Erano le 18.15.

- Da qui in poi ti lascio proseguire da solo. A meno che tu non abbia bisogno di qualcun altro che ti tenga per mano. –

L’altro scoppiò a ridere. – Non importa, ma grazie comunque per l’offerta. –

Subito dopo, da divertita, l’espressione di Andre si fece più seria. – Grazie a te. Diciamo che un po’ d’aria fresca era quello che mi serviva. – guardò in lontananza e gli fece un cenno col capo. - Adesso vai, vai a prendere ciò che ti interessa veramente. -

 

*****

 

** Circa un anno prima **

Quando Beck e Jade erano tornati al teatro, dopo un paio di giorni di vacanza, lo avevano trovato molto più affollato di quanto ricordassero.

Decine di facce nuove, alcune vagamente familiari, altre totalmente sconosciute. La maggior parte si aggirava tra le zone abiti e trucco, fino a spingersi addirittura sul palco.

Avanzando per i vari antri del locale, era stato difficile per entrambi non provare la strana sensazione di aver sbagliato posto.

E mentre Beck era sembrato capace di mantenere un certo controllo, Jade aveva iniziato subito a guardarsi intorno in cagnesco. Aveva sempre odiato le sorprese.

- E questi chi diavolo sono? – aveva chiesto con tono aspro, incurante di chi potesse sentirla.

Beck, lanciando qualche occhiata in giro, si era accorto di come le new-entry fossero prevalentemente ragazze. E sapendo sotto quali auspici era nata la faccenda, la reazione di Jade non l’aveva sorpreso affatto.

Avevano proseguito uno accanto all’altra fino al backstage, dove si erano scontrati con il consulente della Hollywood Arts.

- Che diavolo sta succedendo qui? – aveva esclamato immediatamente la mora. – Sembra di stare ad un mercato, qui. Da dove è saltata fuori tutta questa gente? –

L’uomo si era sistemato gli occhiali con fare flemmatico. – Sono le nuove aggiunte al cast. Figuranti, comparse, manodopera davanti e dietro le quinte. –

E chi li avrebbe selezionati? –

- Io. – si era pronunciato con una certa vanità.

Jade, invece, si era già infiammata. – Quando? –

- Ieri. –

- Che cosa? E’ uno scherzo, vero? – si era voltata incredula verso Beck. – Siamo stati via due mesi, per caso, e non me ne sono accorta? –

Poi era tornata a rivolgersi all’uomo. – Così, in nostra assenza, ha deciso di assumere chi le pareva, anche profili che avevamo scartato, senza nemmeno interpellarci! –

- L’ho fatto per il bene dello spettacolo. Ed erano tutti d’accordo con me. –

Jade lo aveva fulminato con un’occhiataccia.

- Non ho paura a dirlo. Tu avevi scartato tutti i profili, e se avessimo continuato di questo passo, non avrebbe lavorato nessuno qui. – si era riassestato la giacca ed era passato in mezzo ai due ragazzi. - Adesso scusate, ma ho dell’altro lavoro da sbrigare. –

**

- Non ci posso credere! Quel damerino borioso e insignificante ha fatto tutto alle nostre spalle! Ma ti rendi conto? Ci ha escluso dai provini del nostro spettacolo! –

Beck non aveva risposto.

Non voleva dirle che stavolta non sarebbe stato dalla sua parte.

Che anche lui si era preoccupato, che il consulente aveva ragione, che c’era qualcosa che andava fatto.

Non voleva dirle di essere stato proprio lui a proporre di tagliarla fuori.

**

Quella sera, Beck e Jade si erano trattenuti fino a quando il teatro non si svuotato.

Era tardi, avevano saltato la cena, eppure nessuno dei due sembrava cercare una scusa per tornare a casa.

Il buio avvolgeva protettivo il silenzio della ragazza.

Lo sguardo freddo del canadese non la abbandonava, ma non rivelava la menzogna.

I passi risuonavano tra le travi di legno delle navate e dietro le quinte, i respiri echeggiavano dal palco alle sedie in platea.

Lui l’aveva afferrata con vigore e l’aveva rivolta verso di sé. Gli occhi scuri si erano intrecciati nella più assoluta quiete. Poteva vedere l’immagine della sua tristezza come nello specchio di un lago.

Le aveva stretto i fianchi e aveva posato delicatamente le labbra sulle sue.

Non rimpiangeva ciò che aveva fatto.

Jade non avrebbe capito, non avrebbe creduto all’amore che si celava dietro quel gesto così pieno di vergogna.

Aveva affondato il bacio, infrangendo le flebili resistenze della ragazza e andando ad assaporare la morbida carne.

Per una notte, quel posto sarebbe stato soltanto loro, e di nessun altro.

Una notte nel loro mondo, per provare a salvare almeno i pezzi rimasti della loro storia.

 

*****

 

L’orologio segnava circa le 18.25, quando Freddie arrivò all’indirizzo che aveva ricevuto.

A grandi linee conosceva già la zona in cui abitava Sam, perciò non ebbe problemi a ricollocarsi geograficamente. Se il caseggiato della bionda non risultava ancora come periferia, allora non lo sarebbe stato nemmeno l’altro.

Si trovava in una stradina traversa, in fondo a un lungo viale alberato. Non era molto trafficata, ma era facilmente raggiungibile anche in auto. A una prima occhiata, lo stabile sembrava composto da tre blocchi di appartamenti, disposti su due piani. Si accedeva alle scale da tre cancelli separati, e dalle cassette della posta si potevano contare non più di quattro appartamenti per blocco.

Il parcheggio era ampio, abbastanza da poter evitare discussioni con i vicini su diritti e posti assegnati.

Freddie scese dalla macchina e si guardò brevemente intorno. L’attenzione, prima ancora che dalla casa, fu catturata dal ripetitore e dai cavi dell’alta tensione, visibili in lontananza al di là dei tetti.

Almeno il wi-fi dovrebbe prendere bene”, pensò mentre richiudeva lo sportello.

Si incamminò verso il primo cancello, dove l’agente immobiliare lo stava aspettando.

Era un ragazzo sulla trentina, dall’aria sofisticata, con dei pantaloni color cachi e un giubbotto grigio chiaro. Non era molto alto, portava i capelli impomatati all’indietro e gli occhiali da sole, nonostante ormai la luce non fosse più così accecante.

Il tipo di persona che, a prima vista, il giovane Benson avrebbe evitato volentieri.

- Lei deve essere Freddie. – fece l’agente, appena lo vide.

- Esatto, ma dammi del tu. – rispose, allungando il braccio. Non gli era mai piaciuta tanta riverenza, lo faceva sentire vecchio.

- D’accordo. Io sono Alan. – gli strinse la mano. Una stretta, notò Freddie, piuttosto melliflua. – L’agenzia per cui lavoro sta trattando questo stabile, e da quello che mi ha detto Sam, sei interessato ad uno degli appartamenti. –

- Sì… - Sentir nominare l’amica spinse Freddie a riguardare l’ora sul cellulare. Era già in ritardo.

- Allora andiamo. – fece per aprire il cancello. – Vieni, ti faccio strada. –

Il ragazzo di Seattle, invece, continuava a guardare la strada, preoccupato. – Non dovremmo aspettare Sam? Ha detto che sarebbe venuta anche lei. –

- Non lo metto in dubbio. – replicò Alan, con tono saccente e fastidioso. – Ma per ora, io qui non la vedo. –

**

- Stupido idiota! – imprecò Sam alla vettura davanti alla sua, ferma in coda, così come decine di altre per i successivi due chilometri.

Quando era uscita dall’aeroporto, salutando Gabriel e dando appuntamento a lui e agli altri al ristorante, erano le 18.10. Un rapido abbraccio di bentornato a Theo, qualche risata ed era saltata in macchina. Aveva pensato di essere perfettamente in orario, e che venti minuti le sarebbero stati più che sufficienti per tornare all’appartamento.

Purtroppo per lei, però, in venti minuti aveva raggiunto appena l’imbocco dell’autostrada. Adesso davanti a lei si parava una sterminata fila di auto immobili, con i conducenti attaccati alla frizione e al clacson.

Mentre stringeva furiosamente il volante, pensò a cosa avrebbe fatto Freddie se fosse stato lì con lei. Le avrebbe sicuramente detto che il suo piano non era stato stilato correttamente, che non aveva tenuto conto di tutti i fattori e di tutte la variabili. Le avrebbe fatto l’ennesima lezione da professore, ma la cosa peggiore era che avrebbe avuto ragione.

In una situazione del genere, per una questione così importante, un dettaglio come il traffico, Freddie non lo avrebbe lasciato al caso.

**

- Insomma, che vuoi fare, Freddie? – gli aveva chiesto Alan, sempre più pressante.

Era trascorso un altro quarto d’ora, ma di Sam non c’era nemmeno l’ombra.

- Io ho un’altra visita fissata per le 19. Non è lontano da qui, ma non posso restare ad aspettare in eterno. Se non vuoi andare dimmelo subito, che ci organizziamo per un altro giorno. –

Freddie aggrottò la fronte e abbassò gli occhi sull’asfalto.

- D’accordo. - Lo spaventava, l’idea di poter perdere quell’appartamento. Ma ancora di più, lo faceva imbestialire essere da solo.

Salì in silenzio fino al pianerottolo, seguendo Alan che intanto aveva iniziato a esporgli tutto quello che gli veniva in mente. – C’è l’ascensore… una signora fa la pulizia delle scale due volte a settimana… le spese di condominio ammontano a circa 30 $ al mese. –

L’agente estrasse la chiave dalla tasca, si pulì le suole sul tappetino e varcò la soglia.

Freddie fece lo stesso, percependo appena entrato un lieve odore di chiuso. I locali, anche se inabitati, sembravano ben tenuti. Il pavimento in mattonelle color ruggine e i mobili erano tirati a lucido, quasi a farli apparire nuovi.

- Questo è l’ingresso, angolo cottura. – espose Alan, mentre andava ad aprire le imposte per far entrare aria e luce. – Quello che vedi, chiaramente, è compreso nell’affitto. –

L’ambiente era carino, ma in realtà, quello che Freddie stava vedendo era un arredamento scarno e minimale, e guardando con più attenzione il muro, poteva notare alcune tracce di umido.

- Da quella porta si passa a un piccolo disimpegno. – proseguì Alan. – Di là c’è la camera, e a destra c’è il bagno. Letto, mobili e sanitari sono tutti inclusi. –

Freddie osservò le altre due stanze, e l’impressione che aveva avuto all’inizio fu confermata.

Per quanto l’appartamento fosse piccolo, per una persona sarebbe stato più che sufficiente. E riguardo al resto, un affitto basso avrebbe comunque fatto pendere la bilancia in parità.

- Mi piace. – disse infine il giovane di Seattle. – Sembra ciò che fa per me. Lo vorrei prendere. –

Tanto più che aveva già disdetto la camera al motel.

- Prima di firmare qualunque cosa, però, parliamo di verdoni. –

Alan annuì e si mise a giocherellare con le chiavi. – Sono 500 $ al mese. –

Freddie fu colto un po’ alla sprovvista. – Questo è… -

- Questo è ciò che chiedono. - L’agente non fece una piega. - Non trattabile. –

- Ma… dovrebbe essere più basso… - almeno 200$ di meno. Cercò di ribattere senza sembrare troppo intimorito. - Insomma, Sam ha detto che vi conoscete… che ci avrebbe pensato lei, e che vi sareste messi d’accordo. –

– E perché allora Sam non è qui? – quella domanda faceva estremamente male. – Siamo solo tu ed io, a quanto pare. –

Negli occhi di Freddie, dietro un’ombra opaca, si celava una strana luce, fatta di rabbia, delusione e frustrazione.

Frustrazione, per essere costretto a scendere a patti con quel viscido agente immobiliare in modo da non finire per strada.

Delusione, per la consapevolezza di essere rimasto solo.

Rabbia, per aver creduto ciecamente in una persona che invece, con la sua fiducia, non aveva fatto altro che giocare fin dal primo giorno.

Aveva sbagliato, di nuovo. Ma questa volta, promise a se stesso, sarebbe stata l’ultima.

 

 
   
 
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